Ve l’avevamo detto. Riflessioni su fascismo e antifascismo.

Le ultime due settimane sono state settimane intense, nelle quali, purtroppo, ci siamo ritrovati a dover dire “ve l’avevamo detto”, ma fidatevi che per tutti noi sarebbe stato più facile ammettere di avere torto.

Ma procediamo per gradi e partiamo dalla piccola realtà cittadina in cui vivo, Trento. Il 30 ottobre il rettore dell’università di Trento ha deciso di riorganizzare la conferenza sulla situazione della Libia, invitando nuovamente Fausto Biloslavo[1]. Il fatto che Paolo Collini, massima autorità dell’ateneo trentino si sia così tanto premurato per far sì che Biloslavo avesse la possibilità di parlare a Sociologia a Trento, ha fatto sì che esponenti dell’estrema destra, riconducibili a Casa Pound, insieme a giovani leghisti e a un consigliere provinciale della Lega Trentino, si sentissero liberi di presentarsi in 40 fuori dall’università, attrezzati con ombrelli rinforzati, mazze di pvc e bottiglie di vetro, e aggredire gli studenti e le studentesse, i quali, si erano spontaneamente ritrovati in difesa dell’università dopo aver scoperto della tutt’altro che piacevole visita dei fascisti. Il gruppo di studenti e studentesse, nonostante l’aggressione di stampo chiaramente squadrista, è riuscito a respingere per quanto possibile (non essendo dotati di tutta l’attrezzatura, di cui invece si erano dotati i bravi ragazzi di Casapound e Lega), ma due ragazzi sono rimasti feriti al volto e alla testa. Ma la serata non si è conclusa così e, come si suol dire, oltre il danno la beffa, i giovani leghisti, complici dell’aggressione tanto quanto gli squadristi di Casa Pound sono stati scortati dentro l’aula della conferenza dalla sicurezza, trovando alcuni posti prenotati e tenuti in caldo appositamente, al fianco dell’assessore Mirko Bisesti (Lega Trentino). Gli studenti e le studentesse che, invece, si erano appena sobbarcati un’aggressione, sono stati bloccati sulla porta dell’aula, un’aula universitaria. Trento, nel suo piccolo ha dimostrato che avevamo ragione quando in questi anni abbiamo continuato a parlare di antifascismo e dell’importanza di non lasciare spazio a soggetti politici come la Lega o Casa Pound o Forza Nuova. Avevamo ragione perché non appena Fausto Biloslavo è stato legittimato a intervenire in un’università pubblica, il fascismo si è palesato nella sua forma più classica, quella della violenza squadrista.

Ma purtroppo Trento e l’Università di Trento non sono state le uniche a darci ragione in queste ultime settimane. Infatti, la settimana scorsa nel quartiere Centocelle di Roma si sono verificati due incendi: il primo alla libreria La Pecora Elettrica, il secondo al Bakara Bistrot, che aveva espresso solidarietà con la libreria vittima del primo attentato. La natura neofascista di questi due episodi è chiara, così come il modus operandi utilizzato: mettere in atto azioni violente, muscolari, machiste al solo scopo di intimidire, di “colpirne uno per educarne cento”. E non è un caso che, seppur in modo diverso, siano stati colpiti due luoghi del sapere: l’università e una libreria. Sarà mica perché perfino i fascisti sanno che il sapere nasce per essere critico, nasce per accettare le differenze, per esaltarle e coltivarle, nasce per tutti e tutte, senza discriminazioni basate sul proprio genere, sulla propria nazionalità, sul proprio credo religioso e il proprio orientamento sessuale. Il sapere fa inevitabilmente paura a chi vorrebbe creare una società chiusa, con un’idea precisa di uomo e donna, sia dal punto di vista estetico sia dal punto di vista del ruolo che ognuno debba avere nella società. Fa paura a chi non vede nelle differenze una ricchezza. E la solidarietà a queste forme di sapere fa ancora più paura e va attaccata, e da qui ne deriva il secondo incendio al Bakara Bistrot.

