#ISEE_trento: e l’UDU?!

Nell’immagine i post su FB pubblicati dall’UDU Trento nei mesi precedenti.
Sopra, nello screen del 9 luglio 2016, l’annuncio dell’UDU circa le intenzioni della PAT di conformarsi dall’ICEF all’ISEE. “Un passo in avanti che aspettavamo da tanto tempo” dicono.
In basso, invece, un post datato 21 settembre 2016, in cui si rivendica come vittoria il famoso passaggio dall’ICEF all’ISEE nel caso della riforma delle tasse universitarie… esteso poi anche alle borse di studio.
Perché esultare?! Secondo i cari amici e le care amiche dell’UDU Trento è una questione che riguarda il peso delle borse. Se guardiamo alla media nazione delle borse di studio, l’ateneo trentino ne sta ben al di sotto. Male, dice l’UDU. Capiamoci qualcosa, diciamo noi. Perché è vero che Trento sta molto sotto… come è anche vero che Trento ha le delle piccole borse di studio. Borse da 500 euro che abbiamo buone ragioni di dire che non esistono altrove in Italia. Giusto o sbagliato poco importa. Esistono. Come i più sapranno, le medie sentono dei valori estremi (alti o bassi), e per questo vanno usate con le pinze quando si fanno dei paragoni. Chissà, e diciamo chissà, cosa succederebbe se togliessimo dal calcolo della media trentina le piccole borse. In ogni caso, davanti a questa situazione, l’UDU Trento cosa decide di fare? Forse, di chiedere maggiori finanziamenti alle borse rimpinguandole e facendone aumentare la media per mettersi al pari coi livelli nazionali? Denunciare a gran voce il taglio programmato alle borse di studio da parte dell’Opera Universitaria? Denunciare il progressivo definanziamento della PAT sul diritto allo studio? Certo che no. Decidono di spingere per il nuovo ISEE. Scelta strana… che sia forse legata al fatto che l’ateneo di Trento sarebbe stato comunque obbligato a farlo per certe normative nazionali? Se così fosse, spingere verso l’ISEE, che comunque sarebbe prima o poi stato introdotto, significava avere una bella vittoria semplice, pianificata, da poter presentare all’elettorato alle elezioni. Una bella medaglia al petto per qualcuno/a. Curriculum politico arricchito. Occasione ghiotta. Come perdersela.
Ma certamente non sarà così. Siamo troppo maliziosi/e noi a pensarlo!
Facciamo che davvero pensino che il nuovo ISEE sia una soluzione per ste benedette borse di studio basse. E facciamo che tutto quel pezzo di studenti e studentesse che l’anno scorso si sono mobilitati/e per un intero anno sono tutti degli idioti e delle idiote, perché non hanno compreso la potenzialità di questo nuovo ISEE (tra questi, ovviamente, anche l’UDU a livello nazionale. Ma fra questioni di partit… no, scusate. Nelle questioni associative interne non entriamo nel merito).
Ma la soap non finisce qui. Infatti ad un certo punto i toni diventano meno entusiasti e di questo ISEE non c’è più traccia. Appena iniziano a trapelare notizie circa l’effettiva diminuzione del numero dei beneficiari di borsa coi nuovi criteri ISEE cala il mutismo. Fino a quando l’UDU decide di “mobilitarsi” contro questo passaggio. Il 6 ottobre 2016 infatti l’UDU organizza un presidio sotto la provincia, che finisce con la solita delegazione che va in un ufficio. Uscita dalle famose buie stanze, la delegazione rivendica con grande orgoglio una vittoria, cioè quella di aver ottenuto una fascia di assegnazione più ampia: da 18.000 euro il limite massimo si sposta a 20.000 euro. Ciò che non hanno detto è che, in realtà, la soglia massima dei 20.000 euro era stata già presa in considerazione dall’assessorato, il quale aveva già (in tempi non sospetti) fatto delle previsioni sui costi da sostenere nel caso in cui la soglia fosse stata quella. Insomma, “ti piace vincere facile” verrebbe da dire. Con tanto di “ponci ponci, bon bon bon”, aggiungiamo.

Bizzarrie?! Follia?!
Forse solo incoscienza. Incompetenza. Impreparazione.
Un mix letale per chi dice di essere stato “delegato” a prendere delle decisioni, per chi dice di rappresentare qualcuno/a (e davvero vogliamo conoscere quello studente o quella studentessa che anela a diminuire le borse di studio. Per sé e per gli/le atri/e).
Quello che sembra, oltre alla palese impreparazione sulle conseguenze di questo passaggio, è che quello che hanno cercato di fare è di prepararsi alla prossima campagna elettorale cercando vittorie facili. Prima con l’ISEE che sarebbe comunque arrivato. Poi con la soglia massima dei 20.000 euro che era comunque stata considerata come possibilità da prendere.
C’è da fare i complimenti a sta gente.

Un ultima cosa prima di chiudere, giusto per evitare sgradevoli equivoci.
Con questo non vogliamo dire che l’UDU Trento ha tutta la responsabilità di questo disastroso taglio e la Provincia, poveretta, è succube di normative che non lasciano spazio. Perché i tagli alle borse ci sono e vanno ben oltre il cambiamento dall’ICEF all’ISEE. Sono scelte prese in tutta coscienza da PAT e OP, senza fucili puntati da nessuno.
Il punto è che UDU e provincia fanno parte di uno stesso sistema, un sistema che si siede a grossi tavoli e preferisce un pareggio di bilancio o una vittoria da rivendersi in campagna elettorale rispetto a quello che è giusto. Tipo finanziare le borse di studio. Tipo rendere l’università un posto accessibile ed aperto.
L’obbiettivo di questo excursus quindi era quello di comprendere come certi sistemi sono formati e alimentati anche da chi si presenta come amico/a, o addirittura come “granello nell’ingranaggio” pronto a far saltare tutto il sistema. In questo caso è UDU. Ma domani, su un altro tema, potrebbe esserci l’associazione PincoPallo. E vi assicuriamo che i termini del nostro discorso non cambierebbero.

Qualsiasi cosa faccia parte di un sistema il cui obbiettivo è un’università classista, esclusiva e per pochi/e non ci sta simpatico/a. Anzi, è proprio nostro/a nemico/a.
Ognuno/a con la sua coscienza politica. Ognuno/a coi suoi percorsi.
Chi sotto i raggi finti di una lampada ultravioletti.
Chi sotto i raggi di un bel sole autunnale… che potrebbe essere più caldo del previsto.

