#sgancialaborsa verso il 17N – blitz all’Opera Universitaria

Dall’inizio del semestre come studenti e studentesse dell’Università di Trento ci stiamo INFORMANDO, CONFRONTANDO E ORGANIZZANDO sul tema della riforma del diritto allo studio. Ci siamo ritrovati a smascherare le menzogne propinate mezzo stampa dalla Provincia Autonoma di Trento & co., riassumibili in pochi punti:

  • Il passaggio dall’ICEF al nuovo ISEE aumenterà gli importi minimi e massimi delle borse di studio ma abbatterà sensibilmente in numero degli aventi diritto alla borsa di studio (circa un terzo in meno rispetto agli attuali aventi diritto), come ammesso sottovoce dalla stessa PAT;
  • Non è vero che si è fatto il possibile per garantire il maggior numero di borse, poiché secondo i limiti stabiliti dal D.M. 174 del 23 marzo 2016 il limite massimo per usufruire di borsa di studio stabilito dalla delibera provinciale 1765 del 7/10/2016 (reddito non superiore ai 20.000 euro) potrebbe essere aumentato di altri 3.000 euro, permettendo ad altri studenti di poter ricevere una borsa di studio;
  • La Provincia investirà un milione di euro in più per finanziare meno borse di studio, ma l’Opera Universitaria l’anno scorso già prevedeva più di due milioni di euro di tagli per l’erogazione di borse di studio.

Questi punti ci parlano di una riforma e un piano politico che mirano a tagliare gli aventi diritto alle borse di studio ma anche a tagliare sensibilmente le risorse finanziarie per le stesse borse. Eppure i SOLDI ci sono, sebbene vengano spesi male. La nuova Biblioteca Centrale delle Albere, che verrà inaugurata a breve, è uno degli esempi di speculazione politico-economica della Provincia Autonomia di Trento che si ripercuote pesantemente sull’Ateneo trentitno. A giorni infatti aprirà una biblioteca più piccola rispetto alle esigenze dell’Università, che complessivamente è costata circa 70 milioni di euro.

L’assessora all’Università Ferrari e i politici locali vorrebbero trasformare l’università in un’istituzione formativa elitaria, classista, accessibile solo a coloro che hanno propri mezzi economici per farlo. Noi al contrario vogliamo che l’università continui ad essere un luogo di accessibile a tutt*, indipendentemente dal reddito familiare.

Abbiamo quindi deciso di intraprendere un percorso DAL BASSO, poiché siamo fermamente convint* che solo in questo modo la VOCE DEGLI STUDENTI può essere ascoltata senza filtri, senza giochini o compromessi. Una delle prime tappe di questo percorso ci porta oggi agli uffici dell’Opera Universitaria, ente preposto alla tutela per il diritto allo studio universitario, che non ha proferito parola in questi mesi di grossi sconvolgimenti. Ente che, in barba a tutte le normative sull’amministrazione trasparente, a quasi un anno dalla sua approvazione non ha ancora reso pubblico il suo bilancio 2016. Ente che col suo assordante silenzio si è reso complice della Provincia Autonoma di Trento di questa riforma che taglia il nostro diritto allo studio.

Dopo oggi, CONTINUEREMO AD ANDARE sotto i palazzi dove sono state prese queste decisioni sulla nostra pelle e nelle nostre tasche. Rilanciamo quindi la manifestazione di GIOVEDI’ 17 NOVEMBRE, organizzata in occasione della GIORNATA INTERNAZIONALE DEGLI STUDENTI, con ritrovo alle ore 09:30 DAVANTI ALLA FACOLTA’ DI LETTERE!

ANDIAMO A RECLAMARE I NOSTRI DIRITTI E DIMOSTRIAMO CHE NON SIAMO DISPOSTI A VEDERLI TAGLIATI E CALPESTATI.

#ISEE_trento: e l’UDU?!

