Ianeselli(k), noi beviamo anche senza patente!

Siamo tornat3 mmerde, dopo aver digerito i cenoni e l’alcol ingurgitato per non sentire le battutacce di zio Pino durante le feste siamo tornat3 nella nostra amata Trento carich3 per affrontare l’ennesima sessione cercando di schivare il covid come le pallottole in Matrix.

Nonostante la nostra assenza fisica i nostri occhi sono rimasti puntati sulla città del degrado e della movida selvaggia (no non stiamo parlando di Tijuana ma di come viene descritta Trento dai giornalai nostrani), e non ci è di certo sfuggita la nuova trovata del consiglio comunale capitanato dal Sindac(alar)o Ianeselli(k).

Contrastare la “movida” a Trento è sempre stata la prima preoccupazione del consiglio comunale di turno, questa volta però l’esagerazione è palese: il regolamento approvato recentemente consente all’amministrazione comunale di individuare zone sensibili dove poter imporre un divieto di consumo degli alcolici dalle ore 23 alle ore 6 (a meno che tu non stia sedutə ad un plateatico di un bar bevendo gintonic chicchissimi a botte di 10€); non basta, per l3 gestor3 dei locali viene istituita una “patente a punti” con l’unico scopo di penalizzarl3 mentre svolgono il loro lavoro con sanzioni che varieranno dalle multe fino alla chiusura temporanea dell’attività. Viene imposto anche l’obbligo di ingaggiare steward convenzionati con la questura (contattat3 e pagat3 dall3 esercent3) per mantenere la sicurezza e l’ordine all’esterno del locale ogni volta che l3 gestor3 organizzano un qualsiasi evento nel loro locale.

Non è difficile immaginare già da ora quali saranno le zone colpite dall’ennesimo provvedimento repressivo, non sarà di certo la zona di Largo Carducci dove si trovano i bar frequentati dalla Trento-bene, né la zona di via Oriola dove, al bar “La Bella Vita”, si sciabolano bottiglie da 400€ fino alle 5 del mattino. Come accade da sempre i provvedimenti si abbatteranno sulle solite zone note dove l3 student3 squattrinat3 si ritrovano per creare un minimo di socialità senza dover sperperare i pochi quattrini avanzati dall’affitto (pochi visto che come sappiamo bene gli affitti in questa città sono tutt’altro che bassi, vedere @affitto.demmerda), luoghi per altro fisicamente adiacenti a quelli elencati in precedenza, ma che a quanto pare disturbano in modo completamente diverso la popolazione Trentina.

Questa retorica della socialità degrado deve finire, la militarizzazione dei luoghi di aggregazione in questa città ha passato il limite già durante gli scorsi anni, intensificandosi ancora una volta durante il primo semestre quando ad ottobre è stata diramata l’ennesima ordinanza di cui abbiamo già parlato (qui trovate l’articolo) accompagnata da una camionetta in pianta stabile nella Piazzetta di via Santa Maria Maddalena (zona Scaletta).

Come ripetiamo da anni, chiudere piazze ed emettere ordinanze “anti-degrado” non risolverà in alcun modo il problema degli spazi per l3 giovan3, spostare il problema non significa risolverlo. Dopo la zona della scaletta con tutta probabilità toccherà a Piazza d’Arogno e/o a qualsiasi altra piazza dove l3 giovan3 menti decideranno di incontrarsi per bersi qualche birra dopo le lezioni e le ore passate in aula studio. Il messaggio che arriva dalle istituzioni cittadine è nuovamente chiaro: l3 student3 sono ben accett3 finchè tengono alta la nomea nazionale dell’ateneo e finchè svuotano i loro portafogli in affitti sempre più alti per riempire le tasche dei soliti noti, ma diventano una minaccia quando vogliono vivere gli spazi della città a modo loro.

Ma non temete, per ora studiamo e cerchiamo di portare a casa più CFU possibile (che prima o poi qui ci si deve pur laureare), aspettando di prenderci la nostra rivincita. Presto la musica trash e il CURrello torneranno a farsi sentire nelle strade di Trento.

Alla richiesta del Sindac(alar)o e del comitato anti-degrado che pretendono una città morta dopo il tramonto e attenta al decoro urbano rispondiamo come abbiamo sempre fatto: è ora di DECORE.

Studentato di San Pio X: l’opera è una tragedia

L’opera perde lo studentato ma non il vizio. 

Si sa, è cosa nota, in città non  ci sono posti per l* student*. E se lo scrive anche l’Adige la situazione è grave, visto che sono soliti coprire le porcate della nostra gentile amministrazione comunale e universitaria. 

