ISEE: 23.000 NON possono bastare. Facciamo chiarezza

Le scorse settimane sono state particolarmente dense: le assemblee, i confronti, l’elaborazione di informazioni sempre nuove, le piazze, i blitz, persino la pioggia scrosciante sui nostri cappucci mentre qualcuno si permetteva di brindare ai propri loschi affari con fiumi di Ferrari. Sono ancora giornate dense per noi e lo saranno a lungo. Ma ci prendiamo un momento per mettere i puntini sulle i. Perché la chiarezza è importante, almeno per noi.
Tempo fa, leggendo la delibera provinciale sul cambio da ICEF a ISEE, abbiamo scoperto l’ennesima maglia della trama fasulla tessuta dalla narrativa della Provincia circa questa “riforma”. Accanto all’assicurazione, scritta nero su bianco, che la PAT avrebbe fatto il possibile per garantire il maggior numero di borse di studio possibile, il decreto ministeriale che stabilisce quel limite massimo ISEE utile all’accesso alle borse di studio fissato a 23.000. Come è nostra abitudine, abbiamo condiviso questa informazione rendendo palese la contraddizione (e non è l’unica) in cui la PAT è caduta (e continua a cadere).
Resa pubblica questa notizia, altri gruppi studenteschi che “stanno lavorando per noi” hanno immediatamente rilanciato il nuovo obbiettivo del secolo: quella soglia deve arrivare a 23.000. Come se non fossero già a conoscenza da mesi (visto che da mesi si occupano di nuovo ISEE) di questa opportunità (o forse non lo sapevano davvero… chi osa contraddire la Provincia? Lei sa. Per tutto il resto, c’è solo da allinearsi al pensiero dominante). In questo contesto, la notizia improvvisa, proprio il giorno prima della manifestazione del 17 novembre, della decisione della Ferrari di aumentare la soglia già prevista: da 20.000 a 21.500. Qualche organo di stampa, interpretando male le nostre intenzioni, senza nemmeno interpellarci sulla questione, ha deciso che questa era una vittoria anche per noi. Vittoria conquistata grazie al lavoro di UDU e alle pressioni del Collettivo Refresh.
Ed è qui che scatta la nostra voglia di mettere i famosi puntini sulle i.
Se proprio vogliamo parlare di obbiettivi (visto che, a quanto pare, non si può fare altro in questo momento), 21.500 non sono una vittoria e anche 23.000 non sarebbero abbastanza. Quello che noi vogliamo non assomiglia a “quello che passa il convento” o “il meno peggio”. Lo abbiamo detto più volte: vogliamo tutto. Tutto quello che ci spetta. E dire che “lo studio è un nostro diritto” per noi non include anche “se le condizioni lo permettono e non scombiniamo troppe carte in tavola”. Se lo studio è un diritto, come noi pensiamo che sia, allora tutti e tutte devono avere l’opportunità di accedervi. Questo significa creare le condizioni affinché questo sia possibile. E non è questa la direzione verso cui va il nuovo ISEE. Ribadiamo: per noi questa riforma parla di una università classista, esclusiva, elitaria, a portata di pochi. E fa schifo, detto francamente e fuori dai denti. E fa ancora più schifo se pensiamo a quanti soldi sono stati spesi per la nuova BUC, non una struttura utile per gli/le student*, ma una struttura utile alla Provincia per rimediare ad un flop finanziario epocale che fa storcere nasi e stomaci a molta gente. In questo quadro, denunciare che la Ferrari, UDU e compagnia bella ci prendono in giro ha per noi un senso diverso da quello vertenziale. Significa certamente fare controinformazione. Significa anche, e soprattutto, svelare quelle contraddizioni del nostro sistema-università che è bene avere chiare in mente.
Ci permettiamo ancora uno slancio di chiarezza, questa volta sui metodi. Perché è vero che è importante dove vuoi arrivare, ma il come fa la differenza molte volte.
Non siamo quelli che si presentano dicendo “abbi fiducia in me. Cagami una volta l’anno e per il resto ci penso io”. Eh no. Perché se ci sono delle questioni che riguardano tutti e tutte allora noi vogliamo prendere parola, vogliamo discuterne, vogliamo prendere posizione. Insieme. Non siamo quelli che utilizzano un gruppo universitario per fare carriera politica: per noi l’università non è gavetta verso un futuro che porterà a chissà quale poltrona promessa dal PD o dalla CGIL (o CL, o Fratelli d’Italia, o qualsiasi sia il padrino politico che sta dietro ad un, apparentemente sterile, logo studentesco). L’università è quello che ci caratterizza come studenti e studentesse, è il punto che troviamo in comune nelle mille specificità che caratterizzano le nostre assemblee. Viviamo questo nostro ambiente a 360°: le lezioni, gli esami, lo studio, ma anche l’informazione, la coscienza critica, il confronto, immaginari che si creano nelle nostre teste, la voglia di renderli reali. E questo lo facciamo incontrandoci settimanalmente o più in spazi aperti, accessibili, nelle nostre facoltà. Parliamo, tanto. Proviamo a trovare quadre comuni. Comunichiamo con l’esterno, anche se la gente non vuole ascoltarci. L’assemblea per tanti sarà una pratica a tratti noiosa, ma questo siamo. Quando scendiamo in piazza quello che facciamo lo facciamo insieme. Non vedrete mai delle delegazioni staccarsi da un corteo o alcuni di noi a andare a cena col Rettore per discutere di cose che poi, solo per metà, verranno riportate indietro. Se vengono raccontate. Se qualcuno vuole dialogare con noi, Ferrari, Collini, Rossi compresi, che vengano loro dagli studenti e dalle studentesse. Quello che hanno da dire possiamo sentirlo tutte e tutti, senza esclusioni.
Ancora una volta ribadiamo: è ormai palese che Università, Provincia, le stesse associazioni studentesche come UDU fanno parte di uno stesso sistema, un sistema che si siede a grossi tavoli e preferisce un pareggio di bilancio o una vittoria da rivendersi in campagna elettorale rispetto a quello che è giusto. Tipo finanziare le borse di studio. Tipo rendere l’università un posto accessibile ed aperto. Certi sistemi sono formati e alimentati anche da chi si presenta come amico/a, o addirittura come “granello nell’ingranaggio” pronto a far saltare tutto il sistema. Qualsiasi cosa faccia parte di un sistema il cui obbiettivo è un’università classista, esclusiva e per pochi/e non ci sta simpatico/a. Anzi, è proprio nostro/a nemico/a.

