Nei CPR si muore, e noi sappiamo chi è stato

Il 18 gennaio 2020 giunge la notizia che un migrante detenuto nel CPR di Gradisca è morto mentre era ricoverato in ospedale a causa di una rissa. Nei giorni seguenti sono arrivate le testimonianze degli altri detenuti, secondo le quali le lesioni che avrebbero portato alla morte del ragazzo sarebbero state inflitte dalle guardie del centro. Il tutto parte da una cosa piccola piccola come il telefono, V. non lo trova più e inizia a lamentarsi con le guardie, che non lo ascoltano e lo riportano nella sua cella. Lui per protesta si colpisce da solo con una mazza di ferro allo stomaco. Viene portato in infermeria, ma quando torna le lesioni sono evidenti e, di certo, non dipendono dal colpo che si è autoinflitto. Nei due giorni successivi sta visibilmente male, chiede aiuto, ma nessuno gli presta soccorso. Allora comincia a ribellarsi, gridando per attirare l’attenzione dei poliziotti, ma quando arrivano scoppia una rissa con il compagno di cella, che lui credeva stesse collaborando con le guardie. Loro intervengono per separarli, lo picchiano ancora, lo bloccano a terra e gli mettono le manette, e lo trascinano fuori dalla cella, quasi fosse un pezzo di carne.

Nessuno ha più notizie, V. non torna più in cella, e poco dopo si scopre che è morto, origliando delle conversazioni.

È chiaro chi siano i responsabili di questa morte, è chiaro come il fatto che fosse un migrante non sia una casualità, è chiaro come la polizia ancora una volta abbia abusato del proprio potere. Nei CPR le violenze e gli abusi sono all’ordine del giorno, i CPR sono centri di detenzione e non serve a nulla chiamarli Centri di permanenza per il rimpatrio, perché noi sappiamo bene cosa rappresentano in realtà. Sono la diretta rappresentazione di anni di politiche securitarie, in cui i migranti sono visti come un rischio o un pericolo da cui proteggersi. La morte di questo ragazzo è un chiaro segnale, purtroppo uno dei tanti, di come la politica internazionale, ma soprattutto quella italiana, stiamo prendendo una deriva sempre più razzista e discriminatoria nei confronti di chi viene identificato come diverso.

La detenzione dei migranti con l’unica finalità del rimpatrio e senza che abbiano effettivamente compiuto un qualche reato, è una pratica lesiva dei diritti umani e della libertà individuale di fronte a cui non è più possibile rimanere in silenzio. Così come i continui atti di violenza e gli abusi di potere in divisa non possono più essere ignorati o nascosti sotto il tappeto, utilizzando la scusa del tragico incidente o del “era una persona problematica”. L’Italia si conferma un paese in cui se sei straniero vieni discriminato, vieni rinchiuso in una cella, vivi in centri di accoglienza senza alcuna dignità e, “se necessario”, ucciso. L’Italia si conferma il paese in cui se hai una divisa puoi sentirti libero di usare violenza, di privare chiunque della propria libertà e dignità, di picchiare, abusare e utilizzare metodi disumani, e rimarrai impunito, nonché elogiato per il servizio reso alla comunità.

A noi però le divise non sono mai piaciute e ci siamo sempre schierati dalla parte di chi lotta per la propria libertà, per questo esprimiamo tutta la nostra vicinanza alla moglie e alla famiglia del migrante ucciso e ribadiamo a gran voce che i CPR e tutti i centri di detenzione dei migranti debbano essere chiusi immediatamente!!

“Airbnb città merce: storie di resistenza alla gentrificazione digitale”

Lo scritto che segue è un contributo alla riflessione intorno ai temi trattati nel libro “Airbnb città merce: storie di resistenza alla gentrificazione digitale” di Sarah Gainsforth, in vista della presentazione che si terrà il 15 febbraio presso la libreria duepunti di Trento. A seguire è prevista la pubblicazione di un altro elaborato riguardo l’operato di Airbnb a Trento.

Bando alle ciance e via col pizzone…

Dunque… cos’è Airbnb?

