Studentato di San Pio X: l’opera è una tragedia

L’opera perde lo studentato ma non il vizio. 

Si sa, è cosa nota, in città non  ci sono posti per l* student*. E se lo scrive anche l’Adige la situazione è grave, visto che sono soliti coprire le porcate della nostra gentile amministrazione comunale e universitaria. 

Davanti a un contesto tanto drammatico (si fa per dire, ma se volete farvi un’idea di come i padroni di casa approffittino della mancanza di soluzioni abitative alternative fatevi un giro sulla piattaforma Affittodemmerda) la risposta dell’opera è la stessa da svariati anni: costruiamo nuovi studentati che, signora mia, il cemento è bello e fa mangiare tanti amici. Bene, anzi male. Soffermiamoci un secondo su cosa significhi costruire uno studentato. Saremo brev*, almeno ci proviamo:

  1. Costruire studentati nelle periferie della città (tendenzialmente a Trento Sud) rende l* student* un corpo estraneo alla cittadinanza. Immaginate di ammassare migliaia di persone fuorisede in casermoni in zone senza uno straccio di bar e mal collegate con il centro. Cosa volete che facciano? Ianeselli, fatti due domande: è chiaro che si muoveranno in massa verso il centro, cercando uno straccio di socialità e saranno considerat* come barbar* invasor* da residenti poco abituat* a vedere per le strade questa strana fauna umana che non vuole dormire alle 21.
  2. “Le case vuote vanno occupate.” Nel senso che ci sono tantissimi edifici e appartamenti sfitti che potrebbero e dovrebbero essere riempiti per ovviare al problema invece che continuare a costruire palazzoni nuovi;
  3. Lasciare come unica soluzione all’emergenza abitativa la costruzione di suddetti studentati apre anche la porta ai privati: come abbiamo già scritto varie volte, alle Albere (in teoria) dovrebbe nascere uno student hotel per ricchi per conto di DoveVivo (per informazioni più dettagliate potete farvi un giro su questo altro nostro articolo Dalla padella alla brace: nuovo studentato alle Albere.).

Detto questo, arriviamo alla grande novità. L’Opera Universitaria stava progettando di costruire due studentati nuovi di zecca: uno in San Pio X alla Nave e l’altro in destra Adige all’ex Italcementi. Cose che l’opera dice e che sarebbero una figata, se fossero vere. Infatti all’ex Italcementi verrà realizzato (in teoria) un deposito per i materiali di scarto del cantiere TAV (e lo smarino non è un grande coinquilino per la salute dell* student*). E invece- arriviamo ora alla parte croccante- l’Istituto Trentino di Edilizia Abitativa (ITEA) ha cambiato idea e non concederà più all’Opera la Nave. Oltre il danno di avere un nuovo studentato si presenta anche la beffa di non averlo più: infatti, come anche riportato sull’Adige, sono saltati gli accordi- a seguito della nuova nomina della presidente ITEA Francesca Gerosa- che prevedevano la cessione all’Opera dell’edificio, da anni abbandonato e lasciato a sé stesso (basti pensare che pochi anni fa l’edificio sotto l’occupazione anarchica venne rianimato per restituirlo al quartiere con stanze destinate all’accoglienza e alla socialità). Per capire chi abbiamo davanti, Gerosa è entrata in quota Fratelli d’Italia nel Consiglio d’amministrazione ITEA e di lavoro fa l’agente immobiliare. Per la serie: minimo investimento massimo guadagno, ed è interessante notare come lo stesso partito di fascistelli ne abbia preso le distanze (uau chissà cosa avrà combinato).

Davanti a questo cambio di rotta per la nave, ci vengono spontanee alcune riflessioni sul diritto alla casa e la sua gestione nella città tridentina- che sembra vivere nuovamente un paradosso:

  1. Viene proposta nuovamente una contrapposizione tra student* e resident*. Infatti ITEA è l’ente proposto per l’edilizia popolare della provincia e la Nave è stata ora scelta per la realizzazione di appartamenti popolari. Questa destinazione- che è di vitale importanza per la città- non trova contrari noi student*, anzi; il problema è che viene fatta a discapito dell* student*, creando ancora una volta una situazione in cui le fasce meno abbienti di resident* e l* universitar* si vedono come competitor* per il diritto all’abitare;
  2. Sì sono persi ulteriori 130 posti letto e, considerando la situazione emergenziale in cui ci troviamo- con prezzi alle stelle per gli affitti e studentati che non possono offrire posti letto a persone che ne avrebbero diritto per sovraccarico di domande- si dimostra che l’opera non è stata in grado di intervenire prontamente e con decisione.

