ALLES BLOCKIEREN! BLOCCHIAMO TUTTO! Note sul Climate Stike di Darmstadt

E’ una giornata particolarmente soleggiata a Francoforte.

Me ne accorgo quando, uscendo dalla metropolitana, mi tolgo la felpa a causa del caldo e sento  rinfrescarsi sulla pelle la brezza proveniente dal Meno.

Nei giorni precedenti ascoltavo una conversazione tra due signore su quanto sia strano il tempo in questo periodo. Qualche mese fa le temperature in Germania hanno toccato il record assoluto di 40 °C. In quei giorni fecero il giro del mondo le immagini dell’asfalto delle autostrade tedesche che si scioglieva a causa del caldo estremo.

Tuttavia nessuno sembra preoccuparsi, qualche giornata di sole in più prima dell’arrivo dell’autunno non farà male a nessuno.
Due giorni prima ero andato a Oetinger Villa, un centro culturale situato nella città di Darmstadt che da vent’anni è il centro della vita politica della città ed è la casa di collettivi antifascisti, anarchici, femministi, LGBT*QI e ambientalisti. Lì avevo conosciuto ragazze e ragazzi della mia età. Mi spiegano che  fanno parte di un gruppo antifascista “Offenes Antifaschistisches Treffen Darmstadt”. In tutta la città erano affissi i flyers del Climate strike programmato per il 20 Settembre in tutta la Germania (e tutto il mondo), gli chiedo se parteciperanno.

“Certo, vieni con noi, sarà una bella giornata!”.

“Genau, ci sarò!”.

Avviso la prof di tedesco che andrò via dalla lezione in anticipo per il climate strike. E’ entusiasta. In cinque abbandoniamo la classe per prendere il treno. Il bar autogestito da studenti a fianco l’università è un via-vai di carretti, cartelli per la giustizia climatica e persone.

Si respira un aria di festa.

Arriviamo a Darmstadt, raggiungiamo la piazza del concentramento di Ostbahnof.

E’ uno dei tre punti di raccolta dai quali partiranno i cortei che convergeranno in unica piazza. Individuo subito i ragazzi e le ragazze dell’OAT grazie alle bandiere antifasciste che svettano sulla testa del lungo corteo. Mi spiegano che la scelta di avere tre concentramenti diversi è strategica.

Vogliono bloccare tutta la città.

Il corteo parte. La marcia è scandita da slogan e interventi di vari attivist* e militant*.

Le rivendicazioni sono chiare: vogliamo giustizia climatica, e la vogliamo subito.

Il corteo è animato da diversi gruppi e tematiche. Ci sono gli/le attiviste di Extincion Rebellion e Friday for Future; collettivi femministi e queer come Feministisches Kampftag Bündnis; Seebrücke Darmstadt, collettivo solidale con i/le migrant* vittime del razzismo e della follia dei confini dell’Europa fortezza; l’OAT e Frauen – und Queerstreik Darmstadt, un altro gruppo che ha fatto della villa la sua casa politica.

L’eterogeneità della dimostrazione mi fa riflettere sul come chiedere giustizia climatica significhi molte cose.

Significa avere consapevolezza di un’emergenza che va affrontata immediatamente. Consapevolezza di una crisi provocata dalle elitè politiche ed economiche che ci governano, ma le cui conseguenze si abbatteranno, e si abbattono già, sulle classi più povere, in maniera più o meno fatalista.

Significa rendersi conto che il riscaldamento globale è un acceleratore della storia e delle sue dinamiche. Secondo alcuni dati un terzo della popolazione sarà costretta a migrare nei prossimi due decenni a causa dell’avanzare della desertificazione, delle carestie e delle guerre causate dalla scarsità di risorse, ben altra cosa a livello numerico rispetto alla tanto destabilizzante crisi migratoria di questo decennio.

Per far fronte a questi problemi e mantenere l’ordine sociale, la trasformazione in senso (ancora più) autoritario dei regimi esistenti sarà una costante che proverà a mettere a tacere ogni dissenso, ogni rivolta, ogni grido di disperato di umanità; a normalizzare e uniformare ogni corpo e pensiero.

Chiedere giustizia climatica significa intrecciare le lotte, perché oltre a cambiare un sistema economico va abbattuto il sistema di pensiero che lo alimenta: fascismo, sessismo, razzismo  sono gli strumenti culturali e cognitivi che nutrono il capitale ed il suo sfruttamento, che perseguitano e attaccano ogni giorno i nostri corpi e la natura.

