Il ricatto dell’università

La notizia della studentessa africana che rischia il suo permesso di soggiorno, con annessa carriera universitaria e permanenza in Italia, per aver bluffato ad un esame di inglese parlano chiaramente di almeno due, fra i tanti, tipi di ricatti che in tante e tanti viviamo in quanto studenti e studentesse universitar@.
Il primo riguarda il ricatto che viviamo giornalmente fra le mura dei nostri dipartimenti in quanto borsist@. Vuoi che il tuo diritto allo studio sia garantito?! Allora devi portarmi un tot di crediti a fine anno, entro una certa data. E se, come nel caso in questione, hai avuto una carriera “brillante” in passato, non hai sgarrato, sei sempre stata nei tempi, non importa: ti mancano due insulsi CFU per avere diritto alla seconda rata di una borsa di studio? Ti mancano due insulsi CFU per avere un alloggio con affitto agevolato? Problemi tuoi non certo dell’Opera Universitaria. E se da quella borsa o da quell’alloggio dipende la tua possibilità di continuare a studiare non importa: non si è mai detto che i meccanismi che stanno dietro al diritto allo studio diano peso al lato umano della questione, né tanto meno a quello più propriamente formativo. Perché se così fosse DAVVERO, probabilmente l’anno prossimo non avremmo meno borse di studio grazie al nuovo ISEE. Il secondo aspetto riguarda un secondo tipo di ricatto che alcuni tipi di studenti e studentesse subiscono ulteriormente ogni santo giorno, come se già essere tenut@ sulle spine per una borsa di studio non bastasse. Questa storia infatti ci parla anche di chi si trova in Italia e proviene da un paese non europeo e ci può stare in quanto studente/studentessa. Parliamo del permesso di soggiorno legato a motivi di studio. Anche in questo caso, se non dai un tot di materie questo ti viene negato, non rinnovato e questo significa in soldoni “tornatene pure a casa tua”. Non importa se per anni sei stata impeccabile, ma se sgarri un minimo te ne puoi andare da qui, non sei improvvisamente più la benvenuta.
Entrambi questi aspetti hanno a che vedere con il concetto di ricatto, di infallibilità, di produzione a tutti i costi, di meritocrazia legata alla produzione. Ci parlano entrambi, anche se in maniera non del tutto esaustiva, di come si è trasformata l’università in questi anni e come sta trasformando noi che la viviamo.
Questo è un caso che ci parla di una università che punta alla massima produzione di ogni suo studente, di ogni sua studentessa. Vuoi studiare? Devi farlo in tempi sempre più stretti e per “invogliarti” a farlo ti ricatto con la borsa o l’alloggio che ti do solo a certe condizioni che decido io, sistema-università. In questa storia c’è anche una università che è diventato facile strumento di ricatto per chi vuole vivere in Italia e viene da un paese non europeo. Sono entrambe condizioni che non ti permettono di sgarrare, di guardarti intorno, di prenderti il tempo giusto per capire, per allacciare rapporti veri se non legati alla produzione universitaria, di sperimentare altro nella vita se non studiare per ottenere ciò che già dovrebbe essere un tuo diritto garantito: il diritto di studiare anche se non ne hai le possibilità economiche per farlo. Quando ti formi in questo contesto, quando da un semplice esame non superato non ti giochi solo la laurea ma il permesso di soggiorno, la casa in cui abiti e la borsa con cui vivi, allora certo che ti viene in mente di “bluffare”, anche se di base sei la persona più corretta del mondo. Perché non riuscire non è contemplato. E un esame non dato, una laurea fuori corso sono considerati fallimenti, sintomi di mala volontà, poco impegno. Sei giudicat@ dal numero di esami che dai a fine semestre, non da quanto hai realmente appreso. Checché se ne dica, quindi, questa è una storia che ci parla dei ricatti che siamo costrett@ a subire, di come l’università sia diventato un luogo certamente normativo e di controllo, che valuta le persone in base al peso dei CFU che si portano nel libretto che non in base ad altro. Questa è una storia che parla di un luogo che ci abitua e istiga al non fallimento, che ci porta ad essere cavall@ da corsa, con tanto di paraocchi.
Questa è l’università che viviamo, questa è l’università che vogliamo cambiare.
Oggi più di ieri riteniamo i nostri piccoli spazi conquistati, i nostri piccoli momenti di autoformazione dei momenti e dei luoghi dal valore aggiunto. Ci vogliono inquadrati, ligi ai nostri doveri, brav@ soldatin@ a lezioni, pronti a chinar la testa e a dare esami? Allora noi staremo ancora davanti lettere a fare un pranzo sociale o in atrio interno a sociologia per un momento di autoformazione, perché non siamo operai di una catena di montaggio e perché il vero fallimento per noi è non viverci il nostro tempo e il nostro spazio universitario ora.

