L’ANTIFASCISMO E’ PRATICA QUOTIDIANA. NO AI FASCISTI IN UNIVERSITA’!

In queste settimane si sta tenendo in università la kermesse di incontri “gli occhi della guerra” organizzata da UDU Trento. Portiamo all’attenzione il secondo incontro del ciclo: “L’Odissea libica – Fra il conflitto civile, i lager e la disperazione dei migranti” che il 15 Ottobre in aula Kessler avrebbe dovuto avere come relatori i giornalisti Fausto Biloslavo e Francesco Floris.

Qual è il problema? Direte voi.
Fausto Biloslavo è un ex militante di Fronte della gioventù, gruppo giovanile del partito fascista dell’MSI dell’ex gerarca della repubblica di Salò Giorgio Almirante. Idee che, come risulta dalle sue “opere” e dalle sue uscite pubbliche, non ha mai rinnegato.
Biloslavo ha infatti diverse pubblicazioni per le case editrici fasciste Ferro Gallico e Altaforte, legata a doppio filo a Casa Pound. Biloslavo risulta essere tra gli pseudo-storici revisionisti sui fatti dell’espansione dell’Italia fascista nei balcani e la successiva cacciata da parte delle truppe partigiane. In questo modo egli ha contribuito alla soffocante narrazione degli “italiani brava gente” sui crimini atroci commessi dalle truppe fasciste in Slovenia ribaltando la dialettica oppressi-oppressori e appiattendo la storia sui fatti quantomeno oscuri riguardanti le foibe. Non a caso è uno dei più grandi sostenitori del film revisionista “Rosso istria”.
Pare inoltre sia avvezzo a frequentare i peggiori personaggi della politica veronese. Qualche mese fa lo ritroviamo a sedere in un incontro a fianco di Andrea Bacciga, consigliere comunale divenuto celebre alle cronache per aver eseguito il saluto romano in comune durante la protesta di Non una di Meno contro l’approvazione della delibera antiabortista “Verona città della vita”.
Questo in aggiunta alle molteplici dichiarazioni contro l’operato delle ong che agiscono nel mediterraneo.

Riteniamo inaccettabile che questi personaggi siano invitati dentro l’università. E’ ancora più inaccettabile che associazioni studentesche che si riempiono la bocca di retorica antifascista gli stendano il tappeto rosso. Adesso che la sbornia antifascista causata dall’antisalvinismo pare sia giunta al termine (peccato che i due decreti sicurezza siano ancora lì) è necessario prendere posizione: nessuna agibilità ai fascisti nelle città!
Il fascismo è la negazione di tutte le libertà, è la cementificazione del potere costituito: misogninia, razzismo, trans-omo-lesbonegatività e classismo. E da questo paese non se n’è mai andato via. Esso continua ad esistere nelle idee, nelle politiche, nei media. Accettare – o favorire- la presenza del fascismo, e di persone che si richiamano ad esso nelle sue varie forme, significa assecondare le infiltrazioni culturali di esso nella nostra società. Ed in un periodo storico come questo, in cui il revival nero lotta per essere egemone, non essere partigiani è complicità. Invitare queste persone in dibattiti pubblici mascherando la realtà tramite il format mediatico “parte e controparte” è illusione. Perché è questo format che ha permesso alle idee fasciste di trovarsi uno spazio nel dibattito pubblico, è questo format, sul quale da anni si appiattisce la politica, che sta contribuendo alla sua lacerazione.
Noi non lasceremo che i fascisti si prendano ulteriore spazio!

 

 

Abbiamo lanciato un presidio universitario per contestare la presenza di Biloslavo in Università e grazie alla nostra determinazione insieme a quella di student* antifascist* l’incontro è stato annullato poche ore prima dell’inizio. 

BRUCIA IL CAPITALISMO, NON IL PIANETA!