Dall’ICEF all’ISEE: ricch@ senza saperlo

Nella nebbia che continua ad avvolgere il cambio dall’ICEF all’ISEE abbiamo provato a capire qualcosina in più. Non siamo degli esperti/e e non vogliamo apparire come tali. Semplicemente, se le notizie non vengono a noi abbiamo provato a cercarle, nel tentativo di capirci qualcosa.

Due parole sull’ICEF

L’ICEF è attivo in trentino dal 1993 e, sebbene oggi serve per accedere ad ogni tipo di beneficio o servizio qui in provincia, è stato pensato e creato appositamente per l’università, e quindi usato prima di tutto in questo ambito. L’obbiettivo era quello di trovare un metodo di calcolo della situazione economica degli studenti e delle studentesse che permettesse di creare una specie di classifica in base alla quale dividere l’importo delle tasse da versare e dei benefici, da distribuire a chi ne ha esigenza. A quanto abbiamo capito, l’ICEF è un sistema molto flessibile che prende in considerazione quattro fattori: reddito – patrimonio – nucleo familiare – consumi. Il reddito è tendenzialmente calcolato al netto, quindi quello che le persone hanno effettivamente a disposizione per campare (tra questi i risparmi, tipo i giacimenti in banca). Per quanto riguarda il patrimonio, generalmente la prima casa, quella dove si abita, non viene calcolata. Infine si prende in considerazione il numero di componenti del nucleo familiare, per capire quanta gente non solo “produce” ma deve anche campare con queste entrate. Infine i consumi, per stabilire il tenore di vita della gente e capire quanto “può permettersi”. Queste direttive vengono utilizzate in linea di massima per tutti e tutte ma l’ICEF è come una sorta di equazione che viene calcolata su ogni caso, persona per persona, per cui ciò che vale per una persona potrebbe non valere per l’altra. Se per esempio in un caso la prima casa è una mega-villa, questa verrà conteggiata (magari non al 100% del suo valore) ed inserita nell’equazione di cui parlavamo. Diversamente, se la prima casa è un appartamento come tanti, si tenderà ad escluderla dal calcolo finale in quanto non considerata come un “lusso”.

Due parole sull’ISEE

Questo tipo di calcolo, dicevamo, è stato partorito per l’università trentina e poi esteso altrove in provincia. A livello nazionale, sempre all’inizio degli anni ’90, a quanto pare si era discusso della possibilità di utilizzare l’ICEF in tutte le università italiane. Gli eccessivi costi previsti dall’applicazione di questo criterio però ha portato ad una scelta diversa, quella dell’ISEE. Qualche anno fa, con l’obbiettivo di scovare gli evasori fiscali, il calcolo dell’ISEE è stato modificato e i parametri utilizzati sono diventati più stringenti. Anche l’università si è ritrovata coinvolta in questo cambio e l’anno scorso ha creato non pochi problemi. Il nuovo ISEE si basa su tre fattori: reddito – patrimonio – nucleo familiare. Per quanto riguarda il reddito, questo è considerato lordo, quindi per intero. Nel calcolo del reddito finisce davvero tutto: non solo i risparmi che hai in banca ma anche eventuali sussidi monetari che si ricevono. Per capirci, vengono conteggiate anche le pensioni di invalidità o, udite udite, anche la stessa borsa di studio ricevuta l’anno prima da uno/a studente/ssa. Per quanto riguarda invece il patrimonio, questo prende in considerazione anche la prima casa, sempre, con una franchigia molto bassa, tipo al 5% (la franchigia è una quota che non entra nel calcolo del valore della casa). Infine, i componenti del nucleo familiare. Diversamente dall’ICEF, l’ISEE è un sistema più rigido, che non prende in considerazione le peculiarità di ogni caso e funziona allo stesso modo tendenzialmente per tutti e tutte.

Student@ contro il nuovo ISEE

L’anno scorso in tutta Italia, migliaia e migliaia di studenti e studentesse si sono mobilitati/e perché, già prima della sua applicazione, avevano capito che l’impatto per i/le beneficiari/e delle borse di studio e sul pagamento delle tasse sarebbe stato disastroso. “Siamo diventati ricchi e non lo sapevamo” è stato lo slogan di manifestazioni, presidi, volantini e occupazioni, perché ciò che si prevedeva, come poi è successo, è che chi fino a ieri era beneficiario/a di borsa non lo sarebbe più stato/a l’indomani col nuovo ISEE. Ed in effetti, a pensarci bene, inserire nel calcolo dell’ISEE non solo la casa d’abitazione (come se fosse una ricchezza e non un diritto, come invece è), ma anche pensioni di invalidità o la stessa borsa di studio percepita l’anno prima è assurdo. Quei sussidi che ricevi perché ne hai bisogno diventano ricchezza.

Gli effetti di questo nuovo ISEE l’anno scorso sono stati devastanti: la media calcolata su tutta Italia è stata di una perdita di ben il 20% di beneficiari rispetto al totale calcolato col vecchio ISEE (con punte massime del 40% in Sicilia per esempio). Il Ministero ha provato a dare un contentino alle migliaia di studenti e studentesse in mobilitazione, alzando di qualche migliaio di euro la soglia massima per accedere alla borsa di studio. Ma gli effetti non sono stati per nulla tranquillizzanti. E mentre Poletti si esaltava per gli esiti positivi del nuovo ISEE, che ha scovato i “furbetti” delle dichiarazioni dei redditi, migliaia e migliaia di studenti e studentesse si ritrovano oggi a dover pagare delle tasse più alte e magari a non ricevere quella borsa di studio che serve loro per studiare. Sono diventati ricchi senza saperlo e, soprattutto, senza esserlo davvero.

E quindi?

Come dicevamo all’inizio, esperti/e non siamo e non vogliamo nemmeno esserlo.

Il punto qui è un altro, almeno per noi.

