Ve l’avevamo detto. Riflessioni su fascismo e antifascismo.

Le ultime due settimane sono state settimane intense, nelle quali, purtroppo, ci siamo ritrovati a dover dire “ve l’avevamo detto”, ma fidatevi che per tutti noi sarebbe stato più facile ammettere di avere torto.

Ma procediamo per gradi e partiamo dalla piccola realtà cittadina in cui vivo, Trento. Il 30 ottobre il rettore dell’università di Trento ha deciso di riorganizzare la conferenza sulla situazione della Libia, invitando nuovamente Fausto Biloslavo[1]. Il fatto che Paolo Collini, massima autorità dell’ateneo trentino si sia così tanto premurato per far sì che Biloslavo avesse la possibilità di parlare a Sociologia a Trento, ha fatto sì che esponenti dell’estrema destra, riconducibili a Casa Pound, insieme a giovani leghisti e a un consigliere provinciale della Lega Trentino, si sentissero liberi di presentarsi in 40 fuori dall’università, attrezzati con ombrelli rinforzati, mazze di pvc e bottiglie di vetro, e aggredire gli studenti e le studentesse, i quali, si erano spontaneamente ritrovati in difesa dell’università dopo aver scoperto della tutt’altro che piacevole visita dei fascisti. Il gruppo di studenti e studentesse, nonostante l’aggressione di stampo chiaramente squadrista, è riuscito a respingere per quanto possibile (non essendo dotati di tutta l’attrezzatura, di cui invece si erano dotati i bravi ragazzi di Casapound e Lega), ma due ragazzi sono rimasti feriti al volto e alla testa. Ma la serata non si è conclusa così e, come si suol dire, oltre il danno la beffa, i giovani leghisti, complici dell’aggressione tanto quanto gli squadristi di Casa Pound sono stati scortati dentro l’aula della conferenza dalla sicurezza, trovando alcuni posti prenotati e tenuti in caldo appositamente, al fianco dell’assessore Mirko Bisesti (Lega Trentino). Gli studenti e le studentesse che, invece, si erano appena sobbarcati un’aggressione, sono stati bloccati sulla porta dell’aula, un’aula universitaria. Trento, nel suo piccolo ha dimostrato che avevamo ragione quando in questi anni abbiamo continuato a parlare di antifascismo e dell’importanza di non lasciare spazio a soggetti politici come la Lega o Casa Pound o Forza Nuova. Avevamo ragione perché non appena Fausto Biloslavo è stato legittimato a intervenire in un’università pubblica, il fascismo si è palesato nella sua forma più classica, quella della violenza squadrista.

Ma purtroppo Trento e l’Università di Trento non sono state le uniche a darci ragione in queste ultime settimane. Infatti, la settimana scorsa nel quartiere Centocelle di Roma si sono verificati due incendi: il primo alla libreria La Pecora Elettrica, il secondo al Bakara Bistrot, che aveva espresso solidarietà con la libreria vittima del primo attentato. La natura neofascista di questi due episodi è chiara, così come il modus operandi utilizzato: mettere in atto azioni violente, muscolari, machiste al solo scopo di intimidire, di “colpirne uno per educarne cento”. E non è un caso che, seppur in modo diverso, siano stati colpiti due luoghi del sapere: l’università e una libreria. Sarà mica perché perfino i fascisti sanno che il sapere nasce per essere critico, nasce per accettare le differenze, per esaltarle e coltivarle, nasce per tutti e tutte, senza discriminazioni basate sul proprio genere, sulla propria nazionalità, sul proprio credo religioso e il proprio orientamento sessuale. Il sapere fa inevitabilmente paura a chi vorrebbe creare una società chiusa, con un’idea precisa di uomo e donna, sia dal punto di vista estetico sia dal punto di vista del ruolo che ognuno debba avere nella società. Fa paura a chi non vede nelle differenze una ricchezza. E la solidarietà a queste forme di sapere fa ancora più paura e va attaccata, e da qui ne deriva il secondo incendio al Bakara Bistrot.

