GUARDIE, TORNELLI E MANGANELLI: IL NUOVO PIANO FORMATIVO DELLE UNIVERSITA’

Ci sono scene che difficilmente passano inosservate o vengono dimenticate con semplicità. Tra queste quelle che ritraggono la celere dentro una bibliotecauniversitaria, che giovedì scorso ha fatto irruzione in un’ aula studio liberata, da studenti e da studentesse che legittimamente si sono opposti alla privazione dell’ ennesimo diritto da parte delle istituzioni universitarie.E’ per questo che raccogliamo l’appello lanciato da Bologna e lo facciamo nostro. Perché anche se non siamo stat@ picchiat@ il 9 febbraio dentro al 36 di via Zamboni, siamo studenti e studentesse universitar@ che non accettano le imposizioni calate dalle alte sfere dell’ateneo, le quali, come spesso accade, vanno a limitare e a peggiorare la vita, la partecipazione e la libertà di chi vuole frequentare un’ università aperta e accessibile a tutt@, un’università che sappia sviluppare il sapere critico attraverso il dibattito e il confronto quotidiano.Quello che è successo a Bologna è un atto estremamente grave, che merita l’ indignazione e l’ opposizione da parte di chiunque abbia a cuore il proprio Ateneo. Quello che è successo a Bologna si inserisce all’ interno di una logica che ha deteriorato negli ultimi anni il sistema universitario, trasformando gli spazi degli studenti in “esamifici”, chiusi e intolleranti a qualsiasi forma di dissenso.Il dibattito sui tornelli forse non ci appartiene, ma ci appartiene quello su che tipo di università viviamo e che tipo di università vogliamo. Anche a Trento con la stessa arroganza di chi vuole gli/le student@ zitt@ e li vede come mer@ esecutor@ di esami, condannat@ alla precarietà, viviamo tempi non troppo felici.I tagli alle borse di studio, lo sperpero di risorse pubbliche per una biblioteca fuori misura, la riduzione degli spazi dove potersi incontrare e studiare, la possibilità di trovarci una guardia armata fuori dal bagno, sono solo alcuni segnali che ci dimostrano in che direzione sta andando il mondo della formazione universitaria. Queste sono le condizioni che viviamo in UniTN, e che tutti i giorniproviamo a contrastare insieme, confrontando esigenze e aspirazioni, opponendoci al deterioramento dei luoghi della cultura e del sapere.Riconosciamo come nostro l’atto di riappropriazione di una biblioteca, riteniamo assurde le immagini di una biblioteca devastata dalla celere.Per questo solidarizziamo con gli studenti e le studentessa di Bologna, senza se e senza ma, e condanniamo l’ infame scelta del rettore Ubertini di chiamare la celere che ha picchiato in maniera indiscriminata chi stava commettendo “il reato” di studiare in una biblioteca universitaria.

Perché andare a Belgrado?!

I confini degli stati lungo la rotta balcanica stanno diventando sempre più impenetrabili.
Questa è la volontà dell’Unione Europea, che lo scorso 18 Marzo 2016 ha siglato con la Turchia degli accordi in tale direzione. Malgrado ciò, i muri, il filo spinato e i manganelli non sono riusciti ad arrestare questo flusso. L’area balcanica è ancora teatro di violenze, deportazioni, respingimenti, rastrellamenti e rapimenti ai danni dei/delle migranti che tentano di attraversarla. Chi si trova in Serbia oggi cerca di muovere verso nord, imbattendosi in centinaia di chilometri di reti e filo spinato, pattugliati da polizia e civili fascisti e xenofobi ungheresi (talvolta assieme). Lungo i confini si verificano giornalmente respingimenti che vedono il ricorso indiscriminato a cani d’assalto, violenze sistematiche e pratiche di tortura. Non è raro quindi incontrare migranti che raccontano di essere stati respinti più volte e che ora si trovano nella capitale serba abbandonati a se stessi, ostaggio delle infami politiche europee in materia di immigrazione.
Attualmente in condizioni igieniche disumane, tra spazzatura e fumi tossici dentro ai vecchi magazzini della stazione centrale di Belgrado, sono presenti circa seicento migranti di origine principalmente afgana o pakistana. Sono in gran parte minori non accompagnati e vivono in uno stato di totale abbandono privati della loro dignità, sprovvisti di cibo, elettricità e acqua corrente.
Ciò che viene loro faticosamente garantito è frutto del lavoro di gruppi di volontari indipendenti, di associazioni e di Medici Senza Frontiere che, nonostante le continue pressioni della polizia e del governo serbo, riescono a garantire loro un pasto al giorno e provano a sopperire alle enormi esigenze di chi si trova a vivere i condizioni disumane.