Ma non finisce nemmeno qui perché sempre la scorsa settimana giunge la notizia che a Liliana Segre sopravvissuta ai campi di concentramento nazisti sia stata affidata la scorta, a seguito dei numerosi commenti e minacce ricevute su internet. Anche in questo caso qua l’attacco è al sapere, al sapere della storia, a quello che potrebbe o, meglio, dovrebbe insegnarci. E tante persone sono rimaste stupite, si sono indignate (giustamente) di fronte al fatto che una donna di novant’anni, sopravvissuta ai campi di sterminio debba sentirsi in pericolo nel 2019.

Fidatevi che chi come me si riconosce come una militante antifascista avrebbe di gran lunga preferito dover ammettere di avere torto e mai avrebbe voluto dire “ve l’avevamo detto, il fascismo esiste e ne siamo circondati”. Ma ora che, forse, ce ne siamo resi conto, ora che ha manifestato la sua più becera faccia (anche se per me il limite era già stato superato tempo fa), che risposta vogliamo dare a tutto questo? Finalmente si potrà costruire una nuova resistenza al fascismo, fatta non solo di belle parole, ma di conflitto, di corpi che scendono in piazza, di teste che diffondono idee e di lotte in tutte le città, scuole, università, luoghi di lavoro, le quali abbiano come parola d’ordine l’antifascismo?

 

Note:

[1] Fausto Biloslavo era stato precedentemente invitato da Udu Trento, sindacato degli universitari e avrebbe dovuto parlare alla conferenza “Gli Occhi della Guerra”. Il Collettivo Universitario Refresh e altre realtà studentesche hanno fatto uscire nei giorni precedenti alcuni volantini che criticavano la sua presenza in università, a causa delle sue idee filofasciste e delle sue frequentazioni in gioventù con gruppi legati al MSI a Trieste.

Invita un fascista e te ne arriveranno altri

Invita un fascista, e te ne arriveranno altri. Perché non è nient’altro che così che poteva andare, visti gli sforzi. La caparbietà istituzionale dimostrata dall’Università di Trento e dal suo rettore Paolo Collini, nel voler inscenare a tutti i costi una farsesca conferenza di ripiego con Fausto Biloslavo, è il risultato delle pressioni politiche fatte dalla politica leghista cittadina e provinciale su tutta la faccenda.

L’attacco squadrista condotto con ombrelli, tubi in PVC, bottiglie di vetro, lucchetti e catene è stato respinto da chi si trovava in un’università. Ma ciò non rende meno grave il fatto che membri della PAT (Devid Moranduzzo, LEGA) e giovani leghisti pettinati fossero lì a guardare fascisti  vecchi e nuovi venuti (anche) da altre città, nella stessa piazza. I tentativi di dissociazione da parte di quest’ultimi non sono mancati, ma già lo scorso febbraio Mirko Bisesti (assessore all’istruzione PAT, LEGA) incontrava il Blocco Studentesco (CPI). La saldatura tra destra istituzionale e destra organizzata si fa sempre più stretta ed è sotto gli occhi di tutti. La nostra solidarietà va a chi ha resistito davanti all’Università, mentre la Polizia stava a guardare.

Per quanto riguarda Fausto Biloslavo beh, che dire? Un giornalista che la notizia se la crea, che se  la cerca strillando sui social e incassando solidarietà da tutto il parco giochi parlamentare sovranista, dalla stampa reazionaria e dall’editoria neofascista, ci rende la cifra del personaggio. Da uno pronto a “denunciare” le condizioni dei campi di detenzione libici, ma con parole infamanti verso le ONG e chi salva le vite in mare, plaudendo alla cosiddetta “guarda costiera libica” che dovrebbe essere lasciata in pace a fare il proprio lavoro, no, grazie, non la vogliamo sentire la lezione.

Perché su tutto quello che è stato scritto, masticato e sputato sulla vexata quaestio “Biloslavo a Sociologia” ovunque si coglie la solita manfrina del “Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire”, come se a prescindere dalla propria idea politica uno potesse essere un qualsiasi bravo lavoratore, un professionista, un tecnico, di cui ascoltare l’opinione. Rifiutiamo questa logica scadente e ci avvaliamo invece di una disposizione critica nei confronti di chi ci ritroviamo davanti. Ci interroghiamo sul ruolo che hanno nella società personaggi come Biloslavo, a cui viene dato spazio in quanto “esperto”. La banalità con cui si fa il proprio mestiere, alla luce del ruolo sociale, per alcun* invece è molto più importante.