Ma non finisce nemmeno qui perché sempre la scorsa settimana giunge la notizia che a Liliana Segre sopravvissuta ai campi di concentramento nazisti sia stata affidata la scorta, a seguito dei numerosi commenti e minacce ricevute su internet. Anche in questo caso qua l’attacco è al sapere, al sapere della storia, a quello che potrebbe o, meglio, dovrebbe insegnarci. E tante persone sono rimaste stupite, si sono indignate (giustamente) di fronte al fatto che una donna di novant’anni, sopravvissuta ai campi di sterminio debba sentirsi in pericolo nel 2019.

Fidatevi che chi come me si riconosce come una militante antifascista avrebbe di gran lunga preferito dover ammettere di avere torto e mai avrebbe voluto dire “ve l’avevamo detto, il fascismo esiste e ne siamo circondati”. Ma ora che, forse, ce ne siamo resi conto, ora che ha manifestato la sua più becera faccia (anche se per me il limite era già stato superato tempo fa), che risposta vogliamo dare a tutto questo? Finalmente si potrà costruire una nuova resistenza al fascismo, fatta non solo di belle parole, ma di conflitto, di corpi che scendono in piazza, di teste che diffondono idee e di lotte in tutte le città, scuole, università, luoghi di lavoro, le quali abbiano come parola d’ordine l’antifascismo?

 

Note:

[1] Fausto Biloslavo era stato precedentemente invitato da Udu Trento, sindacato degli universitari e avrebbe dovuto parlare alla conferenza “Gli Occhi della Guerra”. Il Collettivo Universitario Refresh e altre realtà studentesche hanno fatto uscire nei giorni precedenti alcuni volantini che criticavano la sua presenza in università, a causa delle sue idee filofasciste e delle sue frequentazioni in gioventù con gruppi legati al MSI a Trieste.

Invita un fascista e te ne arriveranno altri

Invita un fascista, e te ne arriveranno altri. Perché non è nient’altro che così che poteva andare, visti gli sforzi. La caparbietà istituzionale dimostrata dall’Università di Trento e dal suo rettore Paolo Collini, nel voler inscenare a tutti i costi una farsesca conferenza di ripiego con Fausto Biloslavo, è il risultato delle pressioni politiche fatte dalla politica leghista cittadina e provinciale su tutta la faccenda.

L’attacco squadrista condotto con ombrelli, tubi in PVC, bottiglie di vetro, lucchetti e catene è stato respinto da chi si trovava in un’università. Ma ciò non rende meno grave il fatto che membri della PAT (Devid Moranduzzo, LEGA) e giovani leghisti pettinati fossero lì a guardare fascisti  vecchi e nuovi venuti (anche) da altre città, nella stessa piazza. I tentativi di dissociazione da parte di quest’ultimi non sono mancati, ma già lo scorso febbraio Mirko Bisesti (assessore all’istruzione PAT, LEGA) incontrava il Blocco Studentesco (CPI). La saldatura tra destra istituzionale e destra organizzata si fa sempre più stretta ed è sotto gli occhi di tutti. La nostra solidarietà va a chi ha resistito davanti all’Università, mentre la Polizia stava a guardare.

Per quanto riguarda Fausto Biloslavo beh, che dire? Un giornalista che la notizia se la crea, che se  la cerca strillando sui social e incassando solidarietà da tutto il parco giochi parlamentare sovranista, dalla stampa reazionaria e dall’editoria neofascista, ci rende la cifra del personaggio. Da uno pronto a “denunciare” le condizioni dei campi di detenzione libici, ma con parole infamanti verso le ONG e chi salva le vite in mare, plaudendo alla cosiddetta “guarda costiera libica” che dovrebbe essere lasciata in pace a fare il proprio lavoro, no, grazie, non la vogliamo sentire la lezione.

Perché su tutto quello che è stato scritto, masticato e sputato sulla vexata quaestio “Biloslavo a Sociologia” ovunque si coglie la solita manfrina del “Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire”, come se a prescindere dalla propria idea politica uno potesse essere un qualsiasi bravo lavoratore, un professionista, un tecnico, di cui ascoltare l’opinione. Rifiutiamo questa logica scadente e ci avvaliamo invece di una disposizione critica nei confronti di chi ci ritroviamo davanti. Ci interroghiamo sul ruolo che hanno nella società personaggi come Biloslavo, a cui viene dato spazio in quanto “esperto”. La banalità con cui si fa il proprio mestiere, alla luce del ruolo sociale, per alcun* invece è molto più importante.