  • Ma come! Lo sappiamo tutti: Airbnb è una piattaforma digitale il cui scopo è mettere in contatto persone in cerca di alloggio, generalmente per brevi periodi, con persone disposte a mettere a disposizione una loro proprietà immobiliare “inutilizzata” (che sia una camera o un appartamento intero) in cambio di denaro. In cambio di questa intermediazione la piattaforma trattiene una percentuale variabile intorno al 5%. E questo garantisce ai privati di arrotondare e arrivare a fine mese, hai una stanza in più che non usi? La metti su Airbnb e tiri due euri.

 

  • Vuoi dire tipo Booking?

 

  • NO! Booking&Co sono dei SITI che mettono in contatto delle strutture specifiche del settore (Hotel, B&B, ostelli etc) con le persone in cerca di alloggio, quindi vedi, non vi è contatto umano, il denaro va direttamente dalle tasche del consumatore a quelle del proprietario dei grandi alberghi, nelle tasche dei soliti insomma… Inoltre, il sito trattiene una percentuale maggiore, anche il 30%. Airbnb invece è molto più democratico, distribuisce la ricchezza attraverso l’economia collaborativa, è orizzontale, si limita a fare da intermediario, mentre booking tende ad assomigliare più ad un erogatore di servizi.

 

  • Ma scusa alla fine non sono un po’ la stessa cosa? E poi mi pare di aver visto delle case messe su Airbnb apparire anche su Booking…

 

  • NOOO, certo che sei proprio de coccio oh. Airbnb è diverso… pensa che i fondatori della compagnia hanno avuto l’idea iniziale affittando dei posti letto, su dei materassi ad acqua, a dei turisti nel loro bilocale. In un momento di difficoltà economica hanno sfruttato l’intuizione che li ha fatti diventare miliardari tutti da soli. Dei piccoli geni che grazie alle loro perseveranza e capacità individuale si sono fatti largo nel feroce mondo della finanza e hanno vinto.

 

  • Apparte il fatto che non mi sembra sia andata proprio così e che non hai risposto alla mia domanda… ma scusa mettiamo il caso che io possieda 4 appartamenti dei miei parenti morti anzi un palazzo intero di appartameti, non potrei tipo metterli su Airbnb e svolgere praticamente la stessa funzione di un residence? Cioè ci guadagnerei di più che affittarli a degli studenti scampati de casa che si fumano le canne dentro e fanno casino.

 

  • Si certo.

 

  • Ok ma in questo caso, in assenza di regolamentazione, non ci sarebbe il rischio che tutti coloro che possiedono degli appartamenti in centro storico smettano di affittare ai residenti e agli studenti in favore dei turisti ricchi, influenzando il mercato degli affitti fino a far innalzare di brutto i canoni di locazione delle zone turistiche? Magari da far sì che nessun normale lavoratore precario, studente o disoccupato possa permettersi di alloggiare in quelle zone e sia costretto ad emigrare in periferia? Tutto questo contribuendo allo sviluppo di città bancarella, dove secondo il mantra de: “il turismo genera ricchezza” vengono giustificate l’espulsione degli strati di popolazione medio-poveri dal centro, la retorica del decoro e la costruzione di città resort, spersonalizzate ad uso e consumo dei turisti. Questo è il significato del termine gentrificazione di cui si sente tanto parlare…

 

  • Oh, ma sei mica uno di quegli stronzi del CUR? E poi la gentrificazione non esiste, è solo una storiella inventata da dei fannulloni che non hanno voglia di lavorare e che per non pagare l’affitto occupano le case ricorrendo a scuse pretestuose come questa.

 

  • Scusa ma ti rendi conto di ciò che stai dicendo? Cioè se non riesco a pagar l’affitto cazzo devo fare restar per strada in attesa di una casa popolare che non arriva e…

 

  • “Siete ancora ed oggi, come sempre dei poveri comunisti!”

 

  • Come prego!?

 

  • Vai a lavorare coglione…

 

  • …..