E’ tempo di RISCATTO! Assemblea pubblica

Vivere l’università al giorno d’oggi significa un sacco di cose. Significa vivere un contesto in cui vieni giudicato solo in base al numero di CFU registrati nel tuo libretto, dalla media dei tuoi voti, da quanti anni sei fuori corso. Significa vivere in un’università vetrina, che mira a raggiungere i primi posti nelle classifiche, all’efficienza, ma che si dimentica degli studenti e delle studentesse che ogni giorno la attraversano. Significa non avere spazi per la socialità, per il dibattito, per l’aggregazione. Significa anche non lasciare spazio al pensiero critico, alle forme di dissenso e di rivendicazione dal basso. Significa vedere la celere che entra nelle biblioteche o nelle facoltà, come a Bologna e a Roma. Ma non serve andare lontano per vedere esempi di questa situazione critica che sta vivendo il mondo universitario. L’ateneo trentino, con la provincializzazione, con le biblioteche in vetro e bambù, con i tagli alle borse di studio, con un debito da parte della Provincia di 200 milioni, con le aule studio chiuse è un chiaro esempio del fatto che gli studenti e le studentesse universitari della nostra generazione non sono minimamente considerati come parte attiva dei propri atenei. Non possiamo di certo accettare che delle guardie giurate entrino in ogni facoltà della città, soprattutto mentre la Provincia ha un debito di 200 milioni con l’ateneo. Vogliamo che i fondi vengano utilizzati per fornire più aule studio, più borse di studio, per garantire una formazione completa, che incentivi il pensiero critico. Non possiamo stare zitt* di fronte alle speculazioni della Provincia, allo sperpero di denaro, non possiamo accettare le istituzioni politiche all’interno del CDA.

Ci siamo interrogat* e confrontat*, anche partecipando a momenti di confronto a livello nazionale, e siamo giunti alla conclusione che siamo la generazione figlia della crisi, stiamo pagando gli errori che non abbiamo commesso, ma trovandoci di fronte a questo scenario possiamo e dobbiamo essere anche la generazione del riscatto, che si assuma la responsabilità di organizzarsi, di creare dissenso, di provare a cambiare lo stato di cose esistente. Abbiamo una grossa responsabilità e non possiamo tapparci gli occhi e non agire in un momento come questo. Vogliamo e, in qualche modo, dobbiamo trovare il modo di rientrare all’interno delle nostre università, riprendercele dal basso e renderle accessibili e aperte a tutti e tutte.

Per tutti i motivi elencati e per interrogarci su come costruire e ottenere il nostro riscatto vi invitiamo a un’assemblea pubblica il 21 marzo alle 18.00 nell’atrio interno di sociologia. Discutiamo insieme sui problemi dell’università di Trento e capiamo come ripartire da noi stess* per costruire dal basso l’università che vogliamo.

GUARDIE, TORNELLI E MANGANELLI: IL NUOVO PIANO FORMATIVO DELLE UNIVERSITA’