 

Venerdì scorso il mondo è stato attraversato da migliaia di manifestazioni in 125 paesi. E’ stata la manifestazione più grande di sempre. Tuttavia siamo ancora lontani dai nostri obiettivi. Le multinazionali agroalimentari continuano a bruciare l’Amazzonia e migliaia di foreste in tutto il globo, i governi di tutto il mondo continuano le loro politiche energetiche ed industriali miopi e dannose, così come non si arrestano le guerre e lo sfruttamento ai danni del sud del mondo da parte dell’occidente, per difendere gli interessi, a brevissimo termine, di pochi. Ormai è chiaro che non è sufficiente chiedere a qualche governo o elitè, che sono i responsabili di questa crisi, di salvare il pianeta. Siamo noi a doverlo fare, a tutti i costi, rifiutando con fermezza ogni politica pseudo-ambientalista che fa gravare il costo di questa crisi sui più poveri. E’ necessario cambiare un sistema economico che continua a sfruttare oltre ogni limite le risorse naturali e umane. Il capitalismo è il problema, non la soluzione e non accettiamo nessun green washing neoliberista. Chiedere giustizia climatica significa intrecciare le lotte, perché oltre a cambiare un sistema economico va abbattuto il sistema di pensiero che lo alimenta: fascismo, sessismo, razzismo  sono gli strumenti culturali che nutrono il capitale ed il suo sfruttamento, che perseguitano e attaccano ogni giorno i nostri corpi e la natura. Un terzo della popolazione sarà costretta a migrare nei prossimi due decenni a causa dell’avanzare della desertificazione, delle carestie e delle guerre causate dalla scarsità di risorse, ben altra cosa a livello numerico rispetto alla crisi migratoria di questo decennio. Per far fronte a questi problemi e mantenere l’ordine sociale, la trasformazione in senso autoritario dei regimi esistenti sarà una costante che proverà a mettere a tacere ogni dissenso, ogni rivolta, a normalizzare e uniformare ogni corpo e pensiero. Ci aspetta una lotta lunga e faticosa. Ma vinceremo. Perché se per loro è potere, per noi è sopravvivenza.

O RIVOLUZIONE O BARBARIE!

ALLES BLOCKIEREN! BLOCCHIAMO TUTTO! Note sul Climate Stike di Darmstadt

E’ una giornata particolarmente soleggiata a Francoforte.

Me ne accorgo quando, uscendo dalla metropolitana, mi tolgo la felpa a causa del caldo e sento  rinfrescarsi sulla pelle la brezza proveniente dal Meno.

Nei giorni precedenti ascoltavo una conversazione tra due signore su quanto sia strano il tempo in questo periodo. Qualche mese fa le temperature in Germania hanno toccato il record assoluto di 40 °C. In quei giorni fecero il giro del mondo le immagini dell’asfalto delle autostrade tedesche che si scioglieva a causa del caldo estremo.

Tuttavia nessuno sembra preoccuparsi, qualche giornata di sole in più prima dell’arrivo dell’autunno non farà male a nessuno.
Due giorni prima ero andato a Oetinger Villa, un centro culturale situato nella città di Darmstadt che da vent’anni è il centro della vita politica della città ed è la casa di collettivi antifascisti, anarchici, femministi, LGBT*QI e ambientalisti. Lì avevo conosciuto ragazze e ragazzi della mia età. Mi spiegano che  fanno parte di un gruppo antifascista “Offenes Antifaschistisches Treffen Darmstadt”. In tutta la città erano affissi i flyers del Climate strike programmato per il 20 Settembre in tutta la Germania (e tutto il mondo), gli chiedo se parteciperanno.

“Certo, vieni con noi, sarà una bella giornata!”.

“Genau, ci sarò!”.

Avviso la prof di tedesco che andrò via dalla lezione in anticipo per il climate strike. E’ entusiasta. In cinque abbandoniamo la classe per prendere il treno. Il bar autogestito da studenti a fianco l’università è un via-vai di carretti, cartelli per la giustizia climatica e persone.

