Degrado a Trento? Ora parliamo noi!

Ed eccoci a dover prendere parola per l’ennesima volta su una questione per noi molto importante, ma altrettanto dibattuta.
Pare che nell’ultimo periodo a Trento sia ritornato alla centralità del dibattito pubblico e politico il fenomeno della socialità studentesca. Dal provvedimento di chiusura anticipata del locale “La Scaletta” alla mozione presentata in comune da parte di tutti i partiti di opposizione (M5S, Lega, Forza Italia, Civica e Progetto Trentino) sembra di ritrovarsi in una città catapultata nel degrado più becero.
Purtroppo per noi non si è parlato per nulla si spazi di aggregazione per studenti e studentesse, ma di come reprimere la loro affluenza per le vie della città durante gli orari notturni. Non si è minimamente accennato a come, da più tempo a questa parte, le voci studentesche si facciano sentire in svariati modi per proporre e stimolare un dibattito costruttivo e risolutivo di una situazione che di fatto, si è cristallizzata da anni e vede soltanto i partiti politici strumentalizzare (a ruota) l’assenza di soluzioni, il tutto per una manciata di voti alle elezioni successive. Perchè di questo si tratta, i provvedimenti repressivi da loro proposti non porteranno a nessuna soluzione, ma serviranno al prossimo appuntamento elettorale per passare dall’essere opposizione al governare la città.
Ormai il PD (o quel che ne resta) ha ceduto sulla questione sicurezza, trovandosi a rincorrere le prerogative di chi si è posto a difensore della paura “surreale” dei residenti trentini spaventati da chi, alla fine dei conti, non ha nessuna voce in capitolo a livello istituzionale.
Chi vive la città da un po’ di anni, si è reso conto di come la repressione sia sempre stata la risposta al bisogno di socialità. Ne abbiamo scritto anche altrove (https://curtrento.noblogs.org/post/2017/12/11/da-lettere-alla-scaletta-lo-stesso-paradigma-escludente/), e lo abbiamo visto con i nostri occhi. Purtroppo non ci resta che ribadire la nostra contrarietà alla miopia di certe misure istituzionali, in quanto superficiali e poco efficaci.
Esprimiamo anche forte preoccupazione nei confronti di quei residenti che si sono mobilitati per chiedere l’immediato intervento del prefetto del questore e del presidente della Provincia.
Ci teniamo a sottolineare come la mancanza di idee e progettualità non possano essere sostituite da telecamere e coprifuoco e divieto di alcolici, in quanto non vanno minimamente ad affrontare il problema, anzi lo peggiorano.
Per noi l’unica soluzione è far emergere questo bisogno e lottare affinché Trento possa diventare una città in cui studenti e residenti riescano a convivere e vedersi reciprocamente come valore aggiunto per la città. Dobbiamo rompere la logica che obbliga gli studenti e le studentesse ad essere dei/delle meri/e consumatori e consumatrici perché oltre ai soldi degli affitti e delle tasse universitarie portiamo molto di più.  Portiamo una spinta innovatrice e di cambiamento che spaventa tanto i conservatori. Orrori legati a periodi bui del passato diventano realtà ed è per questo che non è possibile stare in silenzio. Portiamo con noi il cambiamento ed è per questo che continueremo a rivendicare a voce alta il nostro diritto a vivere la città.

Complici e solidali con le e gli scioperanti del servizio bar e mensa universitaria.

Complici e solidali con le e gli scioperanti

Il 15 maggio 2018 alle ore 11:00 è giunta la notizia della decisione da parte dei lavoratori e delle lavoratrici dei bar e delle mense universitarie di entrare in sciopero per le giornate del 15 e del 16 maggio 2018. La notizia è stata diffusa al termine di un’assemblea sindacale svoltasi nel corso della mattina del 15 maggio 2018 che vedeva come nodo centrale della discussione l’ormai annosa vertenza che contrappone le lavoratrici e i lavoratori dei bar e delle mense universitarie e l’azienda Sma ristorazione, appaltatrice dell’Opera Universitaria, di cui sono dipendenti.