Nell’immagine i post su FB pubblicati dall’UDU Trento nei mesi precedenti.
Sopra, nello screen del 9 luglio 2016, l’annuncio dell’UDU circa le intenzioni della PAT di conformarsi dall’ICEF all’ISEE. “Un passo in avanti che aspettavamo da tanto tempo” dicono.
In basso, invece, un post datato 21 settembre 2016, in cui si rivendica come vittoria il famoso passaggio dall’ICEF all’ISEE nel caso della riforma delle tasse universitarie… esteso poi anche alle borse di studio.
Perché esultare?! Secondo i cari amici e le care amiche dell’UDU Trento è una questione che riguarda il peso delle borse. Se guardiamo alla media nazione delle borse di studio, l’ateneo trentino ne sta ben al di sotto. Male, dice l’UDU. Capiamoci qualcosa, diciamo noi. Perché è vero che Trento sta molto sotto… come è anche vero che Trento ha le delle piccole borse di studio. Borse da 500 euro che abbiamo buone ragioni di dire che non esistono altrove in Italia. Giusto o sbagliato poco importa. Esistono. Come i più sapranno, le medie sentono dei valori estremi (alti o bassi), e per questo vanno usate con le pinze quando si fanno dei paragoni. Chissà, e diciamo chissà, cosa succederebbe se togliessimo dal calcolo della media trentina le piccole borse. In ogni caso, davanti a questa situazione, l’UDU Trento cosa decide di fare? Forse, di chiedere maggiori finanziamenti alle borse rimpinguandole e facendone aumentare la media per mettersi al pari coi livelli nazionali? Denunciare a gran voce il taglio programmato alle borse di studio da parte dell’Opera Universitaria? Denunciare il progressivo definanziamento della PAT sul diritto allo studio? Certo che no. Decidono di spingere per il nuovo ISEE. Scelta strana… che sia forse legata al fatto che l’ateneo di Trento sarebbe stato comunque obbligato a farlo per certe normative nazionali? Se così fosse, spingere verso l’ISEE, che comunque sarebbe prima o poi stato introdotto, significava avere una bella vittoria semplice, pianificata, da poter presentare all’elettorato alle elezioni. Una bella medaglia al petto per qualcuno/a. Curriculum politico arricchito. Occasione ghiotta. Come perdersela.
Ma certamente non sarà così. Siamo troppo maliziosi/e noi a pensarlo!
Facciamo che davvero pensino che il nuovo ISEE sia una soluzione per ste benedette borse di studio basse. E facciamo che tutto quel pezzo di studenti e studentesse che l’anno scorso si sono mobilitati/e per un intero anno sono tutti degli idioti e delle idiote, perché non hanno compreso la potenzialità di questo nuovo ISEE (tra questi, ovviamente, anche l’UDU a livello nazionale. Ma fra questioni di partit… no, scusate. Nelle questioni associative interne non entriamo nel merito).
Ma la soap non finisce qui. Infatti ad un certo punto i toni diventano meno entusiasti e di questo ISEE non c’è più traccia. Appena iniziano a trapelare notizie circa l’effettiva diminuzione del numero dei beneficiari di borsa coi nuovi criteri ISEE cala il mutismo. Fino a quando l’UDU decide di “mobilitarsi” contro questo passaggio. Il 6 ottobre 2016 infatti l’UDU organizza un presidio sotto la provincia, che finisce con la solita delegazione che va in un ufficio. Uscita dalle famose buie stanze, la delegazione rivendica con grande orgoglio una vittoria, cioè quella di aver ottenuto una fascia di assegnazione più ampia: da 18.000 euro il limite massimo si sposta a 20.000 euro. Ciò che non hanno detto è che, in realtà, la soglia massima dei 20.000 euro era stata già presa in considerazione dall’assessorato, il quale aveva già (in tempi non sospetti) fatto delle previsioni sui costi da sostenere nel caso in cui la soglia fosse stata quella. Insomma, “ti piace vincere facile” verrebbe da dire. Con tanto di “ponci ponci, bon bon bon”, aggiungiamo.