 

Anche se tragicomico, lo scambio di battute soprastanti cerca di riassumere alcune delle questioni e delle problematiche, che Airbnb ha portato dalla sua nascita nel 2007 ad oggi. La piattaforma infatti ha contribuito ad accelerare delle trasformazioni in corso nelle città e nello spazio urbano. Il dialogo soprastante cerca di sintetizzare le principali critiche mosse ad Airbnb e lo fa in maniera grottesca perché grottesche (nel senso di drammatiche) sono le conseguenze prodotte dal colosso digitale: cortocircuito legale sulla natura della piattaforma come fornitore di servizi o semplice intermediario, che si traduce in incapacità di normazione, speculazione dei palazzinari (aka multihost), gentrificazione.

Tutto questo ben giustificato e camuffato da un lato dalla zuccherosa retorica pseudo comunitaria dell’azienda, dall’altro dal mito dell’aiuto ad una classe media impoverita, quella che deve arrotondare e quindi affitta, che si risolleva grazie alla leva della sharing economy (ossia l’economia collaborativa, detta in maniera bestiale: tramite una piattaforma che ci mette in contatto ,“condividiamo le spese per la benzina”, “condividiamo la stanza”, “la lavatrice”, “tutto ciò che può essere consumato in maniera condivisa”, “conviene a te e a me e ci arrangiamo fra di noi, senza il bisogno di un erogatore di servizi dall’alto, pubblico o privato che sia”. La convenienza è infatti il principale propulsore di tale strategia).

Gli unici due fattori limitanti della sharing economy sono quindi la potenza del supporto tecnologico (piattaforma), che permetterà la messa in contatto fra le persone, e la “merce in palio” ossia quel bene da condividere, quel pezzetto del puzzle da cui estrarre valore. La magia accade qui: soffermandoci su quest’ultimo fattore potremmo chiederci, se avessimo i mezzi tecnici per farlo, quante sono le cose da cui potremmo estrarre valore condividendole? Molte, moltissime, parliamoci chiaro, noi mettiamo già a valore gran parte del nostro modo di vivere senza accorgercene, basti pensare al meccanismo dei cookies e delle recensioni, attraverso la condivisione (nel senso di sottrazione pervasiva e senza remore) dei nostri dati di navigazione offriamo la possibilità a chiunque sia capace di elaborarli, di propinarci delle pubblicità mirate. Pubblicità = Soldi.

Bon il pizzone l’abbiamo fatto e pure male, ma che c’entrano i cookies con Airbnb? C’entrano nella misura in cui sono due modi compatibili di mercificare dei beni appartenenti ad una sfera, privata o comune, che si fa sempre più ampia, estendendosi alla casa, alla città, ai nostri interessi privati, producendo concentrazione di ricchezza nelle mani di pochi.

Per questo si dice che il capitalismo – l’ha detto veramente? – si lascia stare che palle. – ha trovato il modo di estrarre ricchezza non solo dalla nostra manodopera e dalla nostra conoscenza, ma dal nostro bios. Ciò che si cerca di ridurre a merce da vendere e quindi mettere a valore è la nostra vita stessa. Tutto questo per 24 ore al giorno, non 8 come in un normale lavoro… In poche parole: ci dovete 16 ore di straordinari.

Altro mito da sfatare è proprio la retorica plasticosa ed intensa che Airbnb costruisce, attraverso lo story telling, intorno alla sua fondazione e al suo brand, o come direbbe qualcuno “our vision”. L’affitto breve di un appartamento dove nessuno abita, viene spacciato per un’esperienza indimenticabile, frutto della riappropriazione di un contatto umano che trova sempre meno spazio nelle città di oggi, le quali dinamiche frenetiche e di gentrificazione, che Airbnb contribuisce ad alimentare, hanno atomizzato gli individui metropolitani. Airbnb si propone allora come soluzione a tale problema, con la missione di riavvicinare le persone attraverso un atto di fiducia, talmente potente che normalmente lo riserveremmo solo alla nostra cerchia più intima, ossia la condivisione della propria casa. Tutto è fiabesco, colorato e furbetto. Finché c’entrano i soldi. Creazione di una narrazione comunitaria (Aribnb Citizen direbbero…) attraverso la distruzione di comunità reali. Ciò è un cortocircuito e un cane che si morde la coda e la gente ci crede.                                                                                                         Ma lasciamo la parola a quel giovanotto rampante, imprenditore miliardario, galletto della Sylicon Valley, CEO e co-fondatore di Airbnb, nonché filantropo scarso,

signore e signori ecco a voi: Brian Cheskyyyy!!!