A differenza di altre organizzazioni, in questa occasione non ci importa  concentrare la nostra attenzione sul possibile disagio che questo sciopero può aver provocato alle avventrici e agli avventori del servizio ristorazione dell’Opera Universitaria. Ciò a cui vogliamo dare il maggior risalto possibile sono la situazione lavorativa a cui queste lavoratrici e questi lavoratori sono costrett* e le responsabilità politiche dell’Opera Universitaria il cui silenzio e immobilismo non  hanno certo contribuito a migliorare la  situazione. La Sma ristorazione divenne appaltatrice dell’ente trentino per il diritto allo studio nel 2011 e da allora col passare degli anni, oltre alla diminuzione della qualità dei pasti è corrisposto un peggioramento delle condizioni in cui le e i 70 dipendenti dell’azienda si trovano a lavorare. Una situazione fatta di cassa integrazione a rotazione dal 2015, ferie e straordinari non pagati e poche garanzie per il futuro, visto che alle richieste avanzate dalle rappresentanze sindacali la controparte aziendale non ha fornito nessuna risposta né ha mostrato alcuna intenzione di trovare possibili soluzioni. L’Opera Universitaria, che tanto si fregia di essere a livello nazionale uno degli enti per il diritto con i migliori risultati per quanto riguarda lo student housing, sul fronte della ristorazione delle mense non vantare risultati altrettanti eccellenti. Infatti, nonostante il numero dei pasti erogati sia in calo, l’O.U. ha accuratamente evitato di prendere posizione evitando di affrontare le spinose questioni che riguardano il settore mense. L’ente per il diritto allo studio non ha messo in campo nessuna azione per tentare di invertire la tendenza della diminuzione del numero di pasti erogati. Come, d’altro canto, nulla è stato fatto per il miglioramento delle strutture fatiscenti in cui si trovano le mense e che data questa condizione pregiudicano il lavoro.

Come Collettivo Universitario Refresh, in quanto student* che hanno attraversato in plurime occasioni le mense universitarie per un pasto o un volantinaggio, non possiamo tutta la nostra complicità e solidarietà a tutt* coloro che hanno deciso di aderire a questa due giorni di scioperare per rivendicare quella dignità che l’azienda per cui lavorano vorrebbe negare loro. Noi che quotidianamente ci organizziamo all’interno di Unitn per rivendicare e lottare un’università e un mondo diverso siamo al loro fianco e daremo loro tutto il supporto che necessiteranno fino a che non vinceranno la loro vertenza.

Rompiamo il ricatto, costruiamo il riscatto!

Alle donne del mondo: trasformiamo il XXI secolo nell’era della libertà delle donne!

Dalle montagne del Kurdistan, nelle terre dove la società si è sviluppata con la guida delle donne, vi salutiamo con la nostra grande libertà, passione, ambizione e lotta indissolubile. Dai quartieri del Rojava alle foreste del Sud America, dalle strade europee alle pianure dell’Africa, dalle valli del Medio Oriente alle piazze del Nord America, dalle montagne dell’Asia agli altipiani australiani; con il nostro amore che non conosce confini e con i nostri sentimenti più rivoluzionari, abbracciamo tutte le donne che rafforzano la lotta per la libertà e l’uguaglianza.
In occasione dell’8 marzo 2018, Giornata internazionale della lotta per le donne, commemoriamo tutte le donne che hanno dato la vita nella ricerca della libertà, nella resistenza contro la schiavitù, lo sfruttamento e l’occupazione. Da Rosa Luxemburg a Sakine Cansız, da Kittur Rani Chennamma a Berta Caceres, da Ella Baker a Henan da Raqqa, da Djamila Bouhired, alla palestinese Sana’a Mehaidli a Nadia Anjuman, siamo sempre grate alle immortali guerriere della lotta di liberazione delle donne. La loro luce squarcia l’oscurità che ci è stata imposta. Sul sentiero che hanno illuminato davanti a noi, marciamo verso la libertà. Insieme a loro, commemoriamo tutte le donne
che sono state assassinate nel corso di un regime patriarcale di cinquemila anni, attraverso ogni sorta di violenza maschile, guerre, terrore di Stato, occupazioni coloniali, poteri mascherati religiosamente, bande di uomini, mariti e cosiddetti amanti.
È il loro ricordo che spinge la nostra incrollabile determinazione a porre fine al femminicidio, la più antica guerra del mondo.

