Oggi in occasione del 60 anniversario dalla firma dei Trattati di Roma è successo e sta succedendo qualcosa di incredibile. Questa mattina compagni/e, sces* per portare un’idea diversa di Europa, lontana da quell’Europa delle banche, dei fili spinati, dell’austerity e dei muri a cui siamo abituat*, sono stat* perquisit*, portat* in questura e trattenut* per ore senza nessun motivo. Già a inizio giornata si sarebbe potuto intuire il forte clima di repressione che si poteva respirare nella capitale: sono stati infatti dati 7 fogli di via ad alcun* attivist* già arrivat* a Roma. Successivamente 150 persone provenienti da tutta Italia sono state fermate su pullman e auto e dirottate nella questura di Tor Cervara, impedendo la loro partecipazione al corteo, con la scusa di una semplice procedura di identificazione. Non da ultimo, il corteo autorizzato nel centro di Roma è stato fermato e accerchiato dalle forze dell’ordine e non ha potuto concludere il corteo nel luogo previsto e concordato. Quello che è successo oggi è un fatto gravissimo perchè si sono andati a chiudere spazi di democrazia fondamentali, quali la libertà di manifestare e di scendere in piazza, sulla base di qualche felpa con il cappuccio e di alcuni k-way. Oggi a Roma è stato dato un segnale chiaro: quello di non poter manifestare, di non poter esprimere dissenso liberamente, nei confronti dei capi di stato e di governo, i quali negli ultimi anni sono stati i principali colpevoli dell’impoverimento e della crisi che stiamo vivendo, soprattutto chi come noi fa parte di quella che abbiamo chiamato la generazione del riscatto.
Esprimiamo dunque la nostra solidarietà ai/alle compagni/e provenienti dal Nord-Est, da Torino, dalla Toscana e dalle Marche, ma esprimiamo anche la nostra rabbia per la privazione di democrazia alla quale abbiamo dovuto assistere in questa giornata.
Report incontro col Rettore
Oggi, come Collettivo Universitario Refresh, abbiamo deciso di presentarci in rettorato per ottenere un incontro con il rettore Collini e chiedergli spiegazioni in merito al debito della Provincia nei confronti dell’Ateneo. Come abbiamo appreso anche dai giornali locali infatti la PAT da anni non rispetta il suo ruolo di maggior finanziatore dell’università trentina, come stabilito dal contenuto dell’accordo di Milano e dalla conseguente provincializzazione dell’ateneo. Ciò che più ci premeva capire è come sia possibile che le istituzioni universitarie abbiano potuto accettare il mancato versamento di 200 milioni di euro e abbiano preferito indebitarsi con le banche o andare a toccare i fondi delle borse di merito piuttosto che fare pressioni, chiedendo la restituzione di questi fondi. Ci sorgevano dunque dubbi anche sui fondi utilizzati per finanziare la costruzione della Nuova Biblioteca Centrale alle Albere, sui tagli alle borse di studio e sull’aumento delle tasse universitarie. Per tutti questi motivi quindi oggi ci siamo presentat* in rettorato pretendendo di essere accolt* dal rettore. Vista l’impossibilità del rettore a riceverci sul momento, abbiamo deciso di occupare il cortile per tutta la mattina, provando a creare un momento di discussione e confronto aperto a tutti e tutte, in attesa dell’appuntamento con Collini. Alle 13.00 finalmente siamo riuscit*, grazie alle nostre pressioni, a farci ricevere tutt* nell’ufficio del rettore, al quale abbiamo riportato tutte le nostre perplessità . Siamo riuscit* a rivendicare alcuni diritti per noi fondamentali e a esporre quali sono i problemi che attanagliano la nostra università. Per noi questa giornata è stata solo un primo passo, sicuramente continueremo a tenere monitorata la situazione e continueremo nella nostra mobilitazione. Per continuare a confrontarci su queste tematiche, per noi di primaria importanza, vi invitiamo a partecipare alla nostra assemblea settimanale ogni mercoledì alle 18.00 in atrio di Sociologia.