Ci chiediamo che ruolo abbia avuto il Rettore nell’accondiscendere alle pressioni della politica (non sarà mica colpa della Provincializzazione?) ad imporre una presenza tanto scomoda ad una comunità studentesca che ne aveva espresso la criticità. Il dialogo verso chi ha invitato Biloslavo, chiedendone la sostituzione, a dirla tutta, è stato intrapreso in prima istanza da noi. Ma siamo rimasti inascoltat*.
Ci chiediamo quindi che ruolo possano assumere aggregazioni studentesche come UDU Trento, quando altre pongono il problema della presenza di personaggi che si augurerebbero che le persone venissero riportate nell’inferno libico. Come si fa a conciliare la presenza di questi personaggi con la contemporanea presa di posizione a fianco di chi salva le vite in mare?

Un’ultima nota poi sulla stucchevole narrazione anacronistica, possiamo chiamarla “brigatista”, della vicenda. Che l’utilizzo strumentale di avvenimenti storici passati per la narrazione del presente sia, ormai, prassi frequente tra le fila di chi non è in grado di argomentare se non con ambigui paragoni di cui non conosce i termini, è cosa nota. E dovrebbero ben saperlo i giornalisti di destra, prima di avventurarsi in accostamenti ridicoli, che trattamento veniva riservato alle penne reazionarie, dalle BR. Biloslavo non ci sembra di certo finito come Montanelli, né su una Reanult 4, a giudicare dalle vignette che si trovano su il Giornale. Invitiamo quindi Biloslavo, l’assessore Bisesti e tutta la compagine leghista a riaprire i libri di storia. Scoprirebbero che il mito delle “BR nate a Sociologia” è una bella panzana che fa tanto comodo tramandare. Curcio e Cagol lasciarono Trento già alla fine del ’68 per trasferirsi prima a Verona e poi a Milano, quando ancora nessun’azione rivendicata dalle BR era stata compiuta. L’esperienza della lotta armata in Italia può considerarsi conclusa da tempo ormai, ma lo studio degli ideali rivoluzionari è compito di chi non accetta il tempo presente e lo desidera cambiare, nell’attesa di una nuova aurora.

SOLIDARIETA’ AGLI/ALLE ANTIFASCIST*

DALL’ALTRA PARTE DELLA BARRICATA. La nostra versione dei fatti.

Abbiamo visto Biloslavo scuro in volto frignare tramite i soliti giornalacci che gli danno spazio. Abbiamo visto ragazze e ragazzi sbraitare a vuoto, per qualcosa che sapevano sarebbe accaduto da diversi giorni. Abbiamo visto le varie magnificenze universitarie andare in tilt e colpire l’aria. L’importante, come al solito, è non rimetterci la faccia, a qualsiasi prezzo.
Invece abbiamo visto bei faccioni sorridenti cadere in mille cocci. E noi non siamo l’aria, siamo il vento che la agita.
Essere tirat* in ballo, a noi che piace ballare, ci fa solo piacere. Ma il nostro ballo si fa per le strade, all’aria aperta. Dove la vista è completamente diversa lontano dalle luci del vostro palcoscenico.
Ogni commento alle parole di Biloslavo è vano. Non parliamo con i fascisti. E lui fascista lo è: nella retorica, nella biografia, nel “lavoro”. Come ci conferma l’ondata di solidarietà nazionale provenuta della galassia neofascista Italiana, dalla Meloni a La Russa passando per il nostro caro assessore Bisesti. Il suo frignare sul giornale fondato da uno, Montanelli, che è partito con le truppe fasciste a conquistare l’Etiopia (madamato e schiave pre-adolescenti incluse) ci fa solo salire il vomito. Nel caso vorrà (o verrà invitato a) ritornare a sociologia ci troverà più compatt* e determinat* di prima nella nostra protesta.