– “immaginate se poteste costruire una città condivisa, dove le persone del posto diventano micro-imprenditori […] e le mamme e i papà tornano a fiorire” –

Questa retorica intrisa di calvinismo e radicata nell’ideologia neoliberale, per cui ognuno è imprenditore di se stesso, occulta il semplice fatto che le piattaforme hanno trovato il modo di mercificare sempre nuove risorse. Producendo le conseguenze viste prima.

Non sorprende d’altronde che di classe media impoverita che arrotonda con Airbnb ce ne sia ben poca, infatti da come emerge dalla quasi totalità delle analisi, effettuate sui pochi dati rilasciati da Airbnb (perché Airbnb non li rilascia a meno di feroci battaglie legali o di inquinamento intenzionale  dei dati stessi), gli host non residenti, che affittano casa tutto l’anno e non solo occasionalmente, come propugnato dalla retorica dell’azienda (e quindi sottraendo le case al mercato immobiliare) sono la maggior parte.

In molti casi inoltre si viene a parlare di multihost, ossia proprietari di più appartamenti messi a disposizione, palazzinari, quelli che i soldi ce li hanno, li hanno sempre avuti e continuano a farseli con il mercato degli affitti brevi.

Il problema che si pone in questi casi tuttavia, è dare una definizione di quello che effettivamente è un affitto breve, o un multihost o Airbnb stesso (intermediario o fornitore di servizi?) e da questa definizione essere in grado di normare il fenomeno. Se non so cos’è non posso nemmeno dirgli cosa non può fare. La mancanza di regolamentazione a livello europeo lascia infatti la gestione del fenomeno relegata alla responsabilità delle varie amministrazioni locali, il che crea un cortocircuito legale che di certo non aiuta.

Per concludere: opporsi all’avanzata di Airbnb significa cercare di invertire la retorica attraverso cui la piattaforma stessa si auto-legittima. Di questo si sta parlando e questa è la posta in gioco. Perché diciamocelo, noi non ci crediamo, noi sappiamo che ciò non è reale e che non esistono vincitori, sappiamo che non è neanche lontanamente desiderabile la vittoria a questo gioco, quello della speculazione abitativa, rifiutiamo l’idea di ridurci ad imprenditori di noi stessi tanto quanto rifiutiamo l’idea di essere dei servi.

Per dirla con le parole della Gainsforth:

 “la retorica fasulla di Airbnb va combattuta con dati reali e storie vere di origine e resistenza”

Questo articolo, con tutti i limiti del caso, spera di essere un piccolo passo verso questa prospettiva. Tuttavia, c’è anche da dirsi questo: se la retorica gioca un ruolo importante, il motivo principale per cui Airbnb continua ad espandersi si è detto all’inizio ed è la convenienza. Ad oggi le alternative ad Airbnb (hotel, B&B, residence, tutte, esclusa Couchsurfing, forse, che però è un’altra storia) sono meno convenienti economicamente e lo saranno sempre. Inoltre, se vogliamo trovare una soluzione non dobbiamo nemmeno abbandonarci alla facile equazione: “Airbnb è brutta, quindi vogliamo gli alberghi”. Perché i risvolti sarebbero i medesimi, la gentrificazione infatti esiste da ben prima che Airbnb nascesse. Il vero nocciolo della questione è questo: Airbnb si innesta su un modo di intendere la città e lo spazio urbano di un certo tipo, se vogliamo cambiare le cose dobbiamo ripensare questo modello.

Semplificando: Vogliamo una città per tutti o solo per alcuni? Per tutti o ad uso e consumo della triade: evento/immagine/turismo

“Em gehort die Stadt?” come recita la vernice sui muri delle città tedesche da qualche anno a sta parte:

“a chi appartiene la città?”