Ci chiediamo che ruolo abbia avuto il Rettore nell’accondiscendere alle pressioni della politica (non sarà mica colpa della Provincializzazione?) ad imporre una presenza tanto scomoda ad una comunità studentesca che ne aveva espresso la criticità. Il dialogo verso chi ha invitato Biloslavo, chiedendone la sostituzione, a dirla tutta, è stato intrapreso in prima istanza da noi. Ma siamo rimasti inascoltat*.
Ci chiediamo quindi che ruolo possano assumere aggregazioni studentesche come UDU Trento, quando altre pongono il problema della presenza di personaggi che si augurerebbero che le persone venissero riportate nell’inferno libico. Come si fa a conciliare la presenza di questi personaggi con la contemporanea presa di posizione a fianco di chi salva le vite in mare?

Un’ultima nota poi sulla stucchevole narrazione anacronistica, possiamo chiamarla “brigatista”, della vicenda. Che l’utilizzo strumentale di avvenimenti storici passati per la narrazione del presente sia, ormai, prassi frequente tra le fila di chi non è in grado di argomentare se non con ambigui paragoni di cui non conosce i termini, è cosa nota. E dovrebbero ben saperlo i giornalisti di destra, prima di avventurarsi in accostamenti ridicoli, che trattamento veniva riservato alle penne reazionarie, dalle BR. Biloslavo non ci sembra di certo finito come Montanelli, né su una Reanult 4, a giudicare dalle vignette che si trovano su il Giornale. Invitiamo quindi Biloslavo, l’assessore Bisesti e tutta la compagine leghista a riaprire i libri di storia. Scoprirebbero che il mito delle “BR nate a Sociologia” è una bella panzana che fa tanto comodo tramandare. Curcio e Cagol lasciarono Trento già alla fine del ’68 per trasferirsi prima a Verona e poi a Milano, quando ancora nessun’azione rivendicata dalle BR era stata compiuta. L’esperienza della lotta armata in Italia può considerarsi conclusa da tempo ormai, ma lo studio degli ideali rivoluzionari è compito di chi non accetta il tempo presente e lo desidera cambiare, nell’attesa di una nuova aurora.

SOLIDARIETA’ AGLI/ALLE ANTIFASCIST*

ALLES BLOCKIEREN! BLOCCHIAMO TUTTO! Note sul Climate Stike di Darmstadt

E’ una giornata particolarmente soleggiata a Francoforte.

Me ne accorgo quando, uscendo dalla metropolitana, mi tolgo la felpa a causa del caldo e sento  rinfrescarsi sulla pelle la brezza proveniente dal Meno.

Nei giorni precedenti ascoltavo una conversazione tra due signore su quanto sia strano il tempo in questo periodo. Qualche mese fa le temperature in Germania hanno toccato il record assoluto di 40 °C. In quei giorni fecero il giro del mondo le immagini dell’asfalto delle autostrade tedesche che si scioglieva a causa del caldo estremo.

Tuttavia nessuno sembra preoccuparsi, qualche giornata di sole in più prima dell’arrivo dell’autunno non farà male a nessuno.
Due giorni prima ero andato a Oetinger Villa, un centro culturale situato nella città di Darmstadt che da vent’anni è il centro della vita politica della città ed è la casa di collettivi antifascisti, anarchici, femministi, LGBT*QI e ambientalisti. Lì avevo conosciuto ragazze e ragazzi della mia età. Mi spiegano che  fanno parte di un gruppo antifascista “Offenes Antifaschistisches Treffen Darmstadt”. In tutta la città erano affissi i flyers del Climate strike programmato per il 20 Settembre in tutta la Germania (e tutto il mondo), gli chiedo se parteciperanno.

“Certo, vieni con noi, sarà una bella giornata!”.

“Genau, ci sarò!”.

Avviso la prof di tedesco che andrò via dalla lezione in anticipo per il climate strike. E’ entusiasta. In cinque abbandoniamo la classe per prendere il treno. Il bar autogestito da studenti a fianco l’università è un via-vai di carretti, cartelli per la giustizia climatica e persone.

Si respira un aria di festa.

Arriviamo a Darmstadt, raggiungiamo la piazza del concentramento di Ostbahnof.