Ci teniamo poi a ribadire ancora una volta chi e che cosa sia il Collettivo Universitario Refresh, visto che in questi ultimi giorni ne abbiamo lette e sentite tante. Il CUR è un collettivo composto esclusivamente da studenti e studentesse dell’università, ci identifichiamo nei valori dell’antifascismo, dell’antirazzismo e dell’antisessismo e crediamo nella pratica dell’autogestione e dell’auto-organizzazione. Utilizziamo il metodo assembleare orizzontale per prendere tutte le nostre decisioni (assemblee che sono pubbliche e aperte a tutt* gli e le student*), e tutto ciò che facciamo parte dal nostro libero pensiero, il quale la maggior parte delle volte si pone in modo critico e dissidente. Partendo da questi presupposti per noi è stato necessario diffondere le nostre criticità nei confronti di Fausto Biloslavo, per far riflettere tutta la componente studentesca su ciò che significa antifascismo oggi.

Quanto a UDU, non siamo intenzionat* a misurarci son il vostro complesso del sono-abbastanza-a-sinistra. Non ci interessa. Avete dimostrato, ancora una volta, di essere l’appendice arrossata del sistema che noi vogliamo abbattere. L’antifascismo è una pratica che non appartiene alla bandiere. Siamo antidemocratic*? Forse. La nostra democrazia non appartiene a questo grigiore decrepito. Si basa su altre idee e al fascismo, in quanto negazione di essa, non è permesso entrare. Quando, causa di un giramento di testa, guarderete oltre la luce del palcoscenico, vedrete le nostre differenze. E capirete che siamo dall’altra parte della barricata.

L’ANTIFASCISMO E’ PRATICA QUOTIDIANA. NO AI FASCISTI IN UNIVERSITA’!

In queste settimane si sta tenendo in università la kermesse di incontri “gli occhi della guerra” organizzata da UDU Trento. Portiamo all’attenzione il secondo incontro del ciclo: “L’Odissea libica – Fra il conflitto civile, i lager e la disperazione dei migranti” che il 15 Ottobre in aula Kessler avrebbe dovuto avere come relatori i giornalisti Fausto Biloslavo e Francesco Floris.

Qual è il problema? Direte voi.
Fausto Biloslavo è un ex militante di Fronte della gioventù, gruppo giovanile del partito fascista dell’MSI dell’ex gerarca della repubblica di Salò Giorgio Almirante. Idee che, come risulta dalle sue “opere” e dalle sue uscite pubbliche, non ha mai rinnegato.
Biloslavo ha infatti diverse pubblicazioni per le case editrici fasciste Ferro Gallico e Altaforte, legata a doppio filo a Casa Pound. Biloslavo risulta essere tra gli pseudo-storici revisionisti sui fatti dell’espansione dell’Italia fascista nei balcani e la successiva cacciata da parte delle truppe partigiane. In questo modo egli ha contribuito alla soffocante narrazione degli “italiani brava gente” sui crimini atroci commessi dalle truppe fasciste in Slovenia ribaltando la dialettica oppressi-oppressori e appiattendo la storia sui fatti quantomeno oscuri riguardanti le foibe. Non a caso è uno dei più grandi sostenitori del film revisionista “Rosso istria”.
Pare inoltre sia avvezzo a frequentare i peggiori personaggi della politica veronese. Qualche mese fa lo ritroviamo a sedere in un incontro a fianco di Andrea Bacciga, consigliere comunale divenuto celebre alle cronache per aver eseguito il saluto romano in comune durante la protesta di Non una di Meno contro l’approvazione della delibera antiabortista “Verona città della vita”.
Questo in aggiunta alle molteplici dichiarazioni contro l’operato delle ong che agiscono nel mediterraneo.