Se il motto di Airbnb negli ultimi tempi è diventato “belong anywhere”, appartieni ovunque, ebbene forse è necessario scomporre questo mantra e farlo nostro per ricomporlo in tutt’altra direzione. Per tornare a riappropriarci dello spazio urbano che ci è stato sottratto, della ricchezza e del comune che è in noi,

non è diritto naturale, ma verità etica, la città ci appartiene e noi ce la riprendiamo.

Questo è quanto, non vi è spazio per il curioso da bar, per lo sciacallo da talk-show, per l’annoiato che in queste righe cercava delle facili risposte, non vi è alcuna rivelazione messianica, non ne abbiamo e non ci crediamo. La ricerca di risposte reali passa attraverso miriadi di vicoli ciechi, abbagli, arresti, ripartenze. Le soluzioni le stiamo ancora passando all’affilatoio della nostra immaginazione, ma con la cocciutaggine e la curiosità che ci distinguono, abbiamo iniziato a porre le domande.

Non vi preoccupate, ci rifaremo presto vivi.

a presto

POLIZIA NEGLI STUDENTATI? NO GRAZIE!

Si dice che, a volte, la realtà superi la fantasia. Ebbene questo è uno di quei casi. È notizia di questi giorni l’ordine esecutivo con il quale Fugatti, il re sole de noantri, predispone la cessione di 16 stanze dello studentato Mayer per ospitare la nuova truppa di poliziotti che arriverà a Trento (erano forse quelli destinati ai corsi di genere nelle scuole superiori?). Naturalmente questi uomini in divisa, verranno a rendere più sicuro quel bronx che è il capoluogo trentino.

Come Collettivo Universitario Refresh, riteniamo indecente e inaccettabile la nuova genialata della giunta provinciale, ma soprattutto ci sorgono spontanee alcune domande. Se la sicurezza è tanto cara alla Lega trentina, quale sicurezza ci può essere nel vedersi negato un proprio diritto, come il diritto allo studio e all’alloggio? Quale sicurezza può esserci nel vedersi buttat* fuori dalla stanza in si è abitato per mesi, in una città in cui il problema di alloggi e affitti e student* è ormai lampante per tutt* ? Quale sicurezza ci può essere nel condividere uno studentato con i prodi agenti della polizia italiana, celebre per il rispetto dei più basilari diritti?

Sappiamo bene che queste domande non riceveranno alcuna risposta da parte di una giunta provinciale in grado esclusivamente di reprimere, tagliare ed escludere. Oltre alla rabbia e all’indignazione, il nostro pensiero va a quelle persone che dovranno lasciare lo studentato e continueremo a seguire la vicenda perché se la Lega pensa di poter fare i propri porci comodi in università ha proprio sbagliato a capire e troverà sempre studentesse e studenti ad opporsi alle sue decisioni.

Ve l’avevamo detto. Riflessioni su fascismo e antifascismo.

Le ultime due settimane sono state settimane intense, nelle quali, purtroppo, ci siamo ritrovati a dover dire “ve l’avevamo detto”, ma fidatevi che per tutti noi sarebbe stato più facile ammettere di avere torto.

Ma procediamo per gradi e partiamo dalla piccola realtà cittadina in cui vivo, Trento. Il 30 ottobre il rettore dell’università di Trento ha deciso di riorganizzare la conferenza sulla situazione della Libia, invitando nuovamente Fausto Biloslavo[1]. Il fatto che Paolo Collini, massima autorità dell’ateneo trentino si sia così tanto premurato per far sì che Biloslavo avesse la possibilità di parlare a Sociologia a Trento, ha fatto sì che esponenti dell’estrema destra, riconducibili a Casa Pound, insieme a giovani leghisti e a un consigliere provinciale della Lega Trentino, si sentissero liberi di presentarsi in 40 fuori dall’università, attrezzati con ombrelli rinforzati, mazze di pvc e bottiglie di vetro, e aggredire gli studenti e le studentesse, i quali, si erano spontaneamente ritrovati in difesa dell’università dopo aver scoperto della tutt’altro che piacevole visita dei fascisti. Il gruppo di studenti e studentesse, nonostante l’aggressione di stampo chiaramente squadrista, è riuscito a respingere per quanto possibile (non essendo dotati di tutta l’attrezzatura, di cui invece si erano dotati i bravi ragazzi di Casapound e Lega), ma due ragazzi sono rimasti feriti al volto e alla testa. Ma la serata non si è conclusa così e, come si suol dire, oltre il danno la beffa, i giovani leghisti, complici dell’aggressione tanto quanto gli squadristi di Casa Pound sono stati scortati dentro l’aula della conferenza dalla sicurezza, trovando alcuni posti prenotati e tenuti in caldo appositamente, al fianco dell’assessore Mirko Bisesti (Lega Trentino). Gli studenti e le studentesse che, invece, si erano appena sobbarcati un’aggressione, sono stati bloccati sulla porta dell’aula, un’aula universitaria. Trento, nel suo piccolo ha dimostrato che avevamo ragione quando in questi anni abbiamo continuato a parlare di antifascismo e dell’importanza di non lasciare spazio a soggetti politici come la Lega o Casa Pound o Forza Nuova. Avevamo ragione perché non appena Fausto Biloslavo è stato legittimato a intervenire in un’università pubblica, il fascismo si è palesato nella sua forma più classica, quella della violenza squadrista.