Questa situazione paradossale ci spinge a ribadire che non è più possibile continuare a ragionare per studentati dove poter rinchiudere topi-studenti, perché questa è soltanto una pezza al problema. È necessario iniziare a ragionare diversamente. 

Ci sono quartieri fantasma come le Albere, ci sono appartamenti sfitti in centro come in altri  quartieri non troppo periferici, ci sono zone che possono e devono essere riqualificate: se l’opera vuole davvero intervenire per risolvere il problema abitativo universitario deve investire i suoi tanti fondi nell’acquisto e nell’esproprio (e no caro sindaco non è una misura bolscevica come hai detto a qualcun* di noi qualche mese fa, si può fare esattamente come voi lo state facendo per costruire il TAV)  di queste aree, per poi metterle nuovamente sul mercato ad un prezzo calmierato e abbordabile per tutt* l* student*. 

“Fanculo l’eccellenza! Viva la mediocrità!”: cosiderazioni su test d’ingresso e pedigree accademico.

Nel corso delle scorse settimane nei vari consigli di dipartimento dell’ateneo si è discussa la sostituzione dei test d’ ingresso alla laurea triennale con delle “modalità di valutazione sostitutive”, come quella approvata di fresco dal dipartimento di Sociologia e poi estesa a tutti i dipartimenti dell’area umanistico-letteraria.

La selezione delle nuove matricole sarà effettuata in base ai loro voti in pagella ottenuti alla fine del quarto anno di scuola superiore.

Su quanto sia classista questa decisione non ci dilungheremo a lungo: è comprovato da una pluralità di studi che gli studenti provenienti da contesti familiari “difficili o umili” (perché dire poveri è degradante) abbiano voti più bassi di coloro che provengono da famiglie benestanti o ricche.

Oppure il fatto che vengano fatte delle pericolose distinzioni fra scuole di serie A e di serie B: a parità di voto, chi ammettiamo lo studente di agraria o il liceale?

Crediamo che ognuno dei lettori possa trarre svariati esempi dalla sua esperienza personale riguardo a ciò che è stato appena detto, come anche avere memoria di figli di medici e professori -letteralmente ignoranti come le foche- spinti avanti a forza, classe dopo classe, con valutazioni gonfiate solo per la propria ascendenza familiare. E poi dicono che i figli degli operai non sono invogliati a studiare.

 

La scuola italiana e l’università, nulla di nuovo sotto il sole, riproducono le “diseguaglianze sociali”. Tuttavia l’analisi dei dati OCSE sulla mobilità sociale e l’università li lasciamo a udu e figc, non perché non siano importanti, ma perché vorremmo concentrarci su ben altro…

Per come è stata presa, quella di qualche giorno fa, sembra una decisione cieca e puramente ingiusta. Nessuno studente medio avrebbe mai potuto aspettarsi, che i suoi voti di quarta potessero influenzarne l’ammissione all’università. Inoltre dopo svariati esempi in giro per l’Italia di esami (scritti) svolti online, nessuno avrebbe mai pensato che lo svolgimento di un test d’ingresso potesse rappresentare un insormontabile problema tecnico, tanto da dover annullare i test d’ingresso in favore di altre modalità di selezione.

Oppure per semplificare:

Se la scuola che faccio mi fa schifo (e quindi vado male), non vuol dire che non abbia intenzione di iscrivermi all’università in linea con quelle che sono le mie passioni”.

Saremo anche “i soliti rivoltosi scansafatiche”, ma il concetto soprastante non ci pare tanto astruso e delirante da non essere condivisibile dai più.

Insomma: da qualunque parte la si prenda emerge il pensiero che si poteva fare altrimenti (e meglio).

Purtroppo, se possiamo attribuire la cecità di alcune scelte, in campo sociale o economico, alla stupidità della classe politica tridentina, non ci è possibile fare altrettanto con un collegio di professori universitari, i quali hanno sicuramente qualche neurone in più di Fugatti & Co e pensano prima di agire.

Insomma, questa scelta ci puzza e ci sembra fosse serbata da tempo dai vari amministratori dell’ateneo, infatti è perfettamente in linea con l’idea di “Università dell’Eccellenza” che viene portata avanti in quel di Trento: il set è quello di un ateneo piccolo, che punta sulla qualità della didattica, sui servizi allo studente e ad aggregare le migliori menti d’Europa.

Vediamo inoltre che per inseguire tale modello di didattico venga naturale pretendere una specie di pedigree dagli studenti dell’ateneo, non basta più avere una buona media di libretto, ma è necessario avere un buon curriculum, essere stati sempre meritevoli, essersi impegnati anche quando si era in quarta superiore.