Cacciat* dall’inaugurazione della nuova biblioteca

Oggi si è svolta in pompa magna l’inaugurazione della nuova Biblioteca Universitaria Centrale (BUC), situata nel quartiere delle Albere. A questa inaugurazione erano presenti le più alte cariche d’ateneo e della Provincia, persino l’archistar Renzo Piano.
Un grande evento dunque, spacciato come un momento di incontro tra la città e l’università. Tant’è che l’ingresso era aperto a tutti, comunità universitaria e cittadina, “fino a che la capienza dell’edificio lo consente” recita la locandina dell’evento. E di capienza questa mattina ce n’era abbastanza anche per noi, che siamo entrati all’interno della biblioteca per assistere alla cerimonia di inaugurazione. Assistere, certo. Ma non solo. Perché di cose da dire ne avevamo tante e avremmo anche voluto farlo se non fossimo stati immediatamente strattonat* e buttat* fuori, scortat* dalla polizia, non appena abbiamo lanciato dei soldi finti e dei coriandoli, per dimostrare la nostra contrarietà all’opera. E mentre dentro il rettore Collini e il Presidente della Provincia Rossi presentavano la BUC come un regalo che la Provincia ha generosamente fatto all’università e alla città, noi eravamo fuori, sotto la pioggia, e venivamo identificat* dalla polizia.
A quanto pare, in questo ateneo così fintamente aperto al confronto, non c’è spazio per chi ha un’opinione diversa da quella dominante. Perché per noi quella biblioteca non è un “regalo” della PAT, ma una speculazione economico-politica. Speculazione che riguarda un quartiere che ancora oggi è mezzo deserto, di una Provincia e dei suoi amici e amichetti che rischiano di perderci un sacco di soldi investiti, di un’Università utilizzata strumentalmente dalla PAT per cercare di “riempire” il quartiere fantasma della Albere, facendole spendere 75 milioni di euro per una biblioteca che aveva progettato altrove, con costi più bassi e persino più grande. Questo il regalo della PAT. Questi gli effetti della provincializzazione dell’Ateneo. E che non si stupisca nessuno se non ce ne stiamo zitti e buoni a guardare finte inaugurazioni (infatti la BUC non aprirà prima di dicembre perché… mancano dei bagni!). Perché se da un lato c’è una Provincia che spende 75 milioni di euro per un biblioteca utile a sanare solo i suoi investimenti sbagliati, dall’altra c’è la stessa Provincia che taglia le borse di studio. E questo non può starci bene. Cosa ce ne facciamo di una biblioteca all’avanguardia, in un quartiere moderno, se poi ci tolgono le borse di studio? Chi ci studierà lì dentro? I pochi eletti che potranno permettersi di studiare a Trento senza borsa?
Questa mattina sono state svelate molte carte. Perché dopo oggi non si potrà dire che Trento è un ateneo aperto al confronto, un’isola felice, un buon esempio per le altre università. Perché oggi degli studenti e delle studentesse sono stat* buttat* fuori da un luogo che, almeno in teoria, a loro appartiene. Perché oggi si sono viste le conseguenze che paga chi non è allineato al pensiero unico, dominante, prodotto nelle stanze del rettorato, dell’assessorato all’istruzione, della provincia: polizia, identificazioni, censura. Delle scene tremende di questa mattina dovranno prendersene la responsabilità in molti. Primo fra tutti il rettore Collini, che manda avanti la polizia a buttare fuori e sbarrare l’accesso di un luogo universitario a gli studenti e alle studentesse che dovrebbero animarlo e viverlo.
Non hanno voluto ascoltarci oggi, ma dovranno farlo molto presto perché non siamo dispost* a fermarci qui. Abbiamo iniziato questo percorso di #sgancialaborsa e abbiamo tutte le intenzioni di portarlo avanti.

