8 MARZO. NEANCHE L’UNIVERSITÀ SI SALVA!

Collettivo Universitario Refresh – CUR                                                8 MARZO 2025

Oggi 8 marzo student3 e lavorato3 che si occupano di lavoro produttivo, riproduttivo o, nella maggior parte dei casi, di entrambi, scioperano.

Lo sciopero è fondamentale anche per l3 student3 perché anche il mondo accademico necessita di essere messo in critica e decostruito pezzo dopo pezzo. All’interno di un sistema capitalista come il nostro, che monetizza il sapere e fa dell’università un’azienda produttiva di titoli di studio, la corsa all’accaparramento di lauree, master e premi viene ulteriormente ostacolata da una struttura che si basa su profonde disparità di genere. ll tema scuola e formazione, infatti, non può e non deve interessare soltanto chi quei contesti li vive e li attraversa quotidianamente, ma deve diventare dominio di tutt3 perché riguarda il futuro e la possibilità di un mondo rivoluzionario per tutt3. Partire da scuole e università, dai centri e dalle periferie, significa dare libero spazio a un discorso critico che possa promuovere un orizzonte alternativo.

La maggior parte delle figure adite all’insegnamento e alla presidenza dei dipartimenti in università è costituita da uomini etero e cis, mentre l’insegnamento fino alle scuole superiori è affidato quasi sempre a maestre e professoresse: questo perchè si considera la scuola dell’obbligo come formatrice di saperi di base, di cultura bassa e standardizzata, un luogo dove è anche alto il carico di lavoro di cura; l’università invece è elitaria, è il luogo dell’innovazione, della ricerca e del pensiero critico e tutto questo nella nostra società è, paradossalmente, prerogativa di uomini vecchi.

Eppure, le statistiche ci dicono che in ambito accademico a eccellere sono le soggettività non maschie, come si spiega questa incongruenza tra risultati accademici e il difficoltoso raggiungimento di posizioni prestigiose? 

Ciò è evidente con la regolare e intermittente emersione di figure di donne ultra-qualificate (le cosiddette eccellenze) che paiono ogni volta sopire fino ad azzerare il dibattito circa la generale scarsa rappresentatività del genere non-maschio all’interno sia della sfera politica istituzionale che lavorativa: un magro contentino ai ruoli talvolta anche apicali quando la vera maggioranza della restante compagine è nelle mani di uomini molto spesso non trasfemministi, molto spesso mediocri. Queste “eccellenze” non maschie, però, riproducono modelli patriarcali e capitalisti, oltre a perpetuare atteggiamenti machisti per riuscire a raggiungere, e poi a mantenere, un determinato ruolo all’interno dell’accademia, così come in qualsiasi altro settore. Sono quindi costrett3 a sfondare il cosiddetto tetto di cristallo che prova in tutti i modi a impedire alle soggettività non maschie di accedere ai “piani alti”. All’interno del mondo accademico le persone che si impegnano per portare avanti degli studi critici, e quindi politici, decoloniali e relativi ai gender studies devono affrontare un percorso molto più lungo e difficile per diventare professor3 associat3.  A noi non interessano i bilanci di genere, vogliamo un’università transfemminista e anticapitalista che si distacchi dalla triade merito-vergogna-disciplina, tanto cara al Ministro Valditara. Vogliamo un sapere libero dalla violenza patriarcale, dal razzismo, dall’abilismo e dal classismo. Vogliamo una scuola laica, pubblica e gratuita che sia davvero per tutt3. 

Forse certi atenei questa esigenza l’hanno sentita, ed ecco che nascono corsi che fanno credere di essere legati ai gender o queer studies e invece si scopre dopo 15 minuti di lezione di ritrovarsi ad ascoltare banalità superficiali che non lasciano spazio a nessuna riflessione critica, più politicizzata e radicale. Appellarsi a un universale apoliticità dei saperi e della scienza è insensato e controproducente. Determinati argomenti, come i gender e queer studies, nascono come strumento di lotta di comunità da sempre marginalizzate dal discorso accademico, e strumenti di lotta devono restare! Questi corsi teneteveli per voi, noi non li vogliamo se non intrisi di radicalità, di critica, se non portati avanti da chi sa uscire dalle mura delle facoltà e scontrarsi ogni giorno con una realtà opprimente e discriminante pur di portare avanti la nostra lotta.

