Vogliamo tutto: CIAL APERTO!

Oggi abbiamo deciso di bloccare la chiusura del CIAL e di rimanervi dentro a studiare perché, all’indomani dell’apertura della BUC, la gestione degli spazi dell’Ateneo sta portando tanti studenti e tante studentesse all’esasperazione: sembra che non vi sia pace per chi, in periodo d’esami, voglia trovare un tavolo e una sedia per studiare. Le aule studio del CIAL, notoriamente molto utilizzate dalla componente studentesca trentina perché in centro e perché aperta 7 giorni su 7, con l’apertura della BUC hanno subito una drastica riduzioni d’orari. Riduzione questa che non sembra essere una mossa per ridurre “i costi di gestione”, ma puzza di manovra atta a favorire la frequentazione della BUC, la quale essendo non proprio a portata di mano sarebbe certamente meno frequentata rispetto a un CIAL funzionante come siamo abituati a conoscere. Infatti, quanto incisivi possono essere i costi di un’apertura estesa del CIAL, come siamo abituati a conoscere, rispetto alla nuova aula studio che, non si sa quando aprirà alle Albere? Quanto in più costerà l’apertura del CIAL rispetto ai nuovi arredi e al probabile affitto che dovrà essere pagato dall’università per questa fantomatica aula studio, di cui non sappiamo nemmeno il periodo d’apertura?

Nel fine settimana, soprattutto, al centro città non esiste un luogo dove poter studiare. A partire dal sabato pomeriggio, con la chiusura del CIAL e di tutti i dipartimenti del centro (ad eccezione di Sociologia), gli studenti e le studentesse sono costretti a tentar fortuna alle Albere, nella speranza di trovare un posto. E così anche domenica. L’effetto di questa riduzione d’orari è presto detto: come testimoniato anche da recenti articoli di giornale, già prima dell’apertura davanti alla BUC si forma una vera e propria tonnara data la quantità di gente in fila per accaparrarsi un posto.

In un periodo in cui sono stati approvati forti tagli alle borse di studio, sono stati spesi milioni e milioni di euro per una biblioteca molto bella, ma fuori mano, e dalla capienza insufficiente per le esigenze della componente studentesca trentina, i nuovi orari del CIAL per noi non significano una semplice “riorganizzazione degli spazi dell’ateneo”. Per noi questo è l’ennesimo diritto negato, la conferma che la governance universitaria, come quella cittadina e provinciale, considera la componente studentesca come un oggetto da poter spostare a piacimento, sulla base di necessità che certamente non ci appartengono.

Non crediamo di doverci accontentare del palliativo di un paio di aule in più aperte al sabato a Sociologia, perché significherebbe accettare serenamente decisioni che sempre più remano contro quello che è il nostro diritto allo studio.

Oggi il CIAL rimarrà aperto quindi, per volontà di quegli studenti e di quelle studentesse che si sono stufati di subire decisioni troppo penalizzanti, che credono che sia possibile e legittimo pretendere risposte dall’alto e creare proprie soluzioni dal basso, lontani da tavoli concertativi dalle porte troppo chiuse.

Lo abbiamo detto il 17 novembre in piazza, lo abbiamo ribadito all’inaugurazione della BUC e lo ripetiamo oggi: vogliamo tutto, tutto quello che ci spetta. Fino all’ultimo diritto negato.

Invitiamo tutte e tutti a raggiungerci, che il pomeriggio studio al CIAL è appena iniziato!

Giulio, noi sappiamo chi è stato!

