Dentro l’attentato: Hanau vista da qui. Di fiabe, fantasmi, lupi solitari e progetti eversivi.

Hanau è una tranquilla città di circa 100mila abitanti situata ad una ventina di chilometri da Francoforte, nel Bundesland dell’Assia, nota per aver dato i natali ai fratelli Grimm.

Mercoledì sera, Tobias Rathien, un uomo di 43 anni di nazionalità tedesca, decide di attuare quello che aveva in mente da tempo. Prende la sua auto e si reca ad Heumarkt, piazza centrale della città nel quale è presente uno shisha bar  frequentato perlopiù  da ragazzi e ragazze di origine turca e curda. Scende dalla macchina e spara a freddo, uccidendo tre persone. Torna alla macchina e corre a tutta velocità verso il quartiere periferico di  Kesselstadt, dove prende di mira un altro shisha bar e uccide altre sei persone. Le vittime sono di nazionalità curda, turca e bosniaca, una di queste era una donna incinta. Dopo il massacro torna a casa, spara alla madre, con cui conviveva, e si suicida.
Gli shisha bar, locali in cui si fuma il narghilè, sono da tempo al centro del dibattito politico. Il partito di estrema destra Alternative fur Deutschland (AFD), infatti,  da tempo accusa questi locali di essere al centro di un giro di riciclaggio di denaro gestito dalla malavita turca.

Qualche settimana prima Tobias Rathaus aveva pubblicato su youtube un video rivolto ai cittadini statunitensi, nel quale incitava a combattere contro una società segreta militare che tiene in prigionia e abusa sessualmente  bambini statunitensi. “Wake up”, “fight now”, “You have to belive me”.  Un concentrato di complottismo della durata di meno di due minuti (https://www.lastampa.it/esteri/2020/02/20/news/hanau-la-video-confessione-di-tobias-il-lupo-solitario-della-strage-in-assia-1.38493039).
Nella sua casa sono stati ritrovati dei documenti, scritti da lui in ottimo tedesco, di circa 20 pagine, nel quale si sostiene l’eliminazione fisica di cittadini tedeschi  di origine mediorientale per “comprovata inferiorità biologica” e lo sterminio delle persone dei paesi nord africani, mediorientali e centro asiatiche.
Nei media, sopratutto italiani, si accentua l’instabilità mentale, la follia dell’assassino.

Tuttavia ogni disordine psichico suggerisce qualcosa sul piano sociale.  

Eversione

Quello di Hanau è l’ennesimo attentato di matrice razzista negli ultimo mesi in Germania. Lo scorso Giugno a Kassel, sempre in Assia, viene ucciso Walter Lubke, politico apertamente schierato per l’accoglienza di persone migranti. Lo scorso ottobre, ci fu un attentato alla sinagoga di Halle nel giorno dello Yom kippur. Sono ventuno gli attentati negli ultimi sei mesi diretti verso centri di accoglienza per stranieri. Tutti questi attentati si muovono all’interno di uno scenario politico totalmente inedito in Germania. L’AFD continua a salire nei sondaggi con percentuali intorno al 30 percento nella Germania centro-orientale e del 15/20 percento nella Germania occidentale. Il “cordone sanitario” promosso da Angela Merkel nei confronti dei partiti di estrema destra/neonazisti funziona a corrente alternata. La cancelliera, infatti, è alla fine della sua carriera politica e nel suo partito, la CDU, molti ammiccano verso destra immaginando di poter cavalcare l’onda nera. Nel Bundesland più a sinistra della Germania, la Turingia, nelle scorse settimane per pochi giorni si era concretizzato un governo CDU/AFD, prima che la Merkel bloccasse tutto e silurasse i capopartito regionali.
Tuttavia questi attentati hanno una particolarità: si sono concretizzati tutti, fatta eccezione per l’attacco alla sinagoga di Halle, nella Germania Ovest.

