SULL’IPOCRISIA DELL’UNIVERSITÀ DI TRENTO!

Di seguito uno degli interventi che, come Collettivo Universitario Refresh, abbiamo fatto ieri, 29 maggio, fuori dal Rettorato in occasione di un presidio antifascista chiamato in seguito ai fatti di Azione Universitaria spiegati nell’articolo precedente.

Siamo qui oggi perché pretendiamo che tutti coloro che stanno ai servigi dell’istituzione baronale che è l’università si esprimano e lo facciano senza pararsi il culo con qualche frasetta buttata lì per ripulirsi la faccia!

Com’è possibile fare finta di cadere dalle nuvole e dichiararsi sconcertati nell’apprendere che nei gruppi di Azione Universitaria si possano leggere messaggi che inneggiano al fascismo e insulti omofobi e razzisti? Noi non crediamo a questa falsa ingenuità e non accettiamo che sia stato necessario un articolo di giornale per tirare fuori la testa dalla sabbia!

Sapevamo già tutte che AU fosse un’associazione fascista e che fosse immanicata con Fratelli d’Italia. Lo sapevate anche voi! Non è difficile unire i puntini rispetto alla continuità con il FUAN, ma questo esercizio di competenze interdisciplinari sembra essere troppo difficile…

Lo sapeva anche lei, magnifico rettore. Eppure, chissà perché, ha deciso di fare finta di niente, anche quando molte studentesse ve l’hanno fatto notare lo scorso 15 novembre. Infatti, quando il 15 e il 18 novembre varie studentesse hanno denunciato la possibilità che Azione Universitaria potesse entrare in università per portare avanti la sua propaganda fascista e hanno bloccato queste persone dall’entrare a Sociologia, lei, sua magnifica rettrice, ha condannato quell’azione come azione squadrista. Lei si è nascosta dietro la scusa della ‘libertà di parola’ e ha deliberatamente scelto di lasciare spazio a un’associazione fascista, e quindi a dei fascisti. Ha deciso di difenderli, di schierarsi dalla loro parte!
E lo sta ancora facendo. Sa perché? Perché è miope da parte sua parlare di poche mele marce, e noi non pensiamo che lei sia miope.

Nella sua ipocrisia però lei è bravo a sguazzarci. Lo abbiamo visto più volte destreggiarsi in questa sua arte, in primis sulla questione palestinese, e anche in questo caso non è da meno: mercoledì 28 maggio ha deciso di uscire con un articolo in cui in maniera imbarazzante prova a mostrarsi scosso da quanto accaduto e dichiara che si augura che AU prenda dei provvedimenti nei confronti di questi singoli, quando il problema non è dei singoli, dei casi isolati, ma è insito negli ideali e nell’associazione stessa!

Serviva un articolo per smettere di far finta di niente? Ora la maschera è caduta, ma è caduta per tutte, e deve essere presa una posizione netta che non serva solo a ripulirsi la faccia!

Ci viene spontaneo chiederci come mai questo articolo sia uscito proprio in questi giorni nonostante le chat risalgano al 2024. Tutto questo polverone esce proprio ora dopo le elezioni del CNSU e dopo le elezioni comunali che hanno visto in lista molti dei soggetti coinvolti.
Non crediamo che sia una strana coincidenza anche che tutto questo fuoriesca proprio ora, quando la vicepresidente della PAT Gerosa, sta venendo messa alle strette da Fugatti e sta, con ogni probabilità, per essere espulsa dal suo ruolo. La stessa Gerosa non è affatto estranea a tutta questa faccenda dato che viene fotografata il 10 febbraio con tutti i paggetti di AU, durante una manifestazione fascista in onore del giorno del ricordo.

Siamo stanche di questo antifascismo istituzionale e neoliberale che si attiva come funghi solo di fronte allo scandalo. Siamo qua a ribadire che un antifascismo di facciata come quello che sta emergendo in questi giorni da parte di molti, anche da parte di chi per anni ha sostenuto la libertà di espressione arrivando a invitare i fascisti in università, ha come solo scopo quello di proteggere lo Stato e le sue istituzioni, e cerca di far passare il fascismo come un qualcosa di extraordinario, lontano dalla quotidianità e come qualcosa di vecchio e passato e che i soggetti in questione sono casi isolati. Noi sappiamo bene che le cose non sono così!
Un antifascismo di questo tipo è funzionale agli stessi fascisti ed edulcora la memoria pacificando e distorcendo quella che è la storia e quello che è l’oggi!