Bizzarrie?! Follia?!
Forse solo incoscienza. Incompetenza. Impreparazione.
Un mix letale per chi dice di essere stato “delegato” a prendere delle decisioni, per chi dice di rappresentare qualcuno/a (e davvero vogliamo conoscere quello studente o quella studentessa che anela a diminuire le borse di studio. Per sé e per gli/le atri/e).
Quello che sembra, oltre alla palese impreparazione sulle conseguenze di questo passaggio, è che quello che hanno cercato di fare è di prepararsi alla prossima campagna elettorale cercando vittorie facili. Prima con l’ISEE che sarebbe comunque arrivato. Poi con la soglia massima dei 20.000 euro che era comunque stata considerata come possibilità da prendere.
C’è da fare i complimenti a sta gente.

Un ultima cosa prima di chiudere, giusto per evitare sgradevoli equivoci.
Con questo non vogliamo dire che l’UDU Trento ha tutta la responsabilità di questo disastroso taglio e la Provincia, poveretta, è succube di normative che non lasciano spazio. Perché i tagli alle borse ci sono e vanno ben oltre il cambiamento dall’ICEF all’ISEE. Sono scelte prese in tutta coscienza da PAT e OP, senza fucili puntati da nessuno.
Il punto è che UDU e provincia fanno parte di uno stesso sistema, un sistema che si siede a grossi tavoli e preferisce un pareggio di bilancio o una vittoria da rivendersi in campagna elettorale rispetto a quello che è giusto. Tipo finanziare le borse di studio. Tipo rendere l’università un posto accessibile ed aperto.
L’obbiettivo di questo excursus quindi era quello di comprendere come certi sistemi sono formati e alimentati anche da chi si presenta come amico/a, o addirittura come “granello nell’ingranaggio” pronto a far saltare tutto il sistema. In questo caso è UDU. Ma domani, su un altro tema, potrebbe esserci l’associazione PincoPallo. E vi assicuriamo che i termini del nostro discorso non cambierebbero.

Qualsiasi cosa faccia parte di un sistema il cui obbiettivo è un’università classista, esclusiva e per pochi/e non ci sta simpatico/a. Anzi, è proprio nostro/a nemico/a.
Ognuno/a con la sua coscienza politica. Ognuno/a coi suoi percorsi.
Chi sotto i raggi finti di una lampada ultravioletti.
Chi sotto i raggi di un bel sole autunnale… che potrebbe essere più caldo del previsto.

#OccupyParade – la città è di chi la vive!

