LA CASA E’ DI CHI L’ABITA, E’ UN VILE CHI LO IGNORA

LA CASA E’ DI CHI L’ABITA, E’ UN VILE CHI LO IGNORA

Cronache di una solitaria e ricca Trento sfitta

Sono una studentessa dell’Università di Trento, nata a Napoli. Quando, ormai un anno fa, è iniziata la fine del mondo, ero come molti di voi nel bel mezzo dell’anno universitario. Non avendo più una soluzione abitativa molto agevole nella mia città, scelsi di rimanere nella ridente cittadina di Trento.

Ho passato tre mesi a guardarmi negli occhi con la mia coinquilina e a fare collage con giornali vecchi aspettando la fine di quella che allora sembrava una reclusione impensabile, assurda, eccezionale (che ingenue), valutando infondo che i 240 euro mensili per una doppia che stavamo sborsando a quei furboni dei nostri padroni di casa, di cui 100 in nero per delle bollette mai viste, valessero la pena per una quarantena del genere. Sicuramente stare in una casa universitaria, per certi versi, ha aiutato, ma 240 euro al mese faccio ancora fatica a digerirli.

Pagai anche i mesi estivi, perché qui in trentino i padroni di casa sono molto fiscali – leggi “stronzi”-  e la disdetta se non la dai tre mesi prima ti costa la caparra di un mese intero ( nessuno sconto per le bollette anche se la casa rimane vuota, mi raccomando!).  

Questa rosea esperienza l’ho fatta nell’ elegantissimo serpentone di cristo re, e attualmente i padroni di casa non hanno nemmeno cercato qualcuno che potesse andarci a vivere, né gli è balenata lontanamente l’idea di abbassare un po’ il prezzo. Il compromesso della perfetta mano invisibile che mette d’accordo domanda e offerta è quindi piuttosto un braccio di ferro impari,  in cui i padroni di casa forzano una soglia sotto la quale non si può scendere, e le case rimangono vuote e gli universitari per strada (o nelle città di origine). 

Guardandomi intorno mi venne in mente: quanto spazio sprecato. Cosa fare con tanti immobili vuoti?  Quanto poco amore c’è in questa città per ricchi? Dalle enormi alle piccole strutture, ognuna ha bisogno di qualcuno che se ne prenda cura. Non per forza pagando un affitto, diciamocelo.   

Comunque.

A settembre dovevo decidere cosa fare: rimanere a Trento, con il rischio che la mia permanenza fosse inutile dato che la didattica poteva diventare interamente a distanza da un momento all’altro – e di fatto, così è stato-, o tornare a Napoli e cercarmi anche lì un posto dove dormire. Così ho scroccato un materasso da amicu per un po’ per capire cosa fare. 

Indovinate? L’orgogliosa città universitaria di Trento, dalla parte dei buoni, con tutti quegli stimabili principi di servizi pubblici, la libera circolazione, le tasse basse, le biblioteche come se piovessero, fa una selezione atroce tra gli studenti, alla radice, di nascosto: non muove un dito affinché il costo della vita non sia vagamente più abbordabile, anzi. E nonostante la facciata, si trova del classismo più ipocrita e crudele, anche detto libero mercato. 

Gli affitti sono rimasti praticamente tutti carissimi, manco fosse chissà quale metropoli. I prezzi delle case non erano più bassi dell’anno precedente, come probabilmente sapete, anzi erano saliti. 

Le singole partivano dai 300 euro, le doppie dai 250 e per riuscire a scendere sotto i 200 ho visto gente dormire in quattro in triple, cose del tipo che ogni sera si giocava alla morra cinese per vedere chi dormisse per terra.

Il salvifico ruolo dell’opera universitaria, inutile a dirsi, non risulta salvifico. I prezzi standard senza borsa di studio non abbassano la media degli affitti, e a tappare i buchi del pubblico si inseriscono aziende private che credono di poter fittare posti letto a 430-450 euro al mese avendo pure la faccia tosta di chiamarli studentati (per ulteriori informazioni è consigliata la lettura dell’articolo nel link a fine pagina).

Il tasto dolente di tutto questo è che in altre città una situazione del genere porterebbe ad una orgogliosa ondata di occupazioni abitative, o almeno di tentativi. Questa città democratica, civile, felice, invece, è sede di una repressione tale da far abortire ogni spirito di iniziativa da basso, che non sia un mercatino bio o  una qualsivoglia attività radical-chic

Morale della favola, mi trovo a Napoli in un monolocale, davanti ad uno schermo a usufruire dei meravigliosi servizi dell’università di Trento, nella quale probabilmente non varrà più la pena di vivere. O magari sarà possibile con metodi diversi. 

 

Riferimenti:

https://curtrento.noblogs.org/post/2020/10/26/dalla-padella-alla-brace-nuovo-studentato-alle-albere/