Nei CPR si muore, e noi sappiamo chi è stato

Il 18 gennaio 2020 giunge la notizia che un migrante detenuto nel CPR di Gradisca è morto mentre era ricoverato in ospedale a causa di una rissa. Nei giorni seguenti sono arrivate le testimonianze degli altri detenuti, secondo le quali le lesioni che avrebbero portato alla morte del ragazzo sarebbero state inflitte dalle guardie del centro. Il tutto parte da una cosa piccola piccola come il telefono, V. non lo trova più e inizia a lamentarsi con le guardie, che non lo ascoltano e lo riportano nella sua cella. Lui per protesta si colpisce da solo con una mazza di ferro allo stomaco. Viene portato in infermeria, ma quando torna le lesioni sono evidenti e, di certo, non dipendono dal colpo che si è autoinflitto. Nei due giorni successivi sta visibilmente male, chiede aiuto, ma nessuno gli presta soccorso. Allora comincia a ribellarsi, gridando per attirare l’attenzione dei poliziotti, ma quando arrivano scoppia una rissa con il compagno di cella, che lui credeva stesse collaborando con le guardie. Loro intervengono per separarli, lo picchiano ancora, lo bloccano a terra e gli mettono le manette, e lo trascinano fuori dalla cella, quasi fosse un pezzo di carne.

Nessuno ha più notizie, V. non torna più in cella, e poco dopo si scopre che è morto, origliando delle conversazioni.

È chiaro chi siano i responsabili di questa morte, è chiaro come il fatto che fosse un migrante non sia una casualità, è chiaro come la polizia ancora una volta abbia abusato del proprio potere. Nei CPR le violenze e gli abusi sono all’ordine del giorno, i CPR sono centri di detenzione e non serve a nulla chiamarli Centri di permanenza per il rimpatrio, perché noi sappiamo bene cosa rappresentano in realtà. Sono la diretta rappresentazione di anni di politiche securitarie, in cui i migranti sono visti come un rischio o un pericolo da cui proteggersi. La morte di questo ragazzo è un chiaro segnale, purtroppo uno dei tanti, di come la politica internazionale, ma soprattutto quella italiana, stiamo prendendo una deriva sempre più razzista e discriminatoria nei confronti di chi viene identificato come diverso.

La detenzione dei migranti con l’unica finalità del rimpatrio e senza che abbiano effettivamente compiuto un qualche reato, è una pratica lesiva dei diritti umani e della libertà individuale di fronte a cui non è più possibile rimanere in silenzio. Così come i continui atti di violenza e gli abusi di potere in divisa non possono più essere ignorati o nascosti sotto il tappeto, utilizzando la scusa del tragico incidente o del “era una persona problematica”. L’Italia si conferma un paese in cui se sei straniero vieni discriminato, vieni rinchiuso in una cella, vivi in centri di accoglienza senza alcuna dignità e, “se necessario”, ucciso. L’Italia si conferma il paese in cui se hai una divisa puoi sentirti libero di usare violenza, di privare chiunque della propria libertà e dignità, di picchiare, abusare e utilizzare metodi disumani, e rimarrai impunito, nonché elogiato per il servizio reso alla comunità.

A noi però le divise non sono mai piaciute e ci siamo sempre schierati dalla parte di chi lotta per la propria libertà, per questo esprimiamo tutta la nostra vicinanza alla moglie e alla famiglia del migrante ucciso e ribadiamo a gran voce che i CPR e tutti i centri di detenzione dei migranti debbano essere chiusi immediatamente!!