Lo scorso gennaio due compagni* del Collettivo sono sces* a Belgrado, attraverso l’associazione veronese One Bridge to Idomeni, che opera in loco organizzando staffette di volontar* che da gennaio si sono impegnat* a scendere ogni fine settimana per monitorare la situazione e per portare aiuti umanitari.
Come Collettivo abbiamo deciso di approcciarci in prima persona alla grande tematica migratoria, andando a portare un aiuto concreto a queste persone. La nostra intenzione, come sempre, è quella di coinvolgere e coinvolgerci attraverso la partecipazione universitaria. Per questo motivo abbiamo organizzato un pranzo sociale attraverso il quale raccoglieremo fondi per questa missione, nella speranza che quanto ricevuto ci permetta di contribuire alle spese per sostenerci in questa iniziativa.
Abbiamo anche deciso di indire per la giornata di Lunedì 20 Febbraio una raccolta vestiti (cappelli, sciarpe, guanti, calzini) da portare ad Are You Syrious?, un’associazione indipendente che si occupa di trasportare vestiti in Serbia.
La volontà è quella di riuscire ad avvicinare gli/le student* universitar* al fenomeno migratorio, attraverso un racconto diretto e un momento di discussione che auspichiamo partecipato e interessato.  Questo fenomeno sta investendo i nostri giorni e le nostre vite, non possiamo pensare di continuare ad ignorarlo. Chiusura, barriere, fili spinati e rastrellamenti sono le risposte istituzionali a questo fenomeno che non fanno altro che generare odio e intolleranza. Noi crediamo che la nostra generazione non debba avere paura e che debba essere disposta a impegnarsi per costruire un futuro di accoglienza, di dignità, di rispetto dei diritti umani.
Vogliamo ripartire dall’università e superare le barriere della chiusura e dell’intolleranza.
Vogliamo ripartire da noi per unirci a chi ogni giorno lotta a fianco dei/delle migranti per garantire loro diritti e autodeterminazione.

Invitiamo tutti e tutte al pranzo sociale di mercoledì 15 febbraio, nell’atrio interno di Sociologia, a partire dalle 12.00.

Invitiamo anche tutte e tutti a partecipare alla raccolta di cappelli, sciarpe, guanti e calzini prevista per il 20 febbraio, di cui presto daremo maggiori indicazioni.

Solidarietà agli/lle student* marocchin* in lotta!