Vorremmo approfittare però di questo momento per portare l’attenzione sulla figura della consigliera di fiducia, figura che ha il compito di sostenere le persone che vivono episodi di mobbing, straining, molestie morali o sessuali e discriminazioni dirette e indirette. Cogliamo l’occasione per parlarne perché vergognosamente l’università ha fatto ben poco per pubblicizzare questo servizio, nonostante student3 vivano tutti i giorni situazioni come commenti da parte di professori, differenti trattamenti agli esami o addirittura dover seguire un corso con un professore che è stato espulso dalle università americane in seguito a episodi di violenza nei confronti di una studentessa. Nonostante ciò, ci teniamo a sottolineare che non siamo vittime e che una figura come questa non è una soluzione: l’unica soluzione è la rottura di questo sistema accademico, specchio dell’ingabbiante sistema in cui viviamo tutti i giorni. 

L’università porta avanti un’ideologia capitalista, classista, abilista, patriarcale e razzista, ma pensa di pulirsi la coscienza con delle panchine rosse, attuando del vero e proprio pink washing. L’università si appropria del pensiero di persone che l’avrebbero contestata e criticata, pensando che basti dare un contentino per placare gli animi delle persone che subiscono violenza all’interno dell’università e che criticano il modello che essa propone. Sulla panchina rossa davanti alla facoltà di Lettere e Filosofia è scritta una frase di Audre Lorde, militante femminista e radicale che lottava contro il patriarcato e il razzismo. Come si può pensare che sia giusto appropriarsi di ciò che ha detto e scritto una persona che si poneva totalmente contro il pensiero che l’università odierna vuole diffondere?!

Il transfemminismo è una pratica e visione del mondo in grado di ribaltare completamente l’approccio escludente della scuola e dell’università di oggi perché mette al centro la persona, le relazioni, i corpi, una visione antiautoritaria della società. Inoltre, grazie alle pratiche che abbiamo costruito e costruiamo, possiamo creare delle comunità che siano in grado di dare forma a un cambiamento radicale del contesto scolastico e formativo. 

Sentiamo forte la responsabilità di aprire un dibattito sulla formazione, costruito dal basso, attraverso le voci e i bisogni di chi fa formazione e vive la scuola e l’università ogni giorno perché, per citare Audre Lorde, “The master’s tools will never dismantle the master’s house”!

Non c’è più spazio!

Collettivo Universitario Refresh – CUR                                           21 OTTOBRE 2024

Con l’inizio dell’anno accademico qualcosa è cambiato. Chi frequenta il Dipartimento di Sociologia si sarà sicuramente accorto di alcuni mutamenti: ben tre aule studio del piano -1 sono state chiuse, portando così a dimezzare gli spazi di studio e aggregazione. Questa scelta del dipartimento deve essere letta all’interno di un processo più ampio e deve portare a interrogarsi sulla modalità di attraversamento dei luoghi universitari. La costruzione e le norme che regolano uno spazio riflettono la modalità con cui si vuole che tale luogo venga vissuto. [ ] Quello che è successo all’interno del nostro dipartimento non può passare inosservato, bensì sentiamo l’esigenza di attuare un’analisi collettiva, per poterlo comprendere al meglio. Per questo motivo, la scorsa settimana è stata organizzata un’assemblea per confrontarci su quanto accaduto, con l’obiettivo di indagare possibili modalità per limitare e contrapporsi ai processi in atto. Questo presidio mangereccio vuole essere una prima manifestazione di dissenso all’avanzamento della chiusura degli spazi. Questo pranzo davanti all’ufficio del Direttore di Dipartimento, vuole essere tanto un momento di conflitto quanto un momento di scambio e confronto tra noi studenti. Il dialogo su ciò che ci circonda deve essere approfondito tra tutti noi. Negli scorsi giorni ci siamo dotati di un questionario per inchiestare la percezione e le abitudini di chi attraversa gli spazi universitari. Attraverso questo strumento volevamo iniziare a capire se questo modus operandi di chiusura fosse diffuso solo a Sociologia o se si riscontrano problematiche simili anche in altri Dipartimenti.

