Ianeselli(k), noi beviamo anche senza patente!

Siamo tornat3 mmerde, dopo aver digerito i cenoni e l’alcol ingurgitato per non sentire le battutacce di zio Pino durante le feste siamo tornat3 nella nostra amata Trento carich3 per affrontare l’ennesima sessione cercando di schivare il covid come le pallottole in Matrix.

Nonostante la nostra assenza fisica i nostri occhi sono rimasti puntati sulla città del degrado e della movida selvaggia (no non stiamo parlando di Tijuana ma di come viene descritta Trento dai giornalai nostrani), e non ci è di certo sfuggita la nuova trovata del consiglio comunale capitanato dal Sindac(alar)o Ianeselli(k).

Contrastare la “movida” a Trento è sempre stata la prima preoccupazione del consiglio comunale di turno, questa volta però l’esagerazione è palese: il regolamento approvato recentemente consente all’amministrazione comunale di individuare zone sensibili dove poter imporre un divieto di consumo degli alcolici dalle ore 23 alle ore 6 (a meno che tu non stia sedutə ad un plateatico di un bar bevendo gintonic chicchissimi a botte di 10€); non basta, per l3 gestor3 dei locali viene istituita una “patente a punti” con l’unico scopo di penalizzarl3 mentre svolgono il loro lavoro con sanzioni che varieranno dalle multe fino alla chiusura temporanea dell’attività. Viene imposto anche l’obbligo di ingaggiare steward convenzionati con la questura (contattat3 e pagat3 dall3 esercent3) per mantenere la sicurezza e l’ordine all’esterno del locale ogni volta che l3 gestor3 organizzano un qualsiasi evento nel loro locale.

Non è difficile immaginare già da ora quali saranno le zone colpite dall’ennesimo provvedimento repressivo, non sarà di certo la zona di Largo Carducci dove si trovano i bar frequentati dalla Trento-bene, né la zona di via Oriola dove, al bar “La Bella Vita”, si sciabolano bottiglie da 400€ fino alle 5 del mattino. Come accade da sempre i provvedimenti si abbatteranno sulle solite zone note dove l3 student3 squattrinat3 si ritrovano per creare un minimo di socialità senza dover sperperare i pochi quattrini avanzati dall’affitto (pochi visto che come sappiamo bene gli affitti in questa città sono tutt’altro che bassi, vedere @affitto.demmerda), luoghi per altro fisicamente adiacenti a quelli elencati in precedenza, ma che a quanto pare disturbano in modo completamente diverso la popolazione Trentina.

Questa retorica della socialità degrado deve finire, la militarizzazione dei luoghi di aggregazione in questa città ha passato il limite già durante gli scorsi anni, intensificandosi ancora una volta durante il primo semestre quando ad ottobre è stata diramata l’ennesima ordinanza di cui abbiamo già parlato (qui trovate l’articolo) accompagnata da una camionetta in pianta stabile nella Piazzetta di via Santa Maria Maddalena (zona Scaletta).

Come ripetiamo da anni, chiudere piazze ed emettere ordinanze “anti-degrado” non risolverà in alcun modo il problema degli spazi per l3 giovan3, spostare il problema non significa risolverlo. Dopo la zona della scaletta con tutta probabilità toccherà a Piazza d’Arogno e/o a qualsiasi altra piazza dove l3 giovan3 menti decideranno di incontrarsi per bersi qualche birra dopo le lezioni e le ore passate in aula studio. Il messaggio che arriva dalle istituzioni cittadine è nuovamente chiaro: l3 student3 sono ben accett3 finchè tengono alta la nomea nazionale dell’ateneo e finchè svuotano i loro portafogli in affitti sempre più alti per riempire le tasche dei soliti noti, ma diventano una minaccia quando vogliono vivere gli spazi della città a modo loro.

Ma non temete, per ora studiamo e cerchiamo di portare a casa più CFU possibile (che prima o poi qui ci si deve pur laureare), aspettando di prenderci la nostra rivincita. Presto la musica trash e il CURrello torneranno a farsi sentire nelle strade di Trento.

Alla richiesta del Sindac(alar)o e del comitato anti-degrado che pretendono una città morta dopo il tramonto e attenta al decoro urbano rispondiamo come abbiamo sempre fatto: è ora di DECORE.

Studentato di San Pio X: l’opera è una tragedia

L’opera perde lo studentato ma non il vizio. 

Si sa, è cosa nota, in città non  ci sono posti per l* student*. E se lo scrive anche l’Adige la situazione è grave, visto che sono soliti coprire le porcate della nostra gentile amministrazione comunale e universitaria. 