Riteniamo inaccettabile che questi personaggi siano invitati dentro l’università. E’ ancora più inaccettabile che associazioni studentesche che si riempiono la bocca di retorica antifascista gli stendano il tappeto rosso. Adesso che la sbornia antifascista causata dall’antisalvinismo pare sia giunta al termine (peccato che i due decreti sicurezza siano ancora lì) è necessario prendere posizione: nessuna agibilità ai fascisti nelle città!
Il fascismo è la negazione di tutte le libertà, è la cementificazione del potere costituito: misogninia, razzismo, trans-omo-lesbonegatività e classismo. E da questo paese non se n’è mai andato via. Esso continua ad esistere nelle idee, nelle politiche, nei media. Accettare – o favorire- la presenza del fascismo, e di persone che si richiamano ad esso nelle sue varie forme, significa assecondare le infiltrazioni culturali di esso nella nostra società. Ed in un periodo storico come questo, in cui il revival nero lotta per essere egemone, non essere partigiani è complicità. Invitare queste persone in dibattiti pubblici mascherando la realtà tramite il format mediatico “parte e controparte” è illusione. Perché è questo format che ha permesso alle idee fasciste di trovarsi uno spazio nel dibattito pubblico, è questo format, sul quale da anni si appiattisce la politica, che sta contribuendo alla sua lacerazione.
Noi non lasceremo che i fascisti si prendano ulteriore spazio!

 

 

Abbiamo lanciato un presidio universitario per contestare la presenza di Biloslavo in Università e grazie alla nostra determinazione insieme a quella di student* antifascist* l’incontro è stato annullato poche ore prima dell’inizio. 

BRUCIA IL CAPITALISMO, NON IL PIANETA!

 

Venerdì scorso il mondo è stato attraversato da migliaia di manifestazioni in 125 paesi. E’ stata la manifestazione più grande di sempre. Tuttavia siamo ancora lontani dai nostri obiettivi. Le multinazionali agroalimentari continuano a bruciare l’Amazzonia e migliaia di foreste in tutto il globo, i governi di tutto il mondo continuano le loro politiche energetiche ed industriali miopi e dannose, così come non si arrestano le guerre e lo sfruttamento ai danni del sud del mondo da parte dell’occidente, per difendere gli interessi, a brevissimo termine, di pochi. Ormai è chiaro che non è sufficiente chiedere a qualche governo o elitè, che sono i responsabili di questa crisi, di salvare il pianeta. Siamo noi a doverlo fare, a tutti i costi, rifiutando con fermezza ogni politica pseudo-ambientalista che fa gravare il costo di questa crisi sui più poveri. E’ necessario cambiare un sistema economico che continua a sfruttare oltre ogni limite le risorse naturali e umane. Il capitalismo è il problema, non la soluzione e non accettiamo nessun green washing neoliberista. Chiedere giustizia climatica significa intrecciare le lotte, perché oltre a cambiare un sistema economico va abbattuto il sistema di pensiero che lo alimenta: fascismo, sessismo, razzismo  sono gli strumenti culturali che nutrono il capitale ed il suo sfruttamento, che perseguitano e attaccano ogni giorno i nostri corpi e la natura. Un terzo della popolazione sarà costretta a migrare nei prossimi due decenni a causa dell’avanzare della desertificazione, delle carestie e delle guerre causate dalla scarsità di risorse, ben altra cosa a livello numerico rispetto alla crisi migratoria di questo decennio. Per far fronte a questi problemi e mantenere l’ordine sociale, la trasformazione in senso autoritario dei regimi esistenti sarà una costante che proverà a mettere a tacere ogni dissenso, ogni rivolta, a normalizzare e uniformare ogni corpo e pensiero. Ci aspetta una lotta lunga e faticosa. Ma vinceremo. Perché se per loro è potere, per noi è sopravvivenza.

O RIVOLUZIONE O BARBARIE!

ALLES BLOCKIEREN! BLOCCHIAMO TUTTO! Note sul Climate Stike di Darmstadt

E’ una giornata particolarmente soleggiata a Francoforte.

Me ne accorgo quando, uscendo dalla metropolitana, mi tolgo la felpa a causa del caldo e sento  rinfrescarsi sulla pelle la brezza proveniente dal Meno.

Nei giorni precedenti ascoltavo una conversazione tra due signore su quanto sia strano il tempo in questo periodo. Qualche mese fa le temperature in Germania hanno toccato il record assoluto di 40 °C. In quei giorni fecero il giro del mondo le immagini dell’asfalto delle autostrade tedesche che si scioglieva a causa del caldo estremo.