Per quanto riguarda Sociologia:
Il risultato delle 100 risposte registrate non lascia spazio a interpretazioni: più del 90% di chi ha risposto ritiene che gli spazi all’interno del Dipartimento non siano sufficienti. Tante persone si ritrovano a dover mangiare per terra nei corridoi o, peggio ancora, a tornare a casa per la mancanza di spazi. Molte per i lavori di gruppo si affidano a case di compagni di corso, alcuni si recano al bar, altri ancora utilizzano piattaforme online come Zoom. Inoltre, in molti hanno annotato come l’aula archeologica, l’unica aula studio che può accogliere più di 20 persone, nelle ultime settimane risulti stracolma e che la chiusura al sabato del dipartimento ha condotto ad una guerra all’ultimo posto per una sedia in BUC. Ma com’è possibile che le aule vengano chiuse non appena finiscono le lezioni? E come può essere che quando si chiede una spiegazione al direttore di dipartimento, la risposta sia sempre un rimpallo di responsabilità con la portineria, che non ha il potere di risolvere il problema? Ad oggi gli studenti si ritrovano così senza spazi adeguati per studiare e questo è paradossale, considerando che lo studio sembra essere l’unica attività ritenuta legittima in università. È venuto a crearsi un cortocircuito che si riversa totalmente sulla comunità studentesca privata anche degli spazi essenziali.

Ribadiamo che l’inchiesta sull’utilizzo degli spazi universitari non può essere circoscritta al solo Dipartimento di Sociologia, altrimenti guarderemo al problema come un fenomeno isolato. Pensiamo che un’indagine limitata a questo ambiente ci possa dire ben poco. Sentiamo la necessità di approfondire la situazione che si presenta all’interno degli altri dipartimenti: riteniamo infatti che quel che è successo qui non sia che l’ennesima manifestazione di una politica di Ateneo purtroppo ben chiara, volta a rendere l’università un luogo privo di possibilità di socialità, di collettivizzazione e scambio di idee.

In questo momento in cui i luoghi di aggregazione sono sempre più limitati, vogliamo usare gli spazi rimasti per confrontarci, dentro e fuori le mura dell’università, a tavola con i nostri coinquilini, nelle pause sigarette tra le lezioni.

Ribadiamo ancora una volta l’esigenza della riapertura immediata delle aule studio al piano -1 nel Dipartimento di Sociologia.
Vogliamo che tutti gli spazi tornino a essere aperti e accessibili, vogliamo una risposta concreta dal Direttore di Dipartimento. Non possiamo accettare che vengano chiusi luoghi fondamentali per il nostro percorso accademico per far posto a fantomatici laboratori che ad oggi risultano inaccessibili.

 

Il CUR

Deflorian chiude tutto!

Il 7 dicembre, nelle nostre caselle di posta, abbiamo ricevuto un videomessaggio del rettore Deflorian sulla chiusura dei dipartimenti e delle maggiori aule studio di Unitn per le festività natalizie, fino al 9 gennaio.

In questi giorni, studenti e studentesse, tornati in città per studiare in vista degli imminenti esami di gennaio, hanno potuto notare tutte le conseguenze di questa assurda decisione, tanto elogiata in quei quattro minuti di video.

Deflorian giustifica la scelta ribadendo quanto la chiusura degli spazi fosse l’unica opzione possibile di fronte all’attuale crisi energetica, soffermandosi sul significato pratico e di risparmio di questa decisione. Il rettore ci spiega come questo sia uno sforzo etico, strategico e necessario da compiere in vista delle possibili future problematiche che porterà questa crisi, il tutto per salvaguardare il portafoglio di UniTN nelle spese che l’ateneo dovrà sostenere e per evitare futuri tagli salariali alla componente tecnico amministrativa.

Decliniamo l’augurio di un sereno Natale in famiglia e ribadiamo il nostro dissenso verso le misure prese in atto.

Non è possibile che durante questo videomessaggio la componente studentesca, quella che veramente subisce gli effetti di questa chiusura, venga completamente marginalizzata e che le problematicità di questa scelta vengano relegate ad un mero “disagio temporaneo”, facendo leva sullo sforzo personale di ognuno in “periodi complicati come questo”.

E’ assurdo come la chiusura dei dipartimenti e delle maggiori aule studio in città, venga fatta passare com

e un mezzo per garantire la futura stabilità degli stipendi del personale e non si badi a come una misura del genere non sia altro una soppressione di un servizio per tuttə coloro che necessitano di spazi di studio e di ricerca.