E’ uno dei tre punti di raccolta dai quali partiranno i cortei che convergeranno in unica piazza. Individuo subito i ragazzi e le ragazze dell’OAT grazie alle bandiere antifasciste che svettano sulla testa del lungo corteo. Mi spiegano che la scelta di avere tre concentramenti diversi è strategica.

Vogliono bloccare tutta la città.

Il corteo parte. La marcia è scandita da slogan e interventi di vari attivist* e militant*.

Le rivendicazioni sono chiare: vogliamo giustizia climatica, e la vogliamo subito.

Il corteo è animato da diversi gruppi e tematiche. Ci sono gli/le attiviste di Extincion Rebellion e Friday for Future; collettivi femministi e queer come Feministisches Kampftag Bündnis; Seebrücke Darmstadt, collettivo solidale con i/le migrant* vittime del razzismo e della follia dei confini dell’Europa fortezza; l’OAT e Frauen – und Queerstreik Darmstadt, un altro gruppo che ha fatto della villa la sua casa politica.

L’eterogeneità della dimostrazione mi fa riflettere sul come chiedere giustizia climatica significhi molte cose.

Significa avere consapevolezza di un’emergenza che va affrontata immediatamente. Consapevolezza di una crisi provocata dalle elitè politiche ed economiche che ci governano, ma le cui conseguenze si abbatteranno, e si abbattono già, sulle classi più povere, in maniera più o meno fatalista.

Significa rendersi conto che il riscaldamento globale è un acceleratore della storia e delle sue dinamiche. Secondo alcuni dati un terzo della popolazione sarà costretta a migrare nei prossimi due decenni a causa dell’avanzare della desertificazione, delle carestie e delle guerre causate dalla scarsità di risorse, ben altra cosa a livello numerico rispetto alla tanto destabilizzante crisi migratoria di questo decennio.

Per far fronte a questi problemi e mantenere l’ordine sociale, la trasformazione in senso (ancora più) autoritario dei regimi esistenti sarà una costante che proverà a mettere a tacere ogni dissenso, ogni rivolta, ogni grido di disperato di umanità; a normalizzare e uniformare ogni corpo e pensiero.

Chiedere giustizia climatica significa intrecciare le lotte, perché oltre a cambiare un sistema economico va abbattuto il sistema di pensiero che lo alimenta: fascismo, sessismo, razzismo  sono gli strumenti culturali e cognitivi che nutrono il capitale ed il suo sfruttamento, che perseguitano e attaccano ogni giorno i nostri corpi e la natura.

Ma i nostri corpi sono qui, incrocio dopo incrocio, a bloccare tutto.

 

S’intonano cori contro il capitalismo e lo stato.  Cantiamo Bella ciao!; ci guardiamo intorno, che sia in Italiano, in tedesco o in inglese siamo tutt* antifascist*.

Arriviamo nella piazza centrale dove una band inizia a suonare. Mangiamo velocemente alcuni involtini di crauti, ma non c’è tempo per fermarsi. Dobbiamo bloccare tutto.

Un compagno mi da un biglietto, c’è scritto il nome di una via ed un numero da chiamare nel caso avessimo problemi con la polizia. Andiamo a bloccare lo stabilimento della Mercedes Benz.

Al nostro arrivo entrambe le entrate sono bloccate da una sessantina di persone vestite con delle tute bianche ed una mascherina. C’è un clima gioioso, le casse risuonano canzoni di lotta tedesche e cibo e acqua passano di mano in mano tra tutti i presenti. Un clima che nemmeno l’arrivo repentino della polizia riesce a surriscaldare. Una ragazza prende in mano il megafono. Parla di guerra, quella in Yemen, finanziata anche dalla Germania per difendere i suoi approvvigionamenti di carburante nel golfo di Hormuz, dove passano le flotte di petroliere che mandano avanti l’economia mondiale.

La guerra è la spietata distruzione della vita umana e dell’ambiente. Essa è la conseguenza della distribuzione diseguale delle risorse, ed il suo fine è quello di mantenere, attraverso la violenza, lo status quo. Parla della Turchia che, anche grazie ai finanziamenti dell’UE per “fronteggiare la crisi migratoria”, minaccia il Rojava e la sua rivoluzione femminista  ed ecologista. Parla delle morti nel Mar Mediterrano.

