Nell’università delle eccellenze i posti studio non sono un diritto

 

È già passato un anno dal provvedimento che ha portato alla riduzione dell’orario di apertura della Biblioteca Cavazzani (CIAL) in seguito all’apertura della BUC e come studenti e studentesse di questo ateneo anche quest’anno ci siamo trovat* a fronteggiare la carenza di aule studio. Un problema che certo non è nuovo, ma che si fa sentire ogni anno di più, pronto ad esplodere con la puntualità della sessione. Come CUR-Collettivo Universitario Refresh-, l’anno scorso abbiamo ottenuto la riapertura del CIAL di via Verdi, invitando studenti e studentesse a proseguire nello studio, garantendo noi l’apertura prolungata dell’aula studio. Tuttavia il taglio di 150 posti è stato imposto con rigoroso successo anche quest’anno e il Rettore, pur riconoscendo il problema dei posti studio come reale, continua a prendere decisioni escludendo la maggioranza della componente universitaria e proponendo soluzioni-tappabuco provando a far tacere le lamentele.

Quest’anno nuovamente ci ritroviamo con lo stesso problema, visibilmente aggravato dalla chiusura di alcune aree della BUC in determinati orari (la sera e durante i weekend). Abbiamo dunque sentito l’esigenza di riprendere in mano la questione e di confrontarci per capire come rompere questo silenzio, intraprendendo così un lavoro di inchiesta che ci ha messo di fronte a numeri alquanto preoccupanti: nell’ateneo trentino le iscrizioni ammontano a 16396 studenti e studenetesse e i posti studio disponibili nel polo di città sono solamente 1777. È nata così l’idea di raccogliere firme, opinioni, lamentele e desideri nelle varie facoltà del centro e davanti alle biblioteche provando ad immaginare un percorso collettivo che miri alla risoluzione del problema dei posti studio, rivendicando, soprattutto durante i momenti in cui l’esigenza è maggiore, la necessità di maggiori spazi adatti allo studio. In centinaia, per la precisione 300, hanno accolto la nostra idea, condividendo la nostra proposta inclusiva e percependo la questione aule studio come un problema risolvibile. Ciò che ora vogliamo fare è confrontarci con chi ha firmato e con chi avrebbe voluto farlo, vedendosi negato un diritto, al pari di borse di studio e posti alloggio. Per farlo abbiamo deciso di organizzare un momento di confronto aperto e libero in università, Martedì 13 febbraio, alle 18.00 nella facoltà di Sociologia, affrontando il tema delle aule studio e, più in generale, del diritto allo studio. Condividendo assieme l’idea di un’università costruita sulle esigenze di chi la attraversa e non di chi la amministra.

  

Da Lettere alla Scaletta, lo stesso paradigma escludente.

Al secondo piano della Facoltà di Lettere e Filosofia esposte sul lato Ovest sono presenti, tra le altre, due particolari fotografie. 

Entrambe in bianco e nero, rappresentano due momenti di libera aggregazione e socialità studentesca di una Trento ormai lontana nel tempo. La prima è una veduta di piazza S.Maria ripresa a livello del terreno dove si contano numerosi probabili studenti e studentesse sedute per terra con qualche birra in lattina, magari accompagnata da un buon numero di sigarette. L’altra è un’istantanea della folla che si radunava in Vicolo Colico, davanti all’Ex bar Accademia, dove spesso si rimaneva irretiti e costretti a rallentare il passo per poter procedere oltre.

A fianco di queste due fotografie, poco più a sinistra, sono presenti i bagni dell’ateneo. Sulla maniglia della porta di questi, come di altri servizi della facoltà, ci sono i dispositivi di lettura del badge universitario, che permettono o meno l’accesso. Praticamente per andare a pisciare è necessario esibire un documento.

Ebbene, cosa lega una porta ad apertura elettronica con due fotografie in bianco e nero appese ad un muro nemmeno troppo in vista? Vediamo di procedere con ordine, partendo dalla porta, per poi aprire un portone. 

Lo scorso 3 Dicembre, dalle pagine di un noto quotidiano locale1, il Direttore di Dipartimento di Lettere e Filosofia Fulvio Ferrari spiegava i motivi di un provvedimento preso in seguito ad un fatto accaduto qualche tempo prima: un eroinomane era stato rinvenuto in una pozza di sangue dentro ad un bagno della facoltà. In seguito a questo fatto, 15 bagni su 20 sono stati chiusi, lasciando “accessibili” solamente quelli con apertura elettronica tramite badge che, in caso di momentaneo smarrimento, poteva essere sostituito dall’esibizione di un documento d’identità presso la segreteria. Succede così che un gruppo di studenti di lingue moderne si lamentino di questo provvedimento, chiamando in causa il Corriere del Trentino, che a sua volta chiede spiegazioni a Ferrari il quale dice che quello dell’eroinomane è solo l’ultimo di una serie di episodi “sgradevoli” che costringono a chiudere i bagni. Gli studenti in questione infatti danno corda e rincarano dichiarando che di “frequentazioni a rischio di persone poco per bene, quali eroinomani o prostitute² che spesso si trovano nelle panchine al di fuori dell’edificio” se ne vedono fin troppe. Tant’è che “l’ultima cosa desiderata -da Ferrari- era quella di militarizzare l’ateneo” ma che per loro “anche se il Dipartimento è un luogo pubblico questo non vuol dire automaticamente dire che ci possa entrare chiunque” e che pertanto “sarebbe opportuno che chi di competenza prendesse seri provvedimenti, che vadano al di là della chiusura dei servizi igienici”. A queste si aggiungono le dichiarazioni allucinanti³ del sindacato studentesco, l’Udu, che assieme al rappresentante degli studenti di Lettere, Masseo Purgato, dichiara: “Il consiglio è quello di farsi il badge”. Quindi Crotti, presidente del consiglio degli studenti: “Se il Comune non interviene in modo fermo per risolvere la situazione di degrado in cui versa la zona della Portella e Santa Maria, dove è situato il dipartimento, noi possiamo fare bene poco, se non presidiare gli spazi.”
Dichiarazioni che sembrano quasi suggerire l’attuazione di una sorta di Daspo Accademico -se non urbano- nei confronti degli indesiderat*. Interessante cambio di rotta rispetto alle posizioni antibadge che nel 2014 solcavano tra Udu e Atreju un divario che in campagna elettorale faceva comodo mantenere.
Ora, premettendo che eravamo rimast* a quando “pubblico” voleva dire di tutt*, ci rattristiamo ancora una volta nel vedere come sex worker e tossicodipendenti vengano trattati da pericolosi criminali “poco per bene” che minacciano la sicurezza e la tenuta democratica dell’ateneo tutto a tal punto da richiederne l’allontanamento con “seri provvedimenti”, dopo aver negato loro l’accesso ai bagni. A questo punto però, immaginando già la polemica sterile pronta a sentenziare a riguardo, è doveroso per noi concedere che ritrovarsi una persona in una pozza di sangue nel bagno non sia una situazione facile da affrontare. Tuttavia ciò che più turba i nostri brevi sonni non è tanto la risposta repressiva e punitiva dell’istituzione-università che, come ha già sottolineato Ferrari, adotta una soluzione tampone, ma è l’approccio degli studenti e delle studentesse alla questione. L’assenza di un’interazione critica orientata alla comprensione, che dovrebbe spingere a interrogarsi sul perché l’ateneo sia frequentato non solo da student*, è figlia di un distaccamento dell’Università dai problemi sociali. A onor del vero, un radicale sovvertimento della società e delle istituzioni è stato perseguito da studenti e studentesse in passato. Ma, se è vero che l’Ateneo in primis ha in più occasioni cercato di inquinare e depotenziare la memoria storica e collettiva della contestazione del ’68 che partì proprio dall’occupazione del Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale nel ’66 (la prima in Italia), dall’altra parte non è perdonabile che la componente studentesca che tutti i giorni attraversa il piano terra di Lettere non si interroghi sui motivi delle agitazioni raffigurate nelle gigantografie dell’epoca. Ve n’è una in particolare di Giorgio Salomon esposta nell’atrio di Lettere: gli ultimi due a destra sono Marco Boato e Mauro Rostagno.