Davanti a un contesto tanto drammatico (si fa per dire, ma se volete farvi un’idea di come i padroni di casa approffittino della mancanza di soluzioni abitative alternative fatevi un giro sulla piattaforma Affittodemmerda) la risposta dell’opera è la stessa da svariati anni: costruiamo nuovi studentati che, signora mia, il cemento è bello e fa mangiare tanti amici. Bene, anzi male. Soffermiamoci un secondo su cosa significhi costruire uno studentato. Saremo brev*, almeno ci proviamo:

  1. Costruire studentati nelle periferie della città (tendenzialmente a Trento Sud) rende l* student* un corpo estraneo alla cittadinanza. Immaginate di ammassare migliaia di persone fuorisede in casermoni in zone senza uno straccio di bar e mal collegate con il centro. Cosa volete che facciano? Ianeselli, fatti due domande: è chiaro che si muoveranno in massa verso il centro, cercando uno straccio di socialità e saranno considerat* come barbar* invasor* da residenti poco abituat* a vedere per le strade questa strana fauna umana che non vuole dormire alle 21.
  2. “Le case vuote vanno occupate.” Nel senso che ci sono tantissimi edifici e appartamenti sfitti che potrebbero e dovrebbero essere riempiti per ovviare al problema invece che continuare a costruire palazzoni nuovi;
  3. Lasciare come unica soluzione all’emergenza abitativa la costruzione di suddetti studentati apre anche la porta ai privati: come abbiamo già scritto varie volte, alle Albere (in teoria) dovrebbe nascere uno student hotel per ricchi per conto di DoveVivo (per informazioni più dettagliate potete farvi un giro su questo altro nostro articolo Dalla padella alla brace: nuovo studentato alle Albere.).

Detto questo, arriviamo alla grande novità. L’Opera Universitaria stava progettando di costruire due studentati nuovi di zecca: uno in San Pio X alla Nave e l’altro in destra Adige all’ex Italcementi. Cose che l’opera dice e che sarebbero una figata, se fossero vere. Infatti all’ex Italcementi verrà realizzato (in teoria) un deposito per i materiali di scarto del cantiere TAV (e lo smarino non è un grande coinquilino per la salute dell* student*). E invece- arriviamo ora alla parte croccante- l’Istituto Trentino di Edilizia Abitativa (ITEA) ha cambiato idea e non concederà più all’Opera la Nave. Oltre il danno di avere un nuovo studentato si presenta anche la beffa di non averlo più: infatti, come anche riportato sull’Adige, sono saltati gli accordi- a seguito della nuova nomina della presidente ITEA Francesca Gerosa- che prevedevano la cessione all’Opera dell’edificio, da anni abbandonato e lasciato a sé stesso (basti pensare che pochi anni fa l’edificio sotto l’occupazione anarchica venne rianimato per restituirlo al quartiere con stanze destinate all’accoglienza e alla socialità). Per capire chi abbiamo davanti, Gerosa è entrata in quota Fratelli d’Italia nel Consiglio d’amministrazione ITEA e di lavoro fa l’agente immobiliare. Per la serie: minimo investimento massimo guadagno, ed è interessante notare come lo stesso partito di fascistelli ne abbia preso le distanze (uau chissà cosa avrà combinato).

Davanti a questo cambio di rotta per la nave, ci vengono spontanee alcune riflessioni sul diritto alla casa e la sua gestione nella città tridentina- che sembra vivere nuovamente un paradosso:

  1. Viene proposta nuovamente una contrapposizione tra student* e resident*. Infatti ITEA è l’ente proposto per l’edilizia popolare della provincia e la Nave è stata ora scelta per la realizzazione di appartamenti popolari. Questa destinazione- che è di vitale importanza per la città- non trova contrari noi student*, anzi; il problema è che viene fatta a discapito dell* student*, creando ancora una volta una situazione in cui le fasce meno abbienti di resident* e l* universitar* si vedono come competitor* per il diritto all’abitare;
  2. Sì sono persi ulteriori 130 posti letto e, considerando la situazione emergenziale in cui ci troviamo- con prezzi alle stelle per gli affitti e studentati che non possono offrire posti letto a persone che ne avrebbero diritto per sovraccarico di domande- si dimostra che l’opera non è stata in grado di intervenire prontamente e con decisione.

Questa situazione paradossale ci spinge a ribadire che non è più possibile continuare a ragionare per studentati dove poter rinchiudere topi-studenti, perché questa è soltanto una pezza al problema. È necessario iniziare a ragionare diversamente. 

Ci sono quartieri fantasma come le Albere, ci sono appartamenti sfitti in centro come in altri  quartieri non troppo periferici, ci sono zone che possono e devono essere riqualificate: se l’opera vuole davvero intervenire per risolvere il problema abitativo universitario deve investire i suoi tanti fondi nell’acquisto e nell’esproprio (e no caro sindaco non è una misura bolscevica come hai detto a qualcun* di noi qualche mese fa, si può fare esattamente come voi lo state facendo per costruire il TAV)  di queste aree, per poi metterle nuovamente sul mercato ad un prezzo calmierato e abbordabile per tutt* l* student*. 