All’interno di un ateneo di merito ed eccellenza come UniTN è paradossale parlare di garanzia per il diritto agli spazi di studio. Ci interroghiamo inoltre su come una chiusura di quattro giorni possa andare a toccare il portafoglio di un ateneo che continua a ricevere finanziamenti dalla PAT, amministrandoli seguendo le classiche logiche aziendali: tagliare su servizi risparmiabili ed investire su mega-progetti redditizi. Progetti che poco, o nulla, hanno a che fare in m

odo diretto con studenti e studentesse. UniTN infatti, predilige investire in progetti tecnico scientifici che hanno a che fare con il mercato molto redditizio della guerra (come MedOr, Perception Europe, Eledia), piuttosto che garantire il diritto allo studio: ricordiamo ad esempio, che non esiste la possibilità di ottenere un alloggio gratuito se non per merito, e che un pasto in mensa costa più di una margherita in una qualsiasi pizzeria (5€). Oltre ai finanziamenti nostrani, anche quelli nazionali vengono mal investiti. I 7 bandi di dottorato aperti con i fondi del PNRR sono stati tutti assegnati a facoltà scientifiche, certamente più utili ai fini imprenditoriali di Deflorian e compagnia, che possono fruttare nel sopracitato mercato della guerra oppure nella farsa della transizione ecologica. Contemporaneamente all’aumento quantitativo delle borse per lə dottorandə , tramite un complesso sistema di leve e specchi, gli stipendi sono diminuiti di circa 80€ al mese, rendendo ancora più precariə chi decide di proseguire il percorso di studi all’interno dell’accademia. Questa s

celta aggrava ulteriormente le condizioni di un gruppo che veniva già ampiamente sfruttato all’interno dell’università: obbligato a prestare servigi di ogni tipo sotto ricatto, pena l’impossibilità di avere continuità all’interno del mondo accademico.

Ci troviamo quindi di fronte al risultato degli accordi che alcuni anni fà un gruppo di student* avevano inchiestato e a cui si erano oppostə : la provincializzazione dell’ateneo Trentino. Un accordo tra PAT e UniTN, che prevedeva l’allentamento del potere statale sull’ateneo in favore di quello provinciale, rendendo di fatto la seconda schiava della prima, direttamente sottomessa agli investimenti mirati ai grossi ritorni economici tanto cari all’autonomia trentina.

Non ci stupisce inoltre che le rappresentanze sulle loro pagine social non abbiano fatto altro che un post informativo sugli orari di apertura della BUC e non abbiano espresso alcun dissenso per la questione. D’altronde si, sempre dalla stessa parte, quella dei padroni.

Ribadiamo quindi la nostra posizione: questa chiusura è inaccettabile. La BUC è gremita, le prenotazioni sono esaurite da giorni, il clima del clic più rapido sul “prenota posto” caratterizzante della pandemia non ci mancava, anzi ci chiediamo come sia possibile che possa accadere di nuovo. I soldi ci sarebbero caro rettore, basterebbe investirli in modo sensato e destinarli ai fabbisogni studenteschi. Le serrature chiuse di questi giorni non sono altro che un

a privazione di spazi di studio per migliaia di studenti e studentesse ed è inutile riempirsi la bocca con la retorica dello sforzo personale per mettere toppe ai disservizi di questi giorni.

Deflorian apri ste porte. 

Festival della Famiglia a Sociologia: sui fatti del 29/11

Il 28 novembre a Trento è iniziato il Festival della Famiglia che, arrivato all’undicesima edizione, si è contraddistinto, soprattutto negli ultimi anni, come cavallo di troia per il mondo dei pro-vita, o meglio anti-scelta, family day e della destra ultracattolica. Un festival che dietro alla celebrazione delle politiche di incentivo alla natalità, promosse dalla Provincia Autonoma di Trento, ha sempre nascosto – più o meno velatamente – discorsi misogini e contro la comunità LGBTQIA+. Tra questi non possiamo dimenticare la partecipazione dell’ex ministro della famiglia, e attuale presidente della camera Lorenzo Fontana, e del senatore leghista Simone Pillon, la quale è sempre stata duramente contestata dalle realtà di movimento trentine.

 

 

Martedì 29 novembre, il Festival della Famiglia è entrato per la prima volta nell’Università di Trento, nel dipartimento di Sociologia, ospitando – cosa che, purtroppo, non ci sorprende più – esponenti politici e associazioni della destra-cattolica e legate ai movimenti pro-vita.

Appena saputo dell’organizzazione del convegno, moltissimə studentə, ricercatorə e dottorandə di tutta l’università hanno iniziato a organizzarsi spontaneamente per contestarlo con un messaggio chiaro: “Fuori pro-vita, razzisti e sessisti dalle università”.
Così, a seguito di un diffuso e capillare passaparola, un centinaio di studentə si sono riunitə spontaneamente nell’atrio in contemporanea allo svolgimento della conferenza, in modo da poter far sentire la propria voce contro i presupposti sessisti, razzisti, anti abortisti e queer fobici che stanno alla base di questo Festival.