Questo nuovo ISEE sembra essere uno degli ultimi tasselli che parlano della volontà di trasformare l’università nuovamente in una realtà classista, esclusiva, alla portata di pochi/e. Questo feroce attacco ai borsisti/e e alle tasche degli/le studenti/sse è un segno che va in questa direzione. E se l’ateneo di Trento si è sempre vantato del suo status speciale e provincializzato, in realtà non è così. Perché al di là dell’ISEE, che è più una scelta imposta che altro, i tagli alle borse li hanno fatti e continueranno a farli, mentre si continua ad investire risorse in cose inutili… e dispendiose. In questo, l’università spesso viene utilizzata come tampone per i cattivi investimenti della provincia, rimettendoci direttamente o indirettamente un sacco di risorse economiche.

A nostro avviso, non possiamo passare sopra tutto questo dicendo fra noi e noi “beh, è la vita, cosa possiamo farci”. Perché non è così. Si tratta di scelte politiche che portano ad un indirizzo chiaro: se puoi permetterti di studiare bene, altrimenti amen. E non ci sta bene.

Vi ricordiamo l’assemblea di lunedì 17 ottobre, alle 18.00 nell’atrio interno di Sociologia.

Che se ai piani alti non ne vogliono parlare, a noi ci scappa di discutere insieme di tutto questo.

#ISEE_trento: riforme al sapor di tagli

UN BRUTTO RIENTRO

Non abbiamo fatto in tempo a rientrare a Tn e a riniziare il tran-tran di corsi (e corse), lezioni (e illazioni) che subito troviamo ad accoglierci le “belle notizie”. Da settimane si narra dell’ormai certo arrivo del sistema ISEE (Indicatore della Situazione Economica Equivalente) in quel di Trento. Il dibattito si sta aprendo solo ora pubblicamente, ma trovava spazio già da tempo nei palazzi del potere provinciale e delle associazioni studentesche, i quali hanno deciso solo adesso di far presente a tutti gli studenti e le studentesse che il sistema ICEF sarà sostituito dall’ISEE, e che saremo tutti più o meno coinvolti in uno stravolgimento del sistema con cui fino ad adesso è stato garantito il contributo per il diritto allo studio: in parole povere cambieranno importi ma soprattutto il numero delle borse assegnate. Dopo settimane di silenzi imbarazzanti da parte di provincia, opera e gli stessi “rappresentanti” degli studenti, in data 6 ottobre troviamo sul sito della provincia degli indizi. L’assessora Ferrari ha conferito in aula circa il cambiamento ICEF-ISEE. Nessun documento, solo parole. E tra queste spicca un dato, su tutti: se con l’ICEF si riuscivano a coprire borse per più del 20% della popolazione studentesca, con l’ISEE se ne copriranno di meno, pari a circa l’11% della popolazione. Quasi il 10% in meno… ma conviene, secondo l’assessora (non si sa bene perché e per chi).
Ma non è l’unica stranezza della PAT. Già l’anno scorso avevamo constatato una riduzione nel contributo provinciale per le borse di studio.

PROGRESSIVI TAGLI DALLA PROVINCIA

Siamo andati a controllare le carte e, non ci crederete, non siamo riusciti nemmeno a recuperarle tutte.
Quello che si legge sul Bilancio di Unitn con riferimento al triennio 2016-2018 è una chiara e cospicua riduzione del finanziamento che PAT (e regione) riserveranno all’Università. Si parla infatti di una diminuzione di oltre 5 milioni e mezzo nel 2017 (125.895.000 euro) rispetto al 2016 (131.428.000). Nel 2018 verranno recuperati solo poco più di 2 milioni, pari a neanche la metà dei tagli applicati tra i due anni precedenti. Intanto nell’anno 2016 gli studenti e le studentesse hanno versato nelle casse dell’Università ben 80 mila euro di tasse in più rispetto all’anno scorso 2015. Insomma, gli unici che hanno deciso di investire nell’Ateneo trentino è stata proprio la componente studentesca!

A.A.A. BILANCIO CERCASI

Ma cosa succederà alle borse di studio? Come cambierà la situazione attuale e quanto andrà ad incidere nelle tasche degli/le studenti/sse? In merito non riusciamo a darci una risposta. O meglio, riusciamo a darci risposte poco chiare dato che le fonti da cui si riescono a recuperare dati e notizie si limitano ad articoli di giornale, dichiarazioni di esponenti politici ed esponenti delle associazioni studentesche. NON C’E’ UN DOCUMENTO CHE SIA ACCESSIBILE AL SEMPLICE STUDENTE/SSA. Le borse di studio assegnate con bando annuale percepite dagli/le studenti/sse (in sede e fuori sede) di Trento sono erogate dall’OPERA UNIVERSITARIA: ente compartecipato tra PAT ed altri enti pubblici ed anche privati. IL BILANCIO riferito all’anno 2016 LATITA DALLA DATA DELLA SUA APPROVAZIONE, NON E’ STATO MAI PUBBLICATO. Sul sito dell’ente NON C’E’ TRACCIA del documento approvato, non la settimana scorsa ma il 15 dicembre del 2015, ormai quasi un anno fa. Non ci capacitiamo di quale complicazione o altro possa giustificare un ritardo della pubblicazione di quasi 10 mesi. Mesi durante i quali si continuano a prendere DECISIONI SULLA NOSTRA PELLE SENZA neanche che si degnino di FARCELO SAPERE. Figuriamoci se hanno un qualche interesse a far trasparire le cifre che vanno a disegnare il “Come” le cose cambieranno e le logiche subdole dietro alle quali si muovono. Cos’hanno da nascondere??
Consigliamo, per appropriatezza di linguaggio di cambiare il nome sezione del sito dell’Opera da “Amministrazione Trasparente” in “Amministrazione Tra- SPARITA”!
Allo stato attuale le uniche notizie circa le nostre borse di studio sono tutte riconducibili non ad un documento, ma al riassunto (incredibilmente pubblico) di una riunione in provincia. Ciò che sappiamo è che con ISEE fino a 20.000 euro si prende la borsa, dai 20.000 ai 26.000 l’esonero delle tasse e niente borsa. Inoltre, è vero che l’ammontare delle borse potrebbe ammontare… ma la stessa assessora non si dice certa perché “le variabili da considerare sono troppe” per esserne certi. In tutto ciò, l’Ass. Ferrari si vanta di un incremento di 1 milione di euro nei fondi della PAT destinati alle borse di studio. Tuttavia, anche se i soldi aumenteranno il sistema ISEE andrà a finanziare poche borse rispetto a quelle che fino ad ora hanno consentito ad oltre 3200 studenti/sse di poter tirare avanti; escluderne più di 1000 significa andare rimettere sulle spalle degli/le studenti/sse e delle loro famiglie pesi più o meno imponenti a livello economico che incideranno sulle loro prospettive relative al percorso di studi.
Tante altre sono le incertezze che ci stanno spiazzando: ad esempio, dove è finita la tanto nominata delibera della giunta provinciale che l’Udu dice di essere riuscita (temporaneamente) a bloccare in consiglio provinciale?? Anche di quella NON C’E’ TRACCIA, non un ordine del giorno della Giunta, NIENTE che ne metta per iscritto il rinvio.
Chiaro è che siamo davanti ad un CAMBIAMENTO DRASTICO di quello che è stato il sistema universitario trentino. Con questo cambiamento di calcolo chi “beneficiava” del “contributo provinciale per il diritto allo studio” potrebbe affrontare sconvolgimenti di cui adesso non siamo neanche in grado di quantificare una stima. Infatti, vorremmo ricordare che lo scorso anno i PARAMETRI ISEE sono CAMBIATI IN PEGGIO e in tutte le città italiane gli studenti hanno dovuto fare i conti e gli scontri con TAGLI ALLE BORSE poiché erano scalati in fasce superiori e si riteneva non fossero più idonei a ricevere contributi. La retorica era diventata “Sono ricco ma non lo sapevo”. Non vogliamo anche noi ritrovarci RICCHI A NOSTRA INSAPUTA.