Si respira un aria di festa.

Arriviamo a Darmstadt, raggiungiamo la piazza del concentramento di Ostbahnof.

E’ uno dei tre punti di raccolta dai quali partiranno i cortei che convergeranno in unica piazza. Individuo subito i ragazzi e le ragazze dell’OAT grazie alle bandiere antifasciste che svettano sulla testa del lungo corteo. Mi spiegano che la scelta di avere tre concentramenti diversi è strategica.

Vogliono bloccare tutta la città.

Il corteo parte. La marcia è scandita da slogan e interventi di vari attivist* e militant*.

Le rivendicazioni sono chiare: vogliamo giustizia climatica, e la vogliamo subito.

Il corteo è animato da diversi gruppi e tematiche. Ci sono gli/le attiviste di Extincion Rebellion e Friday for Future; collettivi femministi e queer come Feministisches Kampftag Bündnis; Seebrücke Darmstadt, collettivo solidale con i/le migrant* vittime del razzismo e della follia dei confini dell’Europa fortezza; l’OAT e Frauen – und Queerstreik Darmstadt, un altro gruppo che ha fatto della villa la sua casa politica.

L’eterogeneità della dimostrazione mi fa riflettere sul come chiedere giustizia climatica significhi molte cose.

Significa avere consapevolezza di un’emergenza che va affrontata immediatamente. Consapevolezza di una crisi provocata dalle elitè politiche ed economiche che ci governano, ma le cui conseguenze si abbatteranno, e si abbattono già, sulle classi più povere, in maniera più o meno fatalista.

Significa rendersi conto che il riscaldamento globale è un acceleratore della storia e delle sue dinamiche. Secondo alcuni dati un terzo della popolazione sarà costretta a migrare nei prossimi due decenni a causa dell’avanzare della desertificazione, delle carestie e delle guerre causate dalla scarsità di risorse, ben altra cosa a livello numerico rispetto alla tanto destabilizzante crisi migratoria di questo decennio.

Per far fronte a questi problemi e mantenere l’ordine sociale, la trasformazione in senso (ancora più) autoritario dei regimi esistenti sarà una costante che proverà a mettere a tacere ogni dissenso, ogni rivolta, ogni grido di disperato di umanità; a normalizzare e uniformare ogni corpo e pensiero.

Chiedere giustizia climatica significa intrecciare le lotte, perché oltre a cambiare un sistema economico va abbattuto il sistema di pensiero che lo alimenta: fascismo, sessismo, razzismo  sono gli strumenti culturali e cognitivi che nutrono il capitale ed il suo sfruttamento, che perseguitano e attaccano ogni giorno i nostri corpi e la natura.

Ma i nostri corpi sono qui, incrocio dopo incrocio, a bloccare tutto.

 

S’intonano cori contro il capitalismo e lo stato.  Cantiamo Bella ciao!; ci guardiamo intorno, che sia in Italiano, in tedesco o in inglese siamo tutt* antifascist*.

Arriviamo nella piazza centrale dove una band inizia a suonare. Mangiamo velocemente alcuni involtini di crauti, ma non c’è tempo per fermarsi. Dobbiamo bloccare tutto.

Un compagno mi da un biglietto, c’è scritto il nome di una via ed un numero da chiamare nel caso avessimo problemi con la polizia. Andiamo a bloccare lo stabilimento della Mercedes Benz.

Al nostro arrivo entrambe le entrate sono bloccate da una sessantina di persone vestite con delle tute bianche ed una mascherina. C’è un clima gioioso, le casse risuonano canzoni di lotta tedesche e cibo e acqua passano di mano in mano tra tutti i presenti. Un clima che nemmeno l’arrivo repentino della polizia riesce a surriscaldare. Una ragazza prende in mano il megafono. Parla di guerra, quella in Yemen, finanziata anche dalla Germania per difendere i suoi approvvigionamenti di carburante nel golfo di Hormuz, dove passano le flotte di petroliere che mandano avanti l’economia mondiale.