LA CASA E’ DI CHI L’ABITA, E’ UN VILE CHI LO IGNORA

LA CASA E’ DI CHI L’ABITA, E’ UN VILE CHI LO IGNORA

Cronache di una solitaria e ricca Trento sfitta

Sono una studentessa dell’Università di Trento, nata a Napoli. Quando, ormai un anno fa, è iniziata la fine del mondo, ero come molti di voi nel bel mezzo dell’anno universitario. Non avendo più una soluzione abitativa molto agevole nella mia città, scelsi di rimanere nella ridente cittadina di Trento.

Ho passato tre mesi a guardarmi negli occhi con la mia coinquilina e a fare collage con giornali vecchi aspettando la fine di quella che allora sembrava una reclusione impensabile, assurda, eccezionale (che ingenue), valutando infondo che i 240 euro mensili per una doppia che stavamo sborsando a quei furboni dei nostri padroni di casa, di cui 100 in nero per delle bollette mai viste, valessero la pena per una quarantena del genere. Sicuramente stare in una casa universitaria, per certi versi, ha aiutato, ma 240 euro al mese faccio ancora fatica a digerirli.

Pagai anche i mesi estivi, perché qui in trentino i padroni di casa sono molto fiscali – leggi “stronzi”-  e la disdetta se non la dai tre mesi prima ti costa la caparra di un mese intero ( nessuno sconto per le bollette anche se la casa rimane vuota, mi raccomando!).  

Questa rosea esperienza l’ho fatta nell’ elegantissimo serpentone di cristo re, e attualmente i padroni di casa non hanno nemmeno cercato qualcuno che potesse andarci a vivere, né gli è balenata lontanamente l’idea di abbassare un po’ il prezzo. Il compromesso della perfetta mano invisibile che mette d’accordo domanda e offerta è quindi piuttosto un braccio di ferro impari,  in cui i padroni di casa forzano una soglia sotto la quale non si può scendere, e le case rimangono vuote e gli universitari per strada (o nelle città di origine). 

Guardandomi intorno mi venne in mente: quanto spazio sprecato. Cosa fare con tanti immobili vuoti?  Quanto poco amore c’è in questa città per ricchi? Dalle enormi alle piccole strutture, ognuna ha bisogno di qualcuno che se ne prenda cura. Non per forza pagando un affitto, diciamocelo.   

Comunque.

A settembre dovevo decidere cosa fare: rimanere a Trento, con il rischio che la mia permanenza fosse inutile dato che la didattica poteva diventare interamente a distanza da un momento all’altro – e di fatto, così è stato-, o tornare a Napoli e cercarmi anche lì un posto dove dormire. Così ho scroccato un materasso da amicu per un po’ per capire cosa fare. 

Indovinate? L’orgogliosa città universitaria di Trento, dalla parte dei buoni, con tutti quegli stimabili principi di servizi pubblici, la libera circolazione, le tasse basse, le biblioteche come se piovessero, fa una selezione atroce tra gli studenti, alla radice, di nascosto: non muove un dito affinché il costo della vita non sia vagamente più abbordabile, anzi. E nonostante la facciata, si trova del classismo più ipocrita e crudele, anche detto libero mercato. 

Gli affitti sono rimasti praticamente tutti carissimi, manco fosse chissà quale metropoli. I prezzi delle case non erano più bassi dell’anno precedente, come probabilmente sapete, anzi erano saliti. 

Le singole partivano dai 300 euro, le doppie dai 250 e per riuscire a scendere sotto i 200 ho visto gente dormire in quattro in triple, cose del tipo che ogni sera si giocava alla morra cinese per vedere chi dormisse per terra.

Il salvifico ruolo dell’opera universitaria, inutile a dirsi, non risulta salvifico. I prezzi standard senza borsa di studio non abbassano la media degli affitti, e a tappare i buchi del pubblico si inseriscono aziende private che credono di poter fittare posti letto a 430-450 euro al mese avendo pure la faccia tosta di chiamarli studentati (per ulteriori informazioni è consigliata la lettura dell’articolo nel link a fine pagina).

Il tasto dolente di tutto questo è che in altre città una situazione del genere porterebbe ad una orgogliosa ondata di occupazioni abitative, o almeno di tentativi. Questa città democratica, civile, felice, invece, è sede di una repressione tale da far abortire ogni spirito di iniziativa da basso, che non sia un mercatino bio o  una qualsivoglia attività radical-chic

Morale della favola, mi trovo a Napoli in un monolocale, davanti ad uno schermo a usufruire dei meravigliosi servizi dell’università di Trento, nella quale probabilmente non varrà più la pena di vivere. O magari sarà possibile con metodi diversi. 