Davanti a un contesto tanto drammatico (si fa per dire, ma se volete farvi un’idea di come i padroni di casa approffittino della mancanza di soluzioni abitative alternative fatevi un giro sulla piattaforma Affittodemmerda) la risposta dell’opera è la stessa da svariati anni: costruiamo nuovi studentati che, signora mia, il cemento è bello e fa mangiare tanti amici. Bene, anzi male. Soffermiamoci un secondo su cosa significhi costruire uno studentato. Saremo brev*, almeno ci proviamo:

  1. Costruire studentati nelle periferie della città (tendenzialmente a Trento Sud) rende l* student* un corpo estraneo alla cittadinanza. Immaginate di ammassare migliaia di persone fuorisede in casermoni in zone senza uno straccio di bar e mal collegate con il centro. Cosa volete che facciano? Ianeselli, fatti due domande: è chiaro che si muoveranno in massa verso il centro, cercando uno straccio di socialità e saranno considerat* come barbar* invasor* da residenti poco abituat* a vedere per le strade questa strana fauna umana che non vuole dormire alle 21.
  2. “Le case vuote vanno occupate.” Nel senso che ci sono tantissimi edifici e appartamenti sfitti che potrebbero e dovrebbero essere riempiti per ovviare al problema invece che continuare a costruire palazzoni nuovi;
  3. Lasciare come unica soluzione all’emergenza abitativa la costruzione di suddetti studentati apre anche la porta ai privati: come abbiamo già scritto varie volte, alle Albere (in teoria) dovrebbe nascere uno student hotel per ricchi per conto di DoveVivo (per informazioni più dettagliate potete farvi un giro su questo altro nostro articolo Dalla padella alla brace: nuovo studentato alle Albere.).

Detto questo, arriviamo alla grande novità. L’Opera Universitaria stava progettando di costruire due studentati nuovi di zecca: uno in San Pio X alla Nave e l’altro in destra Adige all’ex Italcementi. Cose che l’opera dice e che sarebbero una figata, se fossero vere. Infatti all’ex Italcementi verrà realizzato (in teoria) un deposito per i materiali di scarto del cantiere TAV (e lo smarino non è un grande coinquilino per la salute dell* student*). E invece- arriviamo ora alla parte croccante- l’Istituto Trentino di Edilizia Abitativa (ITEA) ha cambiato idea e non concederà più all’Opera la Nave. Oltre il danno di avere un nuovo studentato si presenta anche la beffa di non averlo più: infatti, come anche riportato sull’Adige, sono saltati gli accordi- a seguito della nuova nomina della presidente ITEA Francesca Gerosa- che prevedevano la cessione all’Opera dell’edificio, da anni abbandonato e lasciato a sé stesso (basti pensare che pochi anni fa l’edificio sotto l’occupazione anarchica venne rianimato per restituirlo al quartiere con stanze destinate all’accoglienza e alla socialità). Per capire chi abbiamo davanti, Gerosa è entrata in quota Fratelli d’Italia nel Consiglio d’amministrazione ITEA e di lavoro fa l’agente immobiliare. Per la serie: minimo investimento massimo guadagno, ed è interessante notare come lo stesso partito di fascistelli ne abbia preso le distanze (uau chissà cosa avrà combinato).

Davanti a questo cambio di rotta per la nave, ci vengono spontanee alcune riflessioni sul diritto alla casa e la sua gestione nella città tridentina- che sembra vivere nuovamente un paradosso:

  1. Viene proposta nuovamente una contrapposizione tra student* e resident*. Infatti ITEA è l’ente proposto per l’edilizia popolare della provincia e la Nave è stata ora scelta per la realizzazione di appartamenti popolari. Questa destinazione- che è di vitale importanza per la città- non trova contrari noi student*, anzi; il problema è che viene fatta a discapito dell* student*, creando ancora una volta una situazione in cui le fasce meno abbienti di resident* e l* universitar* si vedono come competitor* per il diritto all’abitare;
  2. Sì sono persi ulteriori 130 posti letto e, considerando la situazione emergenziale in cui ci troviamo- con prezzi alle stelle per gli affitti e studentati che non possono offrire posti letto a persone che ne avrebbero diritto per sovraccarico di domande- si dimostra che l’opera non è stata in grado di intervenire prontamente e con decisione.

Questa situazione paradossale ci spinge a ribadire che non è più possibile continuare a ragionare per studentati dove poter rinchiudere topi-studenti, perché questa è soltanto una pezza al problema. È necessario iniziare a ragionare diversamente. 

Ci sono quartieri fantasma come le Albere, ci sono appartamenti sfitti in centro come in altri  quartieri non troppo periferici, ci sono zone che possono e devono essere riqualificate: se l’opera vuole davvero intervenire per risolvere il problema abitativo universitario deve investire i suoi tanti fondi nell’acquisto e nell’esproprio (e no caro sindaco non è una misura bolscevica come hai detto a qualcun* di noi qualche mese fa, si può fare esattamente come voi lo state facendo per costruire il TAV)  di queste aree, per poi metterle nuovamente sul mercato ad un prezzo calmierato e abbordabile per tutt* l* student*. 