Care donne, compagne, sorelle,
siamo nel bel mezzo di un processo di trasformazione epocale. Il sistema patriarcale, coetaneo della civiltà statalista, sta attraversando una profonda crisi strutturale. Come donne, dobbiamo diagnosticare questa crisi sistemica con le sue cause e conseguenze, stabilire analisi forti e sviluppare prospettive che accelerino la nostra lotta. Perché, se la crisi strutturale del sistema costituisce una grande minaccia per le donne di tutto il mondo, offre anche opportunità per affermare la libertà delle donne. Opportunità che forse si presenta solo una volta ogni secolo.
Possiamo trasformare il 21° secolo nell’era della liberazione delle donne! E non è un sogno o un’utopia. È una realtà. Ma affinché si realizzi dobbiamo creare un programma di liberazione delle donne per il XXI secolo.
Per questo, dobbiamo prima di tutto cogliere pienamente, nella loro interezza, le contraddizioni e le caratteristiche fondamentali dell’epoca in cui viviamo. Quali possibilità e quali rischi queste contraddizioni e caratteristiche costituiscono dal punto di vista della liberazione delle donne? Che tipo di responsabilità dobbiamo assumere in questo senso, come organizzazioni e movimenti globali delle donne?
Nel XXI secolo il sistema mondiale è entrato in una profonda crisi, tanto che si parla di “nuovo ordine del mondo”.
Cercando di riorganizzarsi per uscire dalla crisi, la modernità capitalista per prima cosa tentò di applicare questo nuovo ordine in Medio Oriente sotto il nome di “Grande progetto per il Medio Oriente”. Ebbene, denominiamo il processo iniziato con gli interventi in Afghanistan e in Iraq, proseguito con la primavera araba in Nord Africa e intensificato negli ultimi anni in Siria, Iraq e Kurdistan, “terza guerra mondiale”. Mentre i regimi dello Stato-nazione in Medio Oriente, creati dagli Stati occidentali cento anni fa per riprodurre il caos e la crisi in modo permanente, cercano di
proteggere lo status quo, le potenze straniere tentano di dividere nuovamente la regione.
Nominare l’attuale periodo in Medio Oriente “terza guerra mondiale” non è solo un tentativo di sottolineare il coinvolgimento delle potenze internazionali. Oltre a ciò, è chiaro che la ricostruzione della modernità capitalista in Medio Oriente avrà conseguenze su scala globale. Il sistema mondiale contemporaneo o la modernità capitalista non è un fenomeno degli ultimi 500 anni. Il suo seme ha messo radici nella forma del primo Stato risalente a 5000 anni fa in Mesopotamia e da allora ha
subìto diverse trasformazioni per sostenersi fino ad oggi.
Per questo motivo, difendere la Soluzione Confederale Democratica come “terza via” contro lo status quo-ismo degli stati regionali e l’interventismo riprogettato delle potenze straniere, costituisce una responsabilità fondamentale per tutte e tutti noi, e supera i confini della Siria e del Medio Oriente. Il sistema di autonomia democratica che si sta attualmente costruendo con la leadership delle donne nel Rojava e nel Nord della Siria, in tali condizioni di guerra e resistenza, è l’unico modello risolutivo che ha il potenziale per porre fine alle crisi, al caos, alle contraddizioni e ai conflitti che si sono sistematicamente riprodotti nella regione durante il secolo scorso. Non solo gli
Stati-nazione che sono stati creati insieme ai confini disegnati artificialmente dopo la prima guerra mondiale non riflettono la composizione etnica, culturale, religiosa e sociale della regione, ma hanno anche mirato a far saltare in aria la nostra millenaria cultura della vita comune. Oggi, nel Nord della Siria, per la prima volta viene costruito un sistema basato sulla partecipazione paritaria e libera delle donne, sul pluralismo etnico e religioso e sulla democrazia partecipativa. Come alternativa democratica, questo modello pone una soluzione ai problemi obsoleti del Medio Oriente, contro i regimi maschili, sessisti, monistici, nazionalisti, settari, che sono stati alimentati dal sistema globale per decenni.
Questo è il motivo per cui lo Stato turco, che ha il secondo più grande esercito nella NATO, ha lanciato con tutta la sua forza un’operazione contro il Rojava, ad Afrin, nel Nord della Siria, il 20 gennaio 2018. Questo è anche il motivo per cui potenze straniere come USA, Russia e UE non stanno ostacolando gli attacchi militari ad Afrin. Perché in Afrin si costruisce un modello di società democratica che mette al centro la liberazione delle donne. La resistenza di Afrin rappresenta la rivolta delle donne contro la vita capitalista della modernità. Le città e i villaggi circostanti ad Afrin
resistono al fascismo, alla misoginia, allo sradicamento dei valori culturali e all’inimicizia tra i popoli. Ed è chiaro che non è solo lo Stato turco e gli alleati delle bande islamiste reclutati che si scontrano con le unità di difesa femminile e popolare di Afrin: in un piccolo pezzo di geografia come Afrin, due sistemi mondiali, due ideologie, due progetti futuri si stanno battendo. Mentre unoè basato sulla liberazione, l’ecologia e il pluralismo delle donne, l’altro è fatto di misoginia, potere maschile, monismo, dominio e sfruttamento. Uno brilla con tutti i colori della vita, mentre l’altro rappresenta l’oscurità. Pertanto, è di vitale importanza e significativo per le donne del mondo
rivendicare e difendere la crescente resistenza contro il fascismo ad Afrin. Poiché ciò che è sotto attacco e che viene difeso, sono valori universali della libertà delle donne. In questa occasione, come KJK, salutiamo e ci congratuliamo con le/i combattenti per la libertà, che assumono la guida della resistenza ad Afrin, e con il popolo di Afrin che difende eroicamente le sue terre dagli invasori. Le donne e l’unità vinceranno. Il fascismo perderà.
Il processo rivoluzionario in Rojava e nel Nord della Siria mostra questa verità a tutte e tutti noi: le vere rivoluzioni devono essere rivoluzioni femminili. I tentativi rivoluzionari che non si basano sulla liberazione delle donne non hanno possibilità di successo. La ragione fondamentale dell’incapacità dei movimenti socialisti e rivoluzionari del ventesimo secolo di realizzare obiettivi desiderati nonostante i loro innumerevoli sacrifici, dedizione e programmi, è il fatto che non hanno messo la liberazione delle donne al centro delle loro lotte. La questione delle donne non è un problema secondario, bensì è alla base di tutte le altre questioni. Le donne sono la prima classe
oppressa, asservita, sfruttata, colonizzata e dominata. Tutte le altre forme di sfruttamento iniziano dopo lo sfruttamento delle donne. Per questo motivo, condurre una lotta efficace contro il sistema egemonico sarà possibile solo nel quadro di una forte ideologia e programma di liberazione, in cui l’organizzazione autonoma e separata delle donne gioca un ruolo attivo. La nostra esperienza di lotta
ideologica e pratica trentennale come Movimento per la libertà delle donne del Kurdistan ci mostra questo.