Tuttavia nessuno sembra preoccuparsi, qualche giornata di sole in più prima dell’arrivo dell’autunno non farà male a nessuno.
Due giorni prima ero andato a Oetinger Villa, un centro culturale situato nella città di Darmstadt che da vent’anni è il centro della vita politica della città ed è la casa di collettivi antifascisti, anarchici, femministi, LGBT*QI e ambientalisti. Lì avevo conosciuto ragazze e ragazzi della mia età. Mi spiegano che  fanno parte di un gruppo antifascista “Offenes Antifaschistisches Treffen Darmstadt”. In tutta la città erano affissi i flyers del Climate strike programmato per il 20 Settembre in tutta la Germania (e tutto il mondo), gli chiedo se parteciperanno.

“Certo, vieni con noi, sarà una bella giornata!”.

“Genau, ci sarò!”.

Avviso la prof di tedesco che andrò via dalla lezione in anticipo per il climate strike. E’ entusiasta. In cinque abbandoniamo la classe per prendere il treno. Il bar autogestito da studenti a fianco l’università è un via-vai di carretti, cartelli per la giustizia climatica e persone.

Si respira un aria di festa.

Arriviamo a Darmstadt, raggiungiamo la piazza del concentramento di Ostbahnof.

E’ uno dei tre punti di raccolta dai quali partiranno i cortei che convergeranno in unica piazza. Individuo subito i ragazzi e le ragazze dell’OAT grazie alle bandiere antifasciste che svettano sulla testa del lungo corteo. Mi spiegano che la scelta di avere tre concentramenti diversi è strategica.

Vogliono bloccare tutta la città.

Il corteo parte. La marcia è scandita da slogan e interventi di vari attivist* e militant*.

Le rivendicazioni sono chiare: vogliamo giustizia climatica, e la vogliamo subito.

Il corteo è animato da diversi gruppi e tematiche. Ci sono gli/le attiviste di Extincion Rebellion e Friday for Future; collettivi femministi e queer come Feministisches Kampftag Bündnis; Seebrücke Darmstadt, collettivo solidale con i/le migrant* vittime del razzismo e della follia dei confini dell’Europa fortezza; l’OAT e Frauen – und Queerstreik Darmstadt, un altro gruppo che ha fatto della villa la sua casa politica.

L’eterogeneità della dimostrazione mi fa riflettere sul come chiedere giustizia climatica significhi molte cose.

Significa avere consapevolezza di un’emergenza che va affrontata immediatamente. Consapevolezza di una crisi provocata dalle elitè politiche ed economiche che ci governano, ma le cui conseguenze si abbatteranno, e si abbattono già, sulle classi più povere, in maniera più o meno fatalista.

Significa rendersi conto che il riscaldamento globale è un acceleratore della storia e delle sue dinamiche. Secondo alcuni dati un terzo della popolazione sarà costretta a migrare nei prossimi due decenni a causa dell’avanzare della desertificazione, delle carestie e delle guerre causate dalla scarsità di risorse, ben altra cosa a livello numerico rispetto alla tanto destabilizzante crisi migratoria di questo decennio.

Per far fronte a questi problemi e mantenere l’ordine sociale, la trasformazione in senso (ancora più) autoritario dei regimi esistenti sarà una costante che proverà a mettere a tacere ogni dissenso, ogni rivolta, ogni grido di disperato di umanità; a normalizzare e uniformare ogni corpo e pensiero.

Chiedere giustizia climatica significa intrecciare le lotte, perché oltre a cambiare un sistema economico va abbattuto il sistema di pensiero che lo alimenta: fascismo, sessismo, razzismo  sono gli strumenti culturali e cognitivi che nutrono il capitale ed il suo sfruttamento, che perseguitano e attaccano ogni giorno i nostri corpi e la natura.

Ma i nostri corpi sono qui, incrocio dopo incrocio, a bloccare tutto.

 

S’intonano cori contro il capitalismo e lo stato.  Cantiamo Bella ciao!; ci guardiamo intorno, che sia in Italiano, in tedesco o in inglese siamo tutt* antifascist*.