Abitare le contraddizioni – note sullo sciopero generale dell’11/10 e sui movimenti spuri

Di seguito alcune riflessioni sullo sciopero generale indetto dai sindacati conflittuali lunedì 11 Ottobre. Questa giornata ci ha portato a discutere al nostro interno su come muoverci all’interno di una sitiuazione a noi inedita. Ci auguriamo che questo testo possa portare un contributo alla discussione e possa essere un punto di inizio per trovare delle coordinate in questi tempi confusi ma, a nostri dire, cruciali per delineare il futuro campo di conflitto nel quale ci trovaremo a muoverci.
Buona lettura, Cur.

L’8 ottobre insieme ad altre realtà universitarie abbiamo convocato un’assemblea studentesca in vista dello sciopero generale indetto dai sindacati di base. Abbiamo quindi deciso di partecipare con uno spezzone studentesco, consapevoli di poter portare determinati contenuti e tematiche che richiamassero le tematiche lanciate dall@ organizzator@ della piazza quali no green pass, diritto alla salute dei territori, diritto al lavoro, la contrapposizione al TAV e in aggiunta una tematica particolare su cui stiamo lavorando da diverso tempo: la delicata situazione abitativa in città, universitaria e non. Le case sono poche e i prezzi spesso inaccessibili e inaccettabili, e questo ormai è sotto gli occhi di tutt@. La situazione esasperante apre la strada ad un crescendo di soprusi da parte dei proprietari di casa, come segnaliamo da mesi sulla piattaforma Affitto Demmerda Trento. I responsabili di questa situazione, oltre ai padroni di casa di merda e palazzinari, sono provincia, comune e opera universitaria, che hanno attuato negli anni una politica volta a vendere gli appartamenti in favore di costruzione di studentati/dormitori nelle zone periferiche della città.

Arrivat@ in piazza immediatamente ci troviamo di fronte ad una composizione eterogenea. Oltre ai sindacati di base, student@ e lavorator@, una buona fetta dell@ partecipanti è ascrivibile ai percorsi novax/nogreen pass che ogni sabato, da diverse settimane,  si ritrovano in gran numero a protestare per le vie della città.

Il contatto con questa composizione, a primo impatto, ci ha lasciat@ interdett@. In particolare, a nostro avviso, viene lasciato molto spazio ad interventi/comizi spesso dai toni deliranti (con l’exploit di zuckerberg che ruba organi di bambini) a richieste disperate (nei toni e modalità) di colloquio col presidente Fugatti (sigh). Proprio per questo motivo – è tangibile l’irrigidimento di alcune soggettività con cui condividevamo lo spezzone dinanzi a questi interventi – capiamo subito qual è la cosa giusta da fare: lo spezzone si posiziona vicino a realtà a noi familiari, portando i suoi contenuti e intonando cori contro l’opera universitaria e contro le politiche del governo Draghi – Confindustria. Dopo aver attraversato tutta la città di Trento e aver portato azioni di diversa natura, su cui non ci soffermiamo perchè bastano i pennivendoli vari a infamare e travisare la gestione delle piazze, il corteo è terminato all’ingresso della sede di Confindustria. Di fronte a un nutrito spezzone di sbirrume vario, la piazza si dispone rivolta verso quella che viene comunemente identificata come nemico comune: la sede dei padroni e degli industriali. Che sia per il TAV, per lo strumento logistico di ristrutturazione del mondo produttivo post-pandemia (aka green pass), per una sanità pubblica dissanguata o per un’università asservita ai bisogni di multinazionali il corteo si dimostra capace di individuare senza indugi i responsabili. E a noi questo non può che piacere. E ci porta a scrivere poche righe di riflessione su quello che questa esperienza ci ha lasciato, tra dubbi e insicurezze ma anche determinazione nel non lasciar appiattire il dibattito su un piano di “son tutti fascisti e vanno presi a randellate” che ultimamente stiamo vedendo correre sui social ma anche nelle piazze di questi giorni.

 

Abitare le contraddizioni

La sfida che ci pone la nostra epoca è quella di confrontarci con movimenti sempre più spuri e difficilmente inquadrabili nelle tradizionali categorie politiche.

Quarant’anni di neoliberismo hanno portato ad una composizione di classe frammentata.