Care donne, care compagne,
il seme del sistema globale basato sulla modernità capitalista si trova in Medio Oriente, in particolare in Mesopotamia. È in questa regione che l’attuale crisi sistemica si mostra direttamente,così com’è. Ma poiché la crisi del sistema mondiale patriarcale-capitalista ha una qualità globale, non esiste terra risparmiata dal sentire questa crisi, nessun lago, montagna o fiume lasciato intatto,nessuna società che non sia stata influenzata dai tentativi di dominio. Tuttavia, quelle più colpite dalla crisi sono le donne. E ciò è direttamente connesso al carattere sessista della modernità capitalista. Il sistema sta cercando di superare la crisi sfruttando e abusando delle donne in modo
ideologico e materiale ancora più forte, e così cerca di garantire la sua esistenza.
Contro le affermazioni comuni, il liberalismo, come una delle ideologie fondamentali dello Statonazione, non ha portato alcun contributo positivo alla liberazione e all’uguaglianza delle donne. Al contrario, è proprio in quest’epoca liberale che il sessismo è stato rafforzato e usato come elemento ideologico. È una grande bugia che il liberalismo libera le donne. La mercificazione della donna, in
tutto il suo corpo, personalità e anima, costituisce la forma più pericolosa di schiavitù.
In questo contesto, la modernità capitalista costituisce il più alto stadio del sistema patriarcale. In nessun punto della storia della civilizzazione le donne sono state soggette allo sfruttamento tanto quanto lo sono state nell’era della modernità capitalista. Dalla prospettiva delle donne, esiste una colonizzazione che è aumentata di mille volte nella sua profondità e nei suoi scopi. Il sessismo nella società dello stato-nazione mentre assegna all’uomo il massimo potere ha trasformato la società
nella colonia più inferiore attraverso la figura della donna. In questa dimensione, nella storia della civilizzazione in generale e nella modernità capitalista in particolare, la donna è nella posizione di essere la più vecchia e la più nuova nazione colonizzata. Dalla prospettiva del sistema egemonico una ragione per quest’insostenibile crisi è la colonizzazione delle donne.
Le donne e la liberazione delle donne costituisce il fondamentale potere che si oppone al sistema patriarcale e capitalista mondiale. Al cuore di tutte le forme di potere, di egemonia, di sfruttamento, di saccheggio, di schiavitù, di violenza, e di oppressione che il sistema stesso crea in sé si basa sulla dominazione della donna. La schiavitù e la proprietà imposte sulle donne passo dopo passo si diffondono complessivamente nell’intera società. Questo è il motivo per cui la lotta di liberazione delle donne, tra tutte le lotte anti-sistema ha la più grande forza di scuotere dalle fondamenta il
sistema del maschio egemonico. E, di fatto, è questa dinamica che disvela la crisi che il sistema sperimenta. Come donne, dobbiamo vedere chiaramente la forza che possediamo e gli effetti che creiamo. In questo senso, l’aumento massivo della violenza e degli attacchi contro le donne in tutto il mondo è direttamente connesso a questa situazione di crisi e alla relazione tra il sistema mondiale patriarcale capitalista e la liberazione delle donne. Il sistema sessista basato sullo sfruttamento attacca la donna che pone la più grande sfida e pericolo al suo potere. Nei fatti parliamo di una guerra di aggressione sistematica. La forma di questa guerra di aggressione può differire al livello locale ma stiamo essenzialmente di fronte ad un fenomeno universale. Dobbiamo guardare alle connessioni tra gli stupri di gruppo in Asia e la violenza di genere negli Stati Uniti. Con un approccio olistico dobbiamo esaminare le uccisioni delle donne in Latinoamerica, che hanno raggiunto il livello di un massacro, come i rapimenti e la resa in schiavitù di donne e ragazze da bande, mascherate come religiose, in Africa e in Medio Oriente. Dobbiamo analizzare insieme la crescita del fascismo, i regimi misogini e i loro attacchi ai diritti ottenuti dalle donne come risultato delle loro lotte. E dobbiamo essere profondamente consapevoli del fatto che questa guerra, guidata dal sistema patriarcale su scala globale, sta cercando di soffocare la ricerca e le lotte di liberazione
delle donne. Per questo, probabilmente, il sistema maschile dominante non è mai stato così tanto messo sotto pressione nella storia della civilizzazione. Le sue fondamenta non sono mai state scosse fino a questo punto. Analogamente, dalla prospettiva delle donne, le condizioni per assicurare la liberazione non sono mai state così mature. Le possibilità di realizzare la seconda grande rivoluzione delle donne non ha mai raggiunto questo stadio. Questo è il motivo per cui stiamo attraversando un periodo storico. Ci sono dunque grandi opportunità, ma anche i pericoli sono
altrettanto grandi.
Se questo è il caso, cosa dobbiamo fare, se vogliamo confrontare questi pericoli e effettivamente valutare le possibilità per assicurare la liberazione delle donne e attraverso questa la liberazione di
tutta la società? Come possiamo difendere noi stesse dai crescenti attacchi del sistema? In questo caso, l’autodifesa non va intesa in senso passivo. E’ necessaria un’autodifesa attiva. La più grande e la più efficace forma di autodifesa è creare una vita libera e stritolare le vene del sistema dominante maschile. Dobbiamo rendere la nostra vita insostenibile per il sistema, non il contrario. Ma perchè questo possa succedere dobbiamo portare avanti una lotta ad un livello più alto. Su scala globale, la
lotta di liberazione delle donne ha creato un forte fondamento in entrambe le dimensioni teoretica e pratica. Ma ora è il momento di mettersi in marcia.
Come Movimento di Liberazione delle donne del Kurdistan siamo state impegnate in una grande lotta per più di 30 anni per approfondire l’ideologia di liberazione della donna, per rivelare la forza di autodifesa e la coscienza delle donne e per assicurare alle donne una equa e libera partecipazione nell’ambito della politica, per superare il sessismo in tutte le sfere della vita e per accelerare la libertà delle donne. All’interno di questo cammino abbiamo sempre compreso l’enorme importanza e senso di condividere i nostri risultati e conclusioni con tutte le donne del mondo. E ora, con grande entusiasmo, gioia e determinazione per trasformare il 21 secolo nell’era della donna liberata, per portare alla seconda grande rivoluzione delle donne, noi miriamo di essere all’altezza della missione del movimento universale di liberazione delle donne.

