Sbirri a Sociologia…. e DIANI COSA DICE?

Di questi tempi accadono cose strane al Dipartimento di Sociologia di Trento. E a quanto pare c’entra sempre una divisa. Ma andiamo per gradi.

È lunedì, tardo pomeriggio-prima serata, e nel cortile interno di Sociologia si svolge un aperitivo organizzato da una associazione studentesca. Ad un tratto, spuntano quattro poliziotti in divisa dentro al cortile, guidati da un signore “vestito normale” (anzi, chiamiamolo col suo nome, poliziotto in borghese) che indica loro un ragazzo, uno studente universitario per l’esattezza. A quanto pare, la polizia era stata chiamata poco prima da un ragazzo presente in cortile dicendo loro di aver riconosciuto chi, a suo dire, gli aveva rubato la bicicletta qualche tempo prima, il cui furto aveva denunciato proprio alla polizia. Riconoscimento avvenuto sulla base di un video di sorveglianza di pessima qualità, aggiungiamo. Insomma, gli zelanti poliziotti si presentano quindi a Sociologia, si dirigono dal ragazzo e, tolto lui il telefono, se lo portano via. In volante. Senza una denuncia a suo carico. Senza un pezzo di carta in cui spiegano cosa e perché. Solo con un sospetto in tasca (e il cellulare del ragazzo). Nel silenzio più totale di chi era in cortile e guardava la scena. Anzi, no, il silenzio in effetti non c’era, visto che la festa ha continuato come se nulla fosse, con tanto di musica.
Ma la stranezza non finisce qui. Infatti, la polizia ha messo piede in università senza tante cerimonie, pure portandosi via uno studente, senza poterlo fare. È noto a tutt@ infatti che affinché la polizia possa entrare in università per una qualsivoglia operazione, essa deve ricevere il permesso dal rettore o dal direttore del Dipartimento in questione. Gli zelanti sbirri della nostra storia, una volta arrivati in via Verdi, avrebbero dovuto andare in portineria, spiegare il motivo della loro presenza e chiedere al/alla funzionario/a presente di avvertire il direttore di dipartimento, in questo caso il Prof. Mario Diani. Solo con l’assenso di quest’ultimo avrebbero potuto procedere con “l’operazione”. Chissà… eccesso di zelo, voglia di combattere la criminalità, voglia di fare qualcosa oltre a presidiare Piazza Santa Maria Maggiore… insomma, la comunicazione non è mai stata data, la direzione del Dipartimento non è mai stata allertata, il permesso di entrare in università agli sbirri non è mai arrivato.

Chissà per quale strana formula uno studente o studentessa qualsiasi si trova davanti un iter burocratico infinito per usare uno spazio dell’università, senza il quale le porte delle aule non si aprono fuori lezione, ma degli uomini in divisa possono fottersene degli iter e fare quello che gli pare in uno spazio che DECISAMENTE non appartiene loro. Chissà.

Riteniamo inaccettabile che nella nostra università la polizia entra ed esca, portandosi via anche uno studente, senza che chi di dovere sappia cosa sta succedendo. Soprattutto, riteniamo inaccettabile che la polizia possa entrare così facilmente all’università, senza che nessuno abbia fatto notare loro che sì, diamine, il permesso per mettere piede all’interno di un dipartimento LO DEVONO CHIEDERE.

Ci chiediamo e chiediamo al direttore del Dipartimento di Sociologia, Prof. Mario Diani, se è al corrente di quanto accaduto lunedì scorso all’interno del Dipartimento di cui è direttore. Chiediamo al Prof. Diani dunque di esprimersi sull’argomento e se ritiene normale che la polizia entri all’interno del Dipartimento, senza comunicare niente a nessuno.

Per quanto ci riguarda, lo abbiamo detto più volte nelle scorse settimane e continueremo a dirlo: FUORI GUARDIE E SBIRRI DALL’UNIVERSITA’!