Note su provincializzazione, conti in rosso e BUC
Una biblioteca è un contenitore e un contenitore deve avere due principali caratteristiche: funzionalità e capienza. Si può abbellire, si può raccontare, si può lucidare, ma rimane un contenitore. Si dà spesso per scontato che tale tipo di manufatto sia tanto più efficiente e funzionale quanto più è centralizzato e dimensionato. La domanda che ci si pone è quindi se per la nuova Biblioteca Universitaria Centrale (BUC) siano valsi questi criteri. La risposta che ci siamo dati è no. Quali criteri sono stati dunque ritenuti importanti? A questo non si può che rispondere tramite ragionamenti e indagini, mancando di risposte dirette da chi ha preso e continua a prendere decisioni al riguardo. La risposta sembra essere: gli interessi economici privati di chi ci ha guadagnato o spera di guadagnarci a discapito dell’interesse pubblico e in particolare di chi, tra il “pubblico”, ha meno potere.
Per capire meglio c’è bisogno di prendere in considerazione la storia del processo che ha portato a cambiare il progetto della biblioteca tra il 2008 e il 2014 in conveniente coincidenza con il passaggio di controllo e finanziamento dell’Università di Trento da Stato a Provincia, la cosiddetta “provincializzazione” o “delega” iniziata nel 2010. Qui cercheremo di dare un veloce sunto per punti salienti.
- Funzionalità e capienza: come si è arrivati alla BUC
Partiamo dalla funzionalità. Una biblioteca centrale si suppone che per essere funzionale abbia come criterio principale il rendere disponibile libri e spazi di lettura nel modo più facile possibile. Una biblioteca centrale universitaria dunque dovrà essere raggiungibile nel minor tempo possibile da universitari, ovvero vicino ai luoghi dove questi si trovano. La biblioteca di Palazzo Ex Cavazzani (o CIAL) si trova in tale posizione ideale, a 5 minuti a piedi dalle facoltà di Lettere, Sociologia, Giurisprudenza ed Economia, a ridosso della ferrovia Verona-Brennero. Poiché era sottodimensionata rispetto alle esigenze di un’Università in continua espansione, l’ateneo commissiona all’architetto Sandro Botta nel 2008 il progetto di una biblioteca centrale appena oltre la ferrovia, in Piazzale Sanseverino, acquistato con i suoi propri fondi (forniti dallo Stato) nel 2002[1]. Le distanze cambiano di poco, la funzionalità rimane la stessa. Senza spiegazioni precise, il Comune ritarda, prende tempo, rimanda indietro il progetto di Botta. Il processo si incaglia fino al 2013, quando un vertice trilaterale tra l’allora rettrice De Pretis, il sindaco di Trento Andreatta e il vicepresidente della Provincia Pacher, decide per l’abbandono del progetto su Sanseverino e apre allo spostamento nel quartiere Albere, al posto del centro congressi[2]. Nel Consiglio di amministrazione dell’ateneo, la rettrice “alla luce della nuova ipotesi di realizzazione della nuova biblioteca di ateneo nel quartiere ‘Le Albere’ recentemente emersa, propone al consiglio di amministrazione di valutare l’opportunità di richiedere una sospensione della pratica edilizia”[3]. Proposta approvata all’unanimità, compreso l’allora rappresentante degli studenti, facente parte di una coalizione oggi ancora nella maggioranza (si fa per dire, considerando che i votanti sono stati il 21% degli aventi diritto nel 2014 e 31% nel 2016, un successone, secondo la coalizione vincitrice – UDU e UniTin, poco più del 10% ognuno).