NOI PRETENDIAMO l’accesso all’ISTRUZIONE DI QUALITA’ che il nostro Ateneo si vanta di offrirci, poiché CI REPUTIAMO PARTE INTEGRANTE ED ELEMENTO ESSENZIALE di questa qualità!

METTERE A RISCHIO IL DIRITTO ALLO STUDIO DI STUDENTI/SSE FUORISEDE E IN SEDE, COMPORTA UNA MINACCIA ALLA VERA QUALITA’ DI CUI IL NOSTRO ATENEO DOVREBBE VANTARSI.

PRETENDIAMO UN AMMINISTRAZIONE CHE SIA DAVVERO TRASPARENTE, CHE NON ABBIA PAURA A NASCONDERE LE MODALITA’ DELLA GESTIONE DEI FONDI E LE COMPONENTI CHE SONO PARTE DEI VARI CDA. PRETENDIAMO DI CONOSCERE LE DECISIONI PRIMA CHE VENGANO PRESE E SIA TROPPO TARDI PER CAMBIARLE.

Per discutere di come si sta evolvendo la situazione e scambiarci le (poche) informazioni in merito,

->invitiamo tutte e tutti LUNEDI’ 17 OTTOBRE, ORE 18.00, nell’atrio interno di sociologia per un’assemblea<-

#OccupyParade – la città è di chi la vive!

Dalla nascita del Collettivo Refresh due anni fa, con l’occupazione dell’ex mensa Santa Chiara, il diritto alla città è stato, ed è tutt’ora, un punto cardine della nostra agenda e dei nostri ragionamenti. Trento infatti, città ai primi posti delle classifiche per vivibilità in tutta Italia, vive con l’ansia costante che qualcosa possa macchiare la sua immagine di città perfettamente vivibile, bomboniera della civiltà. Il concetto di “degrado” nell’ultimo anno è stato abilmente costruito e strumentalizzato da più parti politiche. Da un lato le ronde cittadine e le dichiarazioni provenienti dai comitati cittadini dalla dubbia autonomia politica; dall’altro le ordinanze anti-degrado create ad hoc da una giunta comunale, che in questo modo cerca di crearsi consensi e aumentare la sua credibilità da “giunta-del-fare”. Il campo di battaglia di queste politiche è spesso Piazza Santa Maria Maggiore (ma non solo), spazio pubblico dove sia i comitati cittadini che la giunta sperimentano tutta la loro fantasia. Il presidio permanente di forze dell’ordine, una task force anti-degrado formata da polizia e finanza per lo più, fa da sfondo ad una piazza generalmente frequentata dai giovani studenti e studentesse della città, condita dalle ronde del comitato Rinascita Torre Vanga e dalle assurde ordinanze comunali (dagli ultrasuoni al divieto di vendita di birre d’asporto dopo le 21.00). Mosse queste spinte dalla voglia di annientare il degrado ma che in realtà ricadono sulla quotidianità di chi, finita una giornata di studio dentro ai propri dipartimenti, ha solo voglia di stare qualche ora all’aria aperta, in una piazza.
Dall’esperienza di Piazza Santa Maria abbiamo iniziato un ragionamento sulla costruzione ad hoc del mostruoso degrado e su come, in realtà, vorremmo sentirci libere e liberi di determinare dal basso la città che vogliamo. Città che percepisce gli oltre 18.000 studenti e studentesse come corpi estranei, semplici affittuari e fonte di guadagno che però devono stare alle ferree regole della plasticità cittadina, senza colpo ferire.
Noi in realtà non ci sentiamo corpi estranei a questa città, anche se per alcuni e alcune non è nemmeno la propria città Natale. Per questo, sabato 7 maggio abbiamo organizzato una street parade, chiamandola Occupy Parade. Con partenza da Sociologia, abbiamo attraversato molte vie del centro cittadino, senza rispettare le restrizioni che di solito valgono per le manifestazioni pubbliche. In maniera volutamente festosa e danzante, abbiamo occupato la città con i nostri corpi in movimento, rivendicando spazi di socialità e aggregazione, fuori da ogni logica pre-confezionata di degrado e restrizione.
Durante il percorso, nonostante l’aria di festa e gioia, abbiamo comunque voluto dare dei segnali, simbolici ma chiari, su cosa per noi è il vero degrado. Abbiamo simbolicamente transennato il Comune di Trento, riprendendo l’idea di uno dei consiglieri comunali destrorsi, il quale aveva proposto di transennare le piazze più vissute per evitare il bivacco dei giovani. Con questo gesto, abbiamo voluto dire a giunta e consiglieri che le piazze sono molto più sicure se piene di gente che non vuote e presidiate da un sempre maggiore numero di forze dell’ordine, e che la socialità non è pericolosa in sé ma un diritto di tutte e tutti. Durante il percorso, arrivati alla Provincia, abbiamo simbolicamente portato sotto il palazzo della PAT diversi immobili pubblici vuoti. Infatti è noto ai più che i beni immobili della PAT hanno un valore complessivo di 52 milioni di euro.
Immobili lasciati vuoti, spesso volutamente resi inabitabili, nonostante le 500 persone in emergenza abitativa che attendono un alloggio in cui vivere (e chissà quante altre non rientrano negli elenchi ufficiali), nonostante i milioni di euro sborsati annualmente dalla Provincia per pagare gli affittii dei suoi uffici. Con questo gesto abbiamo voluto esprimere la nostra contrarietà allo sperpero e all’inutilizzo delle risorse pubbliche; risorse che, se utilizzate male, sono le stesse che vengono tagliate all’Opera Universitaria per finanziare le grandi opere inutili (come il TAV) o le grandi speculazioni economiche (come le Albere e, a quanto pare, l’ex Italcementi). Alla fine di questo lungo giro siamo giunti, non a caso, alle Albere, il quartiere fantasma di Trento, simbolo di quanto il pubblico sia assoggettato al privato.
L’Occupy Parade è stata per noi una sfida, sotto tanti punti di vista. Sfida che in parte è stata vinta da tutte e tutti coloro hanno deciso di ballare in strada insieme a noi, che hanno ascoltato le nostre parole e ne hanno condiviso il senso, che hanno portato la specificità dei propri corpi e l’hanno messa in comune. Questa esperienza non chiude nulla ma amplia un percorso che abbiamo deciso di intraprendere due anni fa, consegnandoci nuove consapevolezze e nuova linfa per rilanciare un messaggio chiaro e forte: la città è di chi la vive, senza dubbio alcuno.
Per una Trento sociale, meticcia, solidale, antifascista e antisessista, continuiamo il nostro cammino per determinare dal basso la città che vogliamo.