Rilanciamo infatti un’assemblea pubblica a sociologia il 24 novembre alle 18.00 per parlare e organizzarci con tutt* gli studenti e le studentesse che vogliono lottare con noi per il diritto allo studio!

#17N: vogliamo tutto… fino all’ultima borsa!

Oggi, 17 novembre, giornata internazionale del diritto allo studio, abbiamo deciso di mobilitarci anche a Trento. I motivi per cui siamo scesi in piazza in questa giornata dal significato importante sono legati principalmente ai tagli introdotti sul nostro diritto allo studio dalla Provincia Autonoma di Trento (PAT). Recentemente infatti è stata approvata dalla PAT una “riforma” che introduce il nuovo ISEE come criterio di assegnazione per alloggi e borse di studio. La narrazione messa a punto dall’assessora Ferrari, consiglieri provinciali e alcune rappresentanze studentesche ha parlato della riforma con toni entusiastici, presentandola come un mezzo per aumentare gli importi delle stesse borse. Ma se è vero che tali importi aumenteranno, è soprattutto vero che il numero delle borse erogate diminuirà. Il cambio di questi parametri comporterà infatti una riduzione drastica del numero degli idonei alle borse di studio: secondo i calcoli della stessa Provincia, i beneficiari diminuiranno di più di un terzo rispetto gli anni scorsi. A tale narrazione si è poi aggiunta la notizia di un investimento di un milione di euro in più della PAT sul diritto allo studio. In realtà, l’Opera Universitaria l’anno scorso aveva previsto una riduzione di più di due milioni di euro per l’erogazione di borse di studio a seguito di una sensibile riduzione dei finanziamenti della PAT allo stesso ente. Un milione di euro in più genericamente investiti in diritto allo studio non solo non saneranno il buco di più di due milioni di euro previsti, ma servirà solo a finanziare meno borse di studio anche se più “pesanti”. La stessa decisione presa a poche ore dalla manifestazione odierna, cioè quella di aumentare da 20.000 euro a 21.500 la soglia massima per accedere alle borse di studio fa parte di questa narrazione assolutamente falsa e strumentale. Quello che infatti continua a tacere l’assessora Ferrari è che il MIUR consente agli atenei di estendere la soglia massima per accedere alle borse di studio fino a 23.000. Questa decisione sembra quindi avere un valore più strumentale che sostanziale: un tentativo di spegnere i focolai di dissenso che si stanno accendendo attorno alla questione dell’ISEE, o forse quello di favorire certe rappresentanze studentesche amiche che affrontano proprio in questi giorni l’ennesima campagna elettorale in ateneo.