La memoria collettiva ricorda come studenti e studentesse di allora avessero a cuore proprio il tema del sapere: come viene elaborato, trasmesso, a cosa e a chi serve, quali i suoi rapporti con la società e con il potere. Sorge quindi spontaneo chiedersi quando l’impeto d’indagine critica della realtà sia stato ucciso dentro l’università. Forse quando si è preferito affiggere Rostagno sui muri di Lettere, salvo poi relegarlo al secondo piano di Sociologia. Quand’è successo che gli studenti e le studentesse, oltre che l’Università come calderone di saperi, hanno cominciato a chiudere gli occhi di fronte alle dinamiche che portano alle dipendenze o ai ricatti giocati sui corpi delle donne che lavorano davanti alla facoltà? Forse quando studiare è diventato un mezzo e non un fine. Un mero passaggio di acquisizione nozionistica per poter ottenere CFU.

Da qui si apre il portone. Il bianco e nero che tinge gli ormai ex frequentatori e frequentatrici di Santa Maria e della vecchia Accademia è lo stesso che tinge le prime linee di Rostagno e Boato. La scelta stilistica sembra quasi voler suggerire la medesima dislocazione temporale di due momenti in realtà separati da una manciata di decenni: il passato. La piazza che una volta era affollata da studenti e studentesse sedut* a sorseggiare birra d’asporto oggi è perennemente vuota, eccetto durante il periodo natalizio. Come scomparsa è anche la gioventù che riempiva Vicolo Colico e che ora invece riempie le cantine del nuovo locale. Per divertirsi a Trento occorre andare sottoterra. Lontano dagli occhi, lontano da tutto. Pertanto chi, tra gli studenti e le studentesse, si azzarderebbe oggi a dire che l’ennesima limitazione di un’attività commerciale (come la Scaletta) a causa del “degrado” studentesco sia giusta? Qualche manciata di firme è stata sufficiente per imporsi su un più grande numero di utenti dell’unico bar non sotterraneo aperto dopo le 22.00 e costantemente frequentato. Non è poi così distante il momento in cui a fianco di Santa Maria e a Vicolo Colico verrà affissa anche la foto della Scaletta piena. Sia chiaro: lungi da noi tutelare l’immagine e il nome di un’attività commerciale che in fin dei conti mira solo a far soldi e che della condizione studentesca poco gliene cale. Potrebbero esserci centinaia di settantenni ubriach* in via Santa Maria Maddalena, e non cambierebbe di molto. La socialità studentesca non si dispone attorno alla frequentazione di attività commerciali, ma al contrario è la presenza di universitar* nelle strade che favorisce i bar e i circoli. Anzi, li tiene proprio in vita.
Tuttavia, non si può però a questo punto non puntualizzare riguardo a queste dinamiche repressive: l’attacco ad eroinomani e sex worker in un’università e la marginalizzazione di studenti e studentesse dalle vie notturne della città sono approcci escludenti. C’è una continuità nelle pratiche repressive messe in campo dalle istituzioni che detengono il potere amministrativo e politico degli spazi pubblici (Comune e Università). Le misure adottate non tengono conto dei bisogni e delle necessità delle persone, oltre che delle dinamiche sociali ed economiche che costringono a vivere in strada o sotto ricatto. Chi studia invece, chi indaga la realtà, chi si interroga e non accetta una trasmissione mummificata del sapere dovrebbe farlo. C’è bisogno, oggi più che mai, di rimettere in discussione temi cruciali del sapere e del potere. È una necessità impellente, che fa mancare il respiro. Con quale legittimità ci si può oggi lamentare della chiusura di un bar a causa della “molestia alcolica” procurata mentre allo stesso tempo si auspica un’espulsione di soggetti sgradevoli dalle nostre facoltà? L’università e il comune stanno applicando lo stesso paradigma di esclusione degli indesiderat*. Solo che vi è un cortocircuito, una miopia, una contraddizione di pensiero quando si applicano due atteggiamenti diversi davanti ad un’unica e uguale repressione. Non la si può legittimare da un lato e condannarla dall’altro. Serve riacquistare una coscienza studentesca, che nasca dalla condivisione di saperi e opinioni e che sappia indirizzare la propria rabbia verso l’alto, verso chi ogni giorno perpetua un giogo fatto di restrizioni e aumenti delle spese, non verso chi sta peggio. C’è un filo rosso che colora il bianco e nero delle fotografie di Rostagno e di Santa Maria ed è il filo che solo una componente studentesca ribelle, critica e consapevole sa tessere. Non siamo numeri di matricola, non siamo solo utenti di un bar, non siamo portafogli da svuotare in tasse e affitti. Siamo corpi e teste pensanti e come tali pretendiamo di avere voce in capitolo su come viviamo la nostra quotidianità, ma soprattutto su come vivremo il nostro futuro.
Il primo filo è stato teso, il prossimo lo intrecceremo nelle lotte.
NOTE:

(1) https://www.pressreader.com/italy/corriere-del-trentino/20171203/281530816348673

(2) Da questo punto in poi sostituiremo il termine prostituta con quello di sex worker in ragione dei seguenti motivi:

  1. Etimologia del termine prostituta, dal latino prostĭtŭĕre: 1. mettere davanti, esporre 2. prostituire 3. disonorare. L’ultima voce suggerisce un’accezione marcatamente negativa del termine.
  2. Il termine sex worker non si connota moralmente, né dal punto di vista di genere (diversamente potremmo dire invece per l’italiano lavoratrice/lavoratore del sesso), include il riconoscimento di un’attività che investe tempo ed energie (lavoro) anche se spesso priva di tutele, contratto e salario.

(3) https://www.pressreader.com/italy/corriere-del-trentino/20171124/281535111298125

Più posti studio in UNITN- PETIZIONE

Si avvicina la sessione d’esame e ricomincia il teatrino dell’assurdo. Tra gennaio e febbraio 2017 fu l’aula studio dell’ex Cavazzani di via Verdi. In queste settimane di primo inverno è la volta della nuova e fiammante Biblioteca Universitaria Centrale (B.U.C.) posta nello scintillante quartiere delle Albere. Nell’arco di un anno è la seconda volta che esplode il problema del numero di posti studio che l’Ateneo è in grado di offrire alle studentesse e agli studenti. Nonostante, come da consuetudine, la questione anche questa volta sia stata risolta con soluzioni temporanee è ormai impossibile nasconderlo e nessuno, nemmeno Rettore e rappresentanze studentesche maestri in equilibrismo, tenta più di farlo. L’Università degli Studi di Trento ha una carenza strutturale di posti studio e non riesce a soddisfare la richiesta delle universitarie e degli universitari, ponendo un non trascurabile problema di diritto allo studio.