Non è una svista che questo approccio sia classista e grossolano: è stato messo in atto anche nel dipartimento di Sociologia, non crediamo che i luminari che presiedono le cattedre di Via Verdi possano essere tanto sbadati da non accorgersi dell’ingiustizia che questo modello produce. Infatti solo 4 professori si sono astenuti dal votare a favore: triste (ed ennesimo) esempio di come il corpo docente sia totalmente piegato alle volontà del cda di unitn.

Ci teniamo a ripeterlo, le scelte che vengono prese all’interno di un ateneo non sono mai casuali.

 

Non stiamo dicendo che è sbagliato riconoscere il valore dei meritevoli, tanto meno vogliamo entrare nel discorso del merito caro alla sinistra (craxiana), ma stiamo mettendo in discussione la base di equità su cui viene costruita l’ammissione ai corsi di laurea.

Il fatto che siamo l’Università italiana che fornisce più servizi e agevolazioni ai suoi studenti, (“e ce credo a Trento so pieni de sordi”) passa in secondo piano rispetto alla necessità di dare a tutti l’opportunità di accedere a tali servizi e non solo “a chi è già bravo”.

Sono anni che la validità dei test di ingresso viene messa in discussione per via della loro inefficacia nell’appiattire le disuguaglianze dovute alla formazione superiore, la scelta dell’Università di Trento invece che muoversi in direzione opposta, tende ad acuire tali disuguaglianze. Un esempio di meritocrazia calvinista, che alimenta l’immagine di Università-Fabbrica (di crediti) a cui ci siamo abituati. Gli zuccherosi discorsi sul “lato umano delle cose” o “sull’educare ad essere liberi” stanno a marcire in un merdoso sgabuzzino insieme ai resti di un’istruzione pubblica mutilata.

Poi c’è la motivazione fornita dai professori alle rappresentanze studentesche (quasi a sancirne l’impotenza sulle decisioni di peso): il voto delle superiori è il fattore più predittivo per la carriera universitaria. Tutto assolutamente vero. Ricordate l’esame delle scuole medie? Un elenco di voti abbinata ad una voce piccolapiccola. Da 6 a 7 professionale, 8 tecnico, 9/10 liceo. Ricordate il professore dalla faccia spenta che ogni giorno vi ripeteva che non avreste combinato nulla nella vita perché non avete studiato lo stramaledetto di teorema di lavoisier? La faccia degradata di sistema basato su competività, scoraggiamento e selezione.

Come disse uno studioso di cibernetica: “E’ il vincolo che crea la rottura della simmetria dell’ugualmente possibile, è la rottura della simmetria che crea la premessa dell’ordine”.  E’ il modello cibernetico dell’università neoliberale: lo studente è un numero di matricola, la cui carriera è ampiamente prevedibile e monitorabile tramite un insieme di dati, dai voti delle elementari a quante volte accede sulla piattaforma della didattica online, passando per la sua partecipazione ai forum. Questi dati formano un profilo pronto a finire sulla scrivania di qualche addetto alle risorse umane che selezionerà i più diligenti.

Poi ogni tanto ci capita di udire qualche commento paternalista sull’incapacità dei giovani di accettare le delusioni. Tradotto: pur vivendo in un mondo di disuguaglianze orribili e crescenti, veniamo bombardati dalla nascita con pillole di cieca speranza sul fatto che diventeremo tutti persone di successo, come tali dividiamo l’università in “corsi fuffa” e “corso di studio investimento”, ci laureiamo pieni di speranze e ci ritroviamo nel mondo della precarietà giovanile, con uno stipendio pari o poco superiore a quello dei nostri genitori. E a quel punto qualche domanda ce la facciamo.

E allora che fare? Sentirsi in colpa ad essere così mediocri?

 

C’è un’altra cosa che ci sentiamo di dire, anche se la questione è molto scivolosa: cosa vuol dire formare l’eccellenza? È una questione meramente tecnica legata alla qualità della didattica e dei servizi, della connessione col mondo lavorativo, della formazione di persone eccellenti? O è qualcosa di più, legato all’ umanità nel prendere le decisioni, all’empatia con cui ci rapportiamo agli altri, alla capacità di vedere e comprendere i problemi del mondo e osservare con lenti nuove, più vere, le ingiustizie che ci circondano? Noi non crediamo che il modello attuale di Università sia questo, anzi, questa ricerca del pedigree, dell’assenza di peccato che spacciamo per eccellenza, sembra restituirci un calco arido di ciò che già ci circonda, ossia di una società dove coloro che eccellono sono tali poiché arrampicatisi su un cumulo di cadaveri. Essere il capo, non è figo.

Solo i migliori, i più diligenti ce la fanno, credito dopo credito, esame dopo esame arriviamo alla laurea senza aver imparato un cazzo da tutti quei valori e quelle frasi di un 68 pacificato con cui vengono tappezzate le bacheche universitarie. Siamo solo, estremamente e stancamente, competenti, con una tinteggiatura di pseudo-creatività per sembrare smart.