Tutti ormai conosciamo Giulio Regeni. Purtroppo, non lo conosciamo per gli esiti delle sue ricerche ma perché un anno fa è stato barbaramente torturato e ucciso a El Cairo, in Egitto. Soprattutto, lo conosciamo perché ancora oggi, a distanza di un anno, si cerca “verità e giustizia per Giulio Regeni”.
Ma davvero non sappiamo chi è stato?
L’Egitto non è certo noto solo per le piramidi. Solo nel 2016, infatti, in media sono scomparse tre persone al giorno e le uccisioni per mano poliziesca non sono certo una novità: non è necessario essere un “sospetto sobillatore”, basta essere un semplice ambulante, un tassista o un barista che chiedono il conto pagato, per esempio. Per poco, molto poco, la polizia egiziana uccide e rimane impunita. Così accade spesso, così è per Giulio. In un anno il governo Egiziano ci ha provato in tutti i modi ad insabbiare la vicenda, spacciandola per qualsiasi cosa, tranne che per quello che è: repressione e censura. Nonostante i palesi tentativi di depistaggio, il governo italiano non ha battuto ciglio, mantenendo i rapporti diplomatici ed economici con l’Egitto e Al-Sisi. Gentiloni, oggi Presidente del Consiglio, fino a nemmeno due mesi fa era Ministro degli affari Esteri, uno di quei ministeri che non si è minimamente posto il problema di continuare a dialogare con il regime egiziano, nonostante le evidenti menzogne costruite attorno al caso di Giulio.
Davvero quindi non sappiamo chi è stato? O forse vogliamo fare finta di non saperlo? Perché riconoscere la responsabilità di Al-Sisi e della polizia egiziana per l’uccisione di Giulio significherebbe riconoscere la responsabilità del governo italiano che, con la sua condotta, lo uccide per la seconda volta. Per quanto ci riguarda, sappiamo chi è stato e sappiamo anche che, ad oggi, il governo italiano continua ad essere complice di questo omicidio.
La storia di Giulio non è solo la storia di una verità che non può venire a galla perché scomoda. La storia di Giulio riguarda anche la libertà di ricerca. Giulio infatti è stato ucciso perché impegnato in una ricerca sul movimento operaio e sindacale egiziano. La scomodità del suo impegno di ricerca è stata ulteriormente confermata qualche giorno fa da una legge egiziana che, di fatto, ha il compito di controllare e reprimere come possibile il lavoro di centri di ricerca come quello dove lavorava Giulio. Libertà di ricerca negata, dunque, in Egitto come in Italia. Infatti è nota la vicenda delle due ricercatrici indagate, e una delle due anche condannata, perché hanno svolto delle ricerche sul movimento notav.
Per la libertà di ricerca, quella critica e libera, che mette in crisi i poteri forti: per Giulio e per chi, come lui, ha pagato il prezzo più alto perché personaggio “scomodo” noi oggi scendiamo in piazza. E ribadiamo che, per quanto ci riguarda, sappiamo quali e di chi sono certe responsabilità. Perché Giulio, così come le altre vittime di censura e repressione, si meritano onestà, chiarezza e verità.