La conferenza di ieri ha portato direttamente all’interno del dipartimento delle dubbie personalità a discutere della “crisi demografica del popolo italiano”, utilizzando strumentalmente la cornice di Sociologia e la presenza della prof. Agnese Vitali – professoressa del dipartimento ed esperta di demografia – per dare una parvenza di scientificità alle idee reazionarie dei 5 relatori . Tra questi ricordiamo lo statistico Roberto Volpi, sostenitore della superiorità della coppia eterosessuale e del concetto di sostituzione etnica, autore del libro “Gli ultimi italiani: come si estingue un popolo”; Alfredo Caltabiano, presidente dell’associazione Famiglie Numerose, sostenitore dell’”italia del terzo figlio”; il giornalista di Famiglia Cristiana, Alberto Laggia, che più volte si è esposto a favore dei movimenti pro-vita. E tra i saluti istituzionali l’Assessora Rosolen e l’Assessora Segnana, pioniere della difesa dei bambini dalla famigerata “teoria gender” e vicine alle idee del family day, con annesso antiabortismo. Quest’ultime, forse per “motivi di ordine pubblico”, non si sono presentate al convegno.

 

Appena ritrovatesi in atrio interno, a pochi passi dall’aula della conferenza, lə studentə si sono espressə con interventi contrari alle idee promosse dal festival, sviscerando le retoriche intrinsecamente retrograde e violente di concetti come quello di famiglia tradizionale o di crisi demografica del “popolo italiano”. I diversi interventi hanno decostruito i diversi aspetti di questo tipo di retoriche, così come la necessità di rompere i modelli cis-etero-patriarcali che stanno alla base del concetto di famiglia (al singolare) tradizionale.

 

L’organizzazione della conferenza all’interno del dipartimento dimostra ancora una volta l’inferenza della Provincia a trazione leghista all’interno dell’Ateneo trentino, minando la supposta indipendenza che questo dovrebbe avere. Ma non ci sorprende che le mani di chi risiede nel palazzo di piazza Dante arrivino dove vogliono. Follow the money. Ricordiamo inoltre come l’assessora leghista Segnana si sia sempre contraddistinta nel promulgare le sue illuminanti posizioni: come l’opposizione alla presunta Teoria Gender che indottrina i poveri pargoli trentini, oppure l’abolizione per sua mano dei corsi all’educazione all’identità di genere nelle scuole, così come il suo coinvolgimento e sostegno al mondo antiabortista ultracattolico.

L’organizzazione del convegno da parte della PAT a sociologia fa ancora più sorridere per il fatto che sia stato organizzato pochi giorni dopo la conferenza Gender R-evolution, che ha visto centinaia di ricercatorə e attivistə confluire a sociologia e che ha generato tanta indignazione dagli amici di lunga data della Lega, con la paranoica “protesta” (non sappiamo nemmeno come definirla) di Casapound. La PAT e il rettorato, hanno così calpestato la dignità e il lavoro dellə moltə ricercatorə  che si impegnano quotidianamente per combattere questo tipo di idee tossiche, presenti nel mondo politico come nell’accademia.
Inoltre si è sottolineato come il festival della famiglia sia stato patrocinato dall’ordine degli assistenti sociali trentini, a dimostrazione della “neutralità” del suddetto ordine.

Gli interventi sono continuati decostruendo la narrazione della crisi demografica fatta propria dal festival. Infatti, come dimostrano i lavori del relatore Roberto Volpi, tutta la conferenza si è basata su dei presupposti razzisti e paranoici riguardo la presunta scomparsa del “popolo italiano”. Questo si traduce in una propaganda nazionalista e anti-migratoria, nonchè in un confinamento delle donne al ruolo di madri gestanti e nell’oggettificazione del loro corpo come sforna figli per la nazione. Questa narrazione sulla crisi demografica nasconde dietro di sè le problematiche più ampie e profonde di questa situazione, come le disuguaglianze economiche e di genere (vedi gender gap, generation gap), come l’assenza di un vero sistema di welfare, non solo per le famiglie, ma per tutte le persone impoverite da 40 anni di politiche classiste liberali.
L’elefante nella stanza, mai citato nel corso della conferenza, è quello della crisi ecologica e climatica, la cui causa risiede proprio nell’idea di crescita continua, economica, produttiva, e infine anche demografica, in quanto il capitalismo vede i corpi delle donne come fonte ri-produttiva di forza lavoro.

Interessante far notare come nel corso della protesta abbiamo riscontrato la solidarietà, sia dellə lavoratorə dell’università (docenti, dottorandə, personale di segreteria) sia di chi lavorava ai banchetti della conferenza, mostrando ancora più fortemente come la PAT e il Rettorato, imponendo questo evento, abbiano calpestato il pensiero e la pubblica decenza dei più.