Dalla nascita del Collettivo Refresh due anni fa, con l’occupazione dell’ex mensa Santa Chiara, il diritto alla città è stato, ed è tutt’ora, un punto cardine della nostra agenda e dei nostri ragionamenti. Trento infatti, città ai primi posti delle classifiche per vivibilità in tutta Italia, vive con l’ansia costante che qualcosa possa macchiare la sua immagine di città perfettamente vivibile, bomboniera della civiltà. Il concetto di “degrado” nell’ultimo anno è stato abilmente costruito e strumentalizzato da più parti politiche. Da un lato le ronde cittadine e le dichiarazioni provenienti dai comitati cittadini dalla dubbia autonomia politica; dall’altro le ordinanze anti-degrado create ad hoc da una giunta comunale, che in questo modo cerca di crearsi consensi e aumentare la sua credibilità da “giunta-del-fare”. Il campo di battaglia di queste politiche è spesso Piazza Santa Maria Maggiore (ma non solo), spazio pubblico dove sia i comitati cittadini che la giunta sperimentano tutta la loro fantasia. Il presidio permanente di forze dell’ordine, una task force anti-degrado formata da polizia e finanza per lo più, fa da sfondo ad una piazza generalmente frequentata dai giovani studenti e studentesse della città, condita dalle ronde del comitato Rinascita Torre Vanga e dalle assurde ordinanze comunali (dagli ultrasuoni al divieto di vendita di birre d’asporto dopo le 21.00). Mosse queste spinte dalla voglia di annientare il degrado ma che in realtà ricadono sulla quotidianità di chi, finita una giornata di studio dentro ai propri dipartimenti, ha solo voglia di stare qualche ora all’aria aperta, in una piazza.
Dall’esperienza di Piazza Santa Maria abbiamo iniziato un ragionamento sulla costruzione ad hoc del mostruoso degrado e su come, in realtà, vorremmo sentirci libere e liberi di determinare dal basso la città che vogliamo. Città che percepisce gli oltre 18.000 studenti e studentesse come corpi estranei, semplici affittuari e fonte di guadagno che però devono stare alle ferree regole della plasticità cittadina, senza colpo ferire.
Noi in realtà non ci sentiamo corpi estranei a questa città, anche se per alcuni e alcune non è nemmeno la propria città Natale. Per questo, sabato 7 maggio abbiamo organizzato una street parade, chiamandola Occupy Parade. Con partenza da Sociologia, abbiamo attraversato molte vie del centro cittadino, senza rispettare le restrizioni che di solito valgono per le manifestazioni pubbliche. In maniera volutamente festosa e danzante, abbiamo occupato la città con i nostri corpi in movimento, rivendicando spazi di socialità e aggregazione, fuori da ogni logica pre-confezionata di degrado e restrizione.
Durante il percorso, nonostante l’aria di festa e gioia, abbiamo comunque voluto dare dei segnali, simbolici ma chiari, su cosa per noi è il vero degrado. Abbiamo simbolicamente transennato il Comune di Trento, riprendendo l’idea di uno dei consiglieri comunali destrorsi, il quale aveva proposto di transennare le piazze più vissute per evitare il bivacco dei giovani. Con questo gesto, abbiamo voluto dire a giunta e consiglieri che le piazze sono molto più sicure se piene di gente che non vuote e presidiate da un sempre maggiore numero di forze dell’ordine, e che la socialità non è pericolosa in sé ma un diritto di tutte e tutti. Durante il percorso, arrivati alla Provincia, abbiamo simbolicamente portato sotto il palazzo della PAT diversi immobili pubblici vuoti. Infatti è noto ai più che i beni immobili della PAT hanno un valore complessivo di 52 milioni di euro.
Immobili lasciati vuoti, spesso volutamente resi inabitabili, nonostante le 500 persone in emergenza abitativa che attendono un alloggio in cui vivere (e chissà quante altre non rientrano negli elenchi ufficiali), nonostante i milioni di euro sborsati annualmente dalla Provincia per pagare gli affittii dei suoi uffici. Con questo gesto abbiamo voluto esprimere la nostra contrarietà allo sperpero e all’inutilizzo delle risorse pubbliche; risorse che, se utilizzate male, sono le stesse che vengono tagliate all’Opera Universitaria per finanziare le grandi opere inutili (come il TAV) o le grandi speculazioni economiche (come le Albere e, a quanto pare, l’ex Italcementi). Alla fine di questo lungo giro siamo giunti, non a caso, alle Albere, il quartiere fantasma di Trento, simbolo di quanto il pubblico sia assoggettato al privato.
L’Occupy Parade è stata per noi una sfida, sotto tanti punti di vista. Sfida che in parte è stata vinta da tutte e tutti coloro hanno deciso di ballare in strada insieme a noi, che hanno ascoltato le nostre parole e ne hanno condiviso il senso, che hanno portato la specificità dei propri corpi e l’hanno messa in comune. Questa esperienza non chiude nulla ma amplia un percorso che abbiamo deciso di intraprendere due anni fa, consegnandoci nuove consapevolezze e nuova linfa per rilanciare un messaggio chiaro e forte: la città è di chi la vive, senza dubbio alcuno.
Per una Trento sociale, meticcia, solidale, antifascista e antisessista, continuiamo il nostro cammino per determinare dal basso la città che vogliamo.

All’ipocrisia delle “settimane verdi” preferiamo le piazze – nota su “GREEN WEEK”