Care donne,
è assolutamente essenziale che ci organizziamo ad un livello universale per creare un sistema di donne globale e equo contro il sistema mondiale capitalista sessista e patriarcale. Una tattica cruciale del sistema egemonico è la divisione. La nostra forza, tuttavia, deriva dall’unità. Senza rigettare le differenze tra noi, mentre proteggiamo le nostre particolarità e i nostri colori, non c’è nulla che – se non come un mosaico, allora come un artefatto di marmo – il movimento globale di liberazione delle donne non possa raggiungere. Perché questo possa accadere, dobbiamo sviluppare
alleanze democratiche tra donne. Dobbiamo sviluppare modi, metodi, e prospettive appropriate alle condizioni, secondo le caratteristiche e le necessità del ventunesimo secolo. Essenzialmente, dobbiamo tutte insieme sviluppare per il ventunesimo secolo il programma di liberazione delle donne. Come movimento di liberazione delle donne del Kurdistan noi dobbiamo lo sviluppo della nostra rivoluzione come una rivoluzione di donne al nostro leader Abdullah Ocalan, che 19 anni fa è stato rapito all’interno di una cospirazione della organizzazione di bande maschile e statale chiamata  NATO ed è ancora in ostaggio in Turchia in condizioni di isolamento che non hanno precedente
storico.
È il sistema di analisi di Ocalan, le sue prospettive di liberazione, la sua trasformazione personale, i sui sforzi senza fine per lo sviluppo del movimento per la liberazione della donna che mettono insieme la forza che sta dietro queste dinamiche che ora ispirano persone in tutto il mondo. Il suo essere rinchiuso in una prigione in un’isola negli ultimi 19 anni e il suo completo isolamento dal mondo esterno negli ultimi quasi tre anni sono connessi all’influenza delle sue idee. Però i pensieri non possono essere isolati; gli spiriti liberi non possono essere tenuti in ostaggio. Il seguente estratto dalle prospettive di Ocalan, sviluppato in condizioni di isolamento carcerario, è illuminante sotto la
prospettiva di una lotta universale di liberazione delle donne:
“Senza dubbio, la denuncia della situazione della donna è una dimensione del problema. Ma quello che è più importante riguarda la questione della liberazione. In altre parole, la soluzione del problema ha un’importanza molto più grande. Si dice spesso che il livello di libertà generale della società si può misurare dalla libertà delle donne. È corretto e importante considerare come si possa riempire questa affermazione. La liberazione delle donne e l’uguaglianza non semplicemente
determina la libertà ed uguaglianza della società. Per questo sono necessari la teoria, programmi, organizzazioni, e pianificazione di azioni. Più importante, mostra che non possono esserci politiche democratiche senza le donne e inoltre che, nei fatti, la politica di classe rimarrà inadeguata, e natura e pace non possono essere sviluppate e protette.”