Passiamo alla capienza. Il progetto originario di Sandro Botta variava da 1212[4] a 900[5] posti studio. Parte del progetto era il mantenimento dei posti auto del “piazzale Sanseverino”, che sarebbero stati interrati in più piani. La BUC aperta nel quartiere Le Albere viene pubblicizzata con l’altisonante articolo del webmagazine dell’UniTn del 7 ottobre 2014 (non più consultabile, ma in parte reperibile nel testo di De Bertolini) come un successo da addirittura 500 posti[6] poi magicamente corretto in 430[7] (tra la metà e un terzo del progetto originario, per un costo di due terzi rispetto al progetto di Botta). Non solo, i posti auto sono stati sostituiti da scaffali e postazioni interrate in una zona ad alto rischio inondazione del fiume Adige, una possibilità stimata nell’ordine una ogni 30 anni circa, in cui le prime vittime sarebbero i libri stessi, con buona pace della priorità allo studio[8]. Insomma, almeno 500 posti in meno rispetto al progetto precedente, tanto che nel periodo in cui si decise lo spostamento da Sanseverino a le Albere si disse che bisognava far fronte al ridimensionamento tramite futuri progetti nell’area Trento Fiere (tra le altre cose di sale studio e mense) che latitano tutt’ora3.
- E la Provincia… NON PAGA
Perché latitano? Cercando di non essere proliss@, possiamo dire che gli articoli del Corriere del Trentino delle ultime settimane possono fornirci una sintesi qui riassunta: La Provincia non paga.
Da sei anni a questa parte la provincia ha mancato di pagare la sua parte di pagamenti all’Università, risultando in una mancanza di 200 milioni di euro. Dal 2010, per essere precis@, anno di inizio della delega (o provincializzazione) dallo Stato alla Provincia dell’onere di finanziamento. Cioè da quando buona parte del finanziamento pubblico dell’Ateneo di Trento non deriva più dal Ministero dell’istruzione ma dalla Provincia Autonomia di Trento. I circa trenta milioni l’anno che la PAT deve all’università, come stabilito, non sono arrivati all’Ateneo. Nemmeno un euro. MAI. Il risultato è che l’Università ha campato con gli “spiccioli” del Ministero e ha iniziato ad utilizzare i fondi di cassa, i risparmi, ha persino prosciugato il fondo per le borse per studenti meritevoli e ha persino avviato dei prestiti, l’ammontare dei quali non è dato sapere per ora.
Un fatto gravissimo.
Ancor di più se, ha detta del rettore Collini, a fronte di questo ENORME buco in bilancio, l’unico effetto negativo della provincializzazione dell’ateneo è relativo “ai ritardi circa l’edilizia universitaria”, riferendosi certamente al progetto di Trento Fiere. Dichiarazioni un po’ idiote, certamente miopi e probabilmente non sincere, di comodo, dato i conti in rosso che si ritrova l’università per colpa della Provincia. Solo ora capiamo l’aumento di 800 mila euro delle tasse universitarie: la Provincia non paga, l’università è in rosso e anziché battere i pugni sui tavoli di chi di dovere, si aumentano le tasse agli studenti e alle studentesse.
Veniamo al punto: perché il Collettivo Universitario Refresh ha manifestato la sua contrarietà verso la BUC? Perché la BUC è stata usata per arricchire chi già è ricco. Tutto il processo di costruzione del quartiere Le Albere ha seguito questa istanza e lo spostamento della BUC da Sanseverino a Le Albere è inserito nella stessa logica. Il ridimensionamento della biblioteca (della metà almeno) è stato inserito esclusivamente entro logiche di gentrificazione urbana e speculazione edilizia che vanno ad arricchire le solite famiglie ed imprese della borghesia trentina e della Chiesa Cattolica (che detiene circa il 30% del patrimonio immobiliare della provincia, giusto per ricordarlo) tramite lo strumento numerose volte dimostratosi fallimentare del project financing. Fallimentare dal punto di vista del bene pubblico e del risparmio, ovviamente, visto e considerato che alla fine i soldi pubblici vanno sempre a risolvere i buchi degli investimenti privati.