Ci sono scene che difficilmente passano inosservate o vengono dimenticate con semplicità. Tra queste quelle che ritraggono la celere dentro una bibliotecauniversitaria, che giovedì scorso ha fatto irruzione in un’ aula studio liberata, da studenti e da studentesse che legittimamente si sono opposti alla privazione dell’ ennesimo diritto da parte delle istituzioni universitarie.E’ per questo che raccogliamo l’appello lanciato da Bologna e lo facciamo nostro. Perché anche se non siamo stat@ picchiat@ il 9 febbraio dentro al 36 di via Zamboni, siamo studenti e studentesse universitar@ che non accettano le imposizioni calate dalle alte sfere dell’ateneo, le quali, come spesso accade, vanno a limitare e a peggiorare la vita, la partecipazione e la libertà di chi vuole frequentare un’ università aperta e accessibile a tutt@, un’università che sappia sviluppare il sapere critico attraverso il dibattito e il confronto quotidiano.Quello che è successo a Bologna è un atto estremamente grave, che merita l’ indignazione e l’ opposizione da parte di chiunque abbia a cuore il proprio Ateneo. Quello che è successo a Bologna si inserisce all’ interno di una logica che ha deteriorato negli ultimi anni il sistema universitario, trasformando gli spazi degli studenti in “esamifici”, chiusi e intolleranti a qualsiasi forma di dissenso.Il dibattito sui tornelli forse non ci appartiene, ma ci appartiene quello su che tipo di università viviamo e che tipo di università vogliamo. Anche a Trento con la stessa arroganza di chi vuole gli/le student@ zitt@ e li vede come mer@ esecutor@ di esami, condannat@ alla precarietà, viviamo tempi non troppo felici.I tagli alle borse di studio, lo sperpero di risorse pubbliche per una biblioteca fuori misura, la riduzione degli spazi dove potersi incontrare e studiare, la possibilità di trovarci una guardia armata fuori dal bagno, sono solo alcuni segnali che ci dimostrano in che direzione sta andando il mondo della formazione universitaria. Queste sono le condizioni che viviamo in UniTN, e che tutti i giorniproviamo a contrastare insieme, confrontando esigenze e aspirazioni, opponendoci al deterioramento dei luoghi della cultura e del sapere.Riconosciamo come nostro l’atto di riappropriazione di una biblioteca, riteniamo assurde le immagini di una biblioteca devastata dalla celere.Per questo solidarizziamo con gli studenti e le studentessa di Bologna, senza se e senza ma, e condanniamo l’ infame scelta del rettore Ubertini di chiamare la celere che ha picchiato in maniera indiscriminata chi stava commettendo “il reato” di studiare in una biblioteca universitaria.

Note sugli ultimi sviluppi dopo la riappropriazione del CIAL

Dopo la riappropriazione del CIAL, avvenuta lo scorso 4 febbraio, nel giro di pochi giorni la situazione è cambiata molto velocemente. Magicamente il rettore Collini, dopo aver cercato di far passare sotto silenzio l’azione di sabato, estrae dal cappello i nuovi orari di apertura della sala studio di via Verdi. Questa improvvisa evoluzione della situazione ci ha spint* a compiere alcune riflessioni che vogliamo condividere con tutt* gli universitari e le universitarie di Trento.
Partiamo da una precisazione per amore di chiarezza. La riappropriazione del CIAL, che ci ha visto protagonist* come Collettivo Universitario Refresh, non è stata né un’iniziativa fine a sé stessa né un’iniziativa dettata da un’improvvisa voglia di protagonismo mediatico. L’azione di sabato 4 febbraio è stata organizzata da studentesse e studenti che hanno deciso, ormai alcuni anni fa, di unire le proprie forze e fondare un collettivo, una realtà politica che agisse in università per opporsi all’aziendalizzazione dell’ateneo, per difendere il diritto allo studio e per rivendicare il diritto alla città delle e degli stident* contro la logica della città vetrina che tende a espellere le categorie di soggetti considerate indesiderabili. Il tentativo da parte del Magnifico Rettore di silenziare la riappropriazione del CIAL è, secondo noi, un episodio sintomatico della sua volontà di dare legittimità esclusivamente alle realtà politiche a lui gradite. Evidentemente, dato il suo comportamento come realtà politica universitaria non gli siamo simpatici e simpatiche, ma di questo poco ci curiamo. La cosa che più ci preoccupa è, invece, il messaggio che viene sottointeso. Tutte le studentesse e gli studenti, che non si possono fregiare del feticcio di essere chiamati rappresentanti studenteschi, non sono degni di essere ascoltat* indipendentemente dalle istanze di cui sono portatori e portatrici. Al “magnifico” Collini noi di ricevere da lui la legittimità per poter fare politica in università ce ne freghiamo altamente e che alla sua logica che divide la popolazione universitaria in student* di serie A e student* di serie B opponiamo un netto rifiuto. Al Rettore facciamo sapere che non piagnucoliamo per non esere stat* ricevut* da lui dopo la riappropriazione del CIAL perché quando, dove e come incontrarlo lo decideremo noi, studentesse e studenti dell’ateneo di Trento anche a costo di fargli una visita a sorpresa nel suo bell’ufficio di via Calepina.