La manifestazione di oggi ha avuto l’intenzione di scoprire le carte che PAT, rappresentanze studentesche, Opera Universitaria e Ateneo vorrebbero non mostrare, con silenzi imbarazzanti e narrative fasulle. La manifestazione, quindi, partita con un presidio davanti lettere, si è poi trasformata in un corteo per le vie centrali della città, fino ad arrivare sotto il palazzo della Provincia in Piazza Dante. Qui, sono stati lasciati all’entrata dei sacchi a simboleggiare i soldi tagliati alle borse di studio e gli sprechi perpetrati dalla Provincia a danno della componente studentesca. Con questo, ci riferiamo soprattutto alla Biblioteca delle Albere, che verrà inaugurata a breve. Biblioteca questa costata più di 70 milioni di euro e imposta dalla PAT all’Università, nel tentativo di dare linfa vitale ad un quartiere come quello delle Albere, che oltre ad essere disabitato si è rivelato un vero e proprio flop economico.

Con questa manifestazione quindi abbiamo voluto dimostrare che esiste all’interno dell’Ateneo trentino una parte della componente studentesca che non è disposta ad accettare passivamente delle decisioni prese in palazzi troppo lontani dalle aule universitarie, che è stanca di dover subire e pagare prezzi troppo alti per le politiche economiche e gli investimenti sbagliati della PAT.

La giornata di oggi ci ha riempiti di soddisfazioni: da tanto gli studenti e le studentesse dell’università di questa città non scendevano in piazza. Vogliamo però che sia chiaro che non finisce qui. Vogliamo tutto, tutto. Fino all’ultima borsa, fino all’ultimo diritto negato, senza se e senza ma.

Per questo invitiamo tutte e tutti mercoledì 24 novembre, alle 18.00 in assemblea a Sociologia, in modo da continuare questa mobilitazione che non abbiamo intenzione di smettere così presto.

#sgancialaborsa verso il 17N – blitz all’Opera Universitaria

Dall’inizio del semestre come studenti e studentesse dell’Università di Trento ci stiamo INFORMANDO, CONFRONTANDO E ORGANIZZANDO sul tema della riforma del diritto allo studio. Ci siamo ritrovati a smascherare le menzogne propinate mezzo stampa dalla Provincia Autonoma di Trento & co., riassumibili in pochi punti:

  • Il passaggio dall’ICEF al nuovo ISEE aumenterà gli importi minimi e massimi delle borse di studio ma abbatterà sensibilmente in numero degli aventi diritto alla borsa di studio (circa un terzo in meno rispetto agli attuali aventi diritto), come ammesso sottovoce dalla stessa PAT;
  • Non è vero che si è fatto il possibile per garantire il maggior numero di borse, poiché secondo i limiti stabiliti dal D.M. 174 del 23 marzo 2016 il limite massimo per usufruire di borsa di studio stabilito dalla delibera provinciale 1765 del 7/10/2016 (reddito non superiore ai 20.000 euro) potrebbe essere aumentato di altri 3.000 euro, permettendo ad altri studenti di poter ricevere una borsa di studio;
  • La Provincia investirà un milione di euro in più per finanziare meno borse di studio, ma l’Opera Universitaria l’anno scorso già prevedeva più di due milioni di euro di tagli per l’erogazione di borse di studio.

Questi punti ci parlano di una riforma e un piano politico che mirano a tagliare gli aventi diritto alle borse di studio ma anche a tagliare sensibilmente le risorse finanziarie per le stesse borse. Eppure i SOLDI ci sono, sebbene vengano spesi male. La nuova Biblioteca Centrale delle Albere, che verrà inaugurata a breve, è uno degli esempi di speculazione politico-economica della Provincia Autonomia di Trento che si ripercuote pesantemente sull’Ateneo trentitno. A giorni infatti aprirà una biblioteca più piccola rispetto alle esigenze dell’Università, che complessivamente è costata circa 70 milioni di euro.

L’assessora all’Università Ferrari e i politici locali vorrebbero trasformare l’università in un’istituzione formativa elitaria, classista, accessibile solo a coloro che hanno propri mezzi economici per farlo. Noi al contrario vogliamo che l’università continui ad essere un luogo di accessibile a tutt*, indipendentemente dal reddito familiare.

Abbiamo quindi deciso di intraprendere un percorso DAL BASSO, poiché siamo fermamente convint* che solo in questo modo la VOCE DEGLI STUDENTI può essere ascoltata senza filtri, senza giochini o compromessi. Una delle prime tappe di questo percorso ci porta oggi agli uffici dell’Opera Universitaria, ente preposto alla tutela per il diritto allo studio universitario, che non ha proferito parola in questi mesi di grossi sconvolgimenti. Ente che, in barba a tutte le normative sull’amministrazione trasparente, a quasi un anno dalla sua approvazione non ha ancora reso pubblico il suo bilancio 2016. Ente che col suo assordante silenzio si è reso complice della Provincia Autonoma di Trento di questa riforma che taglia il nostro diritto allo studio.

Dopo oggi, CONTINUEREMO AD ANDARE sotto i palazzi dove sono state prese queste decisioni sulla nostra pelle e nelle nostre tasche. Rilanciamo quindi la manifestazione di GIOVEDI’ 17 NOVEMBRE, organizzata in occasione della GIORNATA INTERNAZIONALE DEGLI STUDENTI, con ritrovo alle ore 09:30 DAVANTI ALLA FACOLTA’ DI LETTERE!

ANDIAMO A RECLAMARE I NOSTRI DIRITTI E DIMOSTRIAMO CHE NON SIAMO DISPOSTI A VEDERLI TAGLIATI E CALPESTATI.

#ISEE_trento: e l’UDU?!

Nell’immagine i post su FB pubblicati dall’UDU Trento nei mesi precedenti.
Sopra, nello screen del 9 luglio 2016, l’annuncio dell’UDU circa le intenzioni della PAT di conformarsi dall’ICEF all’ISEE. “Un passo in avanti che aspettavamo da tanto tempo” dicono.
In basso, invece, un post datato 21 settembre 2016, in cui si rivendica come vittoria il famoso passaggio dall’ICEF all’ISEE nel caso della riforma delle tasse universitarie… esteso poi anche alle borse di studio.
Perché esultare?! Secondo i cari amici e le care amiche dell’UDU Trento è una questione che riguarda il peso delle borse. Se guardiamo alla media nazione delle borse di studio, l’ateneo trentino ne sta ben al di sotto. Male, dice l’UDU. Capiamoci qualcosa, diciamo noi. Perché è vero che Trento sta molto sotto… come è anche vero che Trento ha le delle piccole borse di studio. Borse da 500 euro che abbiamo buone ragioni di dire che non esistono altrove in Italia. Giusto o sbagliato poco importa. Esistono. Come i più sapranno, le medie sentono dei valori estremi (alti o bassi), e per questo vanno usate con le pinze quando si fanno dei paragoni. Chissà, e diciamo chissà, cosa succederebbe se togliessimo dal calcolo della media trentina le piccole borse. In ogni caso, davanti a questa situazione, l’UDU Trento cosa decide di fare? Forse, di chiedere maggiori finanziamenti alle borse rimpinguandole e facendone aumentare la media per mettersi al pari coi livelli nazionali? Denunciare a gran voce il taglio programmato alle borse di studio da parte dell’Opera Universitaria? Denunciare il progressivo definanziamento della PAT sul diritto allo studio? Certo che no. Decidono di spingere per il nuovo ISEE. Scelta strana… che sia forse legata al fatto che l’ateneo di Trento sarebbe stato comunque obbligato a farlo per certe normative nazionali? Se così fosse, spingere verso l’ISEE, che comunque sarebbe prima o poi stato introdotto, significava avere una bella vittoria semplice, pianificata, da poter presentare all’elettorato alle elezioni. Una bella medaglia al petto per qualcuno/a. Curriculum politico arricchito. Occasione ghiotta. Come perdersela.
Ma certamente non sarà così. Siamo troppo maliziosi/e noi a pensarlo!
Facciamo che davvero pensino che il nuovo ISEE sia una soluzione per ste benedette borse di studio basse. E facciamo che tutto quel pezzo di studenti e studentesse che l’anno scorso si sono mobilitati/e per un intero anno sono tutti degli idioti e delle idiote, perché non hanno compreso la potenzialità di questo nuovo ISEE (tra questi, ovviamente, anche l’UDU a livello nazionale. Ma fra questioni di partit… no, scusate. Nelle questioni associative interne non entriamo nel merito).
Ma la soap non finisce qui. Infatti ad un certo punto i toni diventano meno entusiasti e di questo ISEE non c’è più traccia. Appena iniziano a trapelare notizie circa l’effettiva diminuzione del numero dei beneficiari di borsa coi nuovi criteri ISEE cala il mutismo. Fino a quando l’UDU decide di “mobilitarsi” contro questo passaggio. Il 6 ottobre 2016 infatti l’UDU organizza un presidio sotto la provincia, che finisce con la solita delegazione che va in un ufficio. Uscita dalle famose buie stanze, la delegazione rivendica con grande orgoglio una vittoria, cioè quella di aver ottenuto una fascia di assegnazione più ampia: da 18.000 euro il limite massimo si sposta a 20.000 euro. Ciò che non hanno detto è che, in realtà, la soglia massima dei 20.000 euro era stata già presa in considerazione dall’assessorato, il quale aveva già (in tempi non sospetti) fatto delle previsioni sui costi da sostenere nel caso in cui la soglia fosse stata quella. Insomma, “ti piace vincere facile” verrebbe da dire. Con tanto di “ponci ponci, bon bon bon”, aggiungiamo.