Proviamo, però, a procedere con ordine. I primi giorni di novembre le studentesse e gli studenti dell’Ateneo hanno ricevuto una mail dal Servizio Bibliotecario dell’ Università in cui si annunciava la chiusura, a partire da 6 novembre 2017,  del quarto piano e del cubo piccolo della BUC dopo le 20:00 dal lunedì al venerdì e la chiusura totale al pubblico degli spazi appena citati il sabato e la domenica. La causa della perdita di 150 posti studio alla Biblioteca d’Ateneo è la carenza del personale di sorveglianza, infatti mancano quattro addett* senza le o i quali non verrebbero rispettate alcune norme di sicurezza stabilite dalla legge. Il 12 novembre 2017 la notizia è approdata sulla stampa locale portando alla luce una situazione di carenza di posti studio che, come studentesse e studenti del Collettivo Universitario Refresh, avevamo già denunciato a febbraio 2017 con l’occupazione e la riapertura del Cial per poter garantire uno spazio in cui poter studiare durante la sessione d’esame. In risposta alla nostra azione l’Ateneo si affrettò a dichiarare che con l’apertura della Biblioteca Universitaria Centrale si sarebbe risolto tutto. Secondo quanto dichiarato la BUC sarebbe diventata l’aula studio del polo di città aperta fino alle 23:45 mentre la sala ex Cavazzani, nonostante la riduzione degli orari rispetto a prima dell’inaugurazione della BUC, avrebbe guadagnato ulteriori postazioni una volta terminato il trasloco dei libri e degli scaffali a vista presenti. La situazione si tranquillizzò e l’impressione che il problema fosse finalmente risolto si diffuse. Dopo i recenti fatti, però, è ormai chiaro che la carenza di posti studio nell’Ateneo è stata solo nascosta grazie a soluzioni tampone, ma non ancora risolta. Per ovviare al problema dei 150 posti studio Ateneo e rappresentanze studentesche hanno individuato una nuova soluzione tampone recuperando la gran parte dei posti persi alla BUC nella sala studio di Economia in Via Inama. Una volta individuato il palliativo il Rettore ha colto l’occasione dell’attenzione pubblica sul tema degli spazi universitari per richiedere a gran voce al Comune di Trento  il passaggio di proprietà dell’ex Cte per soddisfare la fame di posti studio delle studentesse e degli studenti. La mossa di Collini ha spostato l’attenzione dal presente a un futuro prossimo permettendogli di far tornare momentaneamente  sotto silenzio la carenza di posti studio di cui risente l’Ateneo.

Le ultime mosse del Rettore avranno rassicurato le rappresentanze studentesche e parte della comunità universitaria ma su di noi hanno subito ben poco effetto, anzi hanno confermato ciò che da tempo andiamo dicendo. La gabbia dorata dell’Ateneo trentino, possibile grazie alla provincializzazione, è solo retorica. Sono solo chiacchere comode per anestetizzare qualsiasi possibile dissenso. La realtà è ben diversa. La verità è che all’Università degli Studi di Trento si cominciano a vedere alcune crepe che minacciano proprio ciò di cui questo Ateneo più si vanta. Il diritto allo studio.

I posti studio possono sembrare non rientrare all’interno di questa categoria ma così non è. Come Collettivo Universitario Refresh riteniamo inaccettabile che per l’ennesima volta sia scoppiata l’emergenza posti studio nell’Ateneo trentino. Di promesse vecchie e nuove da parte della governante dell’Università ne abbiamo le tasche piene. Non siamo più dispost* ad accettare supinamente l’ennesima soluzione palliativo in tema di posti studio per vedere nelle vicinanze della prossima sessione d’esame la riemersione del problema. Sappiamo bene che la situazione delle aule studio è una questione molto cara alla comunità universitaria e noi, in quanto studentesse e studenti, la sentiamo altrettanto per questo abbiamo deciso di aprire una campagna sul problema della carenza dei posti studio all’interno dell’Ateneo. Questo sarà un percorso aperto e invitiamo tutt* coloro che hanno a cuore l’argomento a mobilitarsi e a partecipare. Questa campagna terminerà quando sarà colmata questa carenza e continueremo a tenere alta l’attenzione sul tema fino a che sarà necessario. Il primo passo di questo perso è il lancio di una raccolta firme per permettere a tutt* attraverso una semplice firma di poter esprimere la vostra voce e la vostra richiesta di vedere definitivamente risolta la carenza di posti studio.

Troverete la petizione a tutti i banchetti che, come Collettivo Universitario Refresh, da oggi organizzeremo in Università. Nel caso in cui ci fosse qualcun* a cui la firma non basta e abbia voglia di mettersi in gioco di più, se volete ci trovate tutti i martedì alle 20:00 in assemblea presso il dipartimento di Lettere e Filosofia

Solo noi direttamente possiamo riprenderci ciò che ci spetta.

CONOSCERE PER CAPIRE: DOSSIER SULLE ALBERE

REAL ESTATE UNITN
Stralci di inchiesta sui tramacci immobiliari dell’Università di Trento
Nei prossimi giorni pubblicheremo una serie di dossier frutto di un lavoro di inchiesta per provare a fare un po’ di luce su alcune vicende che hanno visto o vedono tuttora coinvolta l’Università di Trento.
Nel corso degli ultimi anni l’Ateneo è stato sempre più frequentemente coinvolto nei progetti di riqualificazione urbana delle aree circostanti il polo universitario di città. Il caso dello spostamento della Biblioteca Universitaria Centrale nel quartiere de Le Albere, benchè al momento possa essere il più noto, non è il solo: altri casi stanno emergendo pubblicamente. Ma è davvero tutto oro quel che luccica? Possiamo davvero fidarci fino in fondo delle motivazioni ufficiali addotte per giustificare l’acquisizione della sede di Trento Fiere o la costruzione di un nuovo studentato nell’area ex Italcementi a Piedicastello? Oppure c’è dell’altro che non si vuole emerga pubblicamente?
Da queste domande prende le mosse il percorso di ricerca che, come Collettivo Universitario Refresh, abbiamo deciso di intraprendere con lo scopo di provare a vederci un po’ più chiaro per quanto riguarda i progetti in cui investe UniTn, provando a ricostruire genesi, criteri e modalità di tali scelte.
Si potrebbero prendere in esame molti degli affari immobiliari che hanno coinvolto l’Ateneo dal momento della sua fondazione, tuttavia questo lavoro di inchiesta si concentrerà in primo luogo sui più recenti, vale a dire quelli che mostrano in modo più lampante l’influenza che la Provincia Autonoma di Trento ha esercitato sull’Università in seguito all’Accordo di Milano (2010), che ha portato alla provincializzazione dell’Ateneo. Naturalmente siamo ben coscienti che i progetti immobiliari che hanno coinvolto  – e coinvolgeranno- Unitn su alcune aree della città di Trento costituiscono uno
dei tanti aspetti delle trasformazioni innescate dalla provincializzazione nell’Ateneo trentino. Pertanto questo lavoro d’inchiesta rappresenta una piccola parte del lavoro politico che, a colpi di lotta e controinformazione, il Collettivo Universitario Refresh ha condotto, conduce e condurrà all’interno dell’università che come studentesse e studenti quotidianamente viviamo e attraversiamo.
CONOSCERE PER CAPIRE: DOSSIER SULLE ALBERE

Questo dossier si propone di approfondire un tema che negli ultimi anni ha spesso trovato spazio nelle prime pagine dei quotidiani locali: il quartiere delle Albere, tra ammirazione e scandalo, ha sempre trovato il modo di far parlare di sé.

Il testo che segue è frutto della fusione di articoli e comunicati ufficiali che abbiamo deciso di mettere insieme affinché risultasse più semplice per tutte e tutti comprendere in che modo il quartiere delle Albere rappresenti una delle croci e delle delizie della città di Trento.