La norma che regola il gioco è la seguente: quando le persone avranno la folle idea di ribellarsi o spostarsi per avere una vita dignitosa, troveranno davanti carri armati, muri e fili spinati, tutto per difendere gli interessi, a brevissimo termine, di pochi. Ed i governi e le multinazionali occidentali sono i primi responsabili dello sfruttamento sistematico ai danni del sud del mondo. Come la Mercedes, che trae profitto da ciò producendo carri armati e altri veicoli per la guerra che vengono venduti a 23 stati, e che adesso prova a trarre profitto pubblicizzando una “svolta green” dovuta all’essere al primo posto nella produzione di auto elettriche. Cazzate.

La crisi climatica è capitalismo, ed il capitalismo è guerra, la spietata distruzione dell’uomo e della natura.

Le code di automobili in entrata ed in uscita iniziano ad essere insofferenti. Un uomo, a bordo della sua Mercedes, ci mostra il dito medio. Gli rispondiamo che è buona norma spegnere il motore dell’auto quando si è incolonnati.

La polizia in antisommossa, anche loro arrivati a bordo di furgoni Mercedes, ci intima di alzarci. Ma noi non ci muoviamo. A fianco a me, steso per terra a bloccare una macchina, c’è un ragazzino. Inizio a parlarci. Ha 13 anni. Gli chiedo se è agitato per quello che potrebbe fare la polizia. Mi risponde ridendo: “sono qui per difendere il pianeta”.

Un poliziotto si avvicina, ci dice che se non ci spostiamo la polizia utilizzerà ogni mezzo a disposizione per farlo coattivamente. Mi guardo intorno, nessuno è preoccupato per quello che potrebbe succedere. La protesta è non violenta e si animano le discussioni sul da farsi. Cosa è violento?

La polizia ci circonda. Poco importa se ci sono bambini in mezzo a noi. Il loro compito è fare in modo che il sistema torni a girare.

Bloccare una fabbrica che collabora a guerre e distruzione è violento? Sabotarla è violento? E resistere alla polizia per farlo?

Manca mezz’ora alla fine del turno lavorativo, ci alziamo lentamente e torniamo a marciare con al nostro seguito i furgoni mercedes della polizia. Blocchiamo di nuovo la strada principale, semaforo dopo semaforo, incrocio dopo incrocio. Al megafono un ragazzo ci comunica i numeri del climate stike. Nella sola Germania oggi hanno manifestato un milione e mezzo di persone. Ci sono state dimostrazioni in 125 paesi. E’ la manifestazione più grande di sempre.

Arriviamo nella piazza, dove ci accolgono gli altri gruppi con un applauso. E noi cantiamo, abbracciandoci e lanciando per aria le tute e le mascherine.

“We are unstoppable, another world is possible!

Un nuovo anno di CUR

Il COLLETTIVO UNIVERSITARIO REFRESH nasce nel 2013 da un gruppo di studenti e studentesse dell’università di trento che sentivano l’esigenza di confrontarsi e organizzarsi per vivere l’ambiente universitario e la città di Trento in modo critico e libero da qualsiasi imposizione. In questi anni il collettivo ha portato avanti numerose campagne e lotte, basandosi sui principi dell’antifascismo, dell’antirazzismo e dell’antisessismo e proponendo uno stile di vita universitaria agli studenti e alle studentesse che in qualche modo fuoriuscisse dagli schemi preimpostati in cui ci vorrebbero incasellare.

Una delle principali attività del CUR è infatti legata al tema della socialità studentesca, in una città bigotta, dove la voglia di divertirsi dei e delle giovani viene criticata, limitata e, spesso criminalizzata. Il CUR ha deciso dunque di lanciare una nuova idea, chiamata DECORE, per portare in giro per la città una forma di festa e di divertimento non legato al puro consumo, una forma più libera e in cui tutti/e possono trovare un proprio spazio.

Il CUR inoltre cerca di organizzare all’interno delle diverse facoltà momenti di discussione e dibattito, anche con ospiti estern* per favorire la produzione e la condivisione di un sapere critico, in grado di trattare anche tematiche spinose, che vengono escluse dalla normale didattica.

Infine, il Collettivo crede nella possibilità di cambiare lo stato di cose esistenti, portando avanti forme di lotta dal basso, basandosi sui principi dell’autogestione e dell’auto-organizzazione. Non abbiamo paura di scendere in piazza per rivendicare i nostri diritti e non temiamo la repressione delle istituzioni, ma cerchiamo dall’altra parte sempre di proporre contenuti e idee, che possano essere accolti, compresi e capiti da molti e molte.

Per chiunque avesse voglia di vivere l’università in modo diverso, libero e critico può trovarci all’interno dello spazio autogestito Hurryia a Sociologia o seguire la nostra pagina facebook COLLETTIVO UNIVERSITARIO REFRESH.

SALVINI SCAPPA. NOI RES(I)TIAMO

Il 21 maggio è stata indetta un’assemblea pubblica cittadina per l’organizzazione di una piazza unitaria contro la presenza di Salvini al festival dell’economia di Trento. Vista l’importanza di contestare l’artefice dei provvedimenti più autoritari e disumani di questo governo, per noi come CUR è stato naturale partecipare a un percorso aperto e orizzontale con altre realtà cittadine, quali lavoratori e lavoratrici, student* delle superiori, antirazzist*, sindacati di base, NO TAV e una forte componente universitaria.

Siam solit* prendere le nostre decisioni in modo condiviso e trasparente, rifiutando le logiche da salotto di chi impacchetta le contestazioni all’interno delle proprie quattro mura. Infatti, fin da subito abbiamo deciso di chiamare un’assemblea pubblica a sociologia per organizzare uno spezzone studentesco, in modo da poter portare nella piazza di oggi le nostre pratiche e  i nostri contenuti in modo libero e autodeterminato. I giorni che hanno seguito questa assemblea sono stati giorni di confronto e discussione sull’organizzazione della giornata, riuscendo a rapportarsi con realtà e soggettività molto diverse da noi, perché pensiamo che di fronte a un nemico comune come il razzismo, creare divisioni aprioristiche faccia solo gioco a chi ci vorrebbe represse e imbavagliati.

L’obiettivo della giornata è stato raggiunto ancor prima della partenza visto che il ministro degli interni non è in grado di gestire l’ordine pubblico di fronte a un dissenso sempre crescente e, sotto suggerimento della questura preoccupata per l’immagine di un festival sempre più militarizzato, è rimasto nei propri palazzi del potere https://curtrento.noblogs.org/wp-admin/post.php?post=395&action=edit  (bella figura di merda per il capitano!).

Tuttavia abbiamo deciso di mantenere la piazza, dimostrando di non dover rincorrere le scadenze imposte da Salvini, ma di saper proporre contenuti e idee. Il concentramento di piazza Dante è stato caratterizzato da numerosi interventi ed esperienze: i portuali di Genova che hanno da poco bloccato la nave di armi saudite, i lavoratori migranti della Bartolini che lottano contro lo sfruttamento, studenti e studentesse preoccupat* per la svolta autoritaria dettata dai decreti e dalle direttive Salvini, migranti stanchi di doversi giustificare nonostante lavorino da più di dieci anni in Italia, sindacati di base che hanno portato le esperienze di rivendicazioni salariali più sempre criminalizzate e molt* altr*.

Dopo numerosi interventi, un corteo partecipato, colorato e trasversale ha attraversato la città, portando il dissenso per le strade, nonostante le provocazioni della celere che, a corteo sciolto, ha blindato qualsiasi via di uscita, creando inutili tensioni e impedendo l’accesso al centro storico.

Oggi è stata una grande giornata di lotta, che ha dimostrato come la retorica di stigmatizzazione delle contestazioni attorno alle solite aree politiche trentine sia inutile di fronte all’eterogeneità della piazza. Le narrazioni degli opposti estremismi  e delle aree egemoniche le lasciamo a questura e giornalisti di partito.

Esiste una Tento vivace che lotta e resiste, Salvini non è passato e non passerà!

CUR- Collettivo Universitario Refresh 

LA NOSTRA PAROLA SULLE EUROPEE 2019

Il 23 maggio a Trento i partiti candidati alle Europee hanno riempito il centro di Trento per presentare i loro programmi nei tipici banchetti. Nello stesso luogo, alcun* studenti e studentesse distribuivano questo volantino con l’intento di provare a far aprire gli occhi.

Domenica 26 si vota in tutta Europa per l’elezione del Parlamento Europeo e nelle ultime settimane i mass media italiani non fanno altro che riportare le sparate elettorali di questo o quell’altro partito, schematizzando le diverse visioni in due macroaree: sovranisti versus europeisti.
L’impressione che abbiamo noi studenti di Unitn è che all’incirca tutte le forze politiche si impegnano nel solo tentativo di intercettare il consenso popolare, a scapito di una vera progettualità che possa effettivamente agire un cambiamento nella vita reale. Proviamo dunque ad andare oltre le apparenze e guardare al nocciolo di cosa significhi stare da una parte o dall’altra.
Dalla parte dello schieramento sovranista abbiamo FDI, Casapound e Lega, il partito dato favorito. Ci sembra evidente che il successo elettorale di questo schieramento si basi sull’utilizzo sconsiderato e dannoso della paura, che attraverso anni di campagne allarmistiche, insistendo fino all’esasperazione sul collegamento tra immigrazione-degrado-insicurezza, hanno spinto parte degli italiani a proiettare il proprio malcontento verso un nemico “esterno”. Crediamo che il successo delle campagne anti-immigrazioniste si basi in gran parte sullo spingere chi si trova nei ranghi più svantaggiati della società a identificarsi con il più forte, attraverso la denigrazione di chi sta peggio. Ma conviene per un lavoratore supportare le scelte politiche di questi partiti? Se guardiamo a chi finanzia le campagne elettorali della Lega, vediamo che si tratta di una fetta di imprenditoria del nord-Italia, i cui discorsi sovranisti sono utili essenzialmente per guadagnare il supporto di cui hanno bisogno per poter “guerreggiare” con lo schieramento dei capitalisti “internazionalisti” contro cui hanno alcuni interessi contrapposti. Ma i proclami xenofobi non sono altro che un miserabile espediente per portare i lavoratori a credere che i loro interessi coincidano con quelli degli imprenditori nazionali, gli stessi che gli hanno sempre sfruttati!
All’interno dello schieramento sovranista possiamo quindi vedere le conseguenze più tragiche della polarizzazione sociale, ma il successo dei partiti nazionalisti è in parte responsabilità di chi ha governato precedentemente: il centro destra e il centro sinistra. La rabbia sociale che la Lega sfrutta (indirizzandola verso gli ultimi arrivati) si sviluppa a partire dalla miseria economica frutto delle politiche di austerity portate avanti dai partiti centristi.
Tra l’altro, seppure ora un partito come il PD sta cercando di rifarsi una verginità ideologica, noi non ci lasciamo ingannare: i discorsi “buonisti” sono discorsi vuoti, dal momento che le stesse politiche esacerbate nell’ultimo anno da Salvini erano già iniziate con i governi precedenti. Pensiamo all’accordo con la Libia per la detenzione nei campi di concentramento dei migranti, o alla repressione violenta nei confronti di chi lotta.
In una società appiattita intorno alle necessità di mercato, in cui l’arricchimento individuale e la difesa della proprietà sono gli unici valori, si è fatto largo tra i meno abbienti un sentimento di rabbia indirizzato nei confronti dei più deboli (migranti, senza tetto) o dei “diversi” (anarchici, comunisti, drogati, persone con sessualità atipiche: tutti coloro che non rientrano appieno negli schemi conformisti).
Appare ora evidente che i due opposti schieramenti sovranisti ed europeisti, come ce li vogliono dipingere i mass media, non sono poi tanto opposti per noi. Nessuno dei due sarà in grado di offrirci un futuro dignitoso, perché sono tutt’ora legati agli stessi interessi che in questa tragica situazione ci hanno portati. Noi giovani abbiamo dei compiti storici estremamente ardui, forse impossibili. Dobbiamo far fronte all’imminente devasto ambientale, dobbiamo far fronte alle conseguenze di politiche coloniali e imperialiste che hanno saccheggiato interi continenti. L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è dei soliti politici che gettano confusione e violenza in un mondo già agonizzante perché sappiamo che la soluzione a questo disastro non sarà certo semplice né immediata ma necessiterà di tutto il nostro impegno e coraggio.