La guerra è la spietata distruzione della vita umana e dell’ambiente. Essa è la conseguenza della distribuzione diseguale delle risorse, ed il suo fine è quello di mantenere, attraverso la violenza, lo status quo. Parla della Turchia che, anche grazie ai finanziamenti dell’UE per “fronteggiare la crisi migratoria”, minaccia il Rojava e la sua rivoluzione femminista  ed ecologista. Parla delle morti nel Mar Mediterrano.

La norma che regola il gioco è la seguente: quando le persone avranno la folle idea di ribellarsi o spostarsi per avere una vita dignitosa, troveranno davanti carri armati, muri e fili spinati, tutto per difendere gli interessi, a brevissimo termine, di pochi. Ed i governi e le multinazionali occidentali sono i primi responsabili dello sfruttamento sistematico ai danni del sud del mondo. Come la Mercedes, che trae profitto da ciò producendo carri armati e altri veicoli per la guerra che vengono venduti a 23 stati, e che adesso prova a trarre profitto pubblicizzando una “svolta green” dovuta all’essere al primo posto nella produzione di auto elettriche. Cazzate.

La crisi climatica è capitalismo, ed il capitalismo è guerra, la spietata distruzione dell’uomo e della natura.

Le code di automobili in entrata ed in uscita iniziano ad essere insofferenti. Un uomo, a bordo della sua Mercedes, ci mostra il dito medio. Gli rispondiamo che è buona norma spegnere il motore dell’auto quando si è incolonnati.

La polizia in antisommossa, anche loro arrivati a bordo di furgoni Mercedes, ci intima di alzarci. Ma noi non ci muoviamo. A fianco a me, steso per terra a bloccare una macchina, c’è un ragazzino. Inizio a parlarci. Ha 13 anni. Gli chiedo se è agitato per quello che potrebbe fare la polizia. Mi risponde ridendo: “sono qui per difendere il pianeta”.

Un poliziotto si avvicina, ci dice che se non ci spostiamo la polizia utilizzerà ogni mezzo a disposizione per farlo coattivamente. Mi guardo intorno, nessuno è preoccupato per quello che potrebbe succedere. La protesta è non violenta e si animano le discussioni sul da farsi. Cosa è violento?

La polizia ci circonda. Poco importa se ci sono bambini in mezzo a noi. Il loro compito è fare in modo che il sistema torni a girare.

Bloccare una fabbrica che collabora a guerre e distruzione è violento? Sabotarla è violento? E resistere alla polizia per farlo?

Manca mezz’ora alla fine del turno lavorativo, ci alziamo lentamente e torniamo a marciare con al nostro seguito i furgoni mercedes della polizia. Blocchiamo di nuovo la strada principale, semaforo dopo semaforo, incrocio dopo incrocio. Al megafono un ragazzo ci comunica i numeri del climate stike. Nella sola Germania oggi hanno manifestato un milione e mezzo di persone. Ci sono state dimostrazioni in 125 paesi. E’ la manifestazione più grande di sempre.

Arriviamo nella piazza, dove ci accolgono gli altri gruppi con un applauso. E noi cantiamo, abbracciandoci e lanciando per aria le tute e le mascherine.

“We are unstoppable, another world is possible!

Un nuovo anno di CUR

Il COLLETTIVO UNIVERSITARIO REFRESH nasce nel 2013 da un gruppo di studenti e studentesse dell’università di trento che sentivano l’esigenza di confrontarsi e organizzarsi per vivere l’ambiente universitario e la città di Trento in modo critico e libero da qualsiasi imposizione. In questi anni il collettivo ha portato avanti numerose campagne e lotte, basandosi sui principi dell’antifascismo, dell’antirazzismo e dell’antisessismo e proponendo uno stile di vita universitaria agli studenti e alle studentesse che in qualche modo fuoriuscisse dagli schemi preimpostati in cui ci vorrebbero incasellare.