L’ex – Michelin: dalla fabbrica alle Albere

(Area Ex-Michelin)

L’area che noi oggi conosciamo come “quartiere delle Albere” in passato ospitava la fabbrica della Michelin, che nel 1998 chiuse i battenti per spostarsi altrove. Prima di andarsene, la Michelin propose al Comune di Trento di acquistare l’area di 11 ettari che ospitava lo stabilimento al prezzo vantaggioso di 25 milioni di euro (vantaggioso perché il terreno era stato valutato per poco meno del doppio della cifra). L’amministrazione comunale, al tempo capeggiata dalsindaco Dellai (1), declinò l’offerta per mancanza di fondi, senza però precludersi la possibilità di fantasticare su come evitare la perdita di un’area che per lungo tempo aveva contribuito a caratterizzare la vita della città. Mentre da un lato furono elaborati i documenti atti a indirizzare la trasformazione dell’area (polo sportivo, zona verde, centro culturale), dall’altro si costituì la società Iniziative Urbane, espressione di una partnership tra pubblico-privato che tra gli azionisti vantava la Fondazione Caritro (2), la Sit (ora Trentino Servizi(3)), l’Isa (4) e l’Itas (5). L’amministrazione comunale provò dunque a promuovere un’iniziativa con protagonisti per lo più appartenenti al settore privato, aspirando però a ottenere riscontri e benefici per il settore pubblico. Nell’accordo che preannunciò l’acquisto dell’area, l’amministrazione lasciò alla parte privata un notevole potenziale edificatorio, ricevendo a vantaggio della proprietà pubblica la cessione e la costuzione del parco e del polo museale. All’acquisto seguì la ricerca di un progetto che riuscisse a tenere insieme le esigenze di tutte le parti: in primo luogo l’esigenza dei privati che, investito il capitale, aspiravano a trovare una soluzione che permettesse loro di rientrare nelle spese con ampi margini di guadagno; in secondo luogo le esigenze dell’attore pubblico che intendeva valorizzare l’area in senso culturale, prevedendo un’area verde. Dopo un primo tentativo di ricerca tra i progettisti di zona da parte del Comune, la società Iniziative Urbane decise di interpellare l’archistar Renzo Piano, al quale fu affidata la progettazione della zona residenziale delle Albere e il MUSE (quest’ultimo costato circa 70 milioni di euro). In un primo momento la costruzione del Centro Congressi non fece parte dei piani, ma vi entrò nell’agosto 2012, quando si venne a sapere che la Provincia intendeva acquistare (come poi ha fatto) l’area a sud confinante con le Albere. Fu a quel punto, dopo l’acquisto, che nacque l’idea del Centro Congressi. Con un pizzico di malizia si potrebbe pensare che l’acquisto dell’area “per farci qualcosa” nascondesse in realtà il tentativo di rilanciare il residence delle Albere, il cui bilancio già all’epoca dava segni negativi (pochi appartamenti venduti e molti ancora da costruire). Malizia o no, Renzo Piano accettò di progettare il Centro Congressi, struttura che, a detta di Dellai (adesso alla PAT), avrebbe completato la presenza del MUSE, trasformando l’area in un vero e proprio polo culturale… la cui costruzione si aggirava attorno ai 30 milioni di euro.

Andando oltre l’interpretazione dei fatti, ciò che è certo è che i soldi che il Comune non aveva a disposizione per acquistare l’area della Michelin nel 1998 (25 milioni di euro) furono in realtà spesi in misura maggiore dalla PAT; basti pensare all’acquisto del terreno, alla costruzione del Centro Congressi (circa 30 milioni) e alle opere accessorie legate al nuovo polo residenziale-culturale a carico del Comune (ad esempio: il sottopasso del MUSE e i nuovi argini dell’Adige).

(Vista del quartiere (odierna) )

Il quartiere “Le Albere”

Le Albere è un quartiere residenziale composto da 304 appartamenti di lusso, i cui costi si aggirano intorno ai 4.500 – 4.700 euro a metro quadro; conta circa 2 mila posti auto interrati, 5 ettari di parco, 18 mila mq di uffici, 9 mila mq di negozi, 28 mila mq di viali, piazze e canali d’acqua. A nord del quartiere vi è il MUSE, mentre a sud vi sono l’ex Centro Congressi ora riadattato a Biblioteca Universiatria Centrale e un hotel a 4 stelle. Il tutto coronato da un investimento pari a 450 milioni di euro totali, spesi in parte da Iniziative Urbane e in parte dalla PAT. Nel piano di rientro delle spese qualcosa va storto.

Dal 2010 (anno in cui sono stati messi in vendita i primi appartamenti) al 2014, solo 30 dei 179 appartamenti già finiti e sul mercato sono stati venduti e 125 sono ancora da costruire. Situazione questa che, possiamo immaginare, preoccupa non poco gli investitori. Data la situazione di difficoltà, Dellai (già alla PAT), decide di intervenire (forse perché si sentiva in parte responsabile dell’odorato flop vista la genesi di Iniziative Urbane?). Nel 2011 propone di acquistare un certo numero di appartamenti alle Albere per trasferirvi una parte di uffici della Provincia in quel momento in immobili in affitto. Proposta insolita e forse esagerata (e fortunatamente mai approvata), visti i prezzi elevati degli appartamenti alle Albere, e decisamente spropositati per degli uffici pubblici.

Per affrontare la “crisi”, nel 2014 da un lato aumentano il numero degli appartamenti in affitto (e non più in vendita) e si sperimentano nuovi metodi di acquisto (rent&buy (6)), nella speranza di rilanciare il mercato immobiliare delle Albere; dall’altro si esulta per l’apertura delle sedi Itas, Isa (per un totale di 350 lavoratori) e di un hotel 4 stelle e per la futura apertura della Biblioteca di Ateneo… al posto del Centro Congressi. Che l’intenzione sia quella di riempire la zona di “servizi” (siano essi uffici, negozi, biblioteche o hotel poco importa) per rendere più appetibili i lussuosi appartamenti ancora vuoti?

La Biblioteca di Ateneo

(Plastico della biblioteca- Botta)

Per capire bene la relazione Albere – Biblioteca bisogna fare qualche passo indietro. Nell’ottobre del 2002 l’Università, per 5.667.000 euro, acquista dal Comune Piazzale Sanseverino e chiede a Botta (già architetto del MART e di Giurisprudenza) di progettare una nuova struttura, una grande Biblioteca di Ateneo, capace di riunire al suo interno la grande collezione di volumi oggi sparsi in più di una sede al centro della città e di aumentare gli spazi di studio e consultazione a disposizione di studenti e studentesse. Il progetto elaborato da Botta, costato poco più di 500 mila euro, prevede una grande struttura triangolare, con fronte sull’Adige, tutta incentrata sul concetto di “libro aperto”, al fine di dare spazio visivo e liberare dagli interrati la famosa collezione di libri dell’Università trentina. Finito il progetto, accettato con entusiasmo dai dirigenti d’Ateneo, l’iter di approvazione del progetto e di avvio dei lavori diventa (inspiegabilmente) monumentale.

Il Comune non concede deroghe e, più e più volte, rimanda indietro il progetto della nuova biblioteca, anche omettendo le motivazioni di tale comportamento. Arriva anche a ipotizzare la possibilità di spostare la nuova biblioteca da San Severino al palazzo delle poste.

I tempi si dilatano fino all’anno 2013, quando un vertice trilaterale fra Daria De Pretis (rettrice), Alberto Pacher (vice presidente PAT) e Andreatta 7 (sindaco di Trento), decide di accantonare il progetto di Botta e di trasformare il Centro Congressi (già in costruzione) delle Albere nella futura Biblioteca di Ateneo. La decisione, presa mentre i lavori del Centro Congressi sono in corso già da tempo, è presentata al pubblico come la scorciatoia che permetterebbe di risparmiare i 60 milioni di euro stimati per la costruzione della biblioteca di Botta. Decisione questa che provoca non poco stupore. Da un lato Botta si chiede perché questo problema finanziario non si sia discusso prima, sia in fase di progettazione che dopo, essendo per lui possibile rivedere il progetto iniziale e renderlo meno costoso; dall’altro ci si chiede se non ci sia un conflitto di interessi nella decisione in sé, visto che la rettrice De Pretis, quando si decide per lo spostamento, è azionista per 170.000 euro dell’Isa, a sua volta azionista di Iniziative Urbane, SpA proprietaria delle Albere, in quel momento in perdita.