Arriviamo nella piazza centrale dove una band inizia a suonare. Mangiamo velocemente alcuni involtini di crauti, ma non c’è tempo per fermarsi. Dobbiamo bloccare tutto.

Un compagno mi da un biglietto, c’è scritto il nome di una via ed un numero da chiamare nel caso avessimo problemi con la polizia. Andiamo a bloccare lo stabilimento della Mercedes Benz.

Al nostro arrivo entrambe le entrate sono bloccate da una sessantina di persone vestite con delle tute bianche ed una mascherina. C’è un clima gioioso, le casse risuonano canzoni di lotta tedesche e cibo e acqua passano di mano in mano tra tutti i presenti. Un clima che nemmeno l’arrivo repentino della polizia riesce a surriscaldare. Una ragazza prende in mano il megafono. Parla di guerra, quella in Yemen, finanziata anche dalla Germania per difendere i suoi approvvigionamenti di carburante nel golfo di Hormuz, dove passano le flotte di petroliere che mandano avanti l’economia mondiale.

La guerra è la spietata distruzione della vita umana e dell’ambiente. Essa è la conseguenza della distribuzione diseguale delle risorse, ed il suo fine è quello di mantenere, attraverso la violenza, lo status quo. Parla della Turchia che, anche grazie ai finanziamenti dell’UE per “fronteggiare la crisi migratoria”, minaccia il Rojava e la sua rivoluzione femminista  ed ecologista. Parla delle morti nel Mar Mediterrano.

La norma che regola il gioco è la seguente: quando le persone avranno la folle idea di ribellarsi o spostarsi per avere una vita dignitosa, troveranno davanti carri armati, muri e fili spinati, tutto per difendere gli interessi, a brevissimo termine, di pochi. Ed i governi e le multinazionali occidentali sono i primi responsabili dello sfruttamento sistematico ai danni del sud del mondo. Come la Mercedes, che trae profitto da ciò producendo carri armati e altri veicoli per la guerra che vengono venduti a 23 stati, e che adesso prova a trarre profitto pubblicizzando una “svolta green” dovuta all’essere al primo posto nella produzione di auto elettriche. Cazzate.

La crisi climatica è capitalismo, ed il capitalismo è guerra, la spietata distruzione dell’uomo e della natura.

Le code di automobili in entrata ed in uscita iniziano ad essere insofferenti. Un uomo, a bordo della sua Mercedes, ci mostra il dito medio. Gli rispondiamo che è buona norma spegnere il motore dell’auto quando si è incolonnati.

La polizia in antisommossa, anche loro arrivati a bordo di furgoni Mercedes, ci intima di alzarci. Ma noi non ci muoviamo. A fianco a me, steso per terra a bloccare una macchina, c’è un ragazzino. Inizio a parlarci. Ha 13 anni. Gli chiedo se è agitato per quello che potrebbe fare la polizia. Mi risponde ridendo: “sono qui per difendere il pianeta”.

Un poliziotto si avvicina, ci dice che se non ci spostiamo la polizia utilizzerà ogni mezzo a disposizione per farlo coattivamente. Mi guardo intorno, nessuno è preoccupato per quello che potrebbe succedere. La protesta è non violenta e si animano le discussioni sul da farsi. Cosa è violento?

La polizia ci circonda. Poco importa se ci sono bambini in mezzo a noi. Il loro compito è fare in modo che il sistema torni a girare.

Bloccare una fabbrica che collabora a guerre e distruzione è violento? Sabotarla è violento? E resistere alla polizia per farlo?

Manca mezz’ora alla fine del turno lavorativo, ci alziamo lentamente e torniamo a marciare con al nostro seguito i furgoni mercedes della polizia. Blocchiamo di nuovo la strada principale, semaforo dopo semaforo, incrocio dopo incrocio. Al megafono un ragazzo ci comunica i numeri del climate stike. Nella sola Germania oggi hanno manifestato un milione e mezzo di persone. Ci sono state dimostrazioni in 125 paesi. E’ la manifestazione più grande di sempre.

Arriviamo nella piazza, dove ci accolgono gli altri gruppi con un applauso. E noi cantiamo, abbracciandoci e lanciando per aria le tute e le mascherine.

“We are unstoppable, another world is possible!