Nell’Est, ormai da anni si vedono manifestazioni neonaziste oceaniche, accompagnate dalla crescita continua dell’AFD. Il moltiplicarsi di gruppi neonazisti nell’est può essere ricondotto a dinamiche simili a quelle di alcuni paesi dell’est europeo come Ungheria e Polonia: l’impatto del capitalismo globalizzato dopo la caduta del muro, migrazioni di massa, la ricerca di nuove mascolinità egemoniche delle società post-comuniste.  Un problema perlopiù legato alla ricerca di una nuova identità che non trova espressione all’interno del discorso  sulla società aperta. Nel 2018 a Chemnitz, in Sassonia, una manifestazione neonazista, indetta in seguito all’uccisione di un cittadino tedesco per mano di due persone di origine mediorientale, prende alla sprovvista la polizia che, a causa dell’imprevedibile affluenza può solo guardare migliaia di neonazisti col braccio teso, sotto il monumento intitolato a Karl Marx, dediti a fare rappresaglie razziste per la città.

Tuttavia è nell’Ovest che il network neonazista sembra essere più organizzato, strutturato, sistematico. Ed è qui che la crisi identitaria assume caratteri peculiari.

Da anni si susseguono attentati di matrice razzista ad opera di “lupi solitari”. Nel maggio 2019 il Ministero degli Interni tedesco ha dichiarato che in Germania sono al momento attivi 24.000 neonazisti, 12.000 dei quali vengono considerati pronti alla violenza.  Un esercito sotterraneo parallelo alla galassia neonazista che arriva fino all’AFD. Un esercito la cui struttura è ignota, ma che fa riferimento a livello di simbologia e azione, alla NSU-Nationalsozialistischer Untergrund.

Questa organizzazione, tra il 1998 ed il 2011, è stata responsabile di decine di rapine, 3 attentati bombaroli e 9 omicidi. La maggior parte di essi a Ovest. Questi omicidi, che coinvolsero 8 commercianti turchi ed uno Greco,  vennero indicate dalla stampa tedesca come “omicidi del kebab”. Infatti, nonostante tutti gli omicidi furono eseguiti  con la stessa arma, la polizia per anni seguì esclusivamente una pista legata a resa di conti tra criminalità organizzata turca. Questo senza alcuna evidenza, se non il pregiudizio etnico che affligge le vittime, tutte incensurate.

La storia della NSU è inquietante  e tutt’ora piena di lati oscuri. Ritardi nelle indagini, documenti distrutti da funzionari di polizia, allarmi dati in ritardo e catture mancate. Pochi istanti prima della cattura, una delle leader del gruppo provò a distruggere quanti più documenti sull’organizzazione, suggerendo che essa era (è?) più strutturata di quanto si pensava in precedenza. Il processo sul NSU coinvolge solo 4 persone, su un network stimato di centinaia di militanti.
Quando uscì fuori pubblicamente il caso della NSU fu un vero e proprio dramma  per la società tedesca. La nazione che più di ogni altra ha guardato in faccia la propria storia si trova in casa, dopo settant’anni,  i fantasmi del razzismo che, tramite limitazioni politiche, istruzione, celebrazioni e stratagemmi linguistici, pensava di aver definitivamente archiviato.  Le mezze verità emerse dal processo e dalle commissioni parlamentari non sono considerate esaustive. Ricerche di varia natura e documenti sul NSU vengono tutt’ora raccolti sul blog indipendente NSUwatch  (https://www.nsu-watch.info/).

Una frattura che rischia di diventare voragine

La specificità storica della Germania viene avvertita da una parte con grande razionalità, dall’altra come un peso insuperabile. Tradotto: se in Italia la resistenza ha posto le basi per una base antifascista identitaria  comune (che da anni ormai viene progressivamente attaccata – vedi foibe-), la pervasività del nazionalsocialismo nella storia tedesca degli anni ’30/’40 non ha permesso, a livello identitario, il lavaggio di coscienza collettivo dell’Italia del dopoguerra. E se la società tedesca appare fortemente disorientata ed alla ricerca di una nuova identità, a sinistra il peso della storia ha generato delle fratture ideologiche molto forti. Gruppi che fanno riferimento all’ anti-deutschland da un lato cercano di decostruire la stessa idea di Germania come nazione , dall’altra non perdono occasione per attaccare il resto del panorama movimentista con accuse di antisemitismo, rendendo evidente la difficoltà nel trovare un’identità unica che possa essere egemone. Questo smarrimento storico-ideologico è evidente nella dissonanza cognitiva, che si traduce in forte divisione, degli ambienti della sinistra tedesca  quando  si parla di Israele. Mentre intanto, dall’altra parte, avanza la destra più aggressiva dai tempi del dopoguerra. Che il razzismo lo pratica per davvero.
All’interno di questa frattura identitaria agisce il piano eversivo neo-nazista. Il terrorismo  neonazista infatti, agitando questi fantasmi, crea nella società un senso di inquietudine che è difficilmente risolvibile nella dialettica politica.  L’irrisolta questione identitaria non può che essere declinata, nel discorso istituzionale, all’interno dello spazio discorsivo dello stato-nazione, lasciando ampi spazi politici a narrazioni di tipo etno-nazionalista. Non a caso il fantasma neonazista spesso emerge all’interno di quelle istituzioni che ne riprendono la struttura organizzativa: polizia, esercito, servizi segreti.

Parallelismi

Nei media Italiani la reazione agli attentati di Hanau si perde tra psicologismi sul killer e affinità con l’attentato  razzista di Macerata del 2018 di Luca Traini. Anche nel caso di Luca Traini è disponibile una lunga e dettagliata rassegna stampa sullo stato della sua salute mentale. Tuttavia, nonostante la modalità di attentato siano simili, ci sono, oltre i differenti contesti e network di riferimento, due importanti differenze. La prima è nella reazione pubblica, la seconda è nella pratica politica.

I politici tedeschi, dalla CDU all’SPD dai Verdi alle Die Linke, hanno tutti parlato di un virus razzista che si muove all’interno della società, senza ambiguità. Angela Merkel dopo l’attentato ha dichiarato: “Il razzismo è un veleno, l’odio è un veleno e questo veleno esiste nella nostra società”.  Reazioni molto diverse da quelle sentite in Italia post-Macerata. Nessun  “questa  è la reazione all’immigrazione incontrollata” della premiata ditta Meloni&Salvini. Nessun richiamo pacificatore stile PD.

I cittadini di Hanau nei giorni successivi sono scesi in piazza contro il razzismo, una piazza trasversale e istituzionale, molto diversa dalla doverosa manifestazione di Macerata, che era stata vietata dal sindaco PD. A livello istituzionale la Merkel a fatto sapere di essere pronta ad assumersi la responsabilità di sciogliere altre organizzazioni della destra, oltre i limiti delle già restrittive leggi in vigore.  Tuttavia ci si interroga se queste organizzazioni, in cui viene inclusa anche l’AFD, siano piuttosto che la causa, il sintomo.

Anni di neoliberismo sfrenato ed estremismo di centro, di cui la Merkel è stata promotrice in tutta Europa,  ed il logoramento dei rapporti sociali hanno sicuramente creato un ambiente fertile per la ricerca di una appartenenza forte, generata sul confine nazionale, bianco, maschio ed eterosessuale (tra l’altro l’attentatore faceva parte di un network misogeno di “single per scelta”, ma questa è un’altra storia).

A livello di movimento, su qualsiasi giornale autonomo, vengono effettuate vere e proprie network analysis sulle organizzazioni neofasciste. Vengono seguiti i movimenti dei membri di spicco, gli incontri, persino i passatempi (che, stranamente, spesso includono il poligono e la caccia). Non ci si fida, visti i precedenti, della polizia. Negli scorsi mesi furono resi pubblichi dei report di controspionaggio, secondo i quali sono presenti circa 600 infiltrati neonazisti tra le fila delle forze armate.

Il rapporto tra forze armate, servizi segreti e neofascisti, è un triangolo che in Italia è tristemente noto da decenni. Tuttavia, è necessario documentare, investigare, conoscere come si muovono e comunicano tra loro le organizzazioni neofasciste.

Perché i lupi solitari, così solitari, in fondo non lo sono. Anche se ci piace credere il contrario. Che siano comunità fisiche o immaginarie, esse hanno simbologie, miti e pratiche comuni. Il moltiplicarsi di queste nella scena pubblica e virtuale genera mostri.

Si può credere alle fiabe di lupi cattivi, di matti senza scrupoli e di bambini in pericolo. Tuttavia ogni fiaba , come insegnano i fratelli Grimm, affonda il suo rovescio nel reale, dove c’è bisogno di qualcuno che sappia leggerla.
E la morale, letta fra le righe, dice di conoscere il tuo nemico, per combatterlo.