Una delle principali attività del CUR è infatti legata al tema della socialità studentesca, in una città bigotta, dove la voglia di divertirsi dei e delle giovani viene criticata, limitata e, spesso criminalizzata. Il CUR ha deciso dunque di lanciare una nuova idea, chiamata DECORE, per portare in giro per la città una forma di festa e di divertimento non legato al puro consumo, una forma più libera e in cui tutti/e possono trovare un proprio spazio.

Il CUR inoltre cerca di organizzare all’interno delle diverse facoltà momenti di discussione e dibattito, anche con ospiti estern* per favorire la produzione e la condivisione di un sapere critico, in grado di trattare anche tematiche spinose, che vengono escluse dalla normale didattica.

Infine, il Collettivo crede nella possibilità di cambiare lo stato di cose esistenti, portando avanti forme di lotta dal basso, basandosi sui principi dell’autogestione e dell’auto-organizzazione. Non abbiamo paura di scendere in piazza per rivendicare i nostri diritti e non temiamo la repressione delle istituzioni, ma cerchiamo dall’altra parte sempre di proporre contenuti e idee, che possano essere accolti, compresi e capiti da molti e molte.

Per chiunque avesse voglia di vivere l’università in modo diverso, libero e critico può trovarci all’interno dello spazio autogestito Hurryia a Sociologia o seguire la nostra pagina facebook COLLETTIVO UNIVERSITARIO REFRESH.

Nuovi tagli all’educazione di genere? NO GRAZIE!

Dall’inizio del 2019 la questione dell’educazione alle differenze di genere è stata al centro del dibattito politico trentino. Infatti poco dopo la pausa natalizia è stata resa nota la notizia che l’appena insediata giunta provinciale avrebbe negato i fondi per continuare i percorsi educativi sul genere all’interno delle scuole trentine. Si sono susseguite numerose iniziative, a cui anche noi in prima linea abbiamo partecipato, ma la risposta da parte della provincia è sempre stata di chiusura e, in alcuni casi, di repressione vera e propria (https://curtrento.noblogs.org/post/2019/03/23/il-dissenso-non-si-sgombera-riflessioni-sui-fatti-del-22-marzo/).

Ma partiamo dal principio: nel 2012 viene approvata una legge provinciale sulle pari opportunità, il cui primo articolo afferma: “La Provincia promuove la parità di trattamento e opportunità tra donne e uomini, riconoscendo che ogni discriminazione basata sull’appartenenza di sesso rappresenta una violazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali in tutte le sfere della società”. In concreto questa legge fornisce alla provincia la possibilità di elargire fondi per percorsi educativi e formativi che abbiano come tema centrale quello delle differenze di genere e delle pari opportunità.

Nel 2018 la legge comincia a concretizzarsi e i fondi vengono distribuiti a soggetti pubblici e privati, che rispettassero i canoni previsti. In alcune scuole della provincia vengono dunque organizzati dei corsi, i quali hanno come obiettivo primario quello di educare giovani studenti e studentesse al rispetto della libera autodeterminazione di ogni persona, cercando di limitare, arginare ed estirpare fenomeni quali il bullismo, le discriminazioni e l’omofobia. A detta di insegnanti, genitori e student* in primis, questi corsi hanno aiutato molti e molte ad andare oltre gli stereotipi di genere che la società fin troppo spesso impone e a rispettare tutte le differenze e le identità altrui. Ed è proprio per questo che numerose soggettività hanno deciso di schierarsi in difesa di questi percorsi e in solidarietà alle formatrici, attaccate vergognosamente a mezzo social da rappresentanti della politica trentina.