Ma purtroppo Trento e l’Università di Trento non sono state le uniche a darci ragione in queste ultime settimane. Infatti, la settimana scorsa nel quartiere Centocelle di Roma si sono verificati due incendi: il primo alla libreria La Pecora Elettrica, il secondo al Bakara Bistrot, che aveva espresso solidarietà con la libreria vittima del primo attentato. La natura neofascista di questi due episodi è chiara, così come il modus operandi utilizzato: mettere in atto azioni violente, muscolari, machiste al solo scopo di intimidire, di “colpirne uno per educarne cento”. E non è un caso che, seppur in modo diverso, siano stati colpiti due luoghi del sapere: l’università e una libreria. Sarà mica perché perfino i fascisti sanno che il sapere nasce per essere critico, nasce per accettare le differenze, per esaltarle e coltivarle, nasce per tutti e tutte, senza discriminazioni basate sul proprio genere, sulla propria nazionalità, sul proprio credo religioso e il proprio orientamento sessuale. Il sapere fa inevitabilmente paura a chi vorrebbe creare una società chiusa, con un’idea precisa di uomo e donna, sia dal punto di vista estetico sia dal punto di vista del ruolo che ognuno debba avere nella società. Fa paura a chi non vede nelle differenze una ricchezza. E la solidarietà a queste forme di sapere fa ancora più paura e va attaccata, e da qui ne deriva il secondo incendio al Bakara Bistrot.

Ma non finisce nemmeno qui perché sempre la scorsa settimana giunge la notizia che a Liliana Segre sopravvissuta ai campi di concentramento nazisti sia stata affidata la scorta, a seguito dei numerosi commenti e minacce ricevute su internet. Anche in questo caso qua l’attacco è al sapere, al sapere della storia, a quello che potrebbe o, meglio, dovrebbe insegnarci. E tante persone sono rimaste stupite, si sono indignate (giustamente) di fronte al fatto che una donna di novant’anni, sopravvissuta ai campi di sterminio debba sentirsi in pericolo nel 2019.

Fidatevi che chi come me si riconosce come una militante antifascista avrebbe di gran lunga preferito dover ammettere di avere torto e mai avrebbe voluto dire “ve l’avevamo detto, il fascismo esiste e ne siamo circondati”. Ma ora che, forse, ce ne siamo resi conto, ora che ha manifestato la sua più becera faccia (anche se per me il limite era già stato superato tempo fa), che risposta vogliamo dare a tutto questo? Finalmente si potrà costruire una nuova resistenza al fascismo, fatta non solo di belle parole, ma di conflitto, di corpi che scendono in piazza, di teste che diffondono idee e di lotte in tutte le città, scuole, università, luoghi di lavoro, le quali abbiano come parola d’ordine l’antifascismo?

 

Note:

[1] Fausto Biloslavo era stato precedentemente invitato da Udu Trento, sindacato degli universitari e avrebbe dovuto parlare alla conferenza “Gli Occhi della Guerra”. Il Collettivo Universitario Refresh e altre realtà studentesche hanno fatto uscire nei giorni precedenti alcuni volantini che criticavano la sua presenza in università, a causa delle sue idee filofasciste e delle sue frequentazioni in gioventù con gruppi legati al MSI a Trieste.