L’antifascismo è una forma di lotta che si scontra contro tutte le forme di repressione, anche in maniera conflittuale, e che porta avanti un processo rivoluzionario.

Ci teniamo a ribadire ancora una volta, e finché non accadrà:
FUORI I FASCISTI DALL’UNIVERSITÀ!

UNO RIVENDICA SALÒ, L’ALTRA PIANGE ALLA ZANZARA. DE FLORIAN VI ACCOGLIE, MA IL VOSTRO POSTO SONO LE FOGNE!

28 maggio 2025 – Collettivo Universitario Refresh

Martedì 27 maggio 2025 il T-quotidiano pubblica un articolo su alcuni membri di Azione Universitaria (AU). Per chi non lo sapesse, Azione Universitaria è un’associazione studentesca di destra appartenente al movimento studentesco di Fratelli d’Italia. È erede del FUAN (da cui sono nati i NAR, Nuclei Armati Rivoluzionari), ossia la sezione universitaria del MSI (Movimento Sociale Italiano, partito d’ispirazione fascista). Basta fare una veloce ricerca per scoprire che AU è il bacino da cui Fratelli d’Italia attinge per i nuovi volti del partito. Davanti al grande pubblico si dichiarano falsamente come associazione apartitica e rinnegano le loro origini fasciste, ma nel privato non hanno problemi a rivendicare quei legami e quelle idee che tanto nascondono. Non stupisce il fatto che nelle loro chat scrivano “Noi affondiamo le radici nella repubblica di Salò”, che fossero fascisti lo sapevamo già. 

Queste non sono supposizioni, ma loro stesse parole “Ragazzi so che è difficile, non cediamo alle provocazioni, vi ricordo che abbiamo gli occhi del rettore e di molti altri puntati addosso perché cercano in tutti i modi di farci fare dichiarazioni scomode per ricondurci come movimento a Fdl (Fratelli d’Italia) e sbatterci fuori dall’università. Ovvio che noi siamo legati a GN (Gioventù Nazionale giovanile di Fdl), ovvio che la pensiamo come loro, ovvio che loro sono nostri fratelli. Ma in questo momento testa bassa e non dobbiamo porgere il fianco”.

Di aiuti e spinte politiche ne hanno avute molte, e i contatti a loro non mancano: “Ho chiamato la digos […] se succede qualcosa intervengono loro” oppure i loro agganci politici: “al rettore ci penserà il ministero dell’università”. Per fortuna che era un’associazione apartitica con i giusti ideali. Ma le finzioni non finiscono qui: sapevamo che una contronarrazione del 15 novembre era difficile da fare, d’altronde i mezzi mediatici e politici sono dalla loro parte. Ma la resistenza rimane viva anche in momenti di sconforto. Ad un picchetto che voleva  respingere il fascismo dall’università, loro rispondevano con le interviste di Barone (presidente di Gioventù Nazionale) e con l’intervento del rettore sollecitato da Urzì (deputato FdI). Le magnificenze universitarie hanno steso loro il tappeto rosso, ascoltato i loro piagnistei e minacciato e urlato contro l3 student3 antifascist3, e hanno permesso alla digos di entrare in università per comporre un bellissimo album fotografico di tutt3 l3 student3 presenti consentendo a due blindati della polizia di schierarsi fuori dall’università per intimidirci. Il fascismo è la negazione di tutte le libertà e da questo paese non se n’è mai andato. Continua ad esistere nelle idee, nelle politiche e nei media che sono in grado di portare avanti solo una retorica complice di uno stato che indossa la camicia nera e che si appella alla vacuità del fascismo degli antifascisti. 