Le piazze sono diventate imprevedibili (vedi i gilets jaunes), ed eccedono la nostra idea di composizione di classe di “sinistra”–  diciamolo, ormai stanca e sconfitta. Come antagonist@ dobbiamo imparare a non criminalizzare movimenti che nascono spontaneamente da spinte anche emotive e non “militanti”. Anche in queste situazioni infatti si cela un possibile nocciolo pre-insurrezionale che deve essere sviluppato e non represso sul nascere. Questo non vuol dire lasciar correre qualsiasi intervento e posizione, a volte assurde e nazionaliste, ma rimboccarsi le maniche e abitare le contraddizioni, infiltrarsi nelle crepe che vengono aperte da queste piazze e scardinarle. Può spaventare un movimento come quello no green-pass e no-vax: manca una linea politica in piazza e fuori dalla piazza, è caratterizzato da una composizione completamente spuria, con pochi obiettivi e pochi paletti imposti alla partecipazione. La dimostrazione è che allo sciopero dell’11 indetto dai sindacati di base, a Trento ma anche nel resto d’Italia, i no green pass hanno partecipato in massa senza porsi il problema di chi avesse lanciato il corteo. Certo ha fatto piacere vedere marciare migliaia di persone sotto le bandiere del sindacalismo conflittuale, non possiamo negarlo è stato un bello spettacolo, ma non dobbiamo mentirci: questo è stato possibile solamente perchè merde nazionaliste non sono state fatte entrare nel corteo, tranne pochi e silenziosi casi isolati. Le rivendicazioni del corteo erano limitate, specifiche, ma allo stesso tempo semplici e facilmente condivisibili: chi non sarebbe d’accordo di fronte allo slogan “giù le mani dal lavoro?”. Questa semplificazione del problema e la facilità nell’aver individuato nello stato, qualsiasi cosa potesse significare questa parola per le singole soggettività presenti nel corteo, ha posto le basi per un movimento di massa.

Rifiutiamo la superficialità con cui una parte de* compagn* affronta questa questione, la realtà nuda e cruda che ci sono migliaia di persone incazzate contro stato e padroni anche per motivazioni dubbie e confuse. Un tempo “il movimento” sapeva misurare e criticare gli strumenti mediatici dei padroni, a noi sembra imbarazzante l’equivalenza novax/no green pass = fascisti.

Piuttosto di scervellarsi nel trovare una posizione coerente “di sinistra” per inquadrare la situazione dovremmo invertire il nostro ragionamento: cosa sposta gli equilibri di forza a nostro favore in questo nuovo contesto potenzialmente esplosivo?

Il piano discorsivo mainstream, attualmente, sembra esserci tremendamente a sfavore. Il vaccino ed il green pass, con la conseguente demonizzazione di ogni opinione critica nei confronti di queste misure, sono attualmente i simulacri dietro il quale, scaricando la responsabilità sull’individuo, avanzano politiche reazionarie e contro-insurrezionali del governo. E questo è stato chiaro fin da subito con la fine delle misure che hanno accompagnato l’emergenza pandemica: le quarantene che non vengono più considerate dall’inps come equivalenti alla malattia o, sul piano universitario, il blocco della didattica a distanza laddove poteva essere uno strumento utile per l@ meno abbienti (con la conseguente saturazione dell’offerta immobiliare delle città produttive e/o universitarie). Queste misure si accompagnano ad altre misure infami: la sospensione lavorativa dell@ non vaccinat@, la fine del blocco degli sfratti e dei licenziamenti. La colpa viene scaricata sull@ singol@ colpevole di non aderire alla campagna vaccinale – simulacro della salvezza – piuttosto che sui veri responsabili. Come scrivevamo fin dall’inizio della pandemia “il virus si propaga per le condizioni di vita che ci sono state imposte”: lavorare, spostarsi, vivere in massa in luoghi sovraffollati e insalubri con una sanità ridotta a macerie da anni di neoliberismo. E i discorsi su sanità e cura dei territori, del “torneremo ad abbracciarci” (cap.1 del libro cuore delle conferenze di Conte durante il lockdown) vengono lasciati in un polveroso scaffale ad ammuffire.
Rifiutare il green pass come strumento retorico e logistico per riorganizzare il mondo produttivo post pandemia diventa a questo punto cruciale.

La contrapposizione tra libertà individuale (di vaccinarsi) vs responsabilità collettiva (anche qui di vaccinarsi) sembra ricalcare la tiritera sulla responsabilità del singolo con il quale il governo ci ha tenuto al guinzaglio per più di un anno. Questo non può essere il nostro piano di azione, i responsabili ce li abbiamo davanti e, mentre discutiamo sul nulla, questi si fanno delle grosse risate. Dobbiamo sfuggire alla categorizzazioni di governo e media. Noi siamo (vaccinat@ e non) gli/le sfruttat*, l@ disoccupat@, l@ precar@, l@ senza-futuro. E proprio per questo dobbiamo diventare ingovernabili, sfruttare e ragionare con altre persone che per diverse motivazioni vogliono interrompere la catena di comando e oppressione dello stato. Cacciare i fascisti dalle piazze, cacciare i padroni dai palazzi in cui si godono lo spettacolo; dobbiamo essere presenti in queste piazze, capire come spostare gli equilibri, come portare l’odio verso il vaccino in sè all’odio verso la gestione capitalistica di una pandemia capitalistica che non ci ha lasciato il tempo di piangere l@ nostr@ mort@ che già ha creato un nuovo strumento di controllo e oppressione. Non sono l@ no vax o no green pass ad aver tenute aperte le fabbriche, non sono stat@ le no vax e no green pass ad aver gestito il rapporto con gli ecosistemi in maniera deleteria e aver favorito lo sviluppo e la propagazione a livello mondiale di una pandemia, non sono l@ no vax o no green pass a sfrattarti, a darti un salario da fame e a farti perdere il lavoro. La solidarietà di classe è l’antidoto al virus retorico del governo Draghi-confindustria.