Perché il Collettivo Universitario Refresh ha occupato il CIAL? Perché è stato chiuso senza motivazioni plausibili per evitare che l’apertura della BUC fosse un fallimento. Anche chi lavora al CIAL fatica a comprendere la riduzione degli orari, spiegabili solo con il fatto che si doveva dimostrare subito il successo della BUC, una biblioteca sottodimensionata, raccontata bene, bella e lucidata a dovere. Questo è il motivo per cui il CUR ha occupato il CIAL: per riappropriarsi di uno spazio universitario produttivo e funzionale, nonostante le sue ridotte capacità.
Il risparmio (di un terzo) tanto declamato da chi quella biblioteca l’ha voluta (e chiamiamoli con il loro nome, UDU e UniTin, che prima hanno votato per tale scelta e ora la giustificano) è servito agli studenti e alle studentesse? Considerato il fatto che per due terzi dei costi si è costruito un contenitore della metà, senza posti auto ed a rischio inondazione: no.
Ma se non è servito a loro, a chi? Questo bisognerebbe chiederlo a chi si è sperticato in sotterfugi a porte chiuse per spostare la BUC, da UDU-UniTin alle imprese e famiglie della borghesia trentina e nazionale. La risposta è facilmente intuibile, ma la lasciamo a voi.
Una biblioteca è un contenitore. Questo contenitore è stato costruito e noi come universitar@ che hanno contribuito alla sua realizzazione, pur senza il nostro consenso, vogliamo farne parte, ma solo alla condizione di non essere usat@ come fotografia per apparire nei begli spot per pubblicizzare un’azienda di lauree che vuole vendersi sul piano nazionale ed internazionale come aggregatore di capitali e di persone di una certa estrazione. Vogliamo un’università per tutt@ quell@ che vogliono studiare, per tutt@ i/le cittadin@ e non cittadin@. Per tutt@ quell@ che vogliono un’università che non fa differenze sul reddito, per tutt@ quelli che vogliono sapere.
[NOTE]
[1] “Il pasticciaccio brutto della biblioteca”, in Questo Trentino, n. 11, novembre 2013.
[2] Ibidem.
[3] L’affare ex michelin, De Bertolini 2016, Altrotrentino Società Cooperativa.
[4] “Il pasticciaccio brutto della biblioteca”, in Questo Trentino, n. 11, novembre 2013.
[5] http://www.questotrentino.it/articolo/14018/il_pasticciaccio_brutto_della_biblioteca.htm.
[6] L’affare ex michelin, De Bertolini 2016, Altrotrentino Società Cooperativa, p. 92.
[7] http://webmagazine.unitn.it/news/ateneo/12202/inaugurata-la-biblioteca-di-ateneo-sette-piani-430-postazioni-e-480mila-volumi.
[8] Parere espresso da architetti presenti alla conferenza di Questo Trentino il 28 novembre 2016 presso la Facoltà di Economia di Trento a cui abiamo partecipato
Il ricatto dell’università
La notizia della studentessa africana che rischia il suo permesso di soggiorno, con annessa carriera universitaria e permanenza in Italia, per aver bluffato ad un esame di inglese parlano chiaramente di almeno due, fra i tanti, tipi di ricatti che in tante e tanti viviamo in quanto studenti e studentesse universitar@.