Naturalmente non ne abbiamo solo per Collini. Abbiamo anche qualcosa da dire ai giornali che hanno seguito la nostra azione. Abbiamo per loro un invito. Invitiamo alcune testate giornalistiche locali a una maggiore obiettività d’informazione, che non si limita a riportare notizie in maniera errata, elogiando le istituzioni (rettorato e rappresentanti) e tentando di nascondere agli occhi di tutt* come un collettivo di studenti e studentesse totalmente autogestito e auto-organizzato sia riuscito a riappropiarsi dal basso di un’intera biblioteca per ben due fine settimana di seguito. Vorremmo che i mass media locali  tentassero di ricercare in maniera diretta dalle fonti stesse le informazioni, nel rispetto dei suoi lettori/lettrici.

Vorremmo aggiungere solo un paio di ultimo di cose. I nuovi orari di apertura del CIAL sono una prima conquista alla quale abbiamo contribuito anche noi con il nostro modo di fare politica. Alla la logica di una rappresentanza studentesca basata su una struttura gerarchica e burocratica, le cui decisioni sono assunte da poch* escludendo qualsiasi altra forma di partecipazione proveniente dalla componente universitaria a lei estranea, opponiamo un processo decisionale in cui le decisioni vengano dagli e dalle student* negli interessi della popolazione universitaria in momenti assembleari aperti, inclusivi e assembleari e non siano solo frutto degli interessi di una ristretta élite. Siamo una parte attività della città stessa e rivendichiamo il nostro diritto alla città, a viverla ed attraversarla, a partire proprio dai luoghi di studio interni all’università. Non vogliamo essere richiusi in quella che sembra sempre essere più una gabbia dorata, funzionale allo sviluppo di un processo e di una politica di allontanamento ed esclusione degli studenti dal centro della città in cui vivono, ma ben lontana dalle reali esigenze della popolazione studentesca.
Come dicevamo prima i nuovi orari di apertura del CIAL sono un primo passo che noi però non riteniamo sufficiente e dichiariamo che il nostro obiettivo è il ripristino dell’apertura serale del Cial e l’estensione dell’orario di apertura  settimanale fino alle 23.45, in modo da poter garantire la possibilità di studiare in un luogo maggiormente accessibile a tutt*.

Come recita un nostro slogan, “Vogliamo tutto. Fino all’ultimo diritto negato” e ce lo riprenderemo alla luce del sole

NO ORARI RIDOTTI! RIPRENDIAMOCI IL CIAL!

Oggi 4 febbraio come Collettivo Universitario Refresh abbiamo deciso di ri-aprire, impedendo la chiusura, il CIAL per sollevare pubblicamente il problema delle aule studio e di porre l’Ateneo di fronte alle proprie responsabilità.          A partire dall’apertura della Biblioteca Universitaria Centrale la governance di Unitn ha adottato una strategia subdola riducendo gli orari di apertura del CIAL per costringere gli studenti e le studentesse a spostarsi nei nuovi spazi nel quartiere fantasma delle Albere.                                                                                                                    Questi provvedimenti sono la dimostrazione della volontà di usare la componente universitaria per ripopolare un quartiere nato dalla speculazione edilizia. Università e Provincia vogliono arrogarsi il diritto di utilizzare le nostre vite per riempire la bella gabbia dorata progettata da Renzo Piano. Noi abbiamo deciso di contrapporci a questa logica e l’azione di oggi non è che l’inizio.                                                                                                                   Grazie all’odierna mobilitazione siamo riuscit* a costringere le alte sfere dell’Ateneo a confrontarsi con chi quotidianamente vive gli spazi dell’università e abbiamo conquistato l’apertura del CIAL, non solo per la giornata di oggi, ma anche domenica 5 e 12 febbraio dalle 14:00 alle 19:00. Naturalmente non ci fidiamo della governance universitaria e vigileremo che gli impegni presi vengano rispettati, quindi quello di oggi non è che un primo piccolo passo. La questione delle aule studio per noi non si chiude qui e siamo pront* a tornare in azione fino a quando al CIAL non verranno ripristinati gli orari che vigevano prima dell’apertura della BUC, quindi dal lunedì al sabato dalle 08:00 alle 23:45 e la domenica dalle 14.00 alle 20.45.