Bizzarrie?! Follia?!
Forse solo incoscienza. Incompetenza. Impreparazione.
Un mix letale per chi dice di essere stato “delegato” a prendere delle decisioni, per chi dice di rappresentare qualcuno/a (e davvero vogliamo conoscere quello studente o quella studentessa che anela a diminuire le borse di studio. Per sé e per gli/le atri/e).
Quello che sembra, oltre alla palese impreparazione sulle conseguenze di questo passaggio, è che quello che hanno cercato di fare è di prepararsi alla prossima campagna elettorale cercando vittorie facili. Prima con l’ISEE che sarebbe comunque arrivato. Poi con la soglia massima dei 20.000 euro che era comunque stata considerata come possibilità da prendere.
C’è da fare i complimenti a sta gente.

Un ultima cosa prima di chiudere, giusto per evitare sgradevoli equivoci.
Con questo non vogliamo dire che l’UDU Trento ha tutta la responsabilità di questo disastroso taglio e la Provincia, poveretta, è succube di normative che non lasciano spazio. Perché i tagli alle borse ci sono e vanno ben oltre il cambiamento dall’ICEF all’ISEE. Sono scelte prese in tutta coscienza da PAT e OP, senza fucili puntati da nessuno.
Il punto è che UDU e provincia fanno parte di uno stesso sistema, un sistema che si siede a grossi tavoli e preferisce un pareggio di bilancio o una vittoria da rivendersi in campagna elettorale rispetto a quello che è giusto. Tipo finanziare le borse di studio. Tipo rendere l’università un posto accessibile ed aperto.
L’obbiettivo di questo excursus quindi era quello di comprendere come certi sistemi sono formati e alimentati anche da chi si presenta come amico/a, o addirittura come “granello nell’ingranaggio” pronto a far saltare tutto il sistema. In questo caso è UDU. Ma domani, su un altro tema, potrebbe esserci l’associazione PincoPallo. E vi assicuriamo che i termini del nostro discorso non cambierebbero.

Qualsiasi cosa faccia parte di un sistema il cui obbiettivo è un’università classista, esclusiva e per pochi/e non ci sta simpatico/a. Anzi, è proprio nostro/a nemico/a.
Ognuno/a con la sua coscienza politica. Ognuno/a coi suoi percorsi.
Chi sotto i raggi finti di una lampada ultravioletti.
Chi sotto i raggi di un bel sole autunnale… che potrebbe essere più caldo del previsto.

#OccupyParade – la città è di chi la vive!