Invita un fascista e te ne arriveranno altri

Invita un fascista, e te ne arriveranno altri. Perché non è nient’altro che così che poteva andare, visti gli sforzi. La caparbietà istituzionale dimostrata dall’Università di Trento e dal suo rettore Paolo Collini, nel voler inscenare a tutti i costi una farsesca conferenza di ripiego con Fausto Biloslavo, è il risultato delle pressioni politiche fatte dalla politica leghista cittadina e provinciale su tutta la faccenda.

L’attacco squadrista condotto con ombrelli, tubi in PVC, bottiglie di vetro, lucchetti e catene è stato respinto da chi si trovava in un’università. Ma ciò non rende meno grave il fatto che membri della PAT (Devid Moranduzzo, LEGA) e giovani leghisti pettinati fossero lì a guardare fascisti  vecchi e nuovi venuti (anche) da altre città, nella stessa piazza. I tentativi di dissociazione da parte di quest’ultimi non sono mancati, ma già lo scorso febbraio Mirko Bisesti (assessore all’istruzione PAT, LEGA) incontrava il Blocco Studentesco (CPI). La saldatura tra destra istituzionale e destra organizzata si fa sempre più stretta ed è sotto gli occhi di tutti. La nostra solidarietà va a chi ha resistito davanti all’Università, mentre la Polizia stava a guardare.

Per quanto riguarda Fausto Biloslavo beh, che dire? Un giornalista che la notizia se la crea, che se  la cerca strillando sui social e incassando solidarietà da tutto il parco giochi parlamentare sovranista, dalla stampa reazionaria e dall’editoria neofascista, ci rende la cifra del personaggio. Da uno pronto a “denunciare” le condizioni dei campi di detenzione libici, ma con parole infamanti verso le ONG e chi salva le vite in mare, plaudendo alla cosiddetta “guarda costiera libica” che dovrebbe essere lasciata in pace a fare il proprio lavoro, no, grazie, non la vogliamo sentire la lezione.

Perché su tutto quello che è stato scritto, masticato e sputato sulla vexata quaestio “Biloslavo a Sociologia” ovunque si coglie la solita manfrina del “Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire”, come se a prescindere dalla propria idea politica uno potesse essere un qualsiasi bravo lavoratore, un professionista, un tecnico, di cui ascoltare l’opinione. Rifiutiamo questa logica scadente e ci avvaliamo invece di una disposizione critica nei confronti di chi ci ritroviamo davanti. Ci interroghiamo sul ruolo che hanno nella società personaggi come Biloslavo, a cui viene dato spazio in quanto “esperto”. La banalità con cui si fa il proprio mestiere, alla luce del ruolo sociale, per alcun* invece è molto più importante.

Ci chiediamo che ruolo abbia avuto il Rettore nell’accondiscendere alle pressioni della politica (non sarà mica colpa della Provincializzazione?) ad imporre una presenza tanto scomoda ad una comunità studentesca che ne aveva espresso la criticità. Il dialogo verso chi ha invitato Biloslavo, chiedendone la sostituzione, a dirla tutta, è stato intrapreso in prima istanza da noi. Ma siamo rimasti inascoltat*.
Ci chiediamo quindi che ruolo possano assumere aggregazioni studentesche come UDU Trento, quando altre pongono il problema della presenza di personaggi che si augurerebbero che le persone venissero riportate nell’inferno libico. Come si fa a conciliare la presenza di questi personaggi con la contemporanea presa di posizione a fianco di chi salva le vite in mare?