Al di là delle interpretazioni, più o meno maliziose, i fatti parlano di un’Università che, dopo questa decisione, va in perdita. Botta infatti aveva progettato una biblioteca per 500.000 volumi a scaffale aperto (caratteristica fondamentale), alle Albere ci saranno ancora i 500.000 volumi, ma non è chiaro quanti a scaffale aperto; i metri quadri passano da 12.000 a 9.000, dei quali veramente utilizzabili 8.000 per Botta e 7.000 per Piano (di cui una parte è nell’interrato); e soprattutto i posti di consultazione informatizzati passano da 900 a 400.

(Disegno biblioteca- Piano)

Per fare parlare ancora i fatti e non “interpretazioni di parte”, riportiamo la questione degli interrati. Renzo Piano prevede una parte della biblioteca sotto terra, eliminando il parcheggio e trascendendo gli standard previsti dal regolamento comunale. Proprio i posti macchina a piazzale Sanseverino erano rietrati tra i motivi di contenzioso tra Commissione urbanistica (Comune) e Università per il progetto di Botta, poiché il progetto di quest’ultimo non rispettava i minimi stalli previsti per legge. In più, la Commissione aveva imposto a Botta di non mettere i libri nell’interrato, in quanto piazzale Sanseverino è situato in una zona a forte rischio allagamento. La biblioteca di Piano, pur risentendo dello stesso problema, non ha ricevuto nessuna segnalazione da parte della Commissione urbanistica del Comune, perciò i libri staranno sotto terra pur non potendoci stare. Al posto di una “cattedrale laica”, alla fine di Via Verdi (proprio all’estremo opposto del Duomo), studenti e studentesse si ritroveranno con un biblioteca decentrata rispetto al centro della vita e della routine universitaria (vedi foto che segue).

Ancora una volta proviamo a fare due conti. Da una nota della PAT del luglio 2014 apprendiamo che la costruzione, compresa di progettazione, della biblioteca Botta era stimata attorno ai 60 milioni di euro. Dallo stesso documento apprendiamo che 32 milioni circa sarebbe costata la costruzione del nuovo Centro Congressi, mentre la riconversione del centro in biblioteca costerà 43 milioni 300 mila euro (aumentati di 1.780.000 di euro nel giugno 2015). Non sappiamo quanto siano costati i lavori dell’ormai abortito Centro Congressi ma, facendo due rapidi calcoli, tra i soldi spesi per comprare il terreno e quelli che dovranno essere spesi per la riconversione, più gli aumenti noti, la PAT dovrebbe sborsare più di 75 milioni di euro per una biblioteca lontana dal suo polo universitario, più piccola e più costosa di quella scartata. Ma non finisce qui.

Nell’ottobre del 2015 Collini nomina Massimo Miglietta, ordinario di Diritto Romano a Giurisprudenza, alla Presidenza del Consiglio di Biblioteca, col preciso incarico di seguire l’apertura della nuova biblioteca alle Albere. Dalle sue dichiarazioni apprendiamo che il piano è quello di spostare tutto il materiale e gli uffici oggi presenti al CLA, e anche le strutture presenti all’ex Lettere, nella nuova biblioteca. Una parte della biblioteca oggi attiva al CLA rimarrà comunque attiva (ma la nuova struttura non aveva il preciso compito di riunire tutte le biblioteche in una unica?!). A questo si aggiunge l’annuncio di un certo numero di navette che la PAT metterà in funzione per trasportare studenti e studentesse dal centro universitario alla biblioteca (alla faccia della sostenibilità ambientale e del risparmio che ha mosso lo spostamento della biblioteca da San Severino alle Albere).

A chiudere questi aggiornamenti, una dichiarazione di Miglietta riguardo il deserto che caratterizza le Albere e alla posizione della nuova biblioteca: “Spetterà a noi poi creare un’offerta di pregio che incentivi gli studenti a fermarsi e a frequentare la biblioteca”. È dunque chiaro che qualcuno, ai vertici dell’Ateneo, si renda conto di  quanto fuori-asse sia la nuova biblioteca. Oltre alle navette, siamo proprio curiosi di scoprire quali saranno questi incentivi.

Considerazioni a margine

Con questo approfondimento abbiamo voluto fare luce su due questioni per noi importantissime.

In primo luogo sul rapporto Università-Provincia: da quanto emerge da questa raccolta di informazioni trovate su giornali e/o documenti di vario tipo, provincializzare l’Ateneo non ha significato solo far dipendere lo stesso quasi esclusivamente dalle casse provinciali; in questa vicenda l’Ateneo trentino sembra essere stato in grado di prendere decisioni per sé solo prima della provincializzazione (vedi l’acquisto di San Severino e la progettazione della nuova biblioteca secondo specifiche esigenze), dopodiché l’impressione che abbiamo è che talvolta questo diventi un accessorio ad uso esclusivo della Provincia. Accessorio che nel caso delle Albere è servito a tappare un potenziale flop provinciale col Centro Congressi in un’area morta della città e come strumento per sostenere e rilanciare un quartiere tutt’oggi in perdita (obbiettivo già chiaro nella mente della PAT dal 2011, quando voleva comprare alcuni appartamenti alle Albere per farne degli uffici). Sul caso delle Albere, dove non è arrivata la PAT direttamente, la PAT è arrivata indirettamente tramite l’Università. Se l’immagine di un’Università imbrigliata nei giochi di potere ed economici della PAT vi sembra eccessivo, chiariamo subito. Possiamo anche assumere (anche se su questo non abbiamo certezze e dovremmo interrogarci e indagare), che l’Università di Trento sia un polo accademicamente sganciato da chi lo sostiene economicamente: decide la sua didattica, i suoi percorsi di ricerca, le sue relazioni esterne in maniera autonoma. Ma se la PAT, dopo la Provincializzazione, è in grado di determinare economicamente le risorse dell’Università, è possibile che l’indipendenza abbia dei limiti, e che le esigenze economiche e politiche, oltre che ai giochi di potere in cui è coinvolta la PAT, possano ripercuotersi anche sull’Ateneo. Esattamente come è successo nel caso della nuova biblioteca.

Un altro punto che ci preme qui sottolineare è la gestione delle risorse pubbliche. Per quanto ci riguarda, la provincializzazione dell’Ateneo significa che, se non come abitanti di una città dove spesso non abbiamo nemmeno la residenza, come studenti e studentesse possiamo (e dobbiamo assolutamente), interessarci e mettere bocca sul tipo di utilizzo che il pubblico fa delle sue risorse. Il concetto è molto semplice: se tutto esce dalle casse di mamma Provincia (e naturalmente anche dalle tasse che paghiamo come studenti e studentesse), comprese le borse di studio, le fotocopiatrici che usiamo, gli stipendi di chi ci fa lezione etc., allora possiamo e dobbiamo interessarci di come utilizza le sue risorse la cara mamma Provincia. Dalla costruzione di una linea ad alta velocità inutile e pericolosa per ambiente e salute, alla costruzione di un Centro Congressi inutile, alla svendita e/o inutilizzo del suo patrimonio pubblico, quello che è della Provincia riguarda tutte le studentesse e tutti gli studenti dell’Ateneo, siano essi “in sede” o “fuori sede”.

Infine, ciò che “odoriamo” da questa storia e da altre notizie ancora non ufficiali (si veda il possibile nuovo studentato nell’area dell’Ex-Italcementi, faccenda che affronteremo in futuro) è che sia in arrivo il secondo tentativo (dopo quello fatto con la costruzione di San Bartolomeo) di svuotare il centro cittadino dagli studenti e dalle studentesse. Operazione questa che permetterebbe ai cittadini trentini di preservare l’impeccabile armonia e la plastica quiete del centro urbano, pur continuando a guadagnare su studenti e studentesse; inoltre, l’amministrazione si farebbe bella agli occhi degli elettori, continuando a farsi campagna elettorale sulla componente universitaria della città. Posto che non ci consideriamo, come studenti e studentesse, del bestiame da sposare a destra e a manca per pascolare, ancora una volta ci chiediamo: cosa c’è che non va? Forse il fatto che non siamo delle macchine che producono solo ed esclusivamente CFU ricevuti, seminari seguiti, lauree raggiunte in tempi record? Il fatto che vorremmo, alla fine di una giornata, poterci ritrovare in una delle piazze centrali della città, a passare qualche ora fuori dai nostri dipartimenti prima di tornare a casa? Il fatto che la plasticità del centro cittadino alle volte ci sta stretta e che la cosa che consideriamo degradante sono le ronde cittadine e i presidi di polizia nelle piazze? Di domande e possibili risposte ce ne sono tante. Ad ogni modo, i corpi estranei alla città sono altri, non certo gli studenti e le studentesse. Ma su questo torneremo in futuro.

Cosa abbiamo letto:

Trentino Corriere Alpi; L’Adige; Questo Trentino; Sito della Provincia Autonoma di Trento; Sito dell’Università degli studi di Trento; Studi Trentini Arte

NOTE

1Dal 1990 al 1995 è stato sindaco di Trento alla guida di una coalizione che comprendeva Democrazia Cristiana, Partito Socialista Italiano e Verdi. È stato rieletto nel 1995 con un’aggregazione di forze del centro-sinistra trentino. Modello successivamente utilizzato per la Margherita nazionale.

2 Fondazione Cassa di Risparmio Trento e Rovereto, nata nel 1990 grazie alla legge Amato è un ente privato no profit, per statuto. È una delle fonti di finanziamento della ricerca universitaria più importante del bilancio di Ateneo.

3 Trentino Servizi è una società unica nata, per volere dei Comuni di Trento e Rovereto, per avere un unico soggetto gestore dei servizi sul territorio.

4 Istituto Atesino di Sviluppo, facente parte della galassia di Intesa San Paolo, considerato il “braccio finanziario della curia trentina”.

5 Istituto Trentino Alto-Adige per Assicurazioni, è una società mutua assicuratrice.

6 Assomiglia ad un affitto mensile, in cui si versa una quota stabilita mensilmente. In realtà, stabilito il prezzo di vendita dell’immobile, raggiunta la cifra, si diventa proprietari della casa.

7 Sindaco eletto dal 2009 con una formazione politica che comprende il Partito Democratico, Unione per il Trentino, Partito Autonomista Trentino Tirolese, Unione dei Democratici Cristiani e di Centro.

L’Università ai tempi delle Lauree Honoris Causa e della Provincializzazione

Preparando la giornata di contestazione alla laurea honoris causa conferita a Sergio Marchionne dall’università di Trento abbiamo deciso di intervistare il professor Claudio Della Volpe, professore di Ingengneria per l’Ambiente e il Territorio presso il Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambientale e Meccanica, in quanto uno dei tre firmatari della lettera di opposizione alla decisione del Senato accademico di conferire la laurea a Marchionne in ingegneria meccatronica. Il professor Della Volpe ci ha poi fornito alcuni interessanti spunti di riflessione sulla condizione in cui si trova l’università di oggi.

Lei è stato uno dei firmatari degli scrittori di una lettera, qualche mese fa…

Prof Della Volpe: “Si io, Augusto Visentin e Raffaele Mauro. Il professor Pascuzzi, ovviamente essendo membro del Senato Accademico, si è opposto in quella sede. Però siamo stati gli unici tre a raccogliere questa cosa. Le lauree honoris causa sono il simbolo di eccellenza culturale. Nel tempo hanno teso a diventare un modo per farsi vedere…non è la prima volta che si fa. Marchionne è uno, laureato in filosofia, con un’altra laurea in legge, che ha fatto sempre attività privata. Cosa ha fatto? Il manager di una grande azienda capitalistica. Che merito c’è nel fare questo? Si, sarai un capitalista d’assalto, ma perché noi ti dobbiamo premiare? E questi gli danno una laurea in meccatronica, non “ci azzecca” niente la meccatronica! Si è sempre opposto alla grande iniziativa meccatronica di mercato, parliamo in termini di mercato dell’auto elettrica. Quella è meccatronica, però lui si è opposto. Ha sempre detto che non è il futuro dell’auto. Fino a qualche mese fa, ha negato di poter entrare in quel mercato. Perché ha accetto di entrare? Perché adesso il mercato si è spostato in quella direzione. Ci sono Paesi che fanno solo auto elettriche. E’ un fatto di mercato, che merito c’è nel fare questo? Che merito culturale c’è? Nessuno. Noi pensiamo che non sia un meccatronico. Se questa è l’eccellenza, l’eccellenza di uno che taglia e licenzia. E’ quello che ha chiuso gli impianti in Sicilia per esempio. Quindi stiamo premiando questo? Questo significa mascherare la realtà. Fare spettacolo e non fare scienza. Coprire cose vere. Questa è la posizione.”

Quali sono state le reazioni che ha sortito la vostra lettera?

Prof. Della Volpe: “Dal Dipartimento di Ingegneria Industriale non hanno risposto in merito, non c’è stata nessuna risposta. C’è stata una risposta dal rettore il cui approccio è stato reiterare la posizione che era stata presa.(1) Non c’è più di quella frase della motivazione ufficiale. Io penso che sia il simbolo dell’università, ma quella di Trento in particolare. c’ha un presidente un ex grande dirigente confindustriale (Innocenzo Cipolletta) abbiamo in qualche modo in quel momento scelto un certo tipo di continuità. sono continuità che hanno dato poi luogo allo statuto particolare. Le rappresentanze sono state buttate fuori dal CdA, e anche dal Senato. Chi oggi lavora in Università non può comunicare, non c’è trasmissione. Voi siete diventati dei clienti da soddisfare, quindi c’è questo atteggiamento “mercantile”. Non c’è la formazione, ma la vendita di un servizio. Sono approcci secondo me che sono coerenti tra loro.”

Voi come avete letto, o Lei come ha letto queste reazioni?

Prof Della Volpe: “Diciamo che loro in qualche modo, non entrano mai nel merito delle cose o danno per scontato una certa visione dei fatti. Una verità a senso unico. Premiare Marchionne secondo me rappresenta questo, rappresenta la logica di mercato: il vincente che si afferma in questo scontro sociale. E’ una cosa veramente misera premiare questi personaggi. Da un’università come la nostra mi aspetterei un’azione decisa nella direzione di dire, guardate questo tipo di società è insostenibile, perché questa produzione lineare “scavo tutto e butto all’aria” non si può fare. Dobbiamo andare in un’altra direzione. Fondamentalmente negano queste cose. Quindi in qualche modo Marchionne è il simbolo di questo mondo. io lo leggo così, stanno premiando questa visione del mondo. E’ un esempio veramente negativo.”

La laurea honoris causa a Marchionne può essere considerata un epifenomeno delle tendenze contemporanee che sta vivendo l’università?

Prof Della Volpe: “Si, esattamente, e in particolare la nostra che si autodefinisce di eccellenza. Diventare il vincitore nello scontro mercantile, del mercato. Sono il più bravo ad accumulare ricchezza senza preoccuparmi delle risorse naturali, dei problemi ambientali. Stiamo premiando un personaggio di retroguardia, dal mio punto di vista. culturalmente parlando. anche nello suo stesso ambito. Non è neanche il capitalista che vede il futuro, non lo vede.”