Speriamo che Diani sia dello stesso avviso…

E’ tempo di RISCATTO! Assemblea pubblica

Vivere l’università al giorno d’oggi significa un sacco di cose. Significa vivere un contesto in cui vieni giudicato solo in base al numero di CFU registrati nel tuo libretto, dalla media dei tuoi voti, da quanti anni sei fuori corso. Significa vivere in un’università vetrina, che mira a raggiungere i primi posti nelle classifiche, all’efficienza, ma che si dimentica degli studenti e delle studentesse che ogni giorno la attraversano. Significa non avere spazi per la socialità, per il dibattito, per l’aggregazione. Significa anche non lasciare spazio al pensiero critico, alle forme di dissenso e di rivendicazione dal basso. Significa vedere la celere che entra nelle biblioteche o nelle facoltà, come a Bologna e a Roma. Ma non serve andare lontano per vedere esempi di questa situazione critica che sta vivendo il mondo universitario. L’ateneo trentino, con la provincializzazione, con le biblioteche in vetro e bambù, con i tagli alle borse di studio, con un debito da parte della Provincia di 200 milioni, con le aule studio chiuse è un chiaro esempio del fatto che gli studenti e le studentesse universitari della nostra generazione non sono minimamente considerati come parte attiva dei propri atenei. Non possiamo di certo accettare che delle guardie giurate entrino in ogni facoltà della città, soprattutto mentre la Provincia ha un debito di 200 milioni con l’ateneo. Vogliamo che i fondi vengano utilizzati per fornire più aule studio, più borse di studio, per garantire una formazione completa, che incentivi il pensiero critico. Non possiamo stare zitt* di fronte alle speculazioni della Provincia, allo sperpero di denaro, non possiamo accettare le istituzioni politiche all’interno del CDA.

Ci siamo interrogat* e confrontat*, anche partecipando a momenti di confronto a livello nazionale, e siamo giunti alla conclusione che siamo la generazione figlia della crisi, stiamo pagando gli errori che non abbiamo commesso, ma trovandoci di fronte a questo scenario possiamo e dobbiamo essere anche la generazione del riscatto, che si assuma la responsabilità di organizzarsi, di creare dissenso, di provare a cambiare lo stato di cose esistente. Abbiamo una grossa responsabilità e non possiamo tapparci gli occhi e non agire in un momento come questo. Vogliamo e, in qualche modo, dobbiamo trovare il modo di rientrare all’interno delle nostre università, riprendercele dal basso e renderle accessibili e aperte a tutti e tutte.

Per tutti i motivi elencati e per interrogarci su come costruire e ottenere il nostro riscatto vi invitiamo a un’assemblea pubblica il 21 marzo alle 18.00 nell’atrio interno di sociologia. Discutiamo insieme sui problemi dell’università di Trento e capiamo come ripartire da noi stess* per costruire dal basso l’università che vogliamo.

Vorremmo cagarvi, davvero, ma con la guardia non è facile

Novità in arrivo a Sociologia. Apprendiamo da un post pubblicato sulla pagina Facebook UDU-UNITIN che la direzione del dipartimento di Sociologia sta pensando di mettere in campo alcune contromisure dopo ritrovamento di siringhe usate nei bagni del dipartimento, come fotografato da SPOTTED UNITN qualche tempo fa. Le soluzioni che, a detta di UDU-UNITIN, sono allo studio delle alte sfere di Sociologia sono due. La prima sarebbe quella di permettere l’accesso ai servizi igienici grazie a un badge, come già avviene a Lettere o al CLA; la seconda propone l’assunzione di una guardia giurata che faccia la ronda per i bagni del dipartimento, controllandovi chi è dentro e cosa fa. Inutile dire che, perpless@ come siamo, abbiamo delle cose da dire in merito a queste macchinazioni che stanno avvenendo nella stanza dei bottoni del dipartimento.