Come movimento di liberazione delle donne curde, in occasione dell’8 marzo 2018, lanciamo un appello alle donne del mondo: mettiamoci assieme e assieme sviluppiamo la necessaria teoria, programmi, organizzazione, e piani di azione per la liberazione della donna. Con la coscienza che solo una lotta organizzata può portarci risultati, aumentiamo l’organizzazione in tutte le sfere della vita. Collettivizziamo le nostre coscienze, forza di analisi, esperienze di lotta, e prospettive per
creare le nostre alleanze democratiche. Non lottiamo le une separate dalle altre – lottiamo assieme.
E, lungo il percorso, trasformiamo il ventunesimo secolo nell’era della liberazione della donna!
Perché questo è esattamente il momento giusto! È il momento per la rivoluzione delle donne!

Afrin è ovunque, e ovunque è resistenza!

Evviva la lotta universale di liberazione delle donne!

Jin, jiyan, azadi! Donne, vita, libertà!

8 marzo 2018

Komalên Jinên Kurdistan (KJK)

Nell’università delle eccellenze i posti studio non sono un diritto

 

È già passato un anno dal provvedimento che ha portato alla riduzione dell’orario di apertura della Biblioteca Cavazzani (CIAL) in seguito all’apertura della BUC e come studenti e studentesse di questo ateneo anche quest’anno ci siamo trovat* a fronteggiare la carenza di aule studio. Un problema che certo non è nuovo, ma che si fa sentire ogni anno di più, pronto ad esplodere con la puntualità della sessione. Come CUR-Collettivo Universitario Refresh-, l’anno scorso abbiamo ottenuto la riapertura del CIAL di via Verdi, invitando studenti e studentesse a proseguire nello studio, garantendo noi l’apertura prolungata dell’aula studio. Tuttavia il taglio di 150 posti è stato imposto con rigoroso successo anche quest’anno e il Rettore, pur riconoscendo il problema dei posti studio come reale, continua a prendere decisioni escludendo la maggioranza della componente universitaria e proponendo soluzioni-tappabuco provando a far tacere le lamentele.

Quest’anno nuovamente ci ritroviamo con lo stesso problema, visibilmente aggravato dalla chiusura di alcune aree della BUC in determinati orari (la sera e durante i weekend). Abbiamo dunque sentito l’esigenza di riprendere in mano la questione e di confrontarci per capire come rompere questo silenzio, intraprendendo così un lavoro di inchiesta che ci ha messo di fronte a numeri alquanto preoccupanti: nell’ateneo trentino le iscrizioni ammontano a 16396 studenti e studenetesse e i posti studio disponibili nel polo di città sono solamente 1777. È nata così l’idea di raccogliere firme, opinioni, lamentele e desideri nelle varie facoltà del centro e davanti alle biblioteche provando ad immaginare un percorso collettivo che miri alla risoluzione del problema dei posti studio, rivendicando, soprattutto durante i momenti in cui l’esigenza è maggiore, la necessità di maggiori spazi adatti allo studio. In centinaia, per la precisione 300, hanno accolto la nostra idea, condividendo la nostra proposta inclusiva e percependo la questione aule studio come un problema risolvibile. Ciò che ora vogliamo fare è confrontarci con chi ha firmato e con chi avrebbe voluto farlo, vedendosi negato un diritto, al pari di borse di studio e posti alloggio. Per farlo abbiamo deciso di organizzare un momento di confronto aperto e libero in università, Martedì 13 febbraio, alle 18.00 nella facoltà di Sociologia, affrontando il tema delle aule studio e, più in generale, del diritto allo studio. Condividendo assieme l’idea di un’università costruita sulle esigenze di chi la attraversa e non di chi la amministra.