L’atteggiamento mercantile, che si va a premiare con questa laurea a Marchionne, come diceva lei prima, come si traduce all’interno dell’Università? Prima faceva un parallelismo tra il simbolo-Marchionne e il sistema università…

Prof Della Volpe: “si traducono nella competitività che diventa l’unico parametro. che cosa si propone ad uno che entra nel mondo dell’università oggi? Si propone di pubblicare il più possibile, il prima possibile. Dato che entri tardi, tendi a mettere questo elemento al centro di tutto. Almeno il tempo di capire le cose ci deve stare. Si è visto che è un modo che non va, è sbagliato. Se noi perseguissimo una logica del massimo sviluppo il più veloce possibile, andremo incontro coerentemente a problemi come succede nel campo tecnologico. Le vere ricerche significative spesso hanno tempi incompatibili con questi, non puoi chiedere alle persone di pubblicare tutto il meglio in cinque anni. Direi che fondamentalmente il punto è questo, cioè si incomincia a vedere un certo scollamento tra questo modello produttivistico e il capire la natura. L’idea che ho è che ci vuole del tempo per fare le cose. Questa logica del correre il più veloce te lo toglie insomma. Poi ci sono altri aspetti. In particolare in Italia c’è questo fatto che il professore universitario si crede un po’ un lavoratore diverso dagli altri. In altri Paesi non c’è questo problema. Nel docente italiano c’è ancora questa concezione del professionista, che è diverso dagli altri lavoratori… Questo fatto di pensarsi unici, speciali, secondo me è una debolezza del mondo universitario del nostro Paese.”

L’università di Trento è un’università provincializzata. Il connubio tra l’accordo di Milano, che ha dato vita alla provincializzazione dell’Ateneo, e questo ambiente lavorativo interno all’università caratterizzato dalle tendenze che delineava Lei prima, che cosa ha prodotto?

Prof Della Volpe: “Questa è una bella domanda. In realtà potenzialmente poteva produrre delle cose diverse. Però ha prodotto l’effetto principale del fatto che il potere politico e l’Università sono molto vicini, in tutti i sensi. Quindi c’è un fortissimo effetto di un uso di un’università da parte del potere. Il caso della biblioteca è eclatante. L’università come l’aveva pensata Kessler, era il ponte che passa da un lato all’altro dell’Adige, e lui pensava ad un’università, un campus, un oggetto unitario. Però in realtà questo non è mai stato fatto. Che cosa è successo invece? C’è stata la polverizzazione delle sedi e poi c’è stato un enorme uso immobiliaristico dell’università per minimizzare i danni del quartiere Le Albere. Cioè in qualche modo è stata sfruttata così. Io credo che si sarebbero potute fare cose notevoli, ma c’è un uso strumentale dell’università. Voi sapete che c’è un problema di finanziamento non mantenuto, alla lunga andiamo incontro ad un deficit significativo. Credo che questo sia il problema, cioè questo accordo di Milano ha stretto ancora di più il controllo politico sull’università. Che c’era già in parte, perché erano già successe queste cose di usare per esempio l’edilizia universitaria, fatta in quel modo per gestire gli aspetti territoriali. Basti pensare che tutto il polo di Povo è stato costruito senza attenzione ad aspetti essenziali come la sicurezza e altro. Abbiamo delle carenze significative da questo punto di vista. Se questa è logica dell’università di Trento che pensa di essere all’avanguardia … queste sono cose di retroguardia. A Povo 2 l’ultimo edificio costruito, ha avuto nell’arco di 4 mesi ha avuto due black out. In questi due black out non è mai partito l’impianto elettrogeno. Quella è una struttura dove ci sono 70-80 cappe chimiche e biologiche. quindi diciamo che è un edificio che senza un’aspirazione attiva, entri in condizioni di rischio. Non si è capito bene, non abbiamo avuto una giustificazione chiara dall’università.”

Questo controllo politico della Provincia sull’Università quanto è forte? E in che misura è percepito da parte di docenti, ricercatori e ricercatrici, dottorande e dottorandi?

Prof Della Volpe: “Secondo me il problema è questo. La mia impressione è che la questione la sentano, ma c’è un po’ il timore di opporsi a questa cosa. Si ha paura di perderci qualcosa. La Provincia da un minimo di contributi alle spese di ricerca e poi ci sono bandi. Ora la partecipazione a questi bandi è essenzialmente e fortemente un aspetto politico. Per esempio, i dipartimenti possono partecipare a queste cose, ma ciascuno con un progetto. Quindi tu non sei libero di partecipare come ti pare. Si decide chi può partecipare. Alla fine in qualche modo uno che si oppone rischia. Questa è un po’ la questione e le persone se ne rendono conto. Quando c’è stata la provincializzazione, sembrava che tu ti opponessi al progresso. Io all’epoca, quando ci fu questa cosa, ero in Consiglio d’Amministrazione. Ho cercato di costruire un minimo di opposizione. Alla fine per disperazione mi sono dimesso, sperando di innescare un processo di discussione. Ma questo non è successo. Quello che è successo è che alcuni miei colleghi hanno voluto una veloce rielezione di un rappresentante sulla base del fatto che le persone pensavano che questa provincializzazione fosse un’opportunità. Ma si vedeva già allora che non lo era, perché la provincializzazione fu costruita senza ascoltare il Consiglio d’Amministrazione e gli altri organi rappresentativi delle diverse figure che compongono l’Università.”

A proposito di questo clima che descriveva, noi conosciamo come viene gestito da parte dell’Ateneo il dissenso portato da studenti e studentesse. E’ una modalità di gestione, che al di là delle narrazioni dell’università che si autodefinisce democratica, aperta all’ascolto, aperta, tende a marginalizzare il dissenso studentesco. Come viene gestito il dissenso portato da docenti, dottorand*, ricercatori e ricercatrici?

Prof Della Volpe: “Voi dovete capire come è gestito il potere. Le strutture istituzionali sono i consigli d’area, che gestiscono la parte didattica, alle quali partecipiamo tutti come docenti. In cui però non si parla mai di cose di carattere generale perché questi aspetti vengono trattati in consiglio di dipartimento. Il consiglio di dipartimento in questo momento hanno regolamenti che privilegiano molto l’azione delle giunte. C’è stata una specie di piramide, che ha portato tutte le decisioni e questioni ad una sorta di “baronizzazione”. In cui alcune persone hanno un loro capitale. Quindi chiaro che puoi dissentire, ma ti trovi in una condizione di difficoltà. Questi sono aspetti consustanziali al modo di funzionare. Togli essenza alla democrazia. Non ti puoi documentare neanche, o diventa molto faticoso. E’ una situazione veramente assurda.”

La percezione che si ha vedendo gli annunci fatti recentemente dall’università riguardo l’apertura di nuovi corsi di laurea, come enologia e scienze dei dati, è che UniTn sia in espansione. Alla luce di quanto detto fino ad ora, è davvero così oppure è tutto marketing, tutta pubblicità?

Prof Della Volpe: “Anche io ho avuto questa impressione di una espansione, ma non mi riesco ad esprimere. Sicuramente si sono creati dei legami che non c’erano prima, per esempio con la Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige. Quello che io penso sia negativo è il fatto che noi non dovremmo essere in qualche modo attori così coinvolti. Secondo me nella forma in cui viene prospettato, quando c’è una vicinanza così forte, tra il potere politico e l’istituzione dell’università, si creano dei conflitti di interesse e diveniamo quasi ricattabili. La mia impressione è che questo condizionamento ci sia. Però ci vorrà un po’ di tempo per capirlo. Nel tempo c’è stato uno sviluppo troppo tumultuoso. La sensazione generale è questa.”

Tornando un po’ all’attualità, è appena terminato lo sciopero dei e delle docenti universitar* e a detta degli organizzatori ha avuto un discreto successo. Sappiamo che anche a Trento ci sono state adesioni e che questa partecipazione ha creato molto dibattito. Tra le e i docenti dell’Università di Trento? Avete avuto dei momenti di confronto?