Secondo noi la giornata di oggi ha dimostrato come le mobilitazioni studentesche dal basso, auto-organizzate e autogestite dagli studenti e dalle studentesse, possono portare a risultati concreti e aiutare a garantire il diritto di studio a tutt*.

Come abbiamo fatto oggi, vi aggiorneremo ogni qual volta ci siano novità e se ci fosse qualcuno che vuole informarsi e organizzarsi per partecipare e ribadire la neccesità di aprire degli spazi in università come Collettivo Universitario Refresh ci troviamo ogni mercoledì dalle 18:00 nell’atrio interno di Sociologia.

Vogliamo tutto: CIAL APERTO!

Oggi abbiamo deciso di bloccare la chiusura del CIAL e di rimanervi dentro a studiare perché, all’indomani dell’apertura della BUC, la gestione degli spazi dell’Ateneo sta portando tanti studenti e tante studentesse all’esasperazione: sembra che non vi sia pace per chi, in periodo d’esami, voglia trovare un tavolo e una sedia per studiare. Le aule studio del CIAL, notoriamente molto utilizzate dalla componente studentesca trentina perché in centro e perché aperta 7 giorni su 7, con l’apertura della BUC hanno subito una drastica riduzioni d’orari. Riduzione questa che non sembra essere una mossa per ridurre “i costi di gestione”, ma puzza di manovra atta a favorire la frequentazione della BUC, la quale essendo non proprio a portata di mano sarebbe certamente meno frequentata rispetto a un CIAL funzionante come siamo abituati a conoscere. Infatti, quanto incisivi possono essere i costi di un’apertura estesa del CIAL, come siamo abituati a conoscere, rispetto alla nuova aula studio che, non si sa quando aprirà alle Albere? Quanto in più costerà l’apertura del CIAL rispetto ai nuovi arredi e al probabile affitto che dovrà essere pagato dall’università per questa fantomatica aula studio, di cui non sappiamo nemmeno il periodo d’apertura?

Nel fine settimana, soprattutto, al centro città non esiste un luogo dove poter studiare. A partire dal sabato pomeriggio, con la chiusura del CIAL e di tutti i dipartimenti del centro (ad eccezione di Sociologia), gli studenti e le studentesse sono costretti a tentar fortuna alle Albere, nella speranza di trovare un posto. E così anche domenica. L’effetto di questa riduzione d’orari è presto detto: come testimoniato anche da recenti articoli di giornale, già prima dell’apertura davanti alla BUC si forma una vera e propria tonnara data la quantità di gente in fila per accaparrarsi un posto.

In un periodo in cui sono stati approvati forti tagli alle borse di studio, sono stati spesi milioni e milioni di euro per una biblioteca molto bella, ma fuori mano, e dalla capienza insufficiente per le esigenze della componente studentesca trentina, i nuovi orari del CIAL per noi non significano una semplice “riorganizzazione degli spazi dell’ateneo”. Per noi questo è l’ennesimo diritto negato, la conferma che la governance universitaria, come quella cittadina e provinciale, considera la componente studentesca come un oggetto da poter spostare a piacimento, sulla base di necessità che certamente non ci appartengono.

Non crediamo di doverci accontentare del palliativo di un paio di aule in più aperte al sabato a Sociologia, perché significherebbe accettare serenamente decisioni che sempre più remano contro quello che è il nostro diritto allo studio.

Oggi il CIAL rimarrà aperto quindi, per volontà di quegli studenti e di quelle studentesse che si sono stufati di subire decisioni troppo penalizzanti, che credono che sia possibile e legittimo pretendere risposte dall’alto e creare proprie soluzioni dal basso, lontani da tavoli concertativi dalle porte troppo chiuse.

Lo abbiamo detto il 17 novembre in piazza, lo abbiamo ribadito all’inaugurazione della BUC e lo ripetiamo oggi: vogliamo tutto, tutto quello che ci spetta. Fino all’ultimo diritto negato.

Invitiamo tutte e tutti a raggiungerci, che il pomeriggio studio al CIAL è appena iniziato!