Un’ultima nota poi sulla stucchevole narrazione anacronistica, possiamo chiamarla “brigatista”, della vicenda. Che l’utilizzo strumentale di avvenimenti storici passati per la narrazione del presente sia, ormai, prassi frequente tra le fila di chi non è in grado di argomentare se non con ambigui paragoni di cui non conosce i termini, è cosa nota. E dovrebbero ben saperlo i giornalisti di destra, prima di avventurarsi in accostamenti ridicoli, che trattamento veniva riservato alle penne reazionarie, dalle BR. Biloslavo non ci sembra di certo finito come Montanelli, né su una Reanult 4, a giudicare dalle vignette che si trovano su il Giornale. Invitiamo quindi Biloslavo, l’assessore Bisesti e tutta la compagine leghista a riaprire i libri di storia. Scoprirebbero che il mito delle “BR nate a Sociologia” è una bella panzana che fa tanto comodo tramandare. Curcio e Cagol lasciarono Trento già alla fine del ’68 per trasferirsi prima a Verona e poi a Milano, quando ancora nessun’azione rivendicata dalle BR era stata compiuta. L’esperienza della lotta armata in Italia può considerarsi conclusa da tempo ormai, ma lo studio degli ideali rivoluzionari è compito di chi non accetta il tempo presente e lo desidera cambiare, nell’attesa di una nuova aurora.

SOLIDARIETA’ AGLI/ALLE ANTIFASCIST*

DALL’ALTRA PARTE DELLA BARRICATA. La nostra versione dei fatti.

Abbiamo visto Biloslavo scuro in volto frignare tramite i soliti giornalacci che gli danno spazio. Abbiamo visto ragazze e ragazzi sbraitare a vuoto, per qualcosa che sapevano sarebbe accaduto da diversi giorni. Abbiamo visto le varie magnificenze universitarie andare in tilt e colpire l’aria. L’importante, come al solito, è non rimetterci la faccia, a qualsiasi prezzo.
Invece abbiamo visto bei faccioni sorridenti cadere in mille cocci. E noi non siamo l’aria, siamo il vento che la agita.
Essere tirat* in ballo, a noi che piace ballare, ci fa solo piacere. Ma il nostro ballo si fa per le strade, all’aria aperta. Dove la vista è completamente diversa lontano dalle luci del vostro palcoscenico.
Ogni commento alle parole di Biloslavo è vano. Non parliamo con i fascisti. E lui fascista lo è: nella retorica, nella biografia, nel “lavoro”. Come ci conferma l’ondata di solidarietà nazionale provenuta della galassia neofascista Italiana, dalla Meloni a La Russa passando per il nostro caro assessore Bisesti. Il suo frignare sul giornale fondato da uno, Montanelli, che è partito con le truppe fasciste a conquistare l’Etiopia (madamato e schiave pre-adolescenti incluse) ci fa solo salire il vomito. Nel caso vorrà (o verrà invitato a) ritornare a sociologia ci troverà più compatt* e determinat* di prima nella nostra protesta.

Ci teniamo poi a ribadire ancora una volta chi e che cosa sia il Collettivo Universitario Refresh, visto che in questi ultimi giorni ne abbiamo lette e sentite tante. Il CUR è un collettivo composto esclusivamente da studenti e studentesse dell’università, ci identifichiamo nei valori dell’antifascismo, dell’antirazzismo e dell’antisessismo e crediamo nella pratica dell’autogestione e dell’auto-organizzazione. Utilizziamo il metodo assembleare orizzontale per prendere tutte le nostre decisioni (assemblee che sono pubbliche e aperte a tutt* gli e le student*), e tutto ciò che facciamo parte dal nostro libero pensiero, il quale la maggior parte delle volte si pone in modo critico e dissidente. Partendo da questi presupposti per noi è stato necessario diffondere le nostre criticità nei confronti di Fausto Biloslavo, per far riflettere tutta la componente studentesca su ciò che significa antifascismo oggi.

Quanto a UDU, non siamo intenzionat* a misurarci son il vostro complesso del sono-abbastanza-a-sinistra. Non ci interessa. Avete dimostrato, ancora una volta, di essere l’appendice arrossata del sistema che noi vogliamo abbattere. L’antifascismo è una pratica che non appartiene alla bandiere. Siamo antidemocratic*? Forse. La nostra democrazia non appartiene a questo grigiore decrepito. Si basa su altre idee e al fascismo, in quanto negazione di essa, non è permesso entrare. Quando, causa di un giramento di testa, guarderete oltre la luce del palcoscenico, vedrete le nostre differenze. E capirete che siamo dall’altra parte della barricata.