Prof Della Volpe: “No, non ci sono stati. Non c’è stata nessuna iniziativa, o almeno in collina non c’è stata. Ci sono state delle discussioni di corridoio. Più di questo io non ho notato. C’è stata una certa partecipazione per la prima volta, ma come è stato per il resto del Paese. Toccate nella tasca, le persone si sono mosse un po’. Scioperare non è tipico del docente universitario. E’ una categoria poco sindacalizzata, che comunque ha una partecipazione abbastanza scarsa. C’è poca sensibilità su questi temi. C’è una parte delle persone che capisce che deve essere parte del complesso sociale mentre altri invece hanno questa posizione, come dicevo prima dell’essere diversi. Pensano di essere sopra. Quindi per tornare alla tua domanda, c’è stata una discussione, ma del tutto in via informale.”

Ora che lo sciopero è finito, verranno date delle letture di questo momento di mobilitazione della docenza universitaria. Lei che lettura da di questo sciopero?

Prof Della Volpe: “Secondo me è ancora presto per capire le conseguenze. Però sicuramente, qui a Trento come altrove, c’è stato un parziale di risveglio d’interesse, perché non c’è stato il tentativo di unificare, facendo un’assemblea in cui coinvolgere anche le figure che non fanno lo sciopero, ma che sappiamo che hanno problemi, come i precari, il personale tecnico. Non c’è questa mentalità. Il sindacato non ha lanciato questa cosa. C’è un risveglio, ma è molto limitato. Non lo vedo come un grande evento.”

NOTE

(1) Delibera del Senato accademico del 23 novembre 2016: «[…] Ritenuto che il dott. Sergio Marchionne, dall’esame del suo curriculum vitae, si distingue come esperto nella disciplina per la quale si propone il conferimento del titolo onorario.». Conferenza stampa del 19 luglio 2017: «La proposta – si legge nella delibera del Dipartimento – trova motivazione nell’eccezionale professionalità, impegno ed efficacia di Marchionne nella gestione di diverse realtà industriali ai massimi livelli internazionali. La sua carriera professionale è connotata da una chiara visione strategica, tempestività e indipendenza di decisione. Queste qualità, supportate da una profonda competenza tecnica, gli hanno permesso di affrontare e di gestire con successo trattative estremamente complesse, favorendo in tal modo il rilancio del settore automobilistico nazionale e, di conseguenza, l’innovazione e lo sviluppo nell’ambito dell’Ingegneria meccatronica».

Laurea a Marchionne. Appello a professori/esse, ricercatori/trici

Dalla scorsa settimana stiamo facendo girare il seguente appello tra i professori e le professoresse, i ricercatori e le ricercatrici, i dottorandi e le dottorande dell’Ateneo di Trento.

Gentili professori e professoresse, ricercatori e ricercatrici, dottorandi e dottorande, a nome del Collettivo Universitario Refresh,
con la presente mail vorremmo sottoporre alla vostra attenzione la decisione del Dipartimento di Ingegneria Industriale e del Senato Accademico di conferire la laurea honoris causa a Sergio Marchionne in Ingegneria Meccatronica, la cui cerimonia si terrà il 2 ottobre a Rovereto.

I motivi per cui noi studenti e studentesse del Collettivo Universitario Refresh ci opponiamo a questa decisione sono diversi. In primo luogo riteniamo che il candidato non possieda i requisiti necessari a giustificare l’assegnazione del titolo onorario, la cui cadidatura non a caso è regolamentata dal regio decreto n.1592/1933. Latitano infatti competenze, opere compiute e pubblicazioni a opera di Sergio Marchionne nel merito della disciplina, il che ne costituisce una grave violazione. Una siffatta arbitraria consegna della laurea ad honorem trarrebbe quindi motivo esclusivamente nell’ambito della ricerca da parte dell’Università di futuri finanziamenti, anziché trarre giustificazione dal riconoscimento collettivo di una conoscenza profonda della disciplina.

In qualità di studenti e studentesse ci opponiamo a un’Università che fa della svalutazione del titolo accademico uno strumento posticcio per arraffare i fondi d’emergenza necessari a coprire i buchi lasciati da anni di insolvenza da parte della Provincia Autonoma.
Il sacrificio economico che con le nostre famiglie ci troviamo ad affrontare per raggiungere il traguardo della laurea ci porta a vivere questa scelta come uno sfregio, viste le copiose tasse che ci troviamo a pagare di anno in anno e le difficoltà ad accedere alle borse di studio.

Sappiamo che già una piccola parte del corpo docente ha espresso pubblicamente il proprio disaccordo sulla questione (1). Siamo inoltre a conoscenza dei toni con cui il Rettore Collini ha risposto alle obiezioni (2); e se per il nostro Rettore in Marchionne non si rilevano comportamenti non etici, si dipana in noi la nebbia di dubbi su quale sia la direzione che Paolo Collini vuole dare all’Università digli Studi di Trento durante il suo mandato. Rileviamo quindi la tendenza dell’istutuzione universitaria trentina a considerare come vincente il modello di un’Università disposta a piegarsi ai privati per accaparrarsi quei finanziamenti che invece dovrebbe esigere dalla Provincia Autonoma (3). L’episodio della consegna della laurea honoris causa a Sergio Marchionne rientra perfettamente in questo quadro.

Come studenti e studentesse del Collettivo Universitario Refresh, abbiamo deciso di sottoporre alla vostra attenzione questo appello nella speranza che anche voi, in qualità di professori e professoresse, ricercatori e ricercatrici, dottorandi e dottorande, esprimiate la vostra opinione su questa vicenda. Cogliamo inoltre l’occasione per invitarvi a partecipare alla protesta che organizzeremo il 2 ottobre a partire dalle ore 11.00 fuori dal polo di Ingegneria Meccatronica di Rovereto.

COLLETTIVO UNIVERSITARIO REFRESH

Per aderire all’appello vi chiediamo semplicemente di rispondere a questa mail, con una firma o con un vostro contributo. Per qualsiasi altra informazione il nostro contatto email è curtrento@autistici.org.

ADESIONI E RIFLESSIONI:

Silvia Bordin, dottoranda in informatica e telecomunicazioni;

Giulio Galdi, Dottorando DELoS, “Condivido però che sento l’urgenza di dissociarmi dalla mia università, che dà un’onorificenza immeritata scientificamente e moralmente. Non condivido, infatti, l’appoggio morale che questa celebrazione dà ad un uomo che è un protagonista della lotta contro il diritto degli ultimi, che ha cercato di strozzare i diritti dei lavoratori lungo tutta la sua carriera.”;

Andrea Binelli, professore presso il Dip. di Lettere e Filosofia, “Cari studenti,
condivido il malessere per una scelta che anch’io considero sbagliata.”

Elisa Bellé, ricercatrice presso il Dip. di Sociologia e Ricerca Sociale, consulta dei dottorandi e degli assegnisti di ricerca, “Trovo gravissima la scelta di conferire un simile titolo a una figura del tutto discutibile dal punto di vista dell’operato pubblico. Una scelta eticamente, politicamente e scientificamente svilente per l’Ateneo tutto. Una laurea Honoris Causa andrebbe conferita a una figura che unisce, non a una che divide, a una persona che sa guardare lontano e apportare cambiamenti e innovazioni per il bene collettivo.”

NOTE:
(1) https://www.pressreader.com/italy/corriere-del-trentino/20161127/281552290464429
(2)https://www.pressreader.com/italy/corriere-del-trentino/20161204/281809988515895
(3) Ci riferiamo in particolare debito di 200 milioni della Provincia Autonoma di Trento nei confronti dell’Università degli Studi di Trento.