In pompa magna, dal 4 al 6 marzo, il Dipartimento di Sociologia ospita la “Green Week”, tre giorni di incontri e dibattiti dedicati all’economia sostenibile, con ospiti di alto calibro e docenti di diverse discipline. Tema dell’anno è “Io non Spreco […] Un imperativo non solo morale, ma anche economico e sociale. La scelta di fondo della Green Week è infatti quella di porre al centro il risparmio e il riuso delle risorse sia nell’ambito dei consumi personali e collettivi, sia nei modi di produrre da parte delle aziende”, come leggiamo proprio nella presentazione ufficiale. Tra i nomi che partecipano alla chermesse, Barbara Degani, sottosegretario al Ministero dell’Ambiente e della tutela del Territorio e del Mare (NCD), forte sostenitrice dell’EXPO di Milano e, soprattutto, fan dell’alta velocità. Ma la Degani non è la sola ad averci colpiti. Presente anche Alessandro Olivi, vice presidente e assessore allo sviluppo economico e lavoro della PAT (PD), sostenitore del TAV in Trentino, convinto che sia il modo migliore per diminuire il traffico su ruota (non importa certo se per questo bisogna scavare una montagna per chilometri o spendere decine di miliardi di euro). Altro ospite di tutto rispetto Maurizio Martina, ministro dell’Agricoltura (PD) , esecutore dello sradicamento di centinaia di ulivi secolari in Salento a causa del batterio Xylella, nonostante le basi scientifiche a supporto di tale soluzione fossero misere e incerte. Andando avanti col programma, presente anche Chiara Braga, responsabile Ambiente per il PD, sostenitrice attiva del TAV Torino-Lione e dello Sblocca Italia, legge che semplifica la cementificazione del territorio, che da il via libera alla costruzione di un maggior numero di inceneritori e che, soprattutto, spinge sull’ulteriore estrazione di gas e petrolio (per intenderci, srotola il tappeto rosso a nuove trivellazioni). Come se non bastassero certi nomi a far storcere il naso, uno dei temi delle conferenze “verdi” è proprio EXPO. Ci fa proprio sorridere l’accostamento delle parole “green” e “sostenibile” accanto ad EXPO, perché pensiamo che quel grande evento sia stato tutt’altro che verde e sostenibile (pensiamo solo ai centinaia di migliaia di ettari terreno coltivabili che sono stati cementificati per permettere una fiera di sei mesi). Senza voler rientrare in merito al perché ci sentiamo No Expo, vogliamo qui solo ricordare che, se proprio vogliamo parlare di sostenibilità, ciò che ci ha lasciato EXPO, tra le altre cose, è una perdita di 32,6 milioni di euro, cifra che certamente testimonia la non-sostenibilità dei grandi eventi in generale. Questa è la Green Week. Una chermesse con grandi nomi, tanta politica, che da la parola su sostenibilità ambientale, economia green e sviluppo sostenibile a personaggi che sostengono le trivellazioni invece di supportare la ricerca di fonti alternative di energia; che promuovono progetti di traforo di montagne per chilometri e chilometri; che devastano le economie locali affidandosi a studi superficiali e frettolosi; che facilita la cementificazione dei territori; che promuove grandi eventi e grandi vetrine di cui, sei mesi dopo, rimane una una vuota piattaforma di cemento e milioni di euro di buco in bilancio. Organizzare sterili passerelle che prestano il braccio a progetti che devastano i territori e uccidono modelli di sviluppo alternativi non è certamente il modo migliore di affrontare l’argomento. Smettere di progettare grandi opere, puntare alla ricerca di fonti di energia alternative e rinnovabili, sostenere il Km 0: forse bisognerebbe partire da questo. A certi personaggi lasciamo le passerelle, la propaganda e le vuote discussioni. Noi, oltre a smascherare l’ipocrisia di certi eventi che trovano spazio nelle nostre università, preferiamo le piazze alle passerelle. Anche per questo saremo a Venezia martedì 8 marzo, contro le grandi opere.
Contro la devastazione e il saccheggio dei territori, ci vediamo per le strade e nelle piazze.

Occupato l’ex sede provinciale del CSM

Oggi all’alba dell’8 ottobre il Collettivo universitario Refresh ha occupato i locali di via Petrarca che hanno ospitato il Centro di Salute Mentale fino al 2012.

L’occupazione intende innanzi tutto ribaltare la retorica del degrado che stigmatizza la socialità delle piazze come problema di ordine pubblico e sicurezza. Contro le ordinanze che intendono limitare la voglia di aggregazione di una città sempre più universitaria, il collettivo ha occupato uno spazio vuoto da anni per ribadire che il vero degrado e il vero pericolo non sono le piazze ma i luoghi lasciati vuoti.