 

Riferimenti:

https://curtrento.noblogs.org/post/2020/10/26/dalla-padella-alla-brace-nuovo-studentato-alle-albere/

Dalla padella alla brace: nuovo studentato alle Albere.

L’articolo a seguire da considerarsi come la continuazione di un lavoro di inchiesta effettuato nel 2017 [1]. Senza aver letto il primo, la comprensione del secondo è incompleta. Per cui scivoleremo velocemente su alcune questioni (al cui approfondimento rimandiamo all’articolo del 2017) per rallentare e soffermarci su altre. Infine cercheremo di delineare delle linee di ragionamento e dei possibili sviluppi futuri che il tramaccio Albere potrebbe assumere.

Tutti i link ai vari materiali sono in fondo all’articolo.

Buona lettura.

Come a Mordor dopo anni di calma piatta, qualcosa torna a farsi udire dalle Albere. Rumori e presagi risuonano fra i placidi specchi d’acqua che dimidiano le vie del (non) quartiere. No, non è il mormorio del cadavere di Renzo Piano, ma il fruscio del danaro contante.

Sono passati 7 anni dall’inaugurazione flop dell’ottobre 2013 e sembra che le cose inizino a muoversi. La situazione di base è questa:

-esercizi commerciali/uffici:    venduti 46/50

-appartamenti:                        venduti 180/300

NB: venduto non vuol dire che dentro ci viva qualcuno, o che qualcuno paghi l’affitto di quell’appartamento, ma solo che il lotto non è più di proprietà del fondo Clesio[2].

 

Guardando ai dati la situazione sembra veramente nera: se in 7 anni le agenzie immobiliari che si occupavano del quartiere sono state in grado di avanzare 120 abitativi invenduti, vuol dire che qualcosa non va.

E infatti le Albere partiva già dalla nascita come un quartiere mal pensato per la città di Trento. Se l’idea di costruire la via degli affari poteva funzionare -e infatti sia ITAS[3] che ISA [4], due fra le principali finanziatrici del fondo costruttore del quartiere, hanno stabilito le loro sedi alle Albere- questa era incompatibile con la l’apertura di una zona di pregio per l’abitativo. Di fatto l’esigenza di un quartiere residenziale esclusivo non è mai stata avvertita dai trentini ricchi, i quali hanno sempre preferito costruirsi casa nelle colline che circondano la città piuttosto che in centro (ora il mercato immobiliare in collina sembra essersi saturato e questo potrebbe portare a dei risvolti interessanti per quanto riguarda la ricerca di una zona residenziale alternativa).

Insomma: vengono costruiti 300 appartamenti di lusso in una città in cui i pochi a poterseli permettere preferiscono vivere da un’altra parte, per di più in un quartiere pensato più per aggregare sedi di banche e agenzie di investimenti che forme di vita. Il fatto che ci sia il parco dove giocare a frisbee d’estate non basta a far tornare i conti.

A prova di questo, nel 2014 vi è il cambio di progetto effettuato nei confronti del (inutile) Centro Congressi, divenuto Biblioteca Universitaria Centrale, per cercare di tamponare le perdite di un quartiere pensato male e privo di veri servizi. Tutto, ovviamente, gentilmente offerto con i soldi di noi studenti.

Ora che abbiamo inquadrato la situazione passiamo agli aggiornamenti…

 

Qualche settimana fa il Fondo Immobiliare Clesio (partecipato da Isa, Fondazione Caritro, Dolomiti Energia, Itas e da altri soci con quote minori), proprietario del quartiere Le Albere, ha approvato il nuovo piano per il quinquiennio 2020-2025, in cui vengono stabilite la proroga del fondo stesso e un accordo con le banche creditrici per ridiscutere l’esposizione debitoria (totale dei debiti di un’azienda) che ammonta a circa 150 milioni di euro. L’accordo ruota intorno all’applicazione di sconti sulle future vendite di appartamenti. Lo stesso fondo Clesio, precedentemente gestito dalla società italiana Castello Sgr, è passato agli investitori americani della Oaktree Capital, un passaggio da non sottovalutare, in quanto si tratta del primo caso in cui un investitore d’oltreoceano decide di acquisire fondi immobiliari a Trento.

A questo proposito in una recente intervista [5] Francesco Danieli e Roberto Pedroncelli titolari di Ceda e Dolomiti Immobiliare, le due agenzie intitolate della vendità e dell’affitto degli immobili delle Albere, hanno dichiarato come siano in arrivo delle linee finanziarie pronte a coprire fino all’ 80% delle spese d’acquisto e degli sconti sulla vendita fino al 25% finanziate dal fondo Clesio: una vera e propria svendita immobiliare.

Insomma, la verità che trapela attraverso le dichiarazioni è più o meno questa: sono passati 7 anni e ci sono ancora 150 milioni di euro di debito, per cui si punta ad estinguere l’obbligazione il prima possibile. In particolare quello a cui si punta è la vendita in blocco di intere palazzine, in modo da accelerare i tempi e rendere il quartiere maggiormente appetibile anche ad una maggiore varietà di acquirenti rispetto a quella che ci si aspettava sette anni fa. Non importa più quindi la coerenza col progetto iniziale (che già di suo era catastrofico), ma la vendita disorganica e a tutti i costi degli immobili rimasti.

Abbiamo tentennato per 7 anni, ora le Albere si riempiono, punto. Questo è il messaggio che deve passare.

Difatti, sono sempre Danieli e Pedroncelli a comunicare l’arrivo di uno studentato privato in zona Albere; sorgerà adiacente alla BUC nel blocco “i”e sarà composto da ben 52 alloggi, appena consegnati alla società milanese DoveVivo (peraltro appartenente per il 5% ad ISA). Gli alloggi saranno destinati alla formula del co-living che -se ci riferiamo ad un’utenza universitaria- è sostanzialmente un modo smart per dire coinquilinanza e giustificare così canoni di locazione esorbitanti [6]. Infatti, come sottolineano Danieli e Pedroncelli, il costo in camera singola varierà fra i 430 e 450 euro al mese a seconda della metratura, ben superiore alla media cittadina. Dati i presupposti, DoveVivo si inserisce in perfetta continuità con la tendenza che la situazione abitativa ha preso in città.

Ora proviamo a conoscere chi abbia accettato la sfida di aprire uno studentato in un quartiere fantasma. DoveVivo è una società milanese nata nel 2007 che si occupa di co-living, capirne il funzionamento è un po’ complesso, ma in buona approssimazione svolge più o meno le stesse funzioni di un agenzia immobiliare, con un maggior orientamento all’affitto, spesso anche a breve termine.

È la società più grande in Europa per il co-living: ossia quella forma di condivisione di un’abitazione basata più sui servizi messi in comune che sulla necessità di dividere l’affitto per assicurarsi un tetto sopra la testa. Per semplificare il co-living punta ad accomunare sotto lo stesso tetto persone con le stesse esigenze (di vita, lavorative etc…) e personalizzare i servizi messi a disposizione dall’immobile su queste esigenze. La società tende a mettere sotto lo stesso tetto persone con un lavoro simile, con orari ed esigenze simili. Ad esempio: in una determinata casa la società inserisce solo persone che lavorano in smartworking e come servizio comune installa un wi-fi molto potente. Per studenti universitari non vi è quindi una differenza sostanziale fra co-living e le forme di coinquilinanza a cui siamo abituati, tranne -chiaramente- il costo a posto letto; una tendenza potrebbe semmai essere quella di accomunare studenti della stessa facoltà o dello stesso anno, ma apparte ciò cambia veramente poco.

In un’intervista di due settimane fa al giornale trentino Danieli commenta la scelta della consegna dei 52 alloggi a DoveVivo[5]:

Abbiamo appena consegnato 52 alloggi a DoveVivo. Ma attenzione alloggi per gli studenti, in una logica commerciale, non significa virare rispetto agli obiettivi di vendita; il progetto rientra nella costruzione di un quartiere di pregio che prevede anche spazi giovani. La scelta dello studentato è stata fatta più di un anno fa, poco dopo è stata affidata la gestione degli affitti a DoveVivo, società milanese già diffusa in otto città italiane. Ci sono già diverse prenotazioni e nel complesso 150-200 studenti circa potranno approfittare di questa opportunità”

Dalle parole di Danieli emergono 2 questioni abbastanza importanti da sottolineare: la prima è che gli alloggi universitari sono solo in consegna a DoveVivo e che all’occorrenza possono essere ritirati alla società per essere destinati alla vendita, la scelta dello studentato rappresenta quindi una semplice toppa al problema dell’invenduto. La seconda questione è che la scelta di cambiare look al quartiere per renderlo più appetibile agli investitori è stata effettuata relativamente di recente, ma esprime comunque una continuità per quanto riguarda la fascia sociale a cui le Albere si rivolgono: i ricchi e, ora, i loro rampolli.

DoveVivo conta 1500 appartamenti in varie città italiane, per lo più tratta con universitari fuorisede, i quali costituiscono una vera e propria miniera d’oro per le casse della società. Altro fattore da tenere in considerazione è che DoveVivo, a differenza di altri studentati privati (come il trentino Nest), gestisce le sue strutture in maniera molto più fluida rispetto all’affitto tradizionale, introducendo la possibilità di effettuare affitti brevi o soggiorni di poche notti, non a caso la società ha in previsione l’apertura di uno Student Hotel a Torino per il 2023 [6]. In queste tipologie di studentati è frequente, ad esempio, sospendere il contratto agli studenti durante i periodi di pausa dall’università, per affittare la casa ai turisti in visita alla città. Questo avviene nelle principali città d’Italia già da qualche anno, redendo gli studentati universitari degli hotel e contribuendo ad intensificare le dinamiche di gentrificazione e di innalzamento dei canoni di locazione complessivi di varie zone cittadine.

Per approfondimento su Student Hotel rimandiamo ad un interessante articolo, link in fondo alla pagina. dateci una letta, merita  [7].

Ora con i presupposti prima elencati, immaginiamo che non ci sia l’emergenza coronavirus a trattenere i fuorisede dal prendere casa a Trento. Sappiamo che il numero di studenti iscritti ad unitn previsto per il 2022 dovrebbe aggirarsi intorno ai 20.000, rispetto ai 18.000 attuali, quindi ci si aspettano 2000 studenti in più. Chiunque abbia un po’ di familiarità con la città conosce il dramma del dover trovare casa e del vivere il capoluogo tridentino: la vita costa tantissimo, le case per studenti scarseggiano e gli affitti costano sempre di più. Bene. Ora immaginiamo di mettere sulla piazza 150 posti letto a 430 euro, come in progetto alle Albere, in una città dove il costo degli affitti stava già inflazionando da qualche anno di per sé. Ebbene con i flussi di studenti previsti per il prossimo anno, studentati come quelli di DoveVivo non fanno altro che aggravare la situazione, contribuendo ad innalzare il costo complessivo degli affitti, vista l’elevata domanda e la scarsità dell’offerta immobiliare oggi disponibile.

I lavori per la costruzione dello studentato da 200 posti dell’Opera Universitaria (l’ente di untin per il diritto allo studio) nell’area ex Italcementi a Piedicastello sono appena iniziati, quindi prima di vedere tamponata l’emergenza affitti con la disponibilità di posti a prezzo calmierato, passerà molto tempo date le tempistiche pachidermiche che Università e Provincia sono solite presentare in queste situazioni.

Da questi passaggi emerge come a Trento inizi a prefigurarsi un effettivo scollamento fra università e gestione dei servizi rilasciati agli studenti dell’ateneo. Per spiegarsi meglio: se prima vi era solo l’Opera Universitaria o qualche altra appendice dell’ateneo a gestire palestre, sale prove, studentati, mense e sale studio, ora iniziano ad inserirsi anche dei soggetti privati a colmare i vuoti lasciati da provincia e ateneo (leggi: settore pubblico). Lo studentato alle Albere ne è l’esempio. Proviamo ad immaginare cosa accadrà per quanto riguarda i posti in aula studio con l’aumento di studenti previsto per i prossimi anni: le biblioteche del CLA, BUC, Lettere, Archeologica, Giuri sono già piene adesso. Con una situazione del genere l’apertura di sale studio private con abbonamento mensile potrebbe costituire una ghiotta opportunità per gli imprenditori della speculazione, per i compari sciacalli di DoveVivo e tutta quella schiera di società che lucrano sull’assenza di servizi forniti a studenti fuorisede e precari.

Quindi, vista la situazione affitti che ci si presenterà di fronte fra un anno e la crisi economica imminente dovuta al covid, vorremmo chiedere al caro rettore, alla provincia e agli alti papaveri dell’ateneo, perché invece che spendervi in discorsi strappa lacrime sulla difficoltà della situazione attuale e sulla vicinanza che sentite coi poveri studentelli quarantenati, non andate in comune o da chi di dovere e finalmente imponete una vera calmierazione per il prezzo degli affitti in modo da limitare i meccanismi di speculazione?

 

Torneremo sulla vicenda e ci faremo sentire

 

 

PER MAGGIORI INFO

[1] https://curtrento.noblogs.org/post/2017/11/06/conoscere-per-capire-dossier-sulle-albere/

[2] Il Fondo immobiliare Clesio è partecipato da Isa, Fondazione Caritro, Dolomiti Energia, Itas e da altri soci con quote minori

[3] Istituto Atesino di Sviluppo, facente parte della galassia di Intesa San Paolo, considerato il “braccio finanziario della curia trentina”.

[4] Istituto Trentino Alto-Adige per Assicurazioni, è una società mutua assicuratrice.

[5] https://www.giornaletrentino.it/economia/albere-basta-fake-news-oltre-met%C3%A0-%C3%A8-gi%C3%A0-venduta-1.2446240

[6] https://www.dovevivo.it/it/news_eventi/dicono_di_noi/dovevivo-portera-student-hotel-ex-manifattura-rosi/

[7] https://www.wumingfoundation.com/giap/2018/07/student-hotel/

Ianeselli! Fatti uno champagnone!

Mercoledì 30 settembre, una di notte, 66cl nello zaino. Me ne vado sbronzo con una dozzina di comparx per le vie del centro. A na certa si decide di ammazzare la serata al bar dei giuristi: il Gatto Gordo. Ammazzare nel senso di ammazzare noi e le nostre finanze visti i prezzi slow food dell’alcool trentino, ma vabbè per una volta va così. Insomma, arriviamo in sto posto e manco farlo apposta ci si presenta in tutto il suo grottesco splendore la solita scena di vita trentina. In poche parole: ci sta sto vecchio residente – con due borse della spesa (perché?) – incazzato come no scorpione per il casino proveniente dalla via del Gatto Gordo, che sta per prendersi a stecche col barista del suddetto bar. E poi vabè solito cerchio di studenti sbronzi intorno a caldeggiare il massacro e a prendere per il culo sto tipo con le vene fuori dal collo. Vabè arrivan gli sbirri, la gente se ne va, il vecchio per poco non finisce in caserma e bon, tutti a dormire.

la scena soprastante è letteralmente esemplare di come a Trento non si riesca a trovare una quadra per quanto riguarda la socialità studentesca e l’abitare il centro città.

Giovedì 8 ottobre, il neo eletto sindaco Franco Ianeselli, fresco fresco di una campagna elettorale dove, fra imbarazzanti via crucis della sicurezza (vedi chiusura negozi etnici in piazza della Portela), leccate di culo a Renzi, e sermoni tanto sentimentali quanto vaghi sulla bellezza del vivere in una città aperta e giovane, firma un’ ordinanza in cui vieta la vendita di alcolici nella zona di piazza Santa Maria Maddalena (per gli under 60: la Scaletta).

Piatto ricco mi ci ficco, il buon questore piazza una decina di volanti -fisse in piazzetta e luci blu accese- a sorvegliare la zona (letteralmente più volanti che persone, vedi foto). Gestione dell’ordine pubblico in piena continuità con il presidio permanente in piazza della Portela di qualche mese fa contro la situazione di “degrado” causata dai negozi etnici.

Le motivazioni reali di tali misure sono le solite: in Scaletta c’è un casino della madonna e i residenti si lamentano. Il fatto che i contagi siano in aumento non è altro che un pretesto per far cessare una buona volta la movida in piazzetta conservatorio.

Il fatto che una giunta di centro sinistra attui delle misure draconiane, in tema di ordine pubblico -che potrebbero tranquillamente rientrare nel programma elettorale di Fratelli d’Italia- stupisce solo le associazioni studentesche ben pensanti.

Sappiamo come stanno le cose a Trento: gli studenti modello devono studiare, andare al supermercato, pagar gli affitti e bere gin tonic da 8 euro in Largo Carducci (via letteralmente a 100m dalla Scaletta, mai toccata dalle ordinanze, piena zeppa di fighetti). Gli studenti insomma fanno comodo fin quando portan soldi (si stima che intorno al 40% del bilancio cittadino sia dovuto alla presenza dell’università), poi quando iniziano a costituirsi parte della vita cittadina vengono bollati come au(n)tori supremi del degrado.

Altro fattoda notare è come la questura ne esca con le mani pulite, quando nella realtà dei fatti, se la firma dell’ordinanza spetta al sindaco, la scelta nella gestione della piazza è decisa dal questore. Cioè che la decisione di mettere un numero spropositato -e inutile- di volanti per dare la parvenza di un qualche controllo sulla situazione è decisa dalla questura. Tradotto: di merda ce n’è per tutti, anche per il caro questore oltre che per il sindaco.

 

Comunque sia andiamo avanti…

Alla luce degli avvenimenti delle ultime settimane occorre fermarsi e riflettere per cercare di vederci chiaro: a ben vedere, la colpa di tutto questo delirio non è né degli studenti né dei residenti. È ovvio che gli uni han voglia di far festa e gli altri han voglia di dormire, il problema è che continuando a bollare uno dei due attori come colpevole della guerra in corso (irrispettoso del quieto vivere o vecchio reazionario bastardo) , ci si continua a mordere la coda. Questo sfocia nella pretesa ideale che una delle due parti si auto regoli: nel falso appello su facebook a responsabilizzarsi. Che ovviamente è impossibile e quindi via di ordinanze. Aggiungi il covid e il piano è completo.

La vera colpa invece è di chi progetta la vita cittadina, della giunta comunale e affini. Il problema è che a Trento di riuscire ad integrare la vita studentesca con quella cittadina non è mai importato un cazzo a nessuno, la confusione genera mostri. Gli unici tentativi sono stati la costruzione delle Albere, un quartiere fantasma costosissimo (da costruire e da vivere), e del Sanbàpolis, uno studentato nel bel mezzo del nulla.