  

Allarme gender a UniTn? Ma fateci il piacere!

ACCADEMIA LGBT – Università gender con i soldi UE. Alla lobby gay 1,2 milioni di euro”. In questo modo Patrizia Floder Reitter titola un suo articolo apparso il 4 maggio scorso su La Verità, quotidiano di Maurizio Belpietro, e ripreso integralmente da La Voce del Trentino qualche giorno fa.
In questo articolo, il cui titolo lascia poco spazio all’immaginazione circa il contenuto, si parla di come pare essere arrivato il virus del gender all’Università di Trento, il quale rischia di infettare intere generazioni di giovani menti. Nello specifico, messi sotto la lente di ingrandimento sono tre personaggi, la Prof.ssa Barbara Poggio, l’avvocato Alexander Schuster e l’assessora Sara Ferrari. Quella che è definibile come una vera e propria schedatura di tutti i personaggi in realtà riguarda il ruolo che hanno, almeno a detta dell’autrice dell’articolo, attorno e all’interno al Centro Studi interdisciplinari di Genere (CSG) dell’Università di Trento. Ad essere messi in discussione dall’autrice sono due aspetti principali.
Il primo è il contenuto e le tematiche affrontate dai vari seminari organizzati negli anni dal CSG e dai suoi progetti di ricerca. Nell’articolo infatti la Floder Reitter sciorina tutta una serie di titoli di seminari o riporta virgolettati estrapolati da ben più complesse relazioni, imputando a questi la duplice colpa di propagandare messaggi devianti e di avere una ingenua platea di studenti e studentesse presenti in quanto interessati/e al riconoscimento di un tot di CFU. Secondo l’autrice dell’articolo infatti, parlare di omosessualità, bullismo omo-trans fobico, genitorialità omosessuale o di altre maschilità significa che la platea di ascoltatrici e ascoltatori verrà automaticamente “convertita” ad uno stile di vita omosessuale, deviato, non ortodosso e non tradizionale.
Il secondo aspetto ad essere messo in discussione è il finanziamento dei seminari e delle ricerche del CSG, fondi che spesso (e fortunatamente) sono pubblici, siano essi provenienti dall’UE, dalla Provincia o dal Comune. La Floder Reitter infatti considera il finanziamento a tale campo di indagine accademica e del CSG come un finanziamento alle “lobby gay” le quali hanno tutto l’interesse di infilarsi all’interno del sistema della pubblica istruzione per deviare giovani menti.
Questo il senso dell’articolo, vaneggiamento più, vaneggiamento meno.
Chiariamoci: da La Voce del Trentino e da La Verità non ci aspettiamo del giornalismo decente, qualsiasi cosa questo significhi. Ci aspettiamo menzogne travestite da notizie utili alla propaganda politica di qualche destrorso di turno o a veicolare e incrementare un clima generale di bigottismo, intolleranza, odio fra poveri e paura. Ciò detto, la lettura dell’articolo ci spinge a prendere una posizione per due ordini di motivi. In primo luogo, sebbene siamo consapevoli che questo è solo l’ultimo di una serie di attacchi e aspre critiche che il CSG ha dovuto subire negli ultimi anni e di un clima di terrore generico in Trentino sull’allarme gender, è anche vero che questa notizia va ufficialmente oltre i confini della provincia autonoma e sbarca sul nazionale… per quanto il giornaletto di Belpietro probabilmente avrà una manciata scarsa di lettrici e lettori (o almeno ci auguriamo che sia così). In secondo luogo, le parole della Floder Reitter, per quanto deliranti e visionarie, attaccano in ogni caso la produzione accademica, la professionalità e la disponibilità di professionisti e professioniste del CSG che abbiamo anche avuto modo di incrociare non poco tempo fa, durante lo sciopero dei e dai generi dell’otto marzo. E questo non può starci bene. Perché se è vero che il campo di indagine di genere può non piacere o non interessare, ricamarci dietro arzigogolati discorsi di educazione alla devianza e finanziamento delle lobby gay significa attaccare la ricerca accademica (oltre che essere folgorati, diciamocelo). E non un tipo di ricerca qualunque ma quella che si interroga profondamente sulle dinamiche di genere e spesso prova anche a delineare dei piani per superare pregiudizi e abbattere muri, dentro e fuori l’accademia. Strumenti che possono piacere o meno, possono essere criticati o osannati, ma comunque è un tipo di ricerca dinamica che se è vero che prende dal pubblico, anche in termini economici, è vero anche che si propone di restituire qualcosa di utile alla comunità di riferimento, concependo così anche la ricerca accademica stessa in un altro modo, non come un qualcosa che sta nelle più alte stanze di una torre d’avorio ma come qualcosa che può essere, insieme ad altro, fattore di cambiamento e rinnovamento. Questo fa il CSG e questo fanno molti ricercatori e ricercatrici che lavorano sulle questioni di genere. E questo ci piace. E va difeso, anche dai vaneggiamenti di una “giornalista”.
Inoltre, se non piacciono i finanziamenti pubblici a questo tipo di ricerca inevitabilmente dobbiamo riprendere un discorso che ai/alle neoliberali non piacerà molto. La ricerca DEVE essere pubblica. E basta. Perché peggio che vedere fondi pubblici usati per un tipo di ricerca che qualche mente bigotta stigmatizza, c’è vedere fondi e strumenti pubblici, in combo con grossi nomi di privati, finanziare e fare ricerca su robe seriamente dannose. Le stesse che poi sedicenti esportatori di democrazia o difensori di valori patriottici utilizzano per fare la guerra al primo nemico-costruito di turno, col solo scopo di continuare a far funzionare l’industria della guerra che, quella sì, ingrassa tasche e pance di pochi.