Durante l’occupazione è previsto un fitto programma di iniziative incentrate su vari temi, soprattutto legati col mondo della formazione. La scelta di occupare proprio in questi giorni infatti coincide con la data di mobilitazione nazionale degli studenti delle scuola del 9 ottobre, giorno in cui sono previsti cortei in molte città italiane contro la Buona Scuola. Per questo durante l’occupazione si parlerà dell’attacco al mondo della formazione, dalla Buona Scuola alla Buona Università. Inoltre,ci saranno che momenti assembleari diversi, il primo sulla questione immigrazione e sulla crescente emergenza ai confini d’Europa, con l’intervento di chi è andato proprio al confine ungherese; il secondo sarà invece incentrato dall’università trentina, il caro libri e il caro affitti. In questo modo il Collettivo Refresh intende quindi rilanciare la propria attività politica in università.

È indetta in conferenza stampa allo stabile occupato (entrata in via Romagnosi 36) alle 11.00

Di seguito il programma della due giorni di occupazione:

Giovedì 8 ottobre

H 17.00 MIGRAZIONE – assemblea con chi ha partecipato alla staffetta #overthefortress

H 21.00 dj set

Venerdì 9 ottobre
H 13.00 pranzo sociale
H 15.00 assemblea universitaria
H 21.00 djset

La solidarietà a chi la merita

In questi giorni tutti si stringono attorno ad uno degli esponenti della lista Atreju, “vittima” di una scritta su una delle porte dei bagni del Dipartimento di Sociologia. Persino il Direttore del Dipartimento, prof. Sciortino, ha inoltrato una lettera alle studentesse e agli studenti di Sociologia per condannare l’episodio e fare appello ad un modo di fare politica in cui lo scambio di vedute sia, sebbene accesso, comunque democratico.
È quanto meno interessante vedere come, nel giro di poche ore, tale esponente sia diventato l’agnellino di turno da difendere. Sì, perché la persona presa oggi di mira, è la stessa che fa parte di Atreju Trento, una lista studentesca vicina, anzi vicinissima, a Fratelli d’Italia e a quei bravi ragazzi di Casa Pound. Attori politici ,questi,che della mancanza di dialogo e della violenza fisica hanno fatto una pratica, per dare spazio all’omofobia, al razzismo e al pregiudizio di basso stampo fascista.
E a proposito di fascismi, nelle ultime settimane è stato proprio questa stesso esponente di Atreju a chiedere al Consiglio di Dipartimento di inserire all’interno dell’agenda una discussione sull’aula autogestita del Dipartimento, aula che a suo dire andrebbe chiusa all’istante.
La richiesta della chiusura immediata di uno spazio di aggregazione e socializzazione certamente non può essere che condannata da noi, soprattutto se questo tipo di spazio si trova all’interno di un’università. Infatti, da studentesse e studenti universitari viviamo ogni giorni un sistema universitario fortemente competitivo, frenetico, che rende spesso gli studenti dei “cavalli da corsa” incapaci di socializzare, riflettere, aggregarsi e creare comunità. Uno spazio autogestito, luogo di socializzazione per tante e tanti, può essere uno dei modi per rompere quella quotidianità universitaria che ci vuole produttivi a tutti i costi. Per noi gli spazi sociali autogestiti sono dunque importanti.
Mentre tutti sono concentrati a rendere questo rappresentate di Atreju quello che non è, una specie di povera vittima che può essere salvata solo dal buon senso e da un modo di fare politica democratico e ragionevole, a noi piacerebbe che il focus della discussione si spostasse sulla presenza di un gruppo fin troppo vicino alla destra fascista all’interno dell’università. Anche perché, con molta franchezza, ragionare su una scritta su una porta certamente non è far politica e certamente non ci interessa più di tanto.
Da parte nostra quindi non può arrivare nessuna solidarietà per questa persone non solo perché non condividiamo né mai potremmo condividere la sua politica, ma anche perché, con tutta onestà, ci sono ben altre cose di cui discutere all’università e sul mondo della formazione più in generale.