 

A Trento non c’è un posto accessibile (e vivibile) dove gli studenti possano trovarsi senza ledere alla voglia di dormire dei residenti, da questo nasce la guerra dei mondi. Trento quest’anno ha superato Bolzano come città più costosa d’Italia: è chiaro che gli studenti si concentrano dove l’alcool costa meno o si bevono i birroni del supermercato in piazzetta. Cosa dovrebbero fare? Delapidare le loro (dei loro genitori) finanze a forza di birre artigianali da 6 euro?

In assenza di un’alternativa desiderabile la movida si scompone e si riforma in un’altra parte della città -come avvenuto per la zona di Santa Maria Maggiore qualche anno fa- e così all’infinito, fino a che le secchiate d’acqua dalla finestra non diventeranno calderoni d’olio bollente.

Affitti: Tavolata in Provincia. fra chi ingrassa e chi non ha da mangiare.

brevi considerazioni sul tavolo aperto in Provincia fra le rappresentanze studentesche, l’Opera Universitaria e proprietari di immobili.

 

“Senza studenti fuorisede Trento perderebbe 40 milioni di euro in 4 mesi”.
Questa la ragione del tavolo di discussione convocato per l’emergenza affitti che ha visto la partecipazione provincia, sindacati, rettore e rappresentanze studentesche.

Paradossale che si inizi a parlare della situazione abitativa di studenti e studentesse solo quando iniziano a mancare i soldi nelle tasche di provincia, bar e palazzinari. Mentre sono anni che ci troviamo a denunciare una situazione che è da tempo insostenibile, con molt* student* che hanno dovuto abbandonare gli studi a causa del caro affitti o accettare i lavori più di merda per avere la possibilità di studiare. Per inseguire la promessa, puntualmente tradita, di poter fare un lavoro decente.

L’emergenza degli affitti è stata accelerata prima con l’arrivo di Airbnb a Trento, per poi esplodere durante la pandemia, con centinaia e centinaia di contratti d’affitto disdetti, come tutt* avranno notato dal ripetersi di annunci di stanze libere da subito. La provincia e l’università, dopo aver ignorato per mesi (e anni) il problema decidono di impegnarsi in un tavolo durato sessanta minuti. Come si è iniziato a parlare di regolarizzazione degli stranieri quando i latifondisti agricoli si sono accorti che senza migranti a spaccarsi la schiena nei campi per pochi spicci non ci va nessuno (se non sotto ricatto, vedi gli appelli a costringere a lavorare gratis disoccupati e recettori del reddito di cittadinanza), allo stesso modo si parla dell’emergenza affitti quando ci si è accorti che bar e palazzinari campano grazie agli student* fuorisede. E se con i migranti si propone come soluzione un permesso di soggiorno con la data di scadenza (a cottimo praticamente, tornando al discorso sul ricatto), per gli studenti si propone un bonus una tantum, pronto a finire nelle tasche, già abbastanza profonde, di chi affitta intere palazzine. Ennesimo esempio di come gli studenti universitari siano visti come mera carne da speculazione immobiliare: fanno comodo finchè c’è da pagare l’affitto, poi quando escono la sera per evitare che facciano casino, chiudiamo tutti i bar alle 23.

E pensare che c’è chi esulta per l’esito di quella che si può definire poco più di una chiacchierata. Così finita l’emergenza tutto tornerà alla normalità: palazzinari che perdono poco o nulla, affitti sempre più cari a causa dell’aumento della domanda dovuta all’apertura della facoltà di medicina,  studenti e studentesse – e le loro famiglie – impoverite dalla crisi, con, in aggiunta, l’impossibilità di trovare il lavoretto sporco, magari a nero, che ci permetteva di pagare una stanza doppia o tripla.

La questione abitativa era già un’emergenza prima del covid. Un bonus una tantum serve solo a parare il culo ai multiproprietari che da anni campano speculando sul diritto allo studio. Qui si tratta di reinventare l’abitare in città, calmierando i prezzi degli affitti mettendo un prezzo massimale nel contratto per studenti, è necessario aumentare il numero delle borse di studio – drammaticamente ridotto con il passaggio dall’ICEF all’ISEE di tre anni fa, è necessario porre fine alla speculazione sistematica sulle spalle di noi student*. Consapevoli del fatto che non sarà la provincia a cambiare questa situazione, visti i recenti tagli all’università, né un rettorato che ha sempre ignorato il problema, probabilmente ben contento della “selezione di qualità” – per non dire classista – che privilegia i “figli di” a discapito chi non può più permettersi di studiare fuori.

Con affitti e costo della vita che aumentano, ed istituzioni che pensano solo a difendere gli interessi di chi da questa situazione ci ha già mangiato abbastanza, non resta che rimboccarsi le maniche, organizzarci, difenderci da un attacco, fatto di silenziosa gentrification, che va avanti da troppi anni.