Pochi giorni fa abbiamo appreso la notizia della volontà da parte del governo marocchino di confiscare la sede dell’UNEM, l’Unione Nazionale degli Studenti Marocchini, per trasferirla nelle mani del Ministero della Gioventù e dello Sport. L’UNEM è il sindacato del dissenso studentesco di sinistra marocchino e dal 1956, anno della sua fondazione, è obiettivo di continui episodi di repressione governativa: nel 1973 infatti l’organizzazione viene dichiarata illegale e vietata, i suoi membri vengono arrestati. Il livello di repressione è cresciuto negli anni: i militanti di questa associazione sindacale hanno subito numerosi arresti, torture e misure cautelari. Non a caso gli studenti dell’UNEM stanno portando avanti le loro politiche in maniera frammentaria, sfruttando strutture e spazi provvisori all’interno delle facoltà, senza la possibilità di darsi una struttura unitaria a livello nazionale.
La decisione della confisca della sede dell’UNEM è stata vista dagli studenti marocchini come l’ennesimo tentativo di limitare la loro libertà e i loro diritti. La maggior parte delle forze studentesche di sinistra hanno espresso il loro dissenso in merito a questo fatto e si sono schierati dalla parte dell’Unione Nazionale degli Studenti Marocchini.
Questa mossa si inserisce in un sistema, quello marocchino, dove sorveglianza e militarizzazione si insidiano all’interno degli atenei, dove gli studenti sono bersaglio di repressione e limitazione della libertà di espressione. Un sistema fatto di privazione dei diritti minimi: arresti, torture, misure cautelari a livello penale contro ragazzi e ragazze il cui unico “crimine” è quello di alzare la testa per rivendicare un’istruzione e un’università libera e accessibile, sono all’ordine del giorno.
La risposta che viene data in seguito alla confisca della sede dell’UNEM è una manifestazione lanciata, in occasione del 60esimo anniversario dalla fondazione del sindacato studentesco, il 25 dicembre a Rabat.
Come Collettivo Refresh da anni ci battiamo per un’università che sia libera, aperta al sapere critico  e accessibile a tutt*. Un’ università dove i diritti vengono garantiti e dove gli studenti e le studentesse possano essere liber* di ritrovarsi in assemblea, di manifestare il dissenso, di organizzarsi e confrontarsi.
Per questo sottoscriviamo l’appello in solidarietà ai compagni e delle compagne marocchin*, che il 25 Dicembre scenderanno nelle strade e nelle piazze per chiedere al governo la liberazione dei loro compagn* incarcerati e la fine delle misure repressive di cui sono vittime da ormai troppo tempo.

Qui il link dell’appello da firmare: http://www.ipetitions.com/petition/solidarity-with-the-moroccan-students-union

In calce l’appello di lancio della manifestazione tradotto in Italiano:

Ai Ministri degli Interni, dell’Istruzione e al ministro della Gioventù e dello Sport marocchini.
I sottoscritti scrivono, in quanto sindacalisti e studenti, per dichiarare il nostro supporto a sindacati liberi, e associazioni studentesche indipendenti e per la libertà di riunione come principio universale. Siamo molto preoccupati per il tentativo del Governo Marocchino di imporre il controllo statale sull’Associazione Studentesca marocchina, compreso il sequestro della loro sede per sottoporla al controllo del Ministero per la Gioventù e lo Sport.
Esprimiamo la nostra solidarietà alla mobilitazione prevista per il 25 Dicembre e chiediamo al Governo marocchino il riilascio gli studenti incarcerati per protestepiù che legittime  e la fine  delle misure repressive e legali intraprese nei confronti dei sindacati e dei corpi studenteschi.

#ISEE_trento: luci ed ombre

Dopo numerose e assidue ricerche siamo riusciti a trovare e a leggere attentamente il testo della delibera della Provincia Autonoma di Trento (P.A.T.) che riguarda la famosa riforma delle borse di studio in Trentino. Lo scenario che si presenta ai nostri occhi non è dei migliori, anche se per le rappresentanze studentesche l’ISEE è uno strumento più efficace dell’ICEF per la tutela del diritto allo studio. Ciò di cui fondamentalmente si parla in questa delibera è il passaggio da ICEF a ISEE, conformandosi così alle norme nazionali.

Cosa effettivamente cambierà… e come?
Abbiamo già approfondito come cambieranno i parametri di assegnazione e come, col nuovo ISEE, si rischia di divertare ricchi senza saperlo. Ci siamo chiesti questa volta come cambieranno le borse, in termini sostanziali. In questo momento con l’ICEF gli importi minimi e massimi per gli studenti considerati in sede o pendolari sono rispettivamente 500 e 2.600 euro all’anno, mentre per i fuori sede si va dai 1.200 ai 5.000 euro l’anno. Con L’ISEE e il rispetto degli importi stabiliti dalle normative nazionali, la situazione diventa la seguente: per gli studenti in sede la borsa di studio andrà da un minimo di 1.250 ad un massimo di 2.500 euro (e già qui possiamo notare un abbassamento, seppure minimo, di 100 euro alla soglia massima); i pendolari potranno beneficiare di una borsa minima di 1.411 e una massima di 2.822 euro; per gli studenti fuori sede gli importi minimi e massimi saranno 2.560 e 5.118 euro.
Cambiamenti ce ne sono, inevitabilmente… ma è tutto oro quello che luccica?!

Dalle previsioni
Per capire questo ci aiutano i pochi documenti trovati circa le previsioni che la Provincia ha svolto circa il passaggio da ICEF al nuovo ISEE.
Nell’anno 2015/2016 i beneficiari di borsa di studio sono stati 3.286 e la Provincia ha erogato una somma pari a 6 milioni di euro destinati alla voce “diritto allo studio”. Parte di questi fondi (probabilmente non tutti) sono stati utilizzati insieme ad altri dall’Opera Universitaria, ente preposto per l’erogazione di servizi per il diritto allo studio, per le borse di studio. Ciò che le previsioni fatte dalle Provincia ci dicono che con il nuovo ISEE e utilizzando il limite fissato di 20.000 euro i beneficiari di borsa di studio saranno 2.000… quindi ben più di un terzo in meno rispetto all’anno scorso (1.286 student* in meno). E se è vero che chi si è immatricolato sotto il regime dell’ICEF continuerà con l’ICEF, non è possibile pensare che basti così poco per lavarsi mani e coscienza, perché un terzo dei beneficiari in meno PREVISTI fanno pensare che nella realtà la situazione potrebbe essere ben peggiore.
Ma non finisce qui.
La Provincia proclama non solo che le borse avranno importi più alti ma che investirà ben 1 milioni e di euro in più per il diritto allo studio: dai sei milioni dell’anno 2015/2016, la P.A.T. prevede un’erogazione di 7 milioni. Il problema dunque dove sta? Nel fatto che se il numero di beneficiari diminuirà notevoltemente la Provincia in realtà investirà 1 milione di euro in più per il diritto allo studio per finanziare alla fine meno borse di studio. E questo fa decisamente dubitare su quanto sia innovativo, equo, giusto, o semplicemente funzionale, il nuono ISEE.

Tornando alla delibera
Ma se non vogliamo basarci solo su previsioni, andiamo al sodo… e torniamo alla delibera della Provincia. In questa, la Provincia si impegna a (testualmente) “garantire l’assegnazione delle borse di studio a tutti gli studenti risultati idonei”, cioè coprire il 100% delle borse di studio a coloro che ne risultino beneficiari. Ridiamo e ci sentiamo anche un presi in giro da questa “promessa solenne”: semplice promettere una copertura totale se il numero dei beneficiari è destinato a diminuire in maniera abbastanza drastica, di più di un terzo!
Ma il punto più critico che emerge dalla lettura del testo della delibera è un altro. Al suo interno infatti si menziona il D.M. n. 174 del 23 marzo 2016, decreto con cui il MIUR stabilisce l’utilizzo del nuovo ISEE anche all’interno dell’università pubblica. In questo decreto, il limite minimo dell’ISEE dettato dal Ministero dell’Istruzione è di circa 15.000 euro ed il massimo di 23.000 euro. Si lascia poi discrezionalità ad ogni regione nel ragionare all’interno di questi due paletti i minimi e i massimi da applicare. La Provincia dunque potrebbe tranquillamente scegliere di adottare una soglia più alta rispetto a quella decisa, e quindi aumentare di almeno altri 3000 euro la soglia che determina chi può beneficiare o meno della borsa di studio. Ma l’interesse della Provincia, rispetto a quello che l’assessora ha più volte detto e ridetto, non era quello di garantire quante più borse possibili? forse la Provincia, poverina, non è al corrente che potrebbero aumentare la soglia massima?!
Se proprio volete saperlo, la Provincia è perfettamente a conoscenza di questa possibilità. Infatti, se ritorniamo alle previsioni di cui abbiam o parlato prima, si prova a fare un prospetto anche con un massimale a 23.000 euro… ma mancano la previsione di spesa e la previsione del numero di beneficiari. Insomma è come se fosse un’opzione che non è stata seriamente presa in considerazione, tant’è che mancano le previsioni reali rispetto a questa possibilità. In tutto questo, quello che davvero ci fa ancora più pensare è il fatto che le informazioni contenute in questo articolo, che noi con qualche difficoltà siamo riuscit* a recuperare, non sono mai state rese pubbliche dalla Provincia Autonoma di Trento. O meglio, la Provincia lo ha fatto, ma quando ormai le decisioni erano già state prese, a delibera firmata e approvata.

Quella che la Provincia chiama riforma, noi lo chiamiamo taglio al diritto allo studio. Taglio perché il numero dei beneficiari, tramite il nuovo ISEE, diminuirà sensibilmente, e taglio perché nonostante il paventato finanziamento di un milioni di euro in più, in realtà l’Opera Universitaria l’anno scorso prevedeva un sensibile taglio dei fondi ricevuti dalla PAT per garantire i suoi servizi. Eppure i fondi ci sono ma vengono investiti in altro modo. Un esempio? Il 19 novembre verrà inaugurata la nuova biblioteca centrale di ateneo al centro del quartiere delle Albere, l’esempio di speculazione edilizia più grande all’interno della città di Trento. Un quartiere fantasma, che necessita di fondi universitari per essere ripopolato, andando a riparare un errore della Provincia, a spese degli studenti. Stato di fatto confermato recentemente da alcuni dati: ad oggi circa il 40% delle Albere risulta invenduto. Ciò che è stato smerciato fino ad ora è pari a 220 milioni di auro, metà della quale (110 milioni) è stata pagata da enti pubblici per il MUSE e per la biblioteca delle Albere. Nello specifico, la biblioteca delle Albere alla fine della fiera dovrebbe essere costata circa 75 milioni di euro (a fronte dei 60 milioni che si sarebbero spesi col vecchio progetto di Botta). Soldi della Provincia, dell’Università. Tanti soldi, tantissimi, spesi male. Di esempi ne avremmo ancora tanti per mostrare come la P.A.T. usi l’Università per investire soldi sul territorio in modo poco pulito e non trasparente, togliendo così risorse al diritto allo studio.
L’assessora all’Università Ferrari e i politicanti locali vorrebbero trasformare l’università in un’istituzione formativa elitaria, accessibile a pochi. Noi al contrario vogliamo che l’università continui ad essere un luogo di produzione e condivisione di sapere critico accessibile a tutt* indipendentemente dal reddito familiare.

BASTA TAGLI AL DIRITTO ALLO STUDIO

#sgancialaborsa #ISEE_trento

La solidarietà a chi la merita

In questi giorni tutti si stringono attorno ad uno degli esponenti della lista Atreju, “vittima” di una scritta su una delle porte dei bagni del Dipartimento di Sociologia. Persino il Direttore del Dipartimento, prof. Sciortino, ha inoltrato una lettera alle studentesse e agli studenti di Sociologia per condannare l’episodio e fare appello ad un modo di fare politica in cui lo scambio di vedute sia, sebbene accesso, comunque democratico.
È quanto meno interessante vedere come, nel giro di poche ore, tale esponente sia diventato l’agnellino di turno da difendere. Sì, perché la persona presa oggi di mira, è la stessa che fa parte di Atreju Trento, una lista studentesca vicina, anzi vicinissima, a Fratelli d’Italia e a quei bravi ragazzi di Casa Pound. Attori politici ,questi,che della mancanza di dialogo e della violenza fisica hanno fatto una pratica, per dare spazio all’omofobia, al razzismo e al pregiudizio di basso stampo fascista.
E a proposito di fascismi, nelle ultime settimane è stato proprio questa stesso esponente di Atreju a chiedere al Consiglio di Dipartimento di inserire all’interno dell’agenda una discussione sull’aula autogestita del Dipartimento, aula che a suo dire andrebbe chiusa all’istante.
La richiesta della chiusura immediata di uno spazio di aggregazione e socializzazione certamente non può essere che condannata da noi, soprattutto se questo tipo di spazio si trova all’interno di un’università. Infatti, da studentesse e studenti universitari viviamo ogni giorni un sistema universitario fortemente competitivo, frenetico, che rende spesso gli studenti dei “cavalli da corsa” incapaci di socializzare, riflettere, aggregarsi e creare comunità. Uno spazio autogestito, luogo di socializzazione per tante e tanti, può essere uno dei modi per rompere quella quotidianità universitaria che ci vuole produttivi a tutti i costi. Per noi gli spazi sociali autogestiti sono dunque importanti.
Mentre tutti sono concentrati a rendere questo rappresentate di Atreju quello che non è, una specie di povera vittima che può essere salvata solo dal buon senso e da un modo di fare politica democratico e ragionevole, a noi piacerebbe che il focus della discussione si spostasse sulla presenza di un gruppo fin troppo vicino alla destra fascista all’interno dell’università. Anche perché, con molta franchezza, ragionare su una scritta su una porta certamente non è far politica e certamente non ci interessa più di tanto.
Da parte nostra quindi non può arrivare nessuna solidarietà per questa persone non solo perché non condividiamo né mai potremmo condividere la sua politica, ma anche perché, con tutta onestà, ci sono ben altre cose di cui discutere all’università e sul mondo della formazione più in generale.

Contro ogni sgombero, 10 100 1.000 occupazioni!

In questa mattinata di mercoledì 13 maggio, esattamente a 3 giorni dalle elezioni che hanno riconfermato a sindaco di Trento l’esponente del PD Andreatta, è avvenuto lo sgombero dell’Assillo Occupato, un’esperienza di occupazione iniziata poco più di un mese fa e che ha visto la liberazione dal degrado di uno spazio rimasto inutilizzato, ed altrimenti destinato a rimanere in tale stato, per diversi anni.

Il fatto che lo sgombero, acclamato sia dagli esponenti del centro-sinistra, usciti vincitori dalle recentissime comunali, che dalla destra, in particolare da Fugatti che lo osanna come il trionfo del cosiddetto “effetto Lega” a Trento, sia avvenuto così a ridosso delle elezioni la dice lunga sul tipo di amministrazione che la giunta appena insediata intende seguire. E’ evidente infatti che la campagna di “lotta al degrado” che vuole essere perpetrata va nella direzione opposta a quella che il buon senso suggerirebbe, a partire innanzitutto dalla demonizzazione e mutazione della parola stessa “degrado”. Come collettivo Refresh vogliamo ribadire, per l’ennesima volta, che il degrado, in una città come Trento, non è certo rappresentato dalla rivitalizzazione di uno stabile abbandonato attraverso un’occupazione, la quale ha il solo scopo di restituirlo alla città e di farlo appunto rivivere, ma è piuttosto l’abbandono di decine e decine di immobili simili, che sono soggetti essi stessi e fonte di vero degrado. Basti pensare al recente tragico episodio che ha visto la morte di Rauf nell’ex mensa santa chiara, occupata più di una volta dal collettivo Refresh per denunciarne il totale stato di abbandono in cui versava, e versa tutt’oggi.

Per questi motivi riteniamo che la riappropriazione degli spazi abbandonati in città non solo sia giusta ma sia anche essenziale, infatti è questo uno dei modi più concreti ed immediati per riuscire concretamente a fare politica genuina e dal basso. L’autogestione di luoghi pubblici che sono stati abbandonati per diversi motivi, che solitamente sono imputabili più a mancanza di convenienza ed interesse che alla mancanza di disponibilità nella gestione degli stessi, consistente nella cooperazione e nell’organizzazione collettiva tra i singoli, è la risposta logica alle politiche che ci vuole vedere sempre più competitivi e disorganizzati.

Contro ogni sgombero, 10 100 1000 occupazioni!