Le Albere – Dossier sul quartiere vetrina

Lo scopo di questo piccolo dossier è approfondire la conoscenza di una situazione che, negli anni, è spesso apparsa sui giornali. Il quartiere delle Albere, tra ammirazione e scandalo, ha sempre trovato il modo di far parlare di sé. Quello che segue è un collage di articoli e comunicati ufficiali che abbiamo deciso di mettere insieme. In questo modo, riteniamo che sia più semplice per tutte e tutti capire “perché” le Albere sembrano essere una delle croci e delizie della città di Trento.

L’ex – Michelin: dalla fabbrica alle Albere
In passato, l’area che noi oggi conosciamo come le Albere ospitava la Michelin, fabbrica che nel 1998 chiude i battenti per spostarsi altrove. Nell’ andare via via, la Michelin decide di proporre al Comune di Trento l’acquisto degli 11 ettari di area che ospitavano lo stabilimento, al prezzo vantaggioso di 25 milioni di euro (vantaggioso perché la valutazione del terreno era di poco meno del doppio, in termini di cifre). Il Comune, al tempo governato dal sindaco Dellai[1], rifiuta l’offerta a causa di mancanza di fondi. Nonostante questo, si interroga su come non perdere un’area che, in modo o in un altro, ha caratterizzato la vita della città. Quindi se da un lato elabora una serie di documenti atti a indirizzare la trasformazione dell’area (un polo sportivo, verde, centro culturale), dall’altra si costituisce Iniziative Urbane, espressione di una partnership tra pubblico-privato, che vede al suo interno diversi attori-azionisti: la Caritro[2], la Sit (ora Trentino Servizi[3]), l’Isa[4], l’Itas[5]. L’amministrazione comunale dunque prova a promuovere un’iniziativa con protagonisti per lo più privati, con l’obbiettivo però di avere un riscontro e beneficio per il pubblico. Nell’accordo che precede l’acquisto dell’area, l’amministrazione cede un notevole potenziale edificatorio alla parte privata e, in cambio, riceve la costruzione e la cessione alla proprietà pubblica del parco e del polo museale. Dopo l’acquisto, parte la ricerca di un progetto che riesca a tenere insieme due esigenze diverse: da un lato i privati che, investito il capitale, vogliono trovare una soluzione che permetta loro di rientrare nelle spese e di guadagnarci; dall’altro l’attore pubblico, che vuole valorizzare l’area in senso verde e culturale. Dopo l’iniziale tentativo del Comune di trovare dei progettisti della zona, Iniziative Urbane interpella l’archistar Renzo Piano, il quale progetta la zona residenziale delle Albere e il MUSE (museo costato circa 70 milioni di euro). All’inizio il centro congressi non è messo nel conto ma ci entra, nell’agosto 2012, quando esce fuori la notizia che la Provincia intende acquistare (come poi ha fatto) l’area a sud confinante con le Albere. Il motivo della scelta, esattamente, non si sa; infatti l’idea del centro congressi si sviluppa dopo l’acquisto. A voler essere maliziosi e maliziose, si potrebbe pensare che l’acquisto dell’area “per farci qualcosa” sia stata una mossa per provare a rilanciare il residence delle Albere, che già all’epoca dava segni negativi in bilancio (pochi appartamenti venduti e molti ancora da costruire). Ad ogni modo, Piano accetta di progettare il centro congressi, struttura che, a detta di Dellai (adesso alla PAT), completa la presenza del MUSE, rendendo l’area un vero e proprio polo culturale… e la cui costruzione si aggira attorno ai 30 milioni di euro.
Aldilà dell’interpretazione dei fatti, che potrebbe essere giudicata di parte, ciò che è certo è che i soldi che il Comune non aveva a disposizione per acquistare l’area della Michelin nel 1998 (25 milioni di euro) in realtà sono stati spesi in misura maggiore sia dalla PAT (se pensiamo all’acquisto del terreno e al centro congressi, la cui costruzione si aggira attorno ai 30 milioni) e alle opere accessorie legate al nuovo polo residenziale-culturale (come, per dirne due, il sottopasso per arrivare al MUSE e i nuovi argini dell’Adige), a carico del Comune.