Dalla nascita del Collettivo Refresh due anni fa, con l’occupazione dell’ex mensa Santa Chiara, il diritto alla città è stato, ed è tutt’ora, un punto cardine della nostra agenda e dei nostri ragionamenti. Trento infatti, città ai primi posti delle classifiche per vivibilità in tutta Italia, vive con l’ansia costante che qualcosa possa macchiare la sua immagine di città perfettamente vivibile, bomboniera della civiltà. Il concetto di “degrado” nell’ultimo anno è stato abilmente costruito e strumentalizzato da più parti politiche. Da un lato le ronde cittadine e le dichiarazioni provenienti dai comitati cittadini dalla dubbia autonomia politica; dall’altro le ordinanze anti-degrado create ad hoc da una giunta comunale, che in questo modo cerca di crearsi consensi e aumentare la sua credibilità da “giunta-del-fare”. Il campo di battaglia di queste politiche è spesso Piazza Santa Maria Maggiore (ma non solo), spazio pubblico dove sia i comitati cittadini che la giunta sperimentano tutta la loro fantasia. Il presidio permanente di forze dell’ordine, una task force anti-degrado formata da polizia e finanza per lo più, fa da sfondo ad una piazza generalmente frequentata dai giovani studenti e studentesse della città, condita dalle ronde del comitato Rinascita Torre Vanga e dalle assurde ordinanze comunali (dagli ultrasuoni al divieto di vendita di birre d’asporto dopo le 21.00). Mosse queste spinte dalla voglia di annientare il degrado ma che in realtà ricadono sulla quotidianità di chi, finita una giornata di studio dentro ai propri dipartimenti, ha solo voglia di stare qualche ora all’aria aperta, in una piazza.
Dall’esperienza di Piazza Santa Maria abbiamo iniziato un ragionamento sulla costruzione ad hoc del mostruoso degrado e su come, in realtà, vorremmo sentirci libere e liberi di determinare dal basso la città che vogliamo. Città che percepisce gli oltre 18.000 studenti e studentesse come corpi estranei, semplici affittuari e fonte di guadagno che però devono stare alle ferree regole della plasticità cittadina, senza colpo ferire.
Noi in realtà non ci sentiamo corpi estranei a questa città, anche se per alcuni e alcune non è nemmeno la propria città Natale. Per questo, sabato 7 maggio abbiamo organizzato una street parade, chiamandola Occupy Parade. Con partenza da Sociologia, abbiamo attraversato molte vie del centro cittadino, senza rispettare le restrizioni che di solito valgono per le manifestazioni pubbliche. In maniera volutamente festosa e danzante, abbiamo occupato la città con i nostri corpi in movimento, rivendicando spazi di socialità e aggregazione, fuori da ogni logica pre-confezionata di degrado e restrizione.
Durante il percorso, nonostante l’aria di festa e gioia, abbiamo comunque voluto dare dei segnali, simbolici ma chiari, su cosa per noi è il vero degrado. Abbiamo simbolicamente transennato il Comune di Trento, riprendendo l’idea di uno dei consiglieri comunali destrorsi, il quale aveva proposto di transennare le piazze più vissute per evitare il bivacco dei giovani. Con questo gesto, abbiamo voluto dire a giunta e consiglieri che le piazze sono molto più sicure se piene di gente che non vuote e presidiate da un sempre maggiore numero di forze dell’ordine, e che la socialità non è pericolosa in sé ma un diritto di tutte e tutti. Durante il percorso, arrivati alla Provincia, abbiamo simbolicamente portato sotto il palazzo della PAT diversi immobili pubblici vuoti. Infatti è noto ai più che i beni immobili della PAT hanno un valore complessivo di 52 milioni di euro.
Immobili lasciati vuoti, spesso volutamente resi inabitabili, nonostante le 500 persone in emergenza abitativa che attendono un alloggio in cui vivere (e chissà quante altre non rientrano negli elenchi ufficiali), nonostante i milioni di euro sborsati annualmente dalla Provincia per pagare gli affittii dei suoi uffici. Con questo gesto abbiamo voluto esprimere la nostra contrarietà allo sperpero e all’inutilizzo delle risorse pubbliche; risorse che, se utilizzate male, sono le stesse che vengono tagliate all’Opera Universitaria per finanziare le grandi opere inutili (come il TAV) o le grandi speculazioni economiche (come le Albere e, a quanto pare, l’ex Italcementi). Alla fine di questo lungo giro siamo giunti, non a caso, alle Albere, il quartiere fantasma di Trento, simbolo di quanto il pubblico sia assoggettato al privato.
L’Occupy Parade è stata per noi una sfida, sotto tanti punti di vista. Sfida che in parte è stata vinta da tutte e tutti coloro hanno deciso di ballare in strada insieme a noi, che hanno ascoltato le nostre parole e ne hanno condiviso il senso, che hanno portato la specificità dei propri corpi e l’hanno messa in comune. Questa esperienza non chiude nulla ma amplia un percorso che abbiamo deciso di intraprendere due anni fa, consegnandoci nuove consapevolezze e nuova linfa per rilanciare un messaggio chiaro e forte: la città è di chi la vive, senza dubbio alcuno.
Per una Trento sociale, meticcia, solidale, antifascista e antisessista, continuiamo il nostro cammino per determinare dal basso la città che vogliamo.