Accettare la presenza di associazioni con un passato fascista e quindi di persone fasciste significa assecondare le sue infiltrazioni culturali nella nostra società. Dunque, autorizzare un loro banchetto per fare propaganda elettorale in università perché “c’è la libertà di parola e tutti devono poter parlare” è inconcepibile. È questo il frutto della retorica liberale, che sotto la maschera della difesa della libertà di espressione, ha consentito alle idee fasciste di radicarsi nel dibattito pubblico, contribuendo alla lacerazione della politica e alla fascistizzazione dello Stato. Per far fronte a un fascismo istituzionale diffuso, che si sta incorporando nel senso comune, abbiamo bisogno di organizzarci per rispondere e rivendicare chiaramente che noi con i fascisti  non ci parliamo e non ci vogliamo parlare, che i fascisti in università non li vogliamo: i fascisti vanno condannati. 

Ringraziamo la loro capacità di essere incoerenti e conigli: il primo passo per pulire sotto il tappeto è toglierlo, e la maschera è stata tolta.

Ringraziamo infine chi sotto la bandiera antifascista c’è sempre stato e ci sarà, chi c’era il 15 ed il 18 novembre, chi non ha avuto paura e chi non ha paura di resistere. 

Uno sguardo di pietà a chi condanna oggi e ieri chiamava Biloslavo in università.

ORA E SEMPRE: VIVA LA RESISTENZA ANTIFASCISTA!    

NO DDL BERNINI! BASTA PRECARIATO!

INTERVENTO AL CORTEO PRECARIO – 12 MAGGIO 2025


Come Collettivo Universitario Refresh è per noi fondamentale essere qua oggi a fianco dell’Assemblea Precaria Universitaria di Trento

I mutamenti che si sono susseguiti all’interno del mondo accademico negli ultimi 25 anni non sembrano essere terminati. Non sono terminati e non termineranno perché il contesto formativo è un elemento integrato e centralissimo all’interno del sistema capitalistico contemporaneo e i suoi cambiamenti devono essere letti e interpretati in relazione alle esigenze dell’industria della cultura e della conoscenza. 

Questo ddl Bernini non è nient’altro che l’ennesima riforma volta alla strutturazione di nuove soggettività e figure di ricerca da cui il capitale può estrarre sempre più valore. 

Il ddl Bernini si prefigura come la prima di tutta una serie di modifiche che andranno a mutare radicalmente l’assetto strutturale di funzionamento dell’università, e non solo. Con questa prima riforma saranno colpit3 l3 lavoratr3 precari3 che portano avanti la didattica e la ricerca nell’accademia, che, nella loro posizione, non possono nemmeno vantare un riconoscimento della loro mansione e funzione nel momento in cui non esiste un contratto che regoli e tuteli la loro condizione. 

La riforma Bernini, nei tagli e nella proposta di queste nuove figure di ricerca sempre più precarie, non è altro che il riflesso del processo di ristrutturazione della forma di organizzazione del lavoro a cui stiamo assistendo più in generale. L’esito è la creazione di una classe lavoratrice segmentata, docile e adattabile perché strutturalmente precarizzata dai contratti a breve termine, con zero garanzie di rinnovo, intrinsecamente instabili e mediati dal ricatto di una ricerca marcia. La flessibilità diventa la parola d’ordine del giorno, una flessibilità che è però unilaterale: è l3 lavorator3 che deve flettersi, piegarsi, fluidificarsi, adattarsi, configurarsi in forme compatibili con le esigenze che gli vengono rivolte in un circuito di costante incertezza. C’è un comune denominatore tra questi dispositivi: la paura. Paura di perdere il posto di lavoro e quindi il salario, paura di difendere i propri diritti calpestati, paura di associarsi e di uscire dalla solitudine.

Per di più questa precarizzazione e frammentazione delle figure di ricerca impatta notevolmente anche sull3 student3. Infatti, già prima della laurea ci si interfaccia con progetti e tirocini non pagati e finanziati da aziende che sfruttano il nostro sapere per trarre profitto. Le aspettative sono sempre più decrescenti: c’è estrema incertezza sul proprio futuro e si è sempre meno invogliati a proseguire nell’ambito della ricerca perché il proprio lavoro non viene riconosciuto, né in termini materiali che immateriali. 