Il quartiere “Le Albere”
Le Albere è un quartiere residenziale composto da 304 appartamenti di lusso, i cui costi vanno dai 4.500 euro ai 4.700 euro a metro quadro. Inoltre, consiste anche in 2 mila posti auto interrati, 5 ettari di parco, 18 mila metri quadrati di uffici, 9 mila di negozi, 28 mila di viali, piazze e canali d’acqua. A incorniciare il tutto, a nord il MUSE, a sud il centro congressi (che in realtà diventerà una biblioteca) e un hotel a 4 stelle. Il tutto per un investimento pari a 450 milioni di euro totali, spesi in parte da Iniziative Urbane e in parte dalla PAT.
Nel piano di rientro delle spese qualcosa va storto. Dal 2010 (anno in cui sono stati messi in vendita i primi appartamenti) al 2014, dei 179 appartamenti già finiti e sul mercato, solo 30 ne sono stati venduti e 125 sono ancora da costruire. Situazione questa che, possiamo immaginare, preoccupa non poco gli investitori. Data la situazione di difficoltà, Dellai (già alla PAT), decide di intervenire (forse perché si sentiva in parte responsabile dell’odorato flop vista la genesi di Iniziative Urbane?). Nel 2011 propone di acquistare un certo numero di appartamenti alle Albere per trasferirvi una parte di uffici della Provincia in quel momento in immobili in affitto. Proposta insolita e forse esagerata (e fortunatamente mai approvata), visti i prezzi elevati degli appartamenti alle Albere, e decisamente spropositati per degli uffici pubblici.
Per affrontare la “crisi”, nel 2014 da un lato aumentano il numero degli appartamenti in affitto (e non più in vendita) e si sperimentano nuovi metodi di acquisto (rent&buy[6]), nella speranza di rilanciare il mercato immobiliare delle Albere; dall’altro si esulta per l’apertura delle sedi Itas, Isa (per un totale di 350 lavoratori) e di un hotel 4 stelle, e per la futura apertura della Biblioteca di Ateneo… al posto del centro congressi. Che l’intenzione sia quella di riempire la zona di “servizi” (siano essi uffici, negozi, biblioteche o hotel non importa) per rendere più appetibili le case ancora vuote?

La Biblioteca di Ateneo
Per capire bene la relazione Albere – Biblioteca bisogna fare un passo indietro rispetto al punto in cui siamo arrivati e arrivate sopra.
Nell’ottobre del 2002 l’Università, per 5.667.000 euro, acquista dal Comune Piazzale Sanseverino e chiede a Botta (già architetto del MART e di Giurisprudenza) di progettare una nuova struttura, una grande Biblioteca di Ateneo, capace di riunire al suo interno la grande collezione di volumi oggi sparsi in più di una sede al centro della città e di aumentare gli spazi di studio e consultazione a disposizione degli studenti e delle studentesse. Il progetto elaborato da Botta, costato poco più di 500 mila euro, prevede una grande struttura triangolare, con fronte all’Adige, tutta incentrata sul concetto di “libro aperto”, per dare spazio visivo e liberare dagli interrati la famosa collezione di libri dell’Università trentina. Finito il progetto, accettato con entusiasmo dai dirigenti d’Ateneo, l’iter di approvazione del progetto e di avvio dei lavori diventa (inspiegabilmente) monumentale. Il Comune non concede deroghe e, più e più volte, rimanda indietro il progetto della nuova biblioteca, anche omettendo le motivazioni di tale comportamento. Arriva anche a ipotizzare la possibilità di spostare la nuova biblioteca da San Severino al palazzo delle poste.
I tempi si allungano e si arriva al 2013, quando un vertice trilaterale fra, Daria De Pretis (rettrice), Alberto Pacher (vice presidente PAT) e Andreatta[7](sindaco di Trento), decide di accantonare il progetto di Botta, e di trasformare il centro congressi (già in costruzione) delle Albere nella nuova Biblioteca di Ateneo. La decisione, presa mentre i lavori del centro congressi sono già avviati da un pezzo e in corso, è presentata al pubblico come un modo per risparmiare i 60 milioni di euro stimati per la costruzione della biblioteca di Botta. Decisione questa che provoca non poco stupore. Da un lato Botta si chiede perché questo problema finanziario non si fosse discusso prima, sia in fase di progettazione che dopo, essendo possibile per lui rivedere il progetto iniziale e renderlo meno costoso. Dall’altro ci si chiede se non ci sia un problema di conflitto di interessi nella decisione in sé, visto che la rettrice De Pretis, quando si decide per lo spostamento, era azionista per 170.000 dell’Isa, a sua volta azionista di Iniziative Urbane, spa proprietaria delle Albere, in quel momento in perdita.
Al di là delle interpretazioni, più o meno maliziose, i fatti parlano di un’Università che, dopo questa decisione, va in perdita. Botta infatti aveva progettato una biblioteca per 500.000 volumi a scaffale aperto (caratteristica fondamentale), alle Albere ci saranno ancora i 500.000 volumi, ma non è chiaro quanti a scaffale aperto; i metri quadri passano da 12.000 a 9.000, dei quali veramente utilizzabili 8.000 per Botta e 7.000 per Piano (di cui una parte è nell’interrato); e soprattutto i posti di consultazione informatizzati passano da 900 a 400. Per fare parlare ancora i fatti e non “interpretazioni di parte”, riportiamo la questione degli interrati. Piano prevede una parte della biblioteca sotto terra, eliminando il parcheggio e andando sotto gli standard previsti dal regolamento comunale. Proprio i posti macchina a piazzale Sanseverino erano stati uno dei motivi di contenzioso tra Commissione urbanistica (Comune) e Università per il progetto di Botta, poiché il progetto di quest’ultimo non rispettava i minimi stalli previsti per legge. In più, la Commissione aveva imposto a Botta di non mettere i libri nell’interrato, in quanto piazzale Sanseverino è situato in una zona a forte rischio allagamento. La biblioteca di Piano, pur risentendo dello stesso problema, non ha subito nessuna segnalazione dalla Commissione urbanistica del Comune, per cui i libri staranno sotto terra. Pur non potendoci stare.
Al posto di una “cattedrale laica”, alla fine di Via Verdi (proprio all’estremo opposto del Duomo), gli studenti e le studentesse universitarie si ritroveranno con un biblioteca decentrata rispetto al centro della vita e della routine universitaria (vedi foto che segue).

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Fonte: Questo Trentino

Ancora una volta proviamo a fare due conti.
Da una nota della PAT del luglio 2014 apprendiamo che la costruzione, compresa di progettazione, della biblioteca Botta era stimata attorno ai 60 milioni di euro. Dallo stesso documento apprendiamo che 32 milioni circa sarebbe costata la costruzione del nuovo centro congressi, mentre la riconversione del centro in biblioteca costerà 43 milioni 300 mila euro (aumentati di 1.780.000 di euro nel giugno 2015). Non sappiamo quanto siano costati i lavori dell’ormai abortito centro congressi, ma, facendo due rapidi calcoli, tra i soldi spesi per comprare il terreno e quelli che dovranno essere spesi per la riconversione, più gli aumenti noti, la PAT dovrebbe sborsare più di 75 milioni di euro per una biblioteca lontana dal suo polo universitario, più piccola e più costosa di quella scartata. Ma non finisce qui.
Nell’ottobre del 2015 Collini nomina Massimo Miglietta, ordinario di Diritto Romano a Giurisprudenza, come Presidente del Consiglio di Biblioteca, col preciso incarico di seguire l’apertura della nuova biblioteca alle Albere. Dalle sue dichiarazioni apprendiamo che il piano è quello di spostare tutto il materiale e gli uffici oggi presenti al CLA, e anche le strutture presenti all’ex Lettere, nella nuova biblioteca. Una parte della biblioteca oggi attiva al CLA rimarrà comunque attiva (ma la nuova struttura non aveva il preciso compito di riunire tutte le biblioteche in una unica?!). A questo si aggiunge l’annuncio di un certo numero di navette che la PAT metterà in funzione per trasportare gli studenti e le studentesse dal centro universitario alla biblioteca (alla faccia della sostenibilità ambientale e del risparmio che ha mosso lo spostamento della biblioteca da San Severino alle Albere).
A chiudere questi aggiornamenti, una dichiarazione di Miglietta riguardo il deserto che caratterizza le Albere e alla posizione della nuova biblioteca: “Spetterà a noi poi creare un’offerta di pregio che incentivi gli studenti a fermarsi e a frequentare la biblioteca”. È dunque chiaro che qualcuno, ai vertici dell’Ateneo, si renda conto di quanto “fuori asse” sia la nuova biblioteca. Oltre alle navette, siamo proprio curiosi di scoprire quali saranno questi incentivi.

Considerazioni a margine
Con questo approfondimento abbiamo voluto fare luce su due questioni per noi importantissime.
Da un lato il rapporto Università-Provincia. Da quanto emerge da questa raccolta di informazioni trovate su giornali e/o documenti di vario tipo, provincializzare l’Ateneo non ha significato solo far dipendere lo stesso quasi esclusivamente dalle casse provinciali. In questa vicenda l’Ateneo trentino sembra essere stato in grado di prendere decisioni per sé solo prima della provincializzazione (vedi l’acquisto di San Severino e la progettazione della nuova biblioteca secondo specifiche esigenze); dopo l’impressione che abbiamo è che, a tratti, diventi un accessorio ad uso esclusivo della Provincia. Accessorio che nel caso delle Albere è servito a tappare un potenziale flop provinciale col centro congressi in un’area morta della città, e come strumento per sostenere e rilanciare un quartiere tutt’oggi in perdita (obbiettivo già chiaro nella mente della PAT dal 2011, quando voleva comprare alcuni appartamenti alle Albere per farne degli uffici). Sul caso delle Albere, dove non è arrivata la PAT direttamente, la PAT è arrivata indirettamente tramite l’Università. Se l’immagine di un’Università imbrigliata nei giochi di potere ed economici della PAT vi sembra eccessivo, chiariamo subito. Possiamo anche assumere (anche se su questo non abbiamo certezze e dovremmo interrogarci e indagare), che l’Università di Trento sia un polo accademicamente sganciato da chi lo sostiene economicamente: decide la sua didattica, i suoi percorsi di ricerca, le sue relazioni esterne in maniera autonoma. Ma se la PAT, dopo la Provincializzazione, è in grado di determinare economicamente le risorse dell’Università, è possibile che l’indipendenza abbia dei limiti, e che le esigenze economiche e politiche, oltre che ai giochi di potere in cui è coinvolta la PAT, possono ripercuotersi anche sull’Ateneo. Esattamente come è successo nel caso della nuova biblioteca.
Un altro punto che ci preme qui sottolineare è la gestione delle risorse pubbliche. Per quanto ci riguarda, la provincializzazione dell’Ateneo significa che, se non come abitanti di una città dove spesso non abbiamo nemmeno la residenza, come studenti e studentesse possiamo (e dobbiamo assolutamente), interessarci e mettere bocca sul tipo di utilizzo che il pubblico fa delle sue risorse. Il concetto è molto semplice: se tutto esce dalle casse di mamma Provincia (e naturalmente anche dalle tasse che paghiamo come studenti e studentesse), comprese le borse di studio, le fotocopiatrici che usiamo, gli stipendi di chi ci fa lezione etc., allora possiamo e dobbiamo interessarci di come utilizza le sue risorse la cara mamma Provincia. Dalla costruzione di una linea ad alta velocità inutile e pericolosa per ambiente e salute, alla costruzione di un centro congressi inutile, alla svendita e/o inutilizzo del suo patrimonio pubblico, quello che è della Provincia riguarda tutte le studentesse e tutti gli studenti dell’Ateneo, siano essi “in sede” o “fuori sede”.
Infine, ciò che “odoriamo” da questa storia e da altre notizie ancora non ufficiali (tipo il possibile nuovo studentato nell’area dell’Ex-Italcementi, faccenda che affronteremo in futuro) è che sia in arrivo il secondo tentativo (dopo quello fatto con la costruzione di San Bartolomeo), di svuotare il centro cittadino dagli studenti e dalle studentesse. Operazione questa che permetterebbe ai cittadini trentini di preservare l’impeccabile armonia e la plastica quiete del centro urbano, pur continuando a guadagnare sugli studenti e studentesse; inoltre, l’amministrazione si farebbe bella agli occhi degli elettori, continuando a farsi campagna elettorale sulla componente universitaria della città. Posto che non ci consideriamo, come studenti e studentesse, del bestiame da sposate a destra e manca per pascolare, ancora una volta ci chiediamo: cosa c’è che non va? Il fatto che non siamo delle macchine che producono solo ed esclusivamente esami dati, CFU ricevuti, seminari seguiti, lauree raggiunte in tempi record? Il fatto che vorremmo, alla fine di una giornata, poter stare seduti e sedute in una delle piazze centrali della città, a passare qualche ora fuori dai nostri dipartimenti prima di tornare a casa? Il fatto che la plasticità del centro cittadino alle volte ci sta stretta e che la cosa che consideriamo degradante sono le ronde cittadine e i presidi di polizia nelle piazze? Di domande e possibili risposte ce ne sono tante. Ad ogni modo, i corpi estranei alla città sono altri, non certo gli studenti e le studentesse. Ma su questo torneremo in futuro.