Nel corso della protesta le lavoratrici dei banchetti hanno abbandonato le loro postazioni, lasciando i gadget della conferenza a nostra completa disposizione. Così la copia di famiglia cristiana, le borse di tela del festival, gli opuscoli della PAT, da mero materiale di propaganda sono divenuti oggetti a disposizione della creatività dei più: fogli su cui disegnare, aeroplanini di carta, coriandoli, palle da lanciare, in un meraviglioso momento di liberazione creatrice.

 

Se inizialmente la porta dell’aula kessler era stata chiusa per non permettere l’entrata allə contestatorə, successivamente è arrivato l’invito dei relatori del convegno a farci parlare dentro l’aula, cosa che è accaduta verso la fine della conferenza, dove alcunə  (non tuttə se la son sentita di sentire le baggianate dei relatori né di legittimare la loro presenza) sono entratə – riempiendo lì sì, effettivamente, l’aula – per fare un intervento al microfono.

Il nostro intervento ha riscosso molto successo tra la platea, nonostante ancora prima che avessimo la possibilità di parlare siamo statə interrottə più volte dai relatori. Tra questi c’è stato chi mentre parlavamo leggeva il giornale per poi andarsene subito dopo, chi, messo davanti a posizioni espresse in passato, ha negato tenacemente le proprie posizioni (quando basta una veloce ricerca su internet per capire le idee di questa gente) e chi si è infervorato di rabbia blaterando e urlando frasi senza senso logico.

Martedì eravamo marea. Non ci fermeremo finchè la nostra Università sarà veramente uno spazio di sapere critico e libero, in cui creare spazi di rottura e non il contenitore per la promulgazione di idee e dello status quo; finchè la promozione di studi di genere e politiche di inclusione smetterà di essere una bella copertina, sotto cui celare la vera natura reazionaria dell’Ateneo. Martedì si è dato un segnale forte a chi pensa che lə studentə accettino passivamente che la loro università diventi una passere   lla per leghisti, ultracattolici, razzisti, pro-vita e fascisti di ogni genere.

 

Doveva essere una triste conferenza, l’abbiamo trasformata in un’insurrezione gioiosa.

 

Collettivo Universitario Refresh

 

 

Il triangolo no, non l’avevamo considerato: Ianeselli-Sciortino-Baldo

Giovedì 7 aprile sulla testata del Corriere del Trentino è stato riportato un articolo di Donatello Baldo che tenta infruttuosamente di ricostruire i fatti della mattinata del 5 aprile, giorno in cui, presso il dipartimento di Sociologia, si sono tenuti un presidio e una contro-lezione riguardo la presenza del sindaco Ianeselli e della sua propaganda in università. Infatti, il signor sindaco, invitato dal prof. Brunazzo – e non Brunello, caro Baldo – avrebbe dovuto tenere una lezione che elogiasse lo strumento del dibattito pubblico e dei processi decisionali democratici sul progetto della circonvallazione ferroviaria che interesserà la città di Trento. Tuttavia, come ci è stato confermato dall* student* che hanno partecipato alla “lezione” e dalle registrazioni, si è rivelato un becero tentativo di propagandare nuovamente l’opera della circonvallazione presentandola come la panacea di tutti i problemi della città di Trento, e lasciando addirittura dei voltantini a supporto della Grande Opera di RFI.