Sanzionata la BUC

Nella notte tra il 21 e il 22 dicembre, in occasione della sua apertura al pubblico, abbiamo deciso di sanzionare la BUC.
Dall’inaugurazione della Biblioteca Universitaria Centrale lo scorso 19 Novembre, dove noi student* del Collettivo Universitario Refresh siamo stati trattenut* fuori dalle Forze dell’ordine, i danni allo studio che tutta questa faccenda ha causato non si sono fermati. La chiusura di aule studio e la difficoltà nel reperire i testi a ridosso della sessione invernale evidentemente sono disagi di poco conto per l’Ateneo, che mira solo a rendere efficiente e lucido il suo nuovo gioiello, dimenticandosi di coloro che ne dovrebbero essere i primi fruitori. Come se non bastasse il mese di chiusura dall’inaugurazione, anche la locazione della BUC è uno sputo in faccia a studenti e studentesse che frequentano le sedi cittadine di Lettere, Sociologia, Economia e Giurisprudenza, per non parlare di chi studia sulle colline di Povo e Mesiano. Oltraggioso e inaccettabile infatti è questo tentativo di riparare al fallimento del quartiere delle Albere che si presenta desolato, economicamente inaccessibile per gli/ le student* e per metà ancora invenduto, con il forzato obbligo a frequentarlo per poter richiedere un manuale in prestito. Sfruttare la componente universitaria per riparare ai fallimenti è meschino, quando contestualmente vengono tagliate 1200 borse di studio con il passaggio da ICEF a ISEE e ancora la soglia di accesso è sotto i 23mila euro. Risulta sempre più evidente quindi come l’Università e la Provincia Autonoma non abbiano nessun problema a investire e speculare sborsando milioni di euro in opere inutili e figlie di strategie economico-politiche che fanno comodo ai grossi investitori, mentre non riescono a rispondere alle esigenze di migliaia di studenti e studentesse che si ritrovano a dover subire le conseguenza di queste logiche calate dall’alto, il tutto in nome di un’Università di prestigio. Non ci dimentichiamo di nulla: il pasto lesto, la laurea ad honorem a Marchionne, i tagli alle borse di studio, i ghiotti banchetti dentro le facoltà che non sono accessibili a chi le frequenta, i costi dell’università italiana -tra le più alte in Europa- aggiunti a quelli della vita tridentina, i 200 milioni che la PAT deve all’Ateneo, le indegne dichiarazioni di Collini e dell’assessora Ferrari. Questa è la faccia che l’Università mostra ai suoi studenti, questo è il prezzo che chi vorrebbe laurearsi deve pagare. Per questo il nostro sanzionamento vuole essere un monito per quei vertici che stanno speculando, ma dev’essere anche un messaggio per tutti gli studenti che  desiderano accedere ad un diritto allo studio concreto, che scardini le logiche classiste dell’università e che si opponga agli “investimenti in democrazia” millantati da Ugo Rossi.
Tutta questa lucentezza è valsa la pena per una biblioteca che in fondo poi così centrale non è? Il diritto allo studio è stato preservato o è stato calpestato con quest’opera vergognosamente bella ma lontana dalle necessità reali degli/delle student*? Noi non ci fermeremo davanti all’apertura di questo spazio voluto da altri ma pagato da noi e che viene spacciato per nostro per i prossimi 30 anni. Continueremo a rivendicare i nostri momenti di partecipazione e di intervento soprattutto dentro a quegli spazi, come la nuova BUC, che sono stati costruiti e finanziati con soldi che, in teoria, sarebbero destinati alla nostra formazione, alla nostra crescita e al nostro futuro.

Laurea honoris causa a Marchionne?! Cosa c’è sotto?

Nell’attendere la risposta del MIUR riguardante la proposta uscita dal Senato Accademico ritrovatosi in seduta ristretta, di conferire una laurea ad honoris causa all’amministratore delegato di FCA e Ferrari Sergio Marchionne, abbiamo provato a trarre alcune considerazioni nel merito di quest’ultima uscita da parte dell’Ateneo.

Le polemiche dei rappresentanti di Udu e Unitin che accusano un mancato coinvolgimento in SA per le decisioni politiche poco ci toccano, anzi sorridiamo nel ritrovare da parte di questi una lamentela per un mancato verticismo a loro spese. Tuttavia non ci stupiamo nel rilevare che ancora una volta vengono prese decisioni politiche e puramente speculative in barba alle opinioni degli studenti, primo e maggiore corpo reale di questa università.

Sarà perché a noi come ad alcuni docenti (Augusto Visintin, Claudio Della Volpe e Raffaele Mauro) che in una lettera aperta hanno espresso i loro dubbi, sfuggono le competenze in ingegneria meccatronica che Marchionne possederebbe, ma quest’inutile conferimento ci pare l’ennesimo tentativo di dare lustro e magnificenza ad un ateneo che strizza sempre di più l’occhio a chi ha le tasche gonfie di soldi ma che contestualmente volta la schiena alle vertenze dei suoi studenti.