La performatività che si deve tenere quando si lavora in accademia non permette di compiere dei lavori qualitativamente appaganti: mentre si scrive un articolo si pensa già a quello successivo. In più, in molti casi, il proprio ruolo finisce per essere quello di schiavə dellə professorə di riferimento che delega al proprio subordinato tutti quei lavori che non ha voglia di fare, come seguire le tesi dell3 laureand3 o tenere determinati corsi. 

Per tutti questi motivi siamo scese in piazza oggi. Perché per garantire un’università libera, pubblica e critica è necessaria un’organizzazione e una legislazione che riconosca le persone che lavorano nel mondo accademico come lavoratr3. Vogliamo una ricerca qualitativamente rilevante, che si distacchi dalla logica produttiva che la permea. Vogliamo pensare che se mai volessimo fare ricerca avremmo un contratto, la malattia, le ferie, la tredicesima… Vogliamo anche pensare di raggiungere una stabilità che ci permetta di essere prima di tutto delle persone, non pezzi di un puzzle da incastrare a piacimento nel mondo del lavoro. Vogliamo dei contratti a tempo indeterminato che garantiscano diritti e tutele. 

No ddl bernini! Basta precariato!

8 MARZO. NEANCHE L’UNIVERSITÀ SI SALVA!

Collettivo Universitario Refresh – CUR                                                8 MARZO 2025

Oggi 8 marzo student3 e lavorato3 che si occupano di lavoro produttivo, riproduttivo o, nella maggior parte dei casi, di entrambi, scioperano.

Lo sciopero è fondamentale anche per l3 student3 perché anche il mondo accademico necessita di essere messo in critica e decostruito pezzo dopo pezzo. All’interno di un sistema capitalista come il nostro, che monetizza il sapere e fa dell’università un’azienda produttiva di titoli di studio, la corsa all’accaparramento di lauree, master e premi viene ulteriormente ostacolata da una struttura che si basa su profonde disparità di genere. ll tema scuola e formazione, infatti, non può e non deve interessare soltanto chi quei contesti li vive e li attraversa quotidianamente, ma deve diventare dominio di tutt3 perché riguarda il futuro e la possibilità di un mondo rivoluzionario per tutt3. Partire da scuole e università, dai centri e dalle periferie, significa dare libero spazio a un discorso critico che possa promuovere un orizzonte alternativo.

La maggior parte delle figure adite all’insegnamento e alla presidenza dei dipartimenti in università è costituita da uomini etero e cis, mentre l’insegnamento fino alle scuole superiori è affidato quasi sempre a maestre e professoresse: questo perchè si considera la scuola dell’obbligo come formatrice di saperi di base, di cultura bassa e standardizzata, un luogo dove è anche alto il carico di lavoro di cura; l’università invece è elitaria, è il luogo dell’innovazione, della ricerca e del pensiero critico e tutto questo nella nostra società è, paradossalmente, prerogativa di uomini vecchi.

Eppure, le statistiche ci dicono che in ambito accademico a eccellere sono le soggettività non maschie, come si spiega questa incongruenza tra risultati accademici e il difficoltoso raggiungimento di posizioni prestigiose? 

Ciò è evidente con la regolare e intermittente emersione di figure di donne ultra-qualificate (le cosiddette eccellenze) che paiono ogni volta sopire fino ad azzerare il dibattito circa la generale scarsa rappresentatività del genere non-maschio all’interno sia della sfera politica istituzionale che lavorativa: un magro contentino ai ruoli talvolta anche apicali quando la vera maggioranza della restante compagine è nelle mani di uomini molto spesso non trasfemministi, molto spesso mediocri. Queste “eccellenze” non maschie, però, riproducono modelli patriarcali e capitalisti, oltre a perpetuare atteggiamenti machisti per riuscire a raggiungere, e poi a mantenere, un determinato ruolo all’interno dell’accademia, così come in qualsiasi altro settore. Sono quindi costrett3 a sfondare il cosiddetto tetto di cristallo che prova in tutti i modi a impedire alle soggettività non maschie di accedere ai “piani alti”. All’interno del mondo accademico le persone che si impegnano per portare avanti degli studi critici, e quindi politici, decoloniali e relativi ai gender studies devono affrontare un percorso molto più lungo e difficile per diventare professor3 associat3.  A noi non interessano i bilanci di genere, vogliamo un’università transfemminista e anticapitalista che si distacchi dalla triade merito-vergogna-disciplina, tanto cara al Ministro Valditara. Vogliamo un sapere libero dalla violenza patriarcale, dal razzismo, dall’abilismo e dal classismo. Vogliamo una scuola laica, pubblica e gratuita che sia davvero per tutt3. 