Per quello che vale, ci schieriamo con il CSG e la ricerca di genere, ci schieriamo con chi dentro l’università prova a rivedere il mondo con occhi diversi, provando a disinnescare pezzo dopo pezzo le strutture di potere relazionali, e non, che derivano dal semplice binario maschio/femmina. Ci schieriamo con il CSG perché prima di andare a fare i conti in tasca ad alcuni personaggi che provano ad educare alle diversità, ci piacerebbe che sedicenti “giornalisti/e” alla Floder Reitter andassero a inchiestare e a ficcare il naso lì dove si ricerca e perfezionano gli strumenti di guerra. Infine ci piacerebbe anche che la difesa di una certa parte di accademia, libero pensiero, libera ricerca venissero difesi dall’intera comunità universitaria. Perché, per quanto ci riguarda, una buona università non è fatta di ranking e cerimonie patinate. Una buona università è fatta dal sapere critico. In quanto studenti e studentesse universitarie abbiamo preso una posizione. Lasciamo il passo ad altri e altre.

Solidarietà agli antifascisti e alle antifasciste roman@!

A pochi giorni dalla manifestazione del 25 marzo, in cui all’incirca 150 compagn* di diverse regioni furono sequestrat* dalle forze dell’ordine, la mattina del 30 marzo la Questura di Roma ha riacceso la macchina repressiva. Ieri mattina un’operazione di polizia ha colpito 13 compagne e compagni antifascist*, elargendo 9 obblighi di firma giornalieri e 4 arresti domiciliari. Cotanta generosità da parte della Questura si deve ai fatti relativi al corteo CASAPOUND NOT WELCOME avvenuta il 21 maggio 2016. In quella giornata migliaia di persone scesero in piazza per opporsi con coraggio e determinazione alla sfilata dei fascisti di Casapound Italia e di altri gruppi neofascisti giunti da tutta Europa.

In quella giornata Roma vide il dispiegamento di un ingente apparato di polizia che non solo ha permesso a Casapound di portare i suoi contenuti razzisti e xenofobi nella più totale tranquillità, ma che ha anche protetto le continue provocazioni della feccia fascista che hanno costellato tutto il percorso del corteo antifascista. L’unica colpa dei compagni e delle compagne antifascist* è stata quella di essersi autodifes* respingendo le provocazioni al mittente affermando in modo limpido e inequivocabile che i fascisti, di qualsiasi colore, forma o provenienza essi siano, non possono circolare impunemente per le strade.

A chi è stato colpito da queste misure repressive va tutta la nostra solidarietà e complicità. Noi, come Collettivo Universitario Refresh, rigettiamo la logica secondo la quale è illegittimo contestare un’organizzazione dichiaratamente fascista per il semplice fatto che si presenti al teatrino delle elezioni. Noi non siamo disposti a lasciare che organizzazioni di questo genere possano parlare ed esistere liberamente siano all’interno o all’esterno dell’università. Nonostante il periodo storico che viviamo veda la concessione di sempre maggiore spazio a forze fasciste, razziste e xenofobe per noi vale ancora la promessa contenuta nello slogan “fascisti carogne tornate nelle fogne” e faremo di tutto perché ciò avvenga. L’antifascismo non si arresta

LIBER* TUTT*, LIBER* SUBITO