Come altri, anche noi ci siamo interrogati riguardo allo spessore morale ed etico di cotanto personaggio, ma questa posizione è stata prontamente messa a tacere dal Magnifico. Il Rettore infatti non accetta discussioni al riguardo ma anzi, anche verso i docenti del suo stesso ateneo si è espresso con: “Mi sfugge l’interesse di un matematico a discutere di meccatronica” riferendosi a Visentin, docente di Analisi Matematica, che assieme a suoi colleghi ricordava come il Senato Accademico dovrebbe rappresentare l’intero corpo accademico, e quindi, con le posizioni dei professori, anche quelle degli studenti. Pertanto pure a noi sfugge come un manager che sul curriculum annovera, oltre alle cinque lauree ad honorem già ricevute, il peso di migliaia di licenziamenti, delocalizzazione a detrimento italiano, salari miseri e precarizzazione di lavoratori, possa essere insignito di un titolo illustre per il raggiungimento del quale gli studenti trentini sono costretti ad anni di fatiche, impegno, studio e ad un non indifferente sacrificio economico sulle spalle proprie o su quelle delle famiglie. Forse sta proprio in questo la presa in giro più grande. Nel fatto che Dario Petri, direttore del Dipartimento di Ingegneria Industriale, si sia espresso favorevole a questa proposta che “è arrivata dopo aver preso contatti con il centro ricerca Fiat e il Consiglio si è espresso positivamente. Come obiettivo c’è quello di migliorare e rafforzare i rapporti con l’azienda dando in questo modo più possibilità agli studenti”. Quali sarebbero queste possibilità? Quelle di continuare a fare tirocini o stage lavorativi, seppur formativi, ma non retribuiti?

A noi pare che questa giustificazione del responsabile Petri sia da intendere non tanto come apertura verso un percorso di studi che unisca la gestione aziendale alle competenze ingegneristiche, come ha fatto lui stesso notare, ma piuttosto come una mercificazione dello studente, mera moneta di scambio tra un’azienda e l’ateneo. Questi ultimi collaborano stringendo rapporti per continuare sfruttare il tempo degli  studenti universitari in modo non retribuito, in nome di un’università intesa sempre di più come periodo di tempo formativo tra le scuole superiori e un improbabile lavoro futuro, mentre a noi nessuno dà garanzie di assunzione con questo avvicinamento a Fiat.

Le uniche garanzie che abbiamo sono quelle di non venire mai ascoltati, di vedere ogni giorno la nostra dignità calpestata in nome degli interessi economici dell’ateneo e delle mire politiche di Collini. Ma una garanzia noi possiamo darvela, se Marchionne dovesse accettare e se il Ministero dovesse avallare la decisione del Senato Accademico ci troverete lì, a festeggiare in pompa magna.