Il primo riguarda il ricatto che viviamo giornalmente fra le mura dei nostri dipartimenti in quanto borsist@. Vuoi che il tuo diritto allo studio sia garantito?! Allora devi portarmi un tot di crediti a fine anno, entro una certa data. E se, come nel caso in questione, hai avuto una carriera “brillante” in passato, non hai sgarrato, sei sempre stata nei tempi, non importa: ti mancano due insulsi CFU per avere diritto alla seconda rata di una borsa di studio? Ti mancano due insulsi CFU per avere un alloggio con affitto agevolato? Problemi tuoi non certo dell’Opera Universitaria. E se da quella borsa o da quell’alloggio dipende la tua possibilità di continuare a studiare non importa: non si è mai detto che i meccanismi che stanno dietro al diritto allo studio diano peso al lato umano della questione, né tanto meno a quello più propriamente formativo. Perché se così fosse DAVVERO, probabilmente l’anno prossimo non avremmo meno borse di studio grazie al nuovo ISEE. Il secondo aspetto riguarda un secondo tipo di ricatto che alcuni tipi di studenti e studentesse subiscono ulteriormente ogni santo giorno, come se già essere tenut@ sulle spine per una borsa di studio non bastasse. Questa storia infatti ci parla anche di chi si trova in Italia e proviene da un paese non europeo e ci può stare in quanto studente/studentessa. Parliamo del permesso di soggiorno legato a motivi di studio. Anche in questo caso, se non dai un tot di materie questo ti viene negato, non rinnovato e questo significa in soldoni “tornatene pure a casa tua”. Non importa se per anni sei stata impeccabile, ma se sgarri un minimo te ne puoi andare da qui, non sei improvvisamente più la benvenuta.
Entrambi questi aspetti hanno a che vedere con il concetto di ricatto, di infallibilità, di produzione a tutti i costi, di meritocrazia legata alla produzione. Ci parlano entrambi, anche se in maniera non del tutto esaustiva, di come si è trasformata l’università in questi anni e come sta trasformando noi che la viviamo.
Questo è un caso che ci parla di una università che punta alla massima produzione di ogni suo studente, di ogni sua studentessa. Vuoi studiare? Devi farlo in tempi sempre più stretti e per “invogliarti” a farlo ti ricatto con la borsa o l’alloggio che ti do solo a certe condizioni che decido io, sistema-università. In questa storia c’è anche una università che è diventato facile strumento di ricatto per chi vuole vivere in Italia e viene da un paese non europeo. Sono entrambe condizioni che non ti permettono di sgarrare, di guardarti intorno, di prenderti il tempo giusto per capire, per allacciare rapporti veri se non legati alla produzione universitaria, di sperimentare altro nella vita se non studiare per ottenere ciò che già dovrebbe essere un tuo diritto garantito: il diritto di studiare anche se non ne hai le possibilità economiche per farlo. Quando ti formi in questo contesto, quando da un semplice esame non superato non ti giochi solo la laurea ma il permesso di soggiorno, la casa in cui abiti e la borsa con cui vivi, allora certo che ti viene in mente di “bluffare”, anche se di base sei la persona più corretta del mondo. Perché non riuscire non è contemplato. E un esame non dato, una laurea fuori corso sono considerati fallimenti, sintomi di mala volontà, poco impegno. Sei giudicat@ dal numero di esami che dai a fine semestre, non da quanto hai realmente appreso. Checché se ne dica, quindi, questa è una storia che ci parla dei ricatti che siamo costrett@ a subire, di come l’università sia diventato un luogo certamente normativo e di controllo, che valuta le persone in base al peso dei CFU che si portano nel libretto che non in base ad altro. Questa è una storia che parla di un luogo che ci abitua e istiga al non fallimento, che ci porta ad essere cavall@ da corsa, con tanto di paraocchi.
Questa è l’università che viviamo, questa è l’università che vogliamo cambiare.
Oggi più di ieri riteniamo i nostri piccoli spazi conquistati, i nostri piccoli momenti di autoformazione dei momenti e dei luoghi dal valore aggiunto. Ci vogliono inquadrati, ligi ai nostri doveri, brav@ soldatin@ a lezioni, pronti a chinar la testa e a dare esami? Allora noi staremo ancora davanti lettere a fare un pranzo sociale o in atrio interno a sociologia per un momento di autoformazione, perché non siamo operai di una catena di montaggio e perché il vero fallimento per noi è non viverci il nostro tempo e il nostro spazio universitario ora.