Alle parole del direttore di Dipartimento Sciortino, che dalla sua finestra – in realtà affacciata sul lato opposto dell’edificio – avrebbe contato solo ventuno persone di cui ben pochi iscritt* all’università, ribadiamo invece una forte e vocale presenza, in particolar modo di student* che sono stati il cuore di questa contro-lezione. Troviamo anche quantomeno ironico che un dipartimento che si vanta così tanto di essere stato al centro dei movimenti del ’68 riempiendo gli spazi universitari con frasi iconiche di questo periodo – vedi aule studio, panchine, ecc – allo stesso tempo gioisca della riduzione ai minimi termini del movimento studentesco e faccia di tutto per eliminare e contrastare quel poco di attività politica che resiste al suo interno. Infatti, puntuale, ritorna lo spettro di Biloslavo sempre usato come strumento per delegittimare il nostro collettivo ancora a 3 anni di distanza, nonostante ormai in università non sia rimasto praticamente nessun* dell* student* presenti quel giorno. Il caro direttore Sciortino afferma anche di essere stato presente alla “lezione” di Brunazzo e Ianeselli, peccatto che a pochi minuti dall’inizio del presidio sia stato visto uscire dalla porta principale dell’edificio e abbia fatto ritorno in facoltà solo alle 11 quando la “lezione” era ormai conclusa e noi ci preparavamo per spostarci nel cortile posteriore. Fatto nuovamente confermato dall* student* che hanno partecipato alla “lezione”, riportando che Sciortino è stato in aula i primi dieci minuti e all’arrivo del Sindaco è uscito accennando ad un impegno. Brunazzo e Sciortino non sono nemmeno riusciti a mettersi d’accordo prima di esporsi sulla “lezione”: secondo il direttore infatti la lezione non era aperta a tutt*, mentre Brunazzo ha sostenuto fino al giorno prima che la lezione sarebbe stata riservata all* student* del corso, salvo poi scoprire convenientemente la mattina stessa che in realtà sarebbe stata pubblica e accessibile all* student*, come ci ha riferito lui stesso al termine della lezione (LOL). Questo è lo stesso direttore di dipartimento che qualche mese fa si oppenva alla concessione di un aula per una conferenza organizzata dall* student* utilizzando tra le varie scuse quella dell’assenza di una controparte, esattamente quello che è accaduto martedì e che sta difendendo a spada tratta.

Un’altra critica che ci preme sollevare riguarda le parole di Edoardo Giudici, che esprime solidarietà al sindaco a nome di tutta la comunità studentesca arrogandosi a portavoce della totalità dell* student*, che rappresenta ma non ascolta, e rinforzando ancora l’idea che la “lezione” non avesse lo scopo propagandistico che in realtà ha avuto, come conferma invece la registrazione della lezione che abbiamo potuto ascoltare.

Chiudiamo dicendo che non ci faremo intimorire dalle parole di Sciortino e che non abbiamo paura della repressione che molto probabilmente scatenerà nei nostri confronti (non che non lo facesse già). L’università è uno spazio pubblico, nonostante la pandemia abbia provato a farci dimenticare questo particolare, e abbiamo ogni diritto di incontrarci, auto-organizzarci e manifestare il nostro dissenso.

CUR

 

COMUNICATO SUI FATTI DI MARTEDI’ 5 APRILE

Martedì 5 Aprile il sindaco Ianeselli è stato invitato a tenere una lezione a Sociologia dal professor Brunazzo, per elogiare la buona riuscita del dibattito pubblico sul progetto di circonvallazione ferroviaria che interesserà la città di Trento. A questa lezione è stata proibita la partecipazione a tutta la popolazione salvo all* student* regolarmente iscritti al corso, per questo come Collettivo Universitario abbiamo deciso di indire un presidio esterno alla facoltà e una contro-lezione aperta sia all* student* che hanno partecipato alla “lezione” del sindaco, sia a chiunque fosse interessato a discutere del dibattito pubblico che ha confermato un progetto sempre più criticato dalla popolazione trentina, come dimostrato dall’importante partecipazione al corteo cittadino del 2 Aprile. Per fare ciò abbiamo chiesto aiuto ad alun* membr* del Comitato NOTAV, che hanno seguito tutte le fasi del dibattito da vicino portandone alla luce le varie criticità e smascherando l’uso strumentale del dibattito pubblico che Comune e RFI hanno portato avanti.

Ma andiamo con ordine: il presidio è stato molto partecipato (nonostante i giornali locali che si sono occupati della questione si siano tenuti ben lontani da accennarlo). Al termine della “lezione” del sindaco ci siamo spostati nel cortile posteriore della sede di via Verdi per iniziare la contro-lezione. Quest’ultima è stata addirittura più partecipata del presidio esterno: siamo stat* raggiunt* da una decina di student* che poco prima avevano assistito al monologo di Ianeselli, costretti dall’obbligo di frequenza e da un trentina di student* interessati al tema. Di fatto abbiamo attirato più persone di quelle che hanno ascoltato la propaganda Ianeselliana all’interno. Durante la contro-lezione sono state esposte varie criticità sul dibattito pubblico di Trento che potete trovare qui.
E’ stato sottolineato come lo strumento del dibattito pubblico non sia stato utilizzato in modo adeguato, in quanto non prevedeva nessuna modifica sostanziale al progetto calato dall’alto da RFI (la cui documentazione è stata tenuta nascosta alla popolazione per mesi), né -figuriamoci- la possibilità dell’opzione zero, date le enormi criticità irrisolte dell’opera. Inoltre ci è stato riportato dall* student* cosa è realmente accaduto all’interno dell’aula, ed è su quest’ultima parte vorremo soffermarci maggiormente.
I giornali locali parlano del sindaco, che dopo aver affrontato un dibattito con l* student* sull’utilizzo di questo strumento, si è ritrovato contestato senza motivo all’esterno della facoltà. Questa narrazione contrasta però con quella di chi dentro quell’aula c’era. Infatti, dopo una breve introduzione da parte di Pillon, collegato da remoto in quanto coordinatore del dibattito pubblico, in cui veniva esposta la relazione finale sul caso di Trento, l* student* hanno assistito ad un ora e mezza di propaganda sull’opera. Chi se lo sarebbe mai aspettato dal buon Franco, un sindaco così “attento” al dialogo con la popolazione?