Quantificare e calcolare in modo feticista gli attributi umani, come diceva Walter Benjamin passeggiando in maniera splendidamente improduttiva per le strade di Parigi: “accoppia il corpo vivente al mondo inorganico, e fa valere sul vivente i diritti del cadavere”.

In questa forma essere diligenti, pacati ed austeri, in una parola: calvinisti. Diciamocelo è una miseria.

Ed è con estrema liberazione e piacere che questi casi ci sentiamo di dire: “fanculo l’eccellenza! Viva la mediocrità!”

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Nota a margine…

per farvi un’idea di cosa intendiamo per “frasi di un 68 pacificato con cui vengono          tappezzate le bacheche universitarie.” fatevi un giro al dipartimento di sociologia di Trento e guardatevi intorno…

 

 

È nato: L’AFFITTO DEMMERDA

Affitti di merda? È ora di vendetta.

Paghi uno sproposito per un appartamento che cade a pezzi? Sono mesi che il tuo vecchio locatore latita e non accenna a restituirti la caparra? Il tuo padrone di casa cerca di farti pagare spese e/o danni al locale che competerebbero a lui (imbiancaggio, lavori di idraulica etc)?.

In una città universitaria dove il prezzo degli affitti continua ad aumentare e gli appartamenti disponibili sono sempre meno, c’è chi lucra sulle spalle degli studenti fuorisede. Agenzie immobiliari, palazzinari, padroni di casa il cui unico scopo è aumentare il loro profitto sulla nostra pelle.

Nel Luglio 2019 sono state raggiunte cifre di 420€ per una stanza singola. A Trento Airbnb sottrae al mercato immobiliare oltre 70 case, affittate -illegittimamente- unicamente a turisti. Il contratto di locazione per studenti, varato dal comune è insufficiente e non pone un prezzo massimale, nonostante i benefici fiscali di chi affitta. Insomma, la realtà è conosciuta da molti e molte: l’affitto costa troppo.

Dal punto di vista economico le opzioni sono due o vivi sulle spalle dei tuoi familiari oppure lavori in modo da sostenere le spese per università e affitto. Pagare l’affitto uno sproposito può determinare la possibilità di studiare all’università o meno.

Molto spesso per chi ha un locatore di merda è molto difficile far valere i propri diritti, alcuni padroni di casa sono sfuggenti, non rispondono al telefono, o semplicemente si nascondono dietro a cavilli legali.  Allo stesso tempo non vi è alcuna figura istituzionale o organo a cui uno studente possa rivolgersi per chiedere aiuto. Ci si rende conto di non poterci fare nulla e l’unica soluzione rimane il cambio d’appartamento.

La rabbia provata nel vedere il proprio vecchio appartamento, che cadeva a pezzi, rimesso a disposizione sui vari gruppi Facebook e spacciato per nuovo dopo la nostra uscita, è ben nota a molti.

Ebbene è giunto il momento di farla pagare ai nostri vecchi e nuovi locatori di merda, per questo motivo abbiamo voluto creare questa pagina Facebook, in modo da raccogliere più testimonianze possibili e iniziare a smascherare chi fa profitto, sulle nostre spalle e su quelle dei nostri genitori, dietro la narrazione di Trento città universitaria. Creiamo degli strumenti per tutelarci contro i soprusi di lor signori, riappropriandoci della nobile arte plebea del lancio dei pomodori. Intaccare la loro immagine vuol dire rompere il muro di silenzio intorno al problema degli affitti ed evitare che altri studenti come noi cadano tra le mani di questi imbroglioni. Vuol dire ribaltare i ruoli di potere.

E quindi cosa devo fare?

  • Scrivi alla nostra pagina e racconta la tua esperienza con il tuo padrone di casa nonchè pezzo di fango
  • Inviaci foto dell’appartamento, documenti, i dati del tuo locatore e l’indirizzo della casa, tutto ciò che può essere utile a smerdarlo
  • Noi verificheremo il materiale e garantiremo il tuo anonimato
  • Pubblicheremo la tua storia sulla pagina facebook in modo che tutti possano leggerla.

L’idea è quella di creare una comunità che possa muoversi su questo terreno scivoloso, in modo da darsi una mano tutti assieme e ribaltare le dialettiche di potere corrente. Perché se frequentare l’università è un diritto che dovrebbe essere garantito, lo è anche avere un tetto sotto il quale stare, senza dissanguare le nostre finanze. Iniziamo a fare in modo che le prepotenze dei disonesti non le paghino solo i poveracci.

Perché come diceva Quintiliano: odiare i mascalzoni è cosa nobile