ISEE: 23.000 NON possono bastare. Facciamo chiarezza

Le scorse settimane sono state particolarmente dense: le assemblee, i confronti, l’elaborazione di informazioni sempre nuove, le piazze, i blitz, persino la pioggia scrosciante sui nostri cappucci mentre qualcuno si permetteva di brindare ai propri loschi affari con fiumi di Ferrari. Sono ancora giornate dense per noi e lo saranno a lungo. Ma ci prendiamo un momento per mettere i puntini sulle i. Perché la chiarezza è importante, almeno per noi.
Tempo fa, leggendo la delibera provinciale sul cambio da ICEF a ISEE, abbiamo scoperto l’ennesima maglia della trama fasulla tessuta dalla narrativa della Provincia circa questa “riforma”. Accanto all’assicurazione, scritta nero su bianco, che la PAT avrebbe fatto il possibile per garantire il maggior numero di borse di studio possibile, il decreto ministeriale che stabilisce quel limite massimo ISEE utile all’accesso alle borse di studio fissato a 23.000. Come è nostra abitudine, abbiamo condiviso questa informazione rendendo palese la contraddizione (e non è l’unica) in cui la PAT è caduta (e continua a cadere).
Resa pubblica questa notizia, altri gruppi studenteschi che “stanno lavorando per noi” hanno immediatamente rilanciato il nuovo obbiettivo del secolo: quella soglia deve arrivare a 23.000. Come se non fossero già a conoscenza da mesi (visto che da mesi si occupano di nuovo ISEE) di questa opportunità (o forse non lo sapevano davvero… chi osa contraddire la Provincia? Lei sa. Per tutto il resto, c’è solo da allinearsi al pensiero dominante). In questo contesto, la notizia improvvisa, proprio il giorno prima della manifestazione del 17 novembre, della decisione della Ferrari di aumentare la soglia già prevista: da 20.000 a 21.500. Qualche organo di stampa, interpretando male le nostre intenzioni, senza nemmeno interpellarci sulla questione, ha deciso che questa era una vittoria anche per noi. Vittoria conquistata grazie al lavoro di UDU e alle pressioni del Collettivo Refresh.
Ed è qui che scatta la nostra voglia di mettere i famosi puntini sulle i.
Se proprio vogliamo parlare di obbiettivi (visto che, a quanto pare, non si può fare altro in questo momento), 21.500 non sono una vittoria e anche 23.000 non sarebbero abbastanza. Quello che noi vogliamo non assomiglia a “quello che passa il convento” o “il meno peggio”. Lo abbiamo detto più volte: vogliamo tutto. Tutto quello che ci spetta. E dire che “lo studio è un nostro diritto” per noi non include anche “se le condizioni lo permettono e non scombiniamo troppe carte in tavola”. Se lo studio è un diritto, come noi pensiamo che sia, allora tutti e tutte devono avere l’opportunità di accedervi. Questo significa creare le condizioni affinché questo sia possibile. E non è questa la direzione verso cui va il nuovo ISEE. Ribadiamo: per noi questa riforma parla di una università classista, esclusiva, elitaria, a portata di pochi. E fa schifo, detto francamente e fuori dai denti. E fa ancora più schifo se pensiamo a quanti soldi sono stati spesi per la nuova BUC, non una struttura utile per gli/le student*, ma una struttura utile alla Provincia per rimediare ad un flop finanziario epocale che fa storcere nasi e stomaci a molta gente. In questo quadro, denunciare che la Ferrari, UDU e compagnia bella ci prendono in giro ha per noi un senso diverso da quello vertenziale. Significa certamente fare controinformazione. Significa anche, e soprattutto, svelare quelle contraddizioni del nostro sistema-università che è bene avere chiare in mente.
Ci permettiamo ancora uno slancio di chiarezza, questa volta sui metodi. Perché è vero che è importante dove vuoi arrivare, ma il come fa la differenza molte volte.
Non siamo quelli che si presentano dicendo “abbi fiducia in me. Cagami una volta l’anno e per il resto ci penso io”. Eh no. Perché se ci sono delle questioni che riguardano tutti e tutte allora noi vogliamo prendere parola, vogliamo discuterne, vogliamo prendere posizione. Insieme. Non siamo quelli che utilizzano un gruppo universitario per fare carriera politica: per noi l’università non è gavetta verso un futuro che porterà a chissà quale poltrona promessa dal PD o dalla CGIL (o CL, o Fratelli d’Italia, o qualsiasi sia il padrino politico che sta dietro ad un, apparentemente sterile, logo studentesco). L’università è quello che ci caratterizza come studenti e studentesse, è il punto che troviamo in comune nelle mille specificità che caratterizzano le nostre assemblee. Viviamo questo nostro ambiente a 360°: le lezioni, gli esami, lo studio, ma anche l’informazione, la coscienza critica, il confronto, immaginari che si creano nelle nostre teste, la voglia di renderli reali. E questo lo facciamo incontrandoci settimanalmente o più in spazi aperti, accessibili, nelle nostre facoltà. Parliamo, tanto. Proviamo a trovare quadre comuni. Comunichiamo con l’esterno, anche se la gente non vuole ascoltarci. L’assemblea per tanti sarà una pratica a tratti noiosa, ma questo siamo. Quando scendiamo in piazza quello che facciamo lo facciamo insieme. Non vedrete mai delle delegazioni staccarsi da un corteo o alcuni di noi a andare a cena col Rettore per discutere di cose che poi, solo per metà, verranno riportate indietro. Se vengono raccontate. Se qualcuno vuole dialogare con noi, Ferrari, Collini, Rossi compresi, che vengano loro dagli studenti e dalle studentesse. Quello che hanno da dire possiamo sentirlo tutte e tutti, senza esclusioni.
Ancora una volta ribadiamo: è ormai palese che Università, Provincia, le stesse associazioni studentesche come UDU fanno parte di uno stesso sistema, un sistema che si siede a grossi tavoli e preferisce un pareggio di bilancio o una vittoria da rivendersi in campagna elettorale rispetto a quello che è giusto. Tipo finanziare le borse di studio. Tipo rendere l’università un posto accessibile ed aperto. Certi sistemi sono formati e alimentati anche da chi si presenta come amico/a, o addirittura come “granello nell’ingranaggio” pronto a far saltare tutto il sistema. Qualsiasi cosa faccia parte di un sistema il cui obbiettivo è un’università classista, esclusiva e per pochi/e non ci sta simpatico/a. Anzi, è proprio nostro/a nemico/a.