Per questo motivo in quelle piazze noi dobbiamo esserci, diventare la piazza, creare anticorpi alle presenze neofasciste e neonaziste, incanalare la rabbia anti sistema vero i veri produttori della nostra miseria, trovare nelle teorie complottiste meno strampalate i semi di una possibilità rivoluzionaria, isolare la minoranza rumorosa e inconciliabile con i nostri punti di vista dalla piazza. Come movimento dobbiamo imparare a prendere coscienza che quelle categorie, quel modo di fare politica a cui siamo abituat@ è finito da un pezzo e, car@ compagn@, sembra che siamo l@ unic@ a non essercene accort@. Siamo di fronte ad un bivio: continuare a trascinare avanti fino allo sfinimento le modalità a cui siamo abituat@, farci i nostri eventi e cortei in cui facciamo le foto studiate per sembrare una folla ma alla fine siamo sempre l@ solit@ quattro gatt@, oppure mollare gli ormeggi e navigare in mari inesplorati. Non sappiamo ancora dove ci porteranno queste piazze, ma questo abbiamo e su questo dobbiamo lavorare. Dobbiamo immergere le mani nella merda e nel fango, chi non se la sente torni nei salotti della sinistra a guardare con disprezzo classista una massa di lavorator@ sporc@ e ignorant@ che non sono in grado di prendersi una laurea magistrale per capire come gira il mondo. Noi, da parte nostra, la scelta l’abbiamo compiuta: per richiamare una parola ormai cara nel nostro immaginario, INSORGIAMO.

 

Ianesellik! Il sindaco della notte colpisce ancora!

E bene, ci risiamo.

Appena gli studenti tornano in città il caro sindaco Ianeselli risponde con una nuova ordinanza per combattere la tanto temuta movida. Infatti, fino al 1° novembre 2021, nell’area di Santa Maria Maddalena – la Scaletta – dalle 22:30 alle 5 non si potranno consumare bevande, sì, non alcolici ma proprio bevande, né tanto meno averne di chiuse, tranne se non si è seduti ai tavoli dei due locali lì presenti.

Il problema è sempre lo stesso da anni ed anni: l* student* vanno bene finché sono seduti ai tavolini a 100 metri dalla zona dell’ordinanza a bere cocktail a botte di 8 euro, ma diventano fonte di degrado se bevono delle birrette portate da casa. Quindi, “l* resident*”, altra figura immaginifica dietro il quale spesso si nascondono comitati antidegrado (aka vecchi di forza italia e rigurgiti nazi/fascitoidi) si lamentano con il sindaco. Il sindacalaro, neanche a dirlo, spara un’altra bella ordinanza “per contrastare l’abuso di alcol e fenomeni di degrado”.

La giustificazione è anche questa sempre la stessa, cioè che l* resident* hanno il diritto di dormire. E nessuno lo vuole mettere in dubbio, per quanto personalmente non capisco perché quell* che abitano sopra i locali dove i cocktail costano 8 euro non abbiano lo stesso diritto, ma vabbè.

Comunque non sarà certamente una politica repressiva – a colpi di multe da 89 a 534 euro – a risolvere il problema e né è consapevole lo stesso Iasenelli, che però appare piuttosto confuso. Quando gli viene chiesto cosa succederà dopo il 1° novembre, la sua risposta è che l’ordinanza si può prolungare. E sì, la scorsa primavera era stato formato un tavolo di discussione, per cercare di trovare una soluzione tra student* e resident*, ma se l* resident* pretendo che l* student* non si svaghino – per altro dopo anni di quarantene e coprifuochi – mi sembra piuttosto logico pensare che il compromesso non si possa in alcun modo trovare.

Oltre, al disturbo del loro povero sonno, l* resident* si lamentano per le condizioni per cui la zona di Santa Maria Maddalena viene ritrovata la mattina – si parla di bici rotte, rifiuti abbandonati e pipì un po’ qui e un po’ lì – ma anche in questo caso, cosa ci si può aspettare da una piazzetta in cui ci sono forse 400 student* con le vesciche piene, due bagni (dei bar) e due cestini?