La vicenda è sicuramente complessa e affronteremo solo alcuni aspetti legati ad essa.

Iniziamo col parlare di chi ha diffuso la notizia. A detta delle e dei e delle rappresentanti UDU-UNITIN, quando sono stati posti davanti alla scelta su quale delle due soluzioni prospettate preferissero, hanno dichiarato che la seconda è sicuramente quella migliore. Senza colpo ferire. È proprio vero che chi partecipa al teatrino delle elezioni studentesche ha la memoria corta e l’unica cosa che guarda è il proprio tornaconto elettorale. Quindi vogliamo rispolverare alcune passate vicende. Nel 2014-2015 il problema su cosa avvenisse nei bagni si era presentato al Dipartimento di Lettere e Filosofia. Atreju, lista universitaria molta vicina alle e ai fascistell@ di Fratelli d’Italia, propose di risolvere il problema permettendo l’accesso ai servizi igienici solo alle persone dotate di badge. All’epoca, Atreju era la grande antagonista di UDU, quindi la sezione universitaria della CGIL aveva dimostrato tutta la sua contrarietà e provato a non far passare la proposta negli organi universitari. Limitare così la libertà di utilizzo dei servizi igienici universitari era troppo, a detta di UDU. Adesso, che Atreju è stata ridotta a una presenza irrisoria in Università, le e i burocrati di UDU possono tranquillamente gettare la maschera. Il badge no, non possono mica accettarlo come soluzione possibile; ma la guardia sì, appellandosi alla retorica della scelta del meno peggio. Peccato che il meno peggio è spesso il peggio, ma l’importante è dimostrare alla popolazione universitaria che loro i risultati li portano a casa, non importa quali essi siano. Il “fare” prima di tutto, cercando, naturalmente, di compiacere innanzitutto le alte sfere della dirigenza universitaria. Ed è qui che arriviamo al secondo nodo della faccenda: l’utilizzo degli spazi universitari.

Gli spazi sono di chi li vive e non di chi li governa, quindi in questo caso dovrebbero essere gli studenti e le studentesse a prendere parola sulla loro gestione. Anche questa volta, però, la componente studentesca è stata completamente bypassata dalla dirigenza del dipartimento innanzitutto, che la chiama in causa solo quando c’è da fare una scelta fra due opzioni, senza poter discutere nel merito del processo che portato a partorire le due possibili scelte. La componente studentesca è stata poi ulteriormente bypassata dalla rappresentanza UDU che, ancora una volta, si è arrogata il diritto di dare un indirizzo per tutti e tutte senza nemmeno porsi il problema di interpellare o comunicare prima della scelta con gli studenti e le studentesse. Insomma, sarà pure così che funziona la rappresentanza ma fa proprio schifo come sistema, a maggior ragione se si tratta di mettere una guardia giurata, possibilmente armata, che gira per i bagni dell’università a sincerarsi che vada tutto bene negli stalli dei cessi.

Oltre ad una questione sul metodo, comunque, c’è anche una questione nel merito stesso della faccenda. Il dipartimento affronta una questione così complessa derubricandola ad una questione di “ordine interno”, senza affrontare la radice del problema che, evidentemente, non si trova dentro le mura del dipartimento. Questa situazione infatti è evidentemente legata alla città tutta, dunque anche al modo in cui il Comune affronta qualsiasi problematica sociale (tra cui l’utilizzo di sostanza stupefacenti) come problema di ordine pubblico, interpellando la questura e militarizzando la città, normando in maniera certamente non pacifica l’utilizzo degli spazi cittadini.

Le siringhe a Sociologia sono solo la punta di un iceberg ben più grande dunque. L’idea di uno sceriffo che gira per la facoltà, bussando alle porte dei bagni ogni cinque minuti non è per noi una soluzione. Chissà se davvero il dipartimento avrà il coraggio di farlo. Aspettiamo trepidanti l’esito.