Cacciat* dall’inaugurazione della nuova biblioteca

Oggi si è svolta in pompa magna l’inaugurazione della nuova Biblioteca Universitaria Centrale (BUC), situata nel quartiere delle Albere. A questa inaugurazione erano presenti le più alte cariche d’ateneo e della Provincia, persino l’archistar Renzo Piano.
Un grande evento dunque, spacciato come un momento di incontro tra la città e l’università. Tant’è che l’ingresso era aperto a tutti, comunità universitaria e cittadina, “fino a che la capienza dell’edificio lo consente” recita la locandina dell’evento. E di capienza questa mattina ce n’era abbastanza anche per noi, che siamo entrati all’interno della biblioteca per assistere alla cerimonia di inaugurazione. Assistere, certo. Ma non solo. Perché di cose da dire ne avevamo tante e avremmo anche voluto farlo se non fossimo stati immediatamente strattonat* e buttat* fuori, scortat* dalla polizia, non appena abbiamo lanciato dei soldi finti e dei coriandoli, per dimostrare la nostra contrarietà all’opera. E mentre dentro il rettore Collini e il Presidente della Provincia Rossi presentavano la BUC come un regalo che la Provincia ha generosamente fatto all’università e alla città, noi eravamo fuori, sotto la pioggia, e venivamo identificat* dalla polizia.
A quanto pare, in questo ateneo così fintamente aperto al confronto, non c’è spazio per chi ha un’opinione diversa da quella dominante. Perché per noi quella biblioteca non è un “regalo” della PAT, ma una speculazione economico-politica. Speculazione che riguarda un quartiere che ancora oggi è mezzo deserto, di una Provincia e dei suoi amici e amichetti che rischiano di perderci un sacco di soldi investiti, di un’Università utilizzata strumentalmente dalla PAT per cercare di “riempire” il quartiere fantasma della Albere, facendole spendere 75 milioni di euro per una biblioteca che aveva progettato altrove, con costi più bassi e persino più grande. Questo il regalo della PAT. Questi gli effetti della provincializzazione dell’Ateneo. E che non si stupisca nessuno se non ce ne stiamo zitti e buoni a guardare finte inaugurazioni (infatti la BUC non aprirà prima di dicembre perché… mancano dei bagni!). Perché se da un lato c’è una Provincia che spende 75 milioni di euro per un biblioteca utile a sanare solo i suoi investimenti sbagliati, dall’altra c’è la stessa Provincia che taglia le borse di studio. E questo non può starci bene. Cosa ce ne facciamo di una biblioteca all’avanguardia, in un quartiere moderno, se poi ci tolgono le borse di studio? Chi ci studierà lì dentro? I pochi eletti che potranno permettersi di studiare a Trento senza borsa?
Questa mattina sono state svelate molte carte. Perché dopo oggi non si potrà dire che Trento è un ateneo aperto al confronto, un’isola felice, un buon esempio per le altre università. Perché oggi degli studenti e delle studentesse sono stat* buttat* fuori da un luogo che, almeno in teoria, a loro appartiene. Perché oggi si sono viste le conseguenze che paga chi non è allineato al pensiero unico, dominante, prodotto nelle stanze del rettorato, dell’assessorato all’istruzione, della provincia: polizia, identificazioni, censura. Delle scene tremende di questa mattina dovranno prendersene la responsabilità in molti. Primo fra tutti il rettore Collini, che manda avanti la polizia a buttare fuori e sbarrare l’accesso di un luogo universitario a gli studenti e alle studentesse che dovrebbero animarlo e viverlo.
Non hanno voluto ascoltarci oggi, ma dovranno farlo molto presto perché non siamo dispost* a fermarci qui. Abbiamo iniziato questo percorso di #sgancialaborsa e abbiamo tutte le intenzioni di portarlo avanti.

Rilanciamo infatti un’assemblea pubblica a sociologia il 24 novembre alle 18.00 per parlare e organizzarci con tutt* gli studenti e le studentesse che vogliono lottare con noi per il diritto allo studio!