Sempre il caro sindaco dice anche che durante quest’estate dei passi in avanti sono stati fatti, perché si è de-localizzata la minacciosa movida nei parchi e che questo modello potrebbe essere ancora utilizzato. Anche quella che era stata definita la “sindaca della notte”, che no, purtroppo non è vestita da supereroe per combattere la sua acerrima nemica – la Movida – in una post su Instagram – perché, guarda un po’, lei sì che è vicina ai giovani, usa Instagram per comunicare – afferma di essere consapevole che l’ordinanza non è lo strumento risolutivo e che si sta lavorando per trovare soluzione alternative. Queste soluzioni, mai una volta esplicate, richiedono a suo dire più tempo per essere messe in pratica. Immaginiamo che questo abbia a che fare con la delocalizzazione abitativa degli studenti, già in corso, che potrebbe essere velocizzata l’imminente inizio dei lavori per due studentati in periferia.

C’è da dire che se la soluzione alternativa è mandare l* studenti fuori dal centro, così che non rompano ai l* resident*, non è che sia poi così alternativa come soluzione e sicuramente non è un compromesso, ma anzi ci si schiera nettamente da parte de l* resident*, come se solo loro abitassimo la città e noi, fossimo qui come turisti di lunga durata. Il centro deve rimanere una vetrina, la periferia deve essere luogo di esasperazione e anomia.

Il problema, come detto, è sempre lo stesso: appena facciamo un po’ più di rumore non andiamo bene, non solo nel centro storico, ma neanche nelle case o alle Albere – dove i quattro gatti che ci abitano sono comunque capaci di lamentarsi non appena il casino accenna a muoversi da quelle parti. Non andiamo bene se non siamo seduti nei locali a bere cocktail a 8 euro e a mezzanotte tutti a nanna. Andiamo bene finché paghiamo affitti sempre più alti e sempre più scarsi per riempire le tasche di chi, dietro a tutto questo pietoso teatrino, si sfrega ancora una volta le mani.

LA CASA E’ DI CHI L’ABITA, E’ UN VILE CHI LO IGNORA

LA CASA E’ DI CHI L’ABITA, E’ UN VILE CHI LO IGNORA

Cronache di una solitaria e ricca Trento sfitta

Sono una studentessa dell’Università di Trento, nata a Napoli. Quando, ormai un anno fa, è iniziata la fine del mondo, ero come molti di voi nel bel mezzo dell’anno universitario. Non avendo più una soluzione abitativa molto agevole nella mia città, scelsi di rimanere nella ridente cittadina di Trento.

Ho passato tre mesi a guardarmi negli occhi con la mia coinquilina e a fare collage con giornali vecchi aspettando la fine di quella che allora sembrava una reclusione impensabile, assurda, eccezionale (che ingenue), valutando infondo che i 240 euro mensili per una doppia che stavamo sborsando a quei furboni dei nostri padroni di casa, di cui 100 in nero per delle bollette mai viste, valessero la pena per una quarantena del genere. Sicuramente stare in una casa universitaria, per certi versi, ha aiutato, ma 240 euro al mese faccio ancora fatica a digerirli.

Pagai anche i mesi estivi, perché qui in trentino i padroni di casa sono molto fiscali – leggi “stronzi”-  e la disdetta se non la dai tre mesi prima ti costa la caparra di un mese intero ( nessuno sconto per le bollette anche se la casa rimane vuota, mi raccomando!).  

Questa rosea esperienza l’ho fatta nell’ elegantissimo serpentone di cristo re, e attualmente i padroni di casa non hanno nemmeno cercato qualcuno che potesse andarci a vivere, né gli è balenata lontanamente l’idea di abbassare un po’ il prezzo. Il compromesso della perfetta mano invisibile che mette d’accordo domanda e offerta è quindi piuttosto un braccio di ferro impari,  in cui i padroni di casa forzano una soglia sotto la quale non si può scendere, e le case rimangono vuote e gli universitari per strada (o nelle città di origine). 

Guardandomi intorno mi venne in mente: quanto spazio sprecato. Cosa fare con tanti immobili vuoti?  Quanto poco amore c’è in questa città per ricchi? Dalle enormi alle piccole strutture, ognuna ha bisogno di qualcuno che se ne prenda cura. Non per forza pagando un affitto, diciamocelo.   

Comunque.

A settembre dovevo decidere cosa fare: rimanere a Trento, con il rischio che la mia permanenza fosse inutile dato che la didattica poteva diventare interamente a distanza da un momento all’altro – e di fatto, così è stato-, o tornare a Napoli e cercarmi anche lì un posto dove dormire. Così ho scroccato un materasso da amicu per un po’ per capire cosa fare. 

Indovinate? L’orgogliosa città universitaria di Trento, dalla parte dei buoni, con tutti quegli stimabili principi di servizi pubblici, la libera circolazione, le tasse basse, le biblioteche come se piovessero, fa una selezione atroce tra gli studenti, alla radice, di nascosto: non muove un dito affinché il costo della vita non sia vagamente più abbordabile, anzi. E nonostante la facciata, si trova del classismo più ipocrita e crudele, anche detto libero mercato. 