Purtroppo però la questione non si esaurisce così e l’assessora Segnagna qualche giorno fa dichiara la volontà della provincia di voler elargire i fondi, ma restringendo e limitando le tematiche di intervento dei corsi alla sola parità tra uomo e donna. I corsi dovranno dunque trattare solamente la tematica della discriminazione della donna, ma non dovranno in alcun modo affrontare il tema dell’omofobia. In questo modo la giunta provinciale spera di potersi ripulire la coscienza dopo le numerose polemiche e le iniziative di rivendicazione portate avanti in questi mesi da chi, come noi, crede in una scuola libera da qualsiasi forma di sessismo. La posizione assunta dalla provincia è una posizione retrograda, che sputa in faccia ad anni di ricerca e di studi sul genere, grazie ai quali si è riusciti a superare il binarismo di genere uomo-donna e a dar voce a tutte le diverse identità e soggettività esistenti.

L’omofobia è un fenomeno e un problema sociale reale, che va combattuto giorno dopo giorno in ogni sua forma e manifestazione. E il primo passo è formare le menti dei e delle giovani al rispetto e alla reciproca solidarietà, alla possibilità di autodeterminare se stess* e il proprio corpo.

I corsi devono essere ricostituiti così come erano stati pensati originariamente o, ancor meglio, implementati e aumentati, rendendoli obbligatori in tutte le scuole e a tutt* gli/le student*.

Il figlio sano del patriarcato

Succede a Londra che una coppia di ragazze venga picchiata da un gruppo di ragazzi perché si sarebbero rifiutate di baciarsi davanti a loro. Succede che nel 2019 il corpo della donna venga ancora visto come mera fonte di piacere sessuale per l’uomo, rendendo la donna un mero oggetto e passivizzandola totalmente.

Per quanto il fatto sia grave, non è di certo una novità e non può essere imputato solo alla particolare propensione violenta e sessista di questo gruppo di uomini. Infatti, questa visione della donna e del corpo femminile deriva da secoli di cultura etero-patriarcale, in cui la virilità maschile viene esaltata ed elogiata.

Chi si schiera contro l’aborto, volendo decidere sui nostri corpi di donne libere, chi denigra o discrimina le soggettività lgbtq, chi colpevolizza le vittime di stupro sulla base del loro abbigliamento, chi applica distinzioni salariali sulla base del sesso, non è meno violento o complice di chi ha picchiato vergognosamente queste ragazze.

Viviamo in una società in cui purtroppo la violenza di genere, che sia fisica, verbale o psicologica, esiste ed è normalmente accettata e legittimata.
Il decreto Pillon per esempio in Italia è la prova di come uomini violenti vengano addirittura tutelati nel loro ruolo di padre, annullando i diritti di tutte quelle donne che hanno dovuto subire episodi di violenza domestica.

La cancellazione dei corsi di genere nelle scuole trentine è un ulteriore esempio di come le istituzioni non siano interessate a risolvere realmente e alla radice questo problema, ma preferiscano delegare alle forze dell’ordine l’insegnamento di un’educazione al rispetto delle differenze. Le stesse forze dell’ordine che a Firenze hanno violentato due studentesse americane, utilizzando come giustificazione la presunta ubriachezza delle ragazze. Le stesse forze dell’ordine che ultime settimane hanno manganellato decine di manifestanti, tra cui molte donne. A noi che da anni lottiamo per costruire una società libera da qualsiasi forma di sessismo e machismo i fatti di Londra ci indignano, ma non ci sorprendono. Finché non verrà cambiato radicalmente il sottostrato culturale tipicamente patriarcale questi fatti saranno all’ordine del giorno.

Questi sono solo pochi esempi di come la violenza di genere faccia parte della nostra società e questi stessi esempi dovrebbero ricordarci l’importanza di praticare tutti i giorni pratiche di lotta antisessista e femminista.

ESPRIMIAMO TUTTA LA NOSTRA SOLIDARIETÀ CON LE RAGAZZE LONDINESI E AFFERMIAMO A GRAN VOCE CHE SE TOCCANO UNA TOCCANO TUTTE!