Bhe…. noi che da giorni avevamo qualche dubbio che dietro l’incontro informativo si sarebbe celata una becera propaganda senza contradditorio. Nel periodo che ha separato il presidio dalla contro-lezione abbiamo avuto il piacere di incontrare il one-man-show della mattinata, che non appena ha fatto capolino dalla porta sul retro, tentando di evitare ancora una volta il confronto, è stato incalzato da alcun* nostr* compagn* che l’hanno subito invitato alla contro-lezione e hanno posto varie domande sia a lui che al Professor Brunazzo riguardo all’uscita di tema della lezione e all’esclusione di tutta la componente studentesca dal dibattito. I due compagni di merende hanno sviato le domande più critiche e declinato l’invito: e qui di nuovo la bassezza dei giornali locali, per altro non presenti all’evento, che riportano di una presunta proposta di rinvio dell’incontro da parte del sindaco, mai esistita. In realtà, al sindaco è stato proposto da noi di trovare un’altro momento in cui si potesse discutere della questione, ma ci è stato risposto senza mezzi termini “…con la gente come voi è inutile parlare”. Questa frase ci ha colpit* molto, e sottolinea ancora una volta che Ianeselli non ha nessuna intenzione di dialogare con l* cittadin* riguardo a quest’opera, l’unico obiettivo che si pone è quello di smantellare il fronte che si oppone alla circonvallazione e convincere il resto della popolazione che questo meta-progetto si farà e porterà solo dei benefici. D’altra parte cosa potevamo aspettarci da un istituzione che durante il dibattito pubblico non sedeva tra la popolazione, o quanto meno in zona neutrale, ma stava sul palco a fianco di RFI per dare un netto segnale che il dialogo era già chiuso e che il progetto in ogni modo si sarebbe fatto?

Ci fa ribrezzo che i quotidiani si siano lanciati sulla questione senza essere presenti e, di conseguenza, riportando i fatti in modo confuso, estremamente di parte e scrivendo varie falsità sulla mattina di ieri (ad esempio che i fatti si sarebbero svolti in atrio, alle 18 invece che alle 11 di mattina e accusandoci di aver “ironizzato sull’evento tramite le nostre pagine social”, su quest’ultimo vi sfidiamo a trovarne prova). Ci piacerebbe capire come mai vari* giornalist* sono riuscit* a ricostruire così male quanto accaduto, forse perchè nessun* di loro era presente e che quindi sono stat* invitat* da Ianeselli a scrivere articoli portando la sua versione dei fatti ancora una volta vittimistica e priva di responsabilità politiche?! Probabilmente si, perchè sarebbe stato troppo per il sindaco ammettere di essere stato contestato, ancora un volta, da più di 100 persone all’uscita della facoltà.

Secondo noi anche questa è violenza, come è violenza militarizzare il paese di Mattarello (o qualsiasi zona dove vengano posizionate delle trivelle), è violenza far continuamente sentire la pressione delle forze dell’ordine e della DIGOS a qualsiasi evento organizzato per contestare l’opera, è violenza sventrare un territorio senza informare la popolazione sui rischi idrogeologici, sulla perdita irreversibile di fonti d’acqua, sulla mancata bonifica dell’area del cantiere dell’ex-sloi. E’ violenza calare l’opera dall’alto come è stato fatto fin dal principio. E’ una violenza diversa certo, meno tangibile, ma fare questo senza informare la popolazione in modo adeguato e senza lasciare che si esprima rimane una forma di violenza che arriva direttamente dalle istituzioni. Ci sentiamo di concludere dicendo che uno sputo a confronto di decine di famiglie lasciate per strada e un territorio devastato per sempre in favore del guadagno di pochi è poca cosa, e il nostro sindaco se ne dovrebbe fare una ragione.