Gli affitti sono rimasti praticamente tutti carissimi, manco fosse chissà quale metropoli. I prezzi delle case non erano più bassi dell’anno precedente, come probabilmente sapete, anzi erano saliti. 

Le singole partivano dai 300 euro, le doppie dai 250 e per riuscire a scendere sotto i 200 ho visto gente dormire in quattro in triple, cose del tipo che ogni sera si giocava alla morra cinese per vedere chi dormisse per terra.

Il salvifico ruolo dell’opera universitaria, inutile a dirsi, non risulta salvifico. I prezzi standard senza borsa di studio non abbassano la media degli affitti, e a tappare i buchi del pubblico si inseriscono aziende private che credono di poter fittare posti letto a 430-450 euro al mese avendo pure la faccia tosta di chiamarli studentati (per ulteriori informazioni è consigliata la lettura dell’articolo nel link a fine pagina).

Il tasto dolente di tutto questo è che in altre città una situazione del genere porterebbe ad una orgogliosa ondata di occupazioni abitative, o almeno di tentativi. Questa città democratica, civile, felice, invece, è sede di una repressione tale da far abortire ogni spirito di iniziativa da basso, che non sia un mercatino bio o  una qualsivoglia attività radical-chic

Morale della favola, mi trovo a Napoli in un monolocale, davanti ad uno schermo a usufruire dei meravigliosi servizi dell’università di Trento, nella quale probabilmente non varrà più la pena di vivere. O magari sarà possibile con metodi diversi. 

 

Riferimenti:

https://curtrento.noblogs.org/post/2020/10/26/dalla-padella-alla-brace-nuovo-studentato-alle-albere/

Cronache di una tragedia annunciata

pubblichiamo delle interessanti riflessioni di un fuorisede a Trento ai tempi della pandemia.

Mi sono trasferito a Trento durante una pandemia globale che sta mettendo in ginocchio milioni di persone, frantumando progetti e psiche già duramente provate dalle strutture e oppressioni di questo maledetto tardocapitalismo. Ho incontrato ciò che migliaia di studenti fuorisede hanno conosciuto prima di me e che continueranno a conoscere per molto tempo: affitti folli, padroni di casa di merda, supermercati con prezzi ben oltre la mia portata e strade con più sbirri che panchine. Non basta, ho conosciuto quella particolare tendenza trentina a voler aumentare il numero di studenti a dismisura ma soltanto a lezione, con la speranza che cessino di esistere oltre la loro partecipazione accademica e non si facciano vedere per le strade per esempio volendo uscire la sera. Non intendo certo riprodurre il trito e ritrito luogo comune della guerra tra residenti e studenti, mi annoia abbastanza, ma credo che quanto detto da un’amica, cioè “qui a Trento non hanno ancora capito come spremere del tutto il portafoglio di noi fuorisede lasciandoci ammassare in luoghi di aggregazione a prezzi più bassi”, basti per riassumere la situazione generale. A cui si aggiunge la già citata stramaledetta pandemia che rende il tutto ancora più pesante e difficile. O forse no. Il coronavirus ha un pregio, il pregio di tutte le crisi incontrollabili: mettere a nudo le contraddizioni e costringere a pensarci, a darci un peso. Se non ci fosse la quarantena, il coprifuoco, il lockdown, l* poch* compagn* conosciut* in queste brevi settimane che scompaiono perché il sistema di tracciamento dei contatti dei positivi l* risucchia in una spirale di ansie e tamponi, forse la domanda “che ci fai a Trento?” avrebbe un significato diverso. Un anno fa avrei potuto arrampicarmi sui vetri, giustificare la mia presenza in questa città per le lezioni, il contatto con le persone, la (poca) vita universitaria. Ora tutto questo non esiste più. Le lezioni si seguono da casa e, a conti fatti, ci si rende conto che cambia poco, che la conoscenza verticale continua a franarti addosso anche se adesso puoi togliere audio e video e mandare a fare in culo i professori quando fanno la solita sparata maschilista o discriminatoria. E anche tutto il resto, come possiamo vedere facendo un giro davanti a una scaletta ormai svuotata (non ho fatto in tempo a provare lo champagnone, mannaggia al capitalismo), non si trova più. Dunque, perché sono a Trento? Per un’entità che nella mia mente si presenta astratta ma in realtà è tremendamente tangibile, materiale e prepotente: l’Università. Ottima risposta, ma quale università? Vale la pena approfondire meglio questo aspetto, tanto non abbiamo più nulla da fare oltre a qualche timido aperitivo, almeno finché ce lo fanno fare. L’ateneo tridentino è infatti primo nella classifica MIUR degli atenei di media dimensione italiani. Qualità dell’insegnamento alle stelle, strutture futuristiche, professor* disponibili. Per carità, forse in alcuni casi fortunati le aspettative verranno soddisfatte, ma per quanto riguarda la maggioranza siamo qui perché ci vendono, e a caro prezzo, un’idea di università che non esiste e la promessa di un futuro che manca. Ti raccontano che non si tratta del solito parcheggio per studenti che serve a non farci accorgere che non ci stanno lasciando nulla su sto pianeta, che dovremo fare la fame fino a quarant’anni per morire di cancro o climate change ai cinquanta. Il covid mi costringe a fare i conti con questo, sono uno studente fuorisede che studia in un’università che riproduce uno schema meritocratico-competitivo e oppressivo profondamente capitalistico come tutte le altre. Sono solo un po’ più privilegiato rispetto a chi studia in un ateneo di serie B, posso succhiare qualche ridicola goccia in più di un benessere negato alla maggioranza di cui faccio parte. Si, ho delle agevolazioni da studente, più di quelle che avevo nell’ateneo dove ho fatto la triennale. Ma a parte questo sono solo un piccolo ingranaggio in una catena di montaggio culturale, pago per esserlo, fatico per raggiungere uno status sociale classista di laureato che non mi porterà nulla se non forse uno sfruttamento leggermente meno peggiore di chi non è tanto privilegiato come me da potersi permettere di studiare. E mi rendo conto più di prima che io sono un numero di matricola, lo sono sempre stato e lo sarò fino alla laurea, questa università provvederà a mettermi dei numeri in trentesimi da associare a dei codici di esami finchè continuerò a pagarla regolarmente e mi vomiterà fuori inerme, catapultandomi dentro a una società profondamente ingiusta e disinteressata alla mia sorte. Fermiamoci un secondo. Tutto questo lo sappiamo già, chiunque abbia mai partecipato a un’assemblea universitaria ma anche liceale avrà già sentito gli slogan, condivisibili e legittimi come tutti gli slogan del resto, del tipo “no alla scuola dei padroni”. C’è qualcosa di diverso questa volta. Qualcosa che va più a fondo, che parte dalla didattica a distanza e arriva in un punto di indefinito malessere e rabbia. Perché diciamocelo, la didattica a distanza funziona fottutamente bene. Funziona nell’ottica di un’università fabbrica di cfu, è il tipico riciclo del capitalismo che trova il modo di salvarsi il culo a ogni fottuta crisi che provoca. Ecco la novità, ecco cosa non funziona: davanti a una crisi sanitaria profonda che comporta disastri psicologici ed economici per tutt* noi, l’università ha trovato il modo di andare avanti senza mettere in discussione nessuna delle sue strutture, nessuna delle sue finalità. L’università sta andando avanti senza noi, nonostante noi, questa volta in maniera più plateale del solito. Quando guardo i riquadri vuoti e neri di quell* che dovrebbero essere l* compagn* di corso, mi rendo conto che in questo schema, è possibile un’università senza studenti. Non solo è possibile, è auspicabile per il capitale. Qualsiasi spazio lasciato all’ultima ruota del carro della struttura accademica è scomparso. Non parlo solo di spazi fisici ma anche virtuali, solidali, organizzativi e politici. Resta una struttura svuotata, che almeno prima fingeva di voler essere riempita con le nostre idee e i nostri corpi, ora non più. Non c’è una comunità studentesca, non ci sono l* studenti, siamo gettati davanti alla nostra fragilità fisica come mai prima nella nostra vita e nonostante questo, nonostante questa mancanza violenta, questo vuoto incolmabile, l’università va avanti. Perché perdere mesi di lezione non si può, bisogna restare competitiv* e formare nuove vittime del mercato del lavoro in fretta. Non è servita una fottuta pandemia per mettere un freno all’università neoliberista, ad aprire la possibilità di una ridefinizione di cosa debba essere per noi questo luogo. E se il luogo che si professa come tempio del sapere e della discussione (tante belle parole) non è in grado di rimettersi in discussione, allora abbiamo un problema che va ben oltre le tasse, ben oltre i saperi liberi e accessibili, ben oltre gli spazi fisici in cui studiare.

Il covid congela tutto, congela questo mondo accademico in cui prima mi muovevo liberamente e mi toglie quelle distrazioni che mi facevano distogliere lo sguardo da questa verità: ci hanno intortato per anni e continuano ancora dicendoci che lo studio serve ad emanciparsi. Forse avrebbero dovuto insegnarci a disertare le strutture della conoscenza istituzionalizzata e neoliberista e ad assaltarne i palazzi. Ma lo stiamo imparando da sol*.

Ora so cosa ci faccio a Trento durante una pandemia globale: a Trento mi arrabbio. O forse sono sempre stato arrabbiato e Trento me lo fa ricordare.