E’ tempo di RISCATTO! Assemblea pubblica
Vivere l’università al giorno d’oggi significa un sacco di cose. Significa vivere un contesto in cui vieni giudicato solo in base al numero di CFU registrati nel tuo libretto, dalla media dei tuoi voti, da quanti anni sei fuori corso. Significa vivere in un’università vetrina, che mira a raggiungere i primi posti nelle classifiche, all’efficienza, ma che si dimentica degli studenti e delle studentesse che ogni giorno la attraversano. Significa non avere spazi per la socialità, per il dibattito, per l’aggregazione. Significa anche non lasciare spazio al pensiero critico, alle forme di dissenso e di rivendicazione dal basso. Significa vedere la celere che entra nelle biblioteche o nelle facoltà, come a Bologna e a Roma. Ma non serve andare lontano per vedere esempi di questa situazione critica che sta vivendo il mondo universitario. L’ateneo trentino, con la provincializzazione, con le biblioteche in vetro e bambù, con i tagli alle borse di studio, con un debito da parte della Provincia di 200 milioni, con le aule studio chiuse è un chiaro esempio del fatto che gli studenti e le studentesse universitari della nostra generazione non sono minimamente considerati come parte attiva dei propri atenei. Non possiamo di certo accettare che delle guardie giurate entrino in ogni facoltà della città, soprattutto mentre la Provincia ha un debito di 200 milioni con l’ateneo. Vogliamo che i fondi vengano utilizzati per fornire più aule studio, più borse di studio, per garantire una formazione completa, che incentivi il pensiero critico. Non possiamo stare zitt* di fronte alle speculazioni della Provincia, allo sperpero di denaro, non possiamo accettare le istituzioni politiche all’interno del CDA.
Ci siamo interrogat* e confrontat*, anche partecipando a momenti di confronto a livello nazionale, e siamo giunti alla conclusione che siamo la generazione figlia della crisi, stiamo pagando gli errori che non abbiamo commesso, ma trovandoci di fronte a questo scenario possiamo e dobbiamo essere anche la generazione del riscatto, che si assuma la responsabilità di organizzarsi, di creare dissenso, di provare a cambiare lo stato di cose esistente. Abbiamo una grossa responsabilità e non possiamo tapparci gli occhi e non agire in un momento come questo. Vogliamo e, in qualche modo, dobbiamo trovare il modo di rientrare all’interno delle nostre università, riprendercele dal basso e renderle accessibili e aperte a tutti e tutte.
Per tutti i motivi elencati e per interrogarci su come costruire e ottenere il nostro riscatto vi invitiamo a un’assemblea pubblica il 21 marzo alle 18.00 nell’atrio interno di sociologia. Discutiamo insieme sui problemi dell’università di Trento e capiamo come ripartire da noi stess* per costruire dal basso l’università che vogliamo.
LottoMarzo: mail all’ateneo
In questi giorni, abbiamo inviato la mail che segue a tutti i professori e tutte le professoresse, dottorandi e dottorande, ricercatori e ricercatrici dell’Ateneo di Trento. Non sappiamo bene cosa aspettarci. Di certo, sappiamo che una università che non si espone su certi temi è una università da cambiare, stravolgere, rivoltare come un calzino.
A chi ha voglia di schierarsi, a chi crede nell’utilità di un sapere critico, a chi ha voglia di sperimentare una università diversa… ci vediamo Lotto Marzo.
“Gentili professori e professoresse, ricercatori e ricercatrici, dottorandi e dottorande,
con la presente mail vorremmo sottoporre alla vostra attenzione lo sciopero globale delle donne e dai/dei generi promosso dalla rete nazionale Non una di Meno per la giornata dell’otto marzo. Infatti, da mesi, in diversi paesi del mondo i temi della violenza sulle donne e le tematiche di genere sono state al centro del dibattito pubblico e di molti momenti di protesta partecipati. Questa “marea” internazionale ha dato luogo quindi allo sciopero globale di cui sopra.