Forse certi atenei questa esigenza l’hanno sentita, ed ecco che nascono corsi che fanno credere di essere legati ai gender o queer studies e invece si scopre dopo 15 minuti di lezione di ritrovarsi ad ascoltare banalità superficiali che non lasciano spazio a nessuna riflessione critica, più politicizzata e radicale. Appellarsi a un universale apoliticità dei saperi e della scienza è insensato e controproducente. Determinati argomenti, come i gender e queer studies, nascono come strumento di lotta di comunità da sempre marginalizzate dal discorso accademico, e strumenti di lotta devono restare! Questi corsi teneteveli per voi, noi non li vogliamo se non intrisi di radicalità, di critica, se non portati avanti da chi sa uscire dalle mura delle facoltà e scontrarsi ogni giorno con una realtà opprimente e discriminante pur di portare avanti la nostra lotta.

Vorremmo approfittare però di questo momento per portare l’attenzione sulla figura della consigliera di fiducia, figura che ha il compito di sostenere le persone che vivono episodi di mobbing, straining, molestie morali o sessuali e discriminazioni dirette e indirette. Cogliamo l’occasione per parlarne perché vergognosamente l’università ha fatto ben poco per pubblicizzare questo servizio, nonostante student3 vivano tutti i giorni situazioni come commenti da parte di professori, differenti trattamenti agli esami o addirittura dover seguire un corso con un professore che è stato espulso dalle università americane in seguito a episodi di violenza nei confronti di una studentessa. Nonostante ciò, ci teniamo a sottolineare che non siamo vittime e che una figura come questa non è una soluzione: l’unica soluzione è la rottura di questo sistema accademico, specchio dell’ingabbiante sistema in cui viviamo tutti i giorni. 

L’università porta avanti un’ideologia capitalista, classista, abilista, patriarcale e razzista, ma pensa di pulirsi la coscienza con delle panchine rosse, attuando del vero e proprio pink washing. L’università si appropria del pensiero di persone che l’avrebbero contestata e criticata, pensando che basti dare un contentino per placare gli animi delle persone che subiscono violenza all’interno dell’università e che criticano il modello che essa propone. Sulla panchina rossa davanti alla facoltà di Lettere e Filosofia è scritta una frase di Audre Lorde, militante femminista e radicale che lottava contro il patriarcato e il razzismo. Come si può pensare che sia giusto appropriarsi di ciò che ha detto e scritto una persona che si poneva totalmente contro il pensiero che l’università odierna vuole diffondere?!

Il transfemminismo è una pratica e visione del mondo in grado di ribaltare completamente l’approccio escludente della scuola e dell’università di oggi perché mette al centro la persona, le relazioni, i corpi, una visione antiautoritaria della società. Inoltre, grazie alle pratiche che abbiamo costruito e costruiamo, possiamo creare delle comunità che siano in grado di dare forma a un cambiamento radicale del contesto scolastico e formativo. 

Sentiamo forte la responsabilità di aprire un dibattito sulla formazione, costruito dal basso, attraverso le voci e i bisogni di chi fa formazione e vive la scuola e l’università ogni giorno perché, per citare Audre Lorde, “The master’s tools will never dismantle the master’s house”!

Non c’è più spazio!

Collettivo Universitario Refresh – CUR                                           21 OTTOBRE 2024

Con l’inizio dell’anno accademico qualcosa è cambiato. Chi frequenta il Dipartimento di Sociologia si sarà sicuramente accