Laurea a Marchionne. Appello a professori/esse, ricercatori/trici

Dalla scorsa settimana stiamo facendo girare il seguente appello tra i professori e le professoresse, i ricercatori e le ricercatrici, i dottorandi e le dottorande dell’Ateneo di Trento.

Gentili professori e professoresse, ricercatori e ricercatrici, dottorandi e dottorande, a nome del Collettivo Universitario Refresh,
con la presente mail vorremmo sottoporre alla vostra attenzione la decisione del Dipartimento di Ingegneria Industriale e del Senato Accademico di conferire la laurea honoris causa a Sergio Marchionne in Ingegneria Meccatronica, la cui cerimonia si terrà il 2 ottobre a Rovereto.

I motivi per cui noi studenti e studentesse del Collettivo Universitario Refresh ci opponiamo a questa decisione sono diversi. In primo luogo riteniamo che il candidato non possieda i requisiti necessari a giustificare l’assegnazione del titolo onorario, la cui cadidatura non a caso è regolamentata dal regio decreto n.1592/1933. Latitano infatti competenze, opere compiute e pubblicazioni a opera di Sergio Marchionne nel merito della disciplina, il che ne costituisce una grave violazione. Una siffatta arbitraria consegna della laurea ad honorem trarrebbe quindi motivo esclusivamente nell’ambito della ricerca da parte dell’Università di futuri finanziamenti, anziché trarre giustificazione dal riconoscimento collettivo di una conoscenza profonda della disciplina.

In qualità di studenti e studentesse ci opponiamo a un’Università che fa della svalutazione del titolo accademico uno strumento posticcio per arraffare i fondi d’emergenza necessari a coprire i buchi lasciati da anni di insolvenza da parte della Provincia Autonoma.
Il sacrificio economico che con le nostre famiglie ci troviamo ad affrontare per raggiungere il traguardo della laurea ci porta a vivere questa scelta come uno sfregio, viste le copiose tasse che ci troviamo a pagare di anno in anno e le difficoltà ad accedere alle borse di studio.

Sappiamo che già una piccola parte del corpo docente ha espresso pubblicamente il proprio disaccordo sulla questione (1). Siamo inoltre a conoscenza dei toni con cui il Rettore Collini ha risposto alle obiezioni (2); e se per il nostro Rettore in Marchionne non si rilevano comportamenti non etici, si dipana in noi la nebbia di dubbi su quale sia la direzione che Paolo Collini vuole dare all’Università digli Studi di Trento durante il suo mandato. Rileviamo quindi la tendenza dell’istutuzione universitaria trentina a considerare come vincente il modello di un’Università disposta a piegarsi ai privati per accaparrarsi quei finanziamenti che invece dovrebbe esigere dalla Provincia Autonoma (3). L’episodio della consegna della laurea honoris causa a Sergio Marchionne rientra perfettamente in questo quadro.

Come studenti e studentesse del Collettivo Universitario Refresh, abbiamo deciso di sottoporre alla vostra attenzione questo appello nella speranza che anche voi, in qualità di professori e professoresse, ricercatori e ricercatrici, dottorandi e dottorande, esprimiate la vostra opinione su questa vicenda. Cogliamo inoltre l’occasione per invitarvi a partecipare alla protesta che organizzeremo il 2 ottobre a partire dalle ore 11.00 fuori dal polo di Ingegneria Meccatronica di Rovereto.

COLLETTIVO UNIVERSITARIO REFRESH

Per aderire all’appello vi chiediamo semplicemente di rispondere a questa mail, con una firma o con un vostro contributo. Per qualsiasi altra informazione il nostro contatto email è curtrento@autistici.org.

ADESIONI E RIFLESSIONI:

Silvia Bordin, dottoranda in informatica e telecomunicazioni;

Giulio Galdi, Dottorando DELoS, “Condivido però che sento l’urgenza di dissociarmi dalla mia università, che dà un’onorificenza immeritata scientificamente e moralmente. Non condivido, infatti, l’appoggio morale che questa celebrazione dà ad un uomo che è un protagonista della lotta contro il diritto degli ultimi, che ha cercato di strozzare i diritti dei lavoratori lungo tutta la sua carriera.”;

Andrea Binelli, professore presso il Dip. di Lettere e Filosofia, “Cari studenti,
condivido il malessere per una scelta che anch’io considero sbagliata.”

Elisa Bellé, ricercatrice presso il Dip. di Sociologia e Ricerca Sociale, consulta dei dottorandi e degli assegnisti di ricerca, “Trovo gravissima la scelta di conferire un simile titolo a una figura del tutto discutibile dal punto di vista dell’operato pubblico. Una scelta eticamente, politicamente e scientificamente svilente per l’Ateneo tutto. Una laurea Honoris Causa andrebbe conferita a una figura che unisce, non a una che divide, a una persona che sa guardare lontano e apportare cambiamenti e innovazioni per il bene collettivo.”

NOTE:
(1) https://www.pressreader.com/italy/corriere-del-trentino/20161127/281552290464429
(2)https://www.pressreader.com/italy/corriere-del-trentino/20161204/281809988515895
(3) Ci riferiamo in particolare debito di 200 milioni della Provincia Autonoma di Trento nei confronti dell’Università degli Studi di Trento.

Laurea ad Honorem a Marchionne. Facciamogli la Festa.

La proposta del dipartimento di ingegneria industriale di conferire una laurea honoris causa in ingegneria meccatronica a Sergio Marchionne, approvata dal Senato accademico a fronte di un solo astenuto e accolta dal MIUR, si tradurrà il 2 ottobre prossimo nella rituale sfilata di cravatte, strette di mano convinte, grandi discorsi, foto di gruppo e tartine al salmone.

Assisteremo quindi all’arbitraria consegna di un titolo che suona più come una supplica per ottenere futuri finanziamenti che un riconoscimento di una conoscenza profonda della disciplina. Latitano infatti le opere compiute o le pubblicazioni da parte di Marchionne nell’ambito dell’ingegneria meccatronica, cosa che sarebbe invece necessaria secondo la legislazione che regolamenta l’assegnazione della laurea ad honorem (regio decreto n.1592/1933). Ma questo non serve allUniversità che invece liscia il pelo allamministratore delegato di FCA andando ad arricchire il suo carnet già fin troppo ampio di sei lauree ad honorem. Dove la notizia passa in sordina, possiamo comunque udire senza troppe difficoltà lo schricchiolio di unUniversità che fa della svalutazione del titolo accademico uno strumento posticcio per arraffare i fondi demergenza necessari a coprire i buchi lasciati da anni di insolvenza da parte della Provincia Autonoma.

Se la corona di alloro si posa sulla testa di Sergio Marchionne in un grande atto di prosternazione da parte di Rettore e Senato Accademico, ciò che invece lUniversità di Trento mostra ai suoi studenti e studentesse e al suo corpo docente ha tutto laspetto di uno sfregio. Gli incalcolabili sacrifici, economici e personali, le sfiancanti scalate lungo le graduatorie per le borse di studio o per gli assegni di ricerca sono inutili davanti ai quattrini promessi da chi di ingegneria meccatronica non ha mai scritto (o letto) una riga.


Tuttavia qualche voce si è levata anche da una piccola parte del corpo docente, alcun* de* quali hanno espresso pubblicamente il loro disaccordo sulla questione (1). Alle obiezioni il rettore Collini ha risposto attaccando personalmente e in modo arrogante uno dei firmatari della lettera (2). Non sono mancate inoltre affermazioni dal sapore del “ha fatto anche cose buone” come: “Marchionne può essere un personaggio spigoloso, ma ha avuto grandi meriti, ha fatto sì che la Fiat sopravvivesse quando era sul baratro e che arrivasse ad acquisire la Chrysler, terza azienda americana” (3), affermazioni che, oltre ad odorare di muffa, testimoniano la spiccata sensibilità del nostro Magnifico verso chi si è fatto le ossa sulla mortificazione dei diritti di lavoratori e lavoratrici, delocalizzando in modo sistematico imprese e capitali. E se per il nostro rettore in Marchionne non si rilevano comportamenti non etici, si dipana in noi la nebbia di dubbi su quale sia la direzione che Paolo Collini vuole dare all’Università digli Studi di Trento durante il suo mandato di Rettore.

L’università non è mai stato un luogo scevro da qualsiasi condizionamento con il compito di formare le cittadine e i cittadini e di produrre sapere utile per il progresso della società. L’università è da sempre un’istituzione che, come tutte le altre, è succube degli interessi del capitale. Una dopo l’altra le storielle con le quali hanno cercato di intortarci stanno cadendo e la dura realtà si sta mostrando con sempre maggiore forza e sempre meno pudore agli occhi tutt* noi. Ormai le università sono più impegnate a rincorrere i privati per accaparrarsi finanziamenti piuttosto che esigere dal pubblico ciò che gli spetta. Il debito di 200 milioni della Provincia Autonoma di Trento nei confronti di Unitn docet.

La laurea honoris causa a Marchionne è un episodio che ci mostra come questa tendenza sia presente anche nella dorata Università di Trento. Come studentesse e studenti, del Collettivo Universitario Refresh, ci opporremo a questa buffonata e, a modo nostro, andremo a fare la festa al neo laureato amministratore delegato di FCA. Un festeggiamento rabbioso perché la rabbia è il sentimento che proviamo nei confronti di queste messe in scena e delle derive che l’università sta prendendo. Il 2 ottobre sarà per noi un primo passo di questo nuovo anno accademico che preannunciamo caratterizzato dalla lotta, dal conflitto e dal dissenso contro l’università-azienda e contro le scempiaggini che comporta.

NOTE:

(1) https://www.pressreader.com/italy/corriere-del-trentino/20161127/281552290464429

(2) https://www.pressreader.com/italy/corriere-del-trentino/20161204/281809988515895

(3)https://www.pressreader.com/italy/corriere-del-trentino/20161129/281492160925799/textview

Allarme gender a UniTn? Ma fateci il piacere!

ACCADEMIA LGBT – Università gender con i soldi UE. Alla lobby gay 1,2 milioni di euro”. In questo modo Patrizia Floder Reitter titola un suo articolo apparso il 4 maggio scorso su La Verità, quotidiano di Maurizio Belpietro, e ripreso integralmente da La Voce del Trentino qualche giorno fa.
In questo articolo, il cui titolo lascia poco spazio all’immaginazione circa il contenuto, si parla di come pare essere arrivato il virus del gender all’Università di Trento, il quale rischia di infettare intere generazioni di giovani menti. Nello specifico, messi sotto la lente di ingrandimento sono tre personaggi, la Prof.ssa Barbara Poggio, l’avvocato Alexander Schuster e l’assessora Sara Ferrari. Quella che è definibile come una vera e propria schedatura di tutti i personaggi in realtà riguarda il ruolo che hanno, almeno a detta dell’autrice dell’articolo, attorno e all’interno al Centro Studi interdisciplinari di Genere (CSG) dell’Università di Trento. Ad essere messi in discussione dall’autrice sono due aspetti principali.
Il primo è il contenuto e le tematiche affrontate dai vari seminari organizzati negli anni dal CSG e dai suoi progetti di ricerca. Nell’articolo infatti la Floder Reitter sciorina tutta una serie di titoli di seminari o riporta virgolettati estrapolati da ben più complesse relazioni, imputando a questi la duplice colpa di propagandare messaggi devianti e di avere una ingenua platea di studenti e studentesse presenti in quanto interessati/e al riconoscimento di un tot di CFU. Secondo l’autrice dell’articolo infatti, parlare di omosessualità, bullismo omo-trans fobico, genitorialità omosessuale o di altre maschilità significa che la platea di ascoltatrici e ascoltatori verrà automaticamente “convertita” ad uno stile di vita omosessuale, deviato, non ortodosso e non tradizionale.
Il secondo aspetto ad essere messo in discussione è il finanziamento dei seminari e delle ricerche del CSG, fondi che spesso (e fortunatamente) sono pubblici, siano essi provenienti dall’UE, dalla Provincia o dal Comune. La Floder Reitter infatti considera il finanziamento a tale campo di indagine accademica e del CSG come un finanziamento alle “lobby gay” le quali hanno tutto l’interesse di infilarsi all’interno del sistema della pubblica istruzione per deviare giovani menti.
Questo il senso dell’articolo, vaneggiamento più, vaneggiamento meno.
Chiariamoci: da La Voce del Trentino e da La Verità non ci aspettiamo del giornalismo decente, qualsiasi cosa questo significhi. Ci aspettiamo menzogne travestite da notizie utili alla propaganda politica di qualche destrorso di turno o a veicolare e incrementare un clima generale di bigottismo, intolleranza, odio fra poveri e paura. Ciò detto, la lettura dell’articolo ci spinge a prendere una posizione per due ordini di motivi. In primo luogo, sebbene siamo consapevoli che questo è solo l’ultimo di una serie di attacchi e aspre critiche che il CSG ha dovuto subire negli ultimi anni e di un clima di terrore generico in Trentino sull’allarme gender, è anche vero che questa notizia va ufficialmente oltre i confini della provincia autonoma e sbarca sul nazionale… per quanto il giornaletto di Belpietro probabilmente avrà una manciata scarsa di lettrici e lettori (o almeno ci auguriamo che sia così). In secondo luogo, le parole della Floder Reitter, per quanto deliranti e visionarie, attaccano in ogni caso la produzione accademica, la professionalità e la disponibilità di professionisti e professioniste del CSG che abbiamo anche avuto modo di incrociare non poco tempo fa, durante lo sciopero dei e dai generi dell’otto marzo. E questo non può starci bene. Perché se è vero che il campo di indagine di genere può non piacere o non interessare, ricamarci dietro arzigogolati discorsi di educazione alla devianza e finanziamento delle lobby gay significa attaccare la ricerca accademica (oltre che essere folgorati, diciamocelo). E non un tipo di ricerca qualunque ma quella che si interroga profondamente sulle dinamiche di genere e spesso prova anche a delineare dei piani per superare pregiudizi e abbattere muri, dentro e fuori l’accademia. Strumenti che possono piacere o meno, possono essere criticati o osannati, ma comunque è un tipo di ricerca dinamica che se è vero che prende dal pubblico, anche in termini economici, è vero anche che si propone di restituire qualcosa di utile alla comunità di riferimento, concependo così anche la ricerca accademica stessa in un altro modo, non come un qualcosa che sta nelle più alte stanze di una torre d’avorio ma come qualcosa che può essere, insieme ad altro, fattore di cambiamento e rinnovamento. Questo fa il CSG e questo fanno molti ricercatori e ricercatrici che lavorano sulle questioni di genere. E questo ci piace. E va difeso, anche dai vaneggiamenti di una “giornalista”.
Inoltre, se non piacciono i finanziamenti pubblici a questo tipo di ricerca inevitabilmente dobbiamo riprendere un discorso che ai/alle neoliberali non piacerà molto. La ricerca DEVE essere pubblica. E basta. Perché peggio che vedere fondi pubblici usati per un tipo di ricerca che qualche mente bigotta stigmatizza, c’è vedere fondi e strumenti pubblici, in combo con grossi nomi di privati, finanziare e fare ricerca su robe seriamente dannose. Le stesse che poi sedicenti esportatori di democrazia o difensori di valori patriottici utilizzano per fare la guerra al primo nemico-costruito di turno, col solo scopo di continuare a far funzionare l’industria della guerra che, quella sì, ingrassa tasche e pance di pochi.

Per quello che vale, ci schieriamo con il CSG e la ricerca di genere, ci schieriamo con chi dentro l’università prova a rivedere il mondo con occhi diversi, provando a disinnescare pezzo dopo pezzo le strutture di potere relazionali, e non, che derivano dal semplice binario maschio/femmina. Ci schieriamo con il CSG perché prima di andare a fare i conti in tasca ad alcuni personaggi che provano ad educare alle diversità, ci piacerebbe che sedicenti “giornalisti/e” alla Floder Reitter andassero a inchiestare e a ficcare il naso lì dove si ricerca e perfezionano gli strumenti di guerra. Infine ci piacerebbe anche che la difesa di una certa parte di accademia, libero pensiero, libera ricerca venissero difesi dall’intera comunità universitaria. Perché, per quanto ci riguarda, una buona università non è fatta di ranking e cerimonie patinate. Una buona università è fatta dal sapere critico. In quanto studenti e studentesse universitarie abbiamo preso una posizione. Lasciamo il passo ad altri e altre.

Sbirri a Sociologia…. e DIANI COSA DICE?

Di questi tempi accadono cose strane al Dipartimento di Sociologia di Trento. E a quanto pare c’entra sempre una divisa. Ma andiamo per gradi.

È lunedì, tardo pomeriggio-prima serata, e nel cortile interno di Sociologia si svolge un aperitivo organizzato da una associazione studentesca. Ad un tratto, spuntano quattro poliziotti in divisa dentro al cortile, guidati da un signore “vestito normale” (anzi, chiamiamolo col suo nome, poliziotto in borghese) che indica loro un ragazzo, uno studente universitario per l’esattezza. A quanto pare, la polizia era stata chiamata poco prima da un ragazzo presente in cortile dicendo loro di aver riconosciuto chi, a suo dire, gli aveva rubato la bicicletta qualche tempo prima, il cui furto aveva denunciato proprio alla polizia. Riconoscimento avvenuto sulla base di un video di sorveglianza di pessima qualità, aggiungiamo. Insomma, gli zelanti poliziotti si presentano quindi a Sociologia, si dirigono dal ragazzo e, tolto lui il telefono, se lo portano via. In volante. Senza una denuncia a suo carico. Senza un pezzo di carta in cui spiegano cosa e perché. Solo con un sospetto in tasca (e il cellulare del ragazzo). Nel silenzio più totale di chi era in cortile e guardava la scena. Anzi, no, il silenzio in effetti non c’era, visto che la festa ha continuato come se nulla fosse, con tanto di musica.
Ma la stranezza non finisce qui. Infatti, la polizia ha messo piede in università senza tante cerimonie, pure portandosi via uno studente, senza poterlo fare. È noto a tutt@ infatti che affinché la polizia possa entrare in università per una qualsivoglia operazione, essa deve ricevere il permesso dal rettore o dal direttore del Dipartimento in questione. Gli zelanti sbirri della nostra storia, una volta arrivati in via Verdi, avrebbero dovuto andare in portineria, spiegare il motivo della loro presenza e chiedere al/alla funzionario/a presente di avvertire il direttore di dipartimento, in questo caso il Prof. Mario Diani. Solo con l’assenso di quest’ultimo avrebbero potuto procedere con “l’operazione”. Chissà… eccesso di zelo, voglia di combattere la criminalità, voglia di fare qualcosa oltre a presidiare Piazza Santa Maria Maggiore… insomma, la comunicazione non è mai stata data, la direzione del Dipartimento non è mai stata allertata, il permesso di entrare in università agli sbirri non è mai arrivato.

Chissà per quale strana formula uno studente o studentessa qualsiasi si trova davanti un iter burocratico infinito per usare uno spazio dell’università, senza il quale le porte delle aule non si aprono fuori lezione, ma degli uomini in divisa possono fottersene degli iter e fare quello che gli pare in uno spazio che DECISAMENTE non appartiene loro. Chissà.

Riteniamo inaccettabile che nella nostra università la polizia entra ed esca, portandosi via anche uno studente, senza che chi di dovere sappia cosa sta succedendo. Soprattutto, riteniamo inaccettabile che la polizia possa entrare così facilmente all’università, senza che nessuno abbia fatto notare loro che sì, diamine, il permesso per mettere piede all’interno di un dipartimento LO DEVONO CHIEDERE.

Ci chiediamo e chiediamo al direttore del Dipartimento di Sociologia, Prof. Mario Diani, se è al corrente di quanto accaduto lunedì scorso all’interno del Dipartimento di cui è direttore. Chiediamo al Prof. Diani dunque di esprimersi sull’argomento e se ritiene normale che la polizia entri all’interno del Dipartimento, senza comunicare niente a nessuno.

Per quanto ci riguarda, lo abbiamo detto più volte nelle scorse settimane e continueremo a dirlo: FUORI GUARDIE E SBIRRI DALL’UNIVERSITA’!

Speriamo che Diani sia dello stesso avviso…

Report incontro col Rettore

Oggi, come Collettivo Universitario Refresh, abbiamo deciso di presentarci in rettorato per ottenere un incontro con il rettore Collini e chiedergli spiegazioni in merito al debito della Provincia nei confronti dell’Ateneo. Come abbiamo appreso anche dai giornali locali infatti la PAT da anni non rispetta il suo ruolo di maggior finanziatore dell’università trentina, come stabilito dal contenuto dell’accordo di Milano e dalla conseguente provincializzazione dell’ateneo. Ciò che più ci premeva capire è come sia possibile che le istituzioni universitarie abbiano potuto accettare il mancato versamento di 200 milioni di euro e abbiano preferito indebitarsi con le banche o andare a toccare i fondi delle borse di merito piuttosto che fare pressioni, chiedendo la restituzione di questi fondi. Ci sorgevano dunque dubbi anche sui fondi utilizzati per finanziare la costruzione della Nuova Biblioteca Centrale alle Albere, sui tagli alle borse di studio e sull’aumento delle tasse universitarie. Per tutti questi motivi quindi oggi ci siamo presentat* in rettorato pretendendo di essere accolt* dal rettore. Vista l’impossibilità del rettore a riceverci sul momento, abbiamo deciso di occupare il cortile per tutta la mattina, provando a creare un momento di discussione e confronto aperto a tutti e tutte, in attesa dell’appuntamento con Collini. Alle 13.00 finalmente siamo riuscit*, grazie alle nostre pressioni, a farci ricevere tutt* nell’ufficio del rettore, al quale abbiamo riportato tutte le nostre perplessità . Siamo riuscit* a rivendicare alcuni diritti per noi fondamentali e a esporre quali sono i problemi che attanagliano la nostra università. Per noi questa giornata è stata solo un primo passo, sicuramente continueremo a tenere monitorata la situazione e continueremo nella nostra mobilitazione. Per continuare a confrontarci su queste tematiche, per noi di primaria importanza, vi invitiamo a partecipare alla nostra assemblea settimanale ogni mercoledì alle 18.00 in atrio di Sociologia.

Note su provincializzazione, conti in rosso e BUC

Una biblioteca è un contenitore e un contenitore deve avere due principali caratteristiche: funzionalità e capienza. Si può abbellire, si può raccontare, si può lucidare, ma rimane un contenitore. Si dà spesso per scontato che tale tipo di manufatto sia tanto più efficiente e funzionale quanto più è centralizzato e dimensionato. La domanda che ci si pone è quindi se per la nuova Biblioteca Universitaria Centrale (BUC) siano valsi questi criteri. La risposta che ci siamo dati è no. Quali criteri sono stati dunque ritenuti importanti? A questo non si può che rispondere tramite ragionamenti e indagini, mancando di risposte dirette da chi ha preso e continua a prendere decisioni al riguardo. La risposta sembra essere: gli interessi economici privati di chi ci ha guadagnato o spera di guadagnarci a discapito dell’interesse pubblico e in particolare di chi, tra il “pubblico”, ha meno potere.
Per capire meglio c’è bisogno di prendere in considerazione la storia del processo che ha portato a cambiare il progetto della biblioteca tra il 2008 e il 2014 in conveniente coincidenza con il passaggio di controllo e finanziamento dell’Università di Trento da Stato a Provincia, la cosiddetta “provincializzazione” o “delega” iniziata nel 2010. Qui cercheremo di dare un veloce sunto per punti salienti.

  • Funzionalità e capienza: come si è arrivati alla BUC

Partiamo dalla funzionalità. Una biblioteca centrale si suppone che per essere funzionale abbia come criterio principale il rendere disponibile libri e spazi di lettura nel modo più facile possibile. Una biblioteca centrale universitaria dunque dovrà essere raggiungibile nel minor tempo possibile da universitari, ovvero vicino ai luoghi dove questi si trovano. La biblioteca di Palazzo Ex Cavazzani (o CIAL) si trova in tale posizione ideale, a 5 minuti a piedi dalle facoltà di Lettere, Sociologia, Giurisprudenza ed Economia, a ridosso della ferrovia Verona-Brennero. Poiché era sottodimensionata rispetto alle esigenze di un’Università in continua espansione, l’ateneo commissiona all’architetto Sandro Botta nel 2008 il progetto di una biblioteca centrale appena oltre la ferrovia, in Piazzale Sanseverino, acquistato con i suoi propri fondi (forniti dallo Stato) nel 2002[1]. Le distanze cambiano di poco, la funzionalità rimane la stessa. Senza spiegazioni precise, il Comune ritarda, prende tempo, rimanda indietro il progetto di Botta. Il processo si incaglia fino al 2013, quando un vertice trilaterale tra l’allora rettrice De Pretis, il sindaco di Trento Andreatta e il vicepresidente della Provincia Pacher, decide per l’abbandono del progetto su Sanseverino e apre allo spostamento nel quartiere Albere, al posto del centro congressi[2]. Nel Consiglio di amministrazione dell’ateneo, la rettrice “alla luce della nuova ipotesi di realizzazione della nuova biblioteca di ateneo nel quartiere ‘Le Albere’ recentemente emersa, propone al consiglio di amministrazione di valutare l’opportunità di richiedere una sospensione della pratica edilizia”[3]. Proposta approvata all’unanimità, compreso l’allora rappresentante degli studenti, facente parte di una coalizione oggi ancora nella maggioranza (si fa per dire, considerando che i votanti sono stati il 21% degli aventi diritto nel 2014 e 31% nel 2016, un successone, secondo la coalizione vincitrice – UDU e UniTin, poco più del 10% ognuno).
Passiamo alla capienza. Il progetto originario di Sandro Botta variava da 1212[4] a 900[5] posti studio. Parte del progetto era il mantenimento dei posti auto del “piazzale Sanseverino”, che sarebbero stati interrati in più piani. La BUC aperta nel quartiere Le Albere viene pubblicizzata con l’altisonante articolo del webmagazine dell’UniTn del 7 ottobre 2014 (non più consultabile, ma in parte reperibile nel testo di De Bertolini) come un successo da addirittura 500 posti[6] poi magicamente corretto in 430[7] (tra la metà e un terzo del progetto originario, per un costo di due terzi rispetto al progetto di Botta). Non solo, i posti auto sono stati sostituiti da scaffali e postazioni interrate in una zona ad alto rischio inondazione del fiume Adige, una possibilità stimata nell’ordine una ogni 30 anni circa, in cui le prime vittime sarebbero i libri stessi, con buona pace della priorità allo studio[8]. Insomma, almeno 500 posti in meno rispetto al progetto precedente, tanto che nel periodo in cui si decise lo spostamento da Sanseverino a le Albere si disse che bisognava far fronte al ridimensionamento tramite futuri progetti nell’area Trento Fiere (tra le altre cose di sale studio e mense) che latitano tutt’ora3.

  • E la Provincia… NON PAGA

Perché latitano? Cercando di non essere proliss@, possiamo dire che gli articoli del Corriere del Trentino delle ultime settimane possono fornirci una sintesi qui riassunta: La Provincia non paga.
Da sei anni a questa parte la provincia ha mancato di pagare la sua parte di pagamenti all’Università, risultando in una mancanza di 200 milioni di euro. Dal 2010, per essere precis@, anno di inizio della delega (o provincializzazione) dallo Stato alla Provincia dell’onere di finanziamento. Cioè da quando buona parte del finanziamento pubblico dell’Ateneo di Trento non deriva più dal Ministero dell’istruzione ma dalla Provincia Autonomia di Trento. I circa trenta milioni l’anno che la PAT deve all’università, come stabilito, non sono arrivati all’Ateneo. Nemmeno un euro. MAI. Il risultato è che l’Università ha campato con gli “spiccioli” del Ministero e ha iniziato ad utilizzare i fondi di cassa, i risparmi, ha persino prosciugato il fondo per le borse per studenti meritevoli e ha persino avviato dei prestiti, l’ammontare dei quali non è dato sapere per ora.
Un fatto gravissimo.
Ancor di più se, ha detta del rettore Collini, a fronte di questo ENORME buco in bilancio, l’unico effetto negativo della provincializzazione dell’ateneo è relativo “ai ritardi circa l’edilizia universitaria”, riferendosi certamente al progetto di Trento Fiere. Dichiarazioni un po’ idiote, certamente miopi e probabilmente non sincere, di comodo, dato i conti in rosso che si ritrova l’università per colpa della Provincia. Solo ora capiamo l’aumento di 800 mila euro delle tasse universitarie: la Provincia non paga, l’università è in rosso e anziché battere i pugni sui tavoli di chi di dovere, si aumentano le tasse agli studenti e alle studentesse.

Veniamo al punto: perché il Collettivo Universitario Refresh ha manifestato la sua contrarietà verso la BUC? Perché la BUC è stata usata per arricchire chi già è ricco. Tutto il processo di costruzione del quartiere Le Albere ha seguito questa istanza e lo spostamento della BUC da Sanseverino a Le Albere è inserito nella stessa logica. Il ridimensionamento della biblioteca (della metà almeno) è stato inserito esclusivamente entro logiche di gentrificazione urbana e speculazione edilizia che vanno ad arricchire le solite famiglie ed imprese della borghesia trentina e della Chiesa Cattolica (che detiene circa il 30% del patrimonio immobiliare della provincia, giusto per ricordarlo) tramite lo strumento numerose volte dimostratosi fallimentare del project financing. Fallimentare dal punto di vista del bene pubblico e del risparmio, ovviamente, visto e considerato che alla fine i soldi pubblici vanno sempre a risolvere i buchi degli investimenti privati.

Perché il Collettivo Universitario Refresh ha occupato il CIAL? Perché è stato chiuso senza motivazioni plausibili per evitare che l’apertura della BUC fosse un fallimento. Anche chi lavora al CIAL fatica a comprendere la riduzione degli orari, spiegabili solo con il fatto che si doveva dimostrare subito il successo della BUC, una biblioteca sottodimensionata, raccontata bene, bella e lucidata a dovere. Questo è il motivo per cui il CUR ha occupato il CIAL: per riappropriarsi di uno spazio universitario produttivo e funzionale, nonostante le sue ridotte capacità.
Il risparmio (di un terzo) tanto declamato da chi quella biblioteca l’ha voluta (e chiamiamoli con il loro nome, UDU e UniTin, che prima hanno votato per tale scelta e ora la giustificano) è servito agli studenti e alle studentesse? Considerato il fatto che per due terzi dei costi si è costruito un contenitore della metà, senza posti auto ed a rischio inondazione: no.
Ma se non è servito a loro, a chi? Questo bisognerebbe chiederlo a chi si è sperticato in sotterfugi a porte chiuse per spostare la BUC, da UDU-UniTin alle imprese e famiglie della borghesia trentina e nazionale. La risposta è facilmente intuibile, ma la lasciamo a voi.

Una biblioteca è un contenitore. Questo contenitore è stato costruito e noi come universitar@ che hanno contribuito alla sua realizzazione, pur senza il nostro consenso, vogliamo farne parte, ma solo alla condizione di non essere usat@ come fotografia per apparire nei begli spot per pubblicizzare un’azienda di lauree che vuole vendersi sul piano nazionale ed internazionale come aggregatore di capitali e di persone di una certa estrazione. Vogliamo un’università per tutt@ quell@ che vogliono studiare, per tutt@ i/le cittadin@ e non cittadin@. Per tutt@ quell@ che vogliono un’università che non fa differenze sul reddito, per tutt@ quelli che vogliono sapere.

[NOTE]

[1] “Il pasticciaccio brutto della biblioteca”, in Questo Trentino, n. 11, novembre 2013.

[2] Ibidem.

[3] L’affare ex michelin, De Bertolini 2016, Altrotrentino Società Cooperativa.

[4] “Il pasticciaccio brutto della biblioteca”, in Questo Trentino, n. 11, novembre 2013.

[5] http://www.questotrentino.it/articolo/14018/il_pasticciaccio_brutto_della_biblioteca.htm.

[6] L’affare ex michelin, De Bertolini 2016, Altrotrentino Società Cooperativa, p. 92.

[7] http://webmagazine.unitn.it/news/ateneo/12202/inaugurata-la-biblioteca-di-ateneo-sette-piani-430-postazioni-e-480mila-volumi.

[8] Parere espresso da architetti presenti alla conferenza di Questo Trentino il 28 novembre 2016 presso la Facoltà di Economia di Trento a cui abiamo partecipato