Ma i nostri corpi sono qui, incrocio dopo incrocio, a bloccare tutto.

 

S’intonano cori contro il capitalismo e lo stato.  Cantiamo Bella ciao!; ci guardiamo intorno, che sia in Italiano, in tedesco o in inglese siamo tutt* antifascist*.

Arriviamo nella piazza centrale dove una band inizia a suonare. Mangiamo velocemente alcuni involtini di crauti, ma non c’è tempo per fermarsi. Dobbiamo bloccare tutto.

Un compagno mi da un biglietto, c’è scritto il nome di una via ed un numero da chiamare nel caso avessimo problemi con la polizia. Andiamo a bloccare lo stabilimento della Mercedes Benz.

Al nostro arrivo entrambe le entrate sono bloccate da una sessantina di persone vestite con delle tute bianche ed una mascherina. C’è un clima gioioso, le casse risuonano canzoni di lotta tedesche e cibo e acqua passano di mano in mano tra tutti i presenti. Un clima che nemmeno l’arrivo repentino della polizia riesce a surriscaldare. Una ragazza prende in mano il megafono. Parla di guerra, quella in Yemen, finanziata anche dalla Germania per difendere i suoi approvvigionamenti di carburante nel golfo di Hormuz, dove passano le flotte di petroliere che mandano avanti l’economia mondiale.

La guerra è la spietata distruzione della vita umana e dell’ambiente. Essa è la conseguenza della distribuzione diseguale delle risorse, ed il suo fine è quello di mantenere, attraverso la violenza, lo status quo. Parla della Turchia che, anche grazie ai finanziamenti dell’UE per “fronteggiare la crisi migratoria”, minaccia il Rojava e la sua rivoluzione femminista  ed ecologista. Parla delle morti nel Mar Mediterrano.

La norma che regola il gioco è la seguente: quando le persone avranno la folle idea di ribellarsi o spostarsi per avere una vita dignitosa, troveranno davanti carri armati, muri e fili spinati, tutto per difendere gli interessi, a brevissimo termine, di pochi. Ed i governi e le multinazionali occidentali sono i primi responsabili dello sfruttamento sistematico ai danni del sud del mondo. Come la Mercedes, che trae profitto da ciò producendo carri armati e altri veicoli per la guerra che vengono venduti a 23 stati, e che adesso prova a trarre profitto pubblicizzando una “svolta green” dovuta all’essere al primo posto nella produzione di auto elettriche. Cazzate.

La crisi climatica è capitalismo, ed il capitalismo è guerra, la spietata distruzione dell’uomo e della natura.

Le code di automobili in entrata ed in uscita iniziano ad essere insofferenti. Un uomo, a bordo della sua Mercedes, ci mostra il dito medio. Gli rispondiamo che è buona norma spegnere il motore dell’auto quando si è incolonnati.

La polizia in antisommossa, anche loro arrivati a bordo di furgoni Mercedes, ci intima di alzarci. Ma noi non ci muoviamo. A fianco a me, steso per terra a bloccare una macchina, c’è un ragazzino. Inizio a parlarci. Ha 13 anni. Gli chiedo se è agitato per quello che potrebbe fare la polizia. Mi risponde ridendo: “sono qui per difendere il pianeta”.

Un poliziotto si avvicina, ci dice che se non ci spostiamo la polizia utilizzerà ogni mezzo a disposizione per farlo coattivamente. Mi guardo intorno, nessuno è preoccupato per quello che potrebbe succedere. La protesta è non violenta e si animano le discussioni sul da farsi. Cosa è violento?

La polizia ci circonda. Poco importa se ci sono bambini in mezzo a noi. Il loro compito è fare in modo che il sistema torni a girare.

Bloccare una fabbrica che collabora a guerre e distruzione è violento? Sabotarla è violento? E resistere alla polizia per farlo?

Manca mezz’ora alla fine del turno lavorativo, ci alziamo lentamente e torniamo a marciare con al nostro seguito i furgoni mercedes della polizia. Blocchiamo di nuovo la strada principale, semaforo dopo semaforo, incrocio dopo incrocio. Al megafono un ragazzo ci comunica i numeri del climate stike. Nella sola Germania oggi hanno manifestato un milione e mezzo di persone. Ci sono state dimostrazioni in 125 paesi. E’ la manifestazione più grande di sempre.

Arriviamo nella piazza, dove ci accolgono gli altri gruppi con un applauso. E noi cantiamo, abbracciandoci e lanciando per aria le tute e le mascherine.

“We are unstoppable, another world is possible!