Cogliendo al volo l’opportunità che ci viene dalla giornata dell’otto marzo, vorremmo invitarvi a riflettere sul “genere” di università che quotidianamente viviamo e sul “genere” di università che vorremmo vivere.
Ci piacerebbe, infatti, che l’università fosse un luogo di formazione e di educazione al rispetto delle differenze.
Un luogo in cui ognuno/a possa sentirsi libero/a di determinare la propria identità, seppur differente dal sesso di appartenenza, senza dover incappare in lente e faticose procedure burocratiche che gli/le impediscano di vederlo/a riconosciuto/a.
Un’università in cui non vi siano disparità salariali dettate sulla base del genere di appartenenza.
Un luogo privo di disparità di genere, che non sia un luogo di competitività e isolamento, ma in cui valorizzare le singole individualità sulla base del loro merito e delle loro competenze anziché (s)valutarle sulla base di preconcetti personali.
Un’ università libera da qualsiasi forma di sessismo e che al contempo educhi le sue componenti al riconoscimento e all’isolamento in qualsiasi sua forma e pratica che si riveli essere degradante per l’individuo stesso.
Vorremmo inoltre poter attraversare un ambiente privo degli stereotipi di genere, che attualmente troppo spesso interferiscono nel processo di attribuzione dei ruoli e delle cariche lavorative, operando l’esclusione da tale distribuzione di determinate categorie.
Sulla base di queste e di altre considerazioni che saremmo felici di condividere, vi invitiamo ad aderire alla giornata di sciopero dell’otto marzo.
A tal fine, vi riportiamo alcune delle idee/linee guida emerse dall’ultima assemblea nazionale di Non una di Meno, a cui abbiamo avuto piacere di partecipare, per affrontare e caratterizzare la giornata di sciopero: praticare una forma di astensione da qualsiasi forma di attività (ri)produttiva. Qualora ciò non fosse possibile, si invita a portare nei propri luoghi di lavoro il simbolo della giornata di mobilitazione (la matrioska) e ad indossare i colori della giornata (nero e fuxia), caratterizzando dove possibile il proprio spazio di lavoro con questi colori; intervenire nelle proprie mansioni lavorative (lezioni, convegni, conferenze, sessioni di laurea, ecc) spiegando cosa è lo sciopero dell’otto marzo; impostare una risposta automatica alla mail in cui si spiega il senso dello sciopero e perché è importante. Infine, ma non meno importante, partecipare alle iniziative organizzate nella propria città.
Dal canto nostro abbiamo pensato di caratterizzare quella giornata tramite momenti che possano favorire la riflessione individuale e collettiva su tematiche affini alla giornata, accostandovi momenti volti alla socializzazione, poiché riteniamo che una delle modalità di sciopero dalle funzioni produttive possa essere proprio quella di dedicare del tempo alla costruzione e alla valorizzazione di legami sociali altri.
Il calendario dell’otto marzo universitario quindi prevede i seguenti appuntamenti:
– ore 9.00 a Lettere, volantinaggio itinerante;
– dalle 11.00 circa in poi, auto-formazione “sui generis” in atrio interno a Sociologia;
– dalle 13.00 pranzo de-genere, sempre in atrio interno facoltà di Sociologia
Inoltre vi segnaliamo che nel pomeriggio dell’otto marzo, a partire dalle ore 15.00 in piazza Pasi, ci sarà una mostra fotografica “particolare”, a cura del Collettivo Transfemminista queer di Trento, seguito da una passeggiata serale che partirà dalle ore 18.00 dalla stessa Piazza Pasi.
In calce alcuni link utili.
Vi ringraziamo per l’attenzione e speriamo di vedervi ad alcune di queste iniziative e ricevere feedback positivi,
Collettivo Universitario Refresh“