Aprile 2016

Cosa abbiamo letto:
Trentino Corriere Alpi; L’Adige; Questo Trentino; Sito della Provincia Autonoma di Trento; Sito dell’Università degli studi di Trento; Studi Trentini Arte

[1] Dal 1990 al 1995 è stato sindaco di Trento alla guida di una coalizione che comprendeva Democrazia Cristiana, Partito Socialista Italiano e Verdi. È stato rieletto nel 1995 con un’aggregazione di forze del centro-sinistra trentino. Modello successivamente utilizzato per la Margherita nazionale.

[2] Fondazione Cassa di Risparmio Trento e Rovereto, nata nel 1990 grazie alla legge Amato è un ente privato no profit, per statuto. È una delle fonti di finanziamento della ricerca universitaria più importante del bilancio di Ateneo.

[3] Trentino Servizi è una società unica nata, per volere dei Comuni di Trento e Rovereto, per avere un unico soggetto gestore dei servizi sul territorio.

[4] Istituto Atesino di Sviluppo, facente parte della galassia di Intesa San Paolo, considerato il “braccio finanziario della curia trentina”.

[5] Istituto Trentino Alto-Adige per Assicurazioni, è una società mutua assicuratrice.

[6] Assomiglia ad un affitto mensile, in cui si versa una quota stabilita mensilmente. In realtà, stabilito il prezzo di vendita dell’immobile, raggiunta la cifra, si diventa proprietari della casa.

[7] Sindaco eletto dal 2009 con una formazione politica che comprende il Partito Democratico, Unione per il Trentino, Partito Autonomista Trentino Tirolese, Unione dei Democratici Cristiani e di Centro.

All’ipocrisia delle “settimane verdi” preferiamo le piazze – nota su “GREEN WEEK”

In pompa magna, dal 4 al 6 marzo, il Dipartimento di Sociologia ospita la “Green Week”, tre giorni di incontri e dibattiti dedicati all’economia sostenibile, con ospiti di alto calibro e docenti di diverse discipline. Tema dell’anno è “Io non Spreco […] Un imperativo non solo morale, ma anche economico e sociale. La scelta di fondo della Green Week è infatti quella di porre al centro il risparmio e il riuso delle risorse sia nell’ambito dei consumi personali e collettivi, sia nei modi di produrre da parte delle aziende”, come leggiamo proprio nella presentazione ufficiale. Tra i nomi che partecipano alla chermesse, Barbara Degani, sottosegretario al Ministero dell’Ambiente e della tutela del Territorio e del Mare (NCD), forte sostenitrice dell’EXPO di Milano e, soprattutto, fan dell’alta velocità. Ma la Degani non è la sola ad averci colpiti. Presente anche Alessandro Olivi, vice presidente e assessore allo sviluppo economico e lavoro della PAT (PD), sostenitore del TAV in Trentino, convinto che sia il modo migliore per diminuire il traffico su ruota (non importa certo se per questo bisogna scavare una montagna per chilometri o spendere decine di miliardi di euro). Altro ospite di tutto rispetto Maurizio Martina, ministro dell’Agricoltura (PD) , esecutore dello sradicamento di centinaia di ulivi secolari in Salento a causa del batterio Xylella, nonostante le basi scientifiche a supporto di tale soluzione fossero misere e incerte. Andando avanti col programma, presente anche Chiara Braga, responsabile Ambiente per il PD, sostenitrice attiva del TAV Torino-Lione e dello Sblocca Italia, legge che semplifica la cementificazione del territorio, che da il via libera alla costruzione di un maggior numero di inceneritori e che, soprattutto, spinge sull’ulteriore estrazione di gas e petrolio (per intenderci, srotola il tappeto rosso a nuove trivellazioni). Come se non bastassero certi nomi a far storcere il naso, uno dei temi delle conferenze “verdi” è proprio EXPO. Ci fa proprio sorridere l’accostamento delle parole “green” e “sostenibile” accanto ad EXPO, perché pensiamo che quel grande evento sia stato tutt’altro che verde e sostenibile (pensiamo solo ai centinaia di migliaia di ettari terreno coltivabili che sono stati cementificati per permettere una fiera di sei mesi). Senza voler rientrare in merito al perché ci sentiamo No Expo, vogliamo qui solo ricordare che, se proprio vogliamo parlare di sostenibilità, ciò che ci ha lasciato EXPO, tra le altre cose, è una perdita di 32,6 milioni di euro, cifra che certamente testimonia la non-sostenibilità dei grandi eventi in generale. Questa è la Green Week. Una chermesse con grandi nomi, tanta politica, che da la parola su sostenibilità ambientale, economia green e sviluppo sostenibile a personaggi che sostengono le trivellazioni invece di supportare la ricerca di fonti alternative di energia; che promuovono progetti di traforo di montagne per chilometri e chilometri; che devastano le economie locali affidandosi a studi superficiali e frettolosi; che facilita la cementificazione dei territori; che promuove grandi eventi e grandi vetrine di cui, sei mesi dopo, rimane una una vuota piattaforma di cemento e milioni di euro di buco in bilancio. Organizzare sterili passerelle che prestano il braccio a progetti che devastano i territori e uccidono modelli di sviluppo alternativi non è certamente il modo migliore di affrontare l’argomento. Smettere di progettare grandi opere, puntare alla ricerca di fonti di energia alternative e rinnovabili, sostenere il Km 0: forse bisognerebbe partire da questo. A certi personaggi lasciamo le passerelle, la propaganda e le vuote discussioni. Noi, oltre a smascherare l’ipocrisia di certi eventi che trovano spazio nelle nostre università, preferiamo le piazze alle passerelle. Anche per questo saremo a Venezia martedì 8 marzo, contro le grandi opere.
Contro la devastazione e il saccheggio dei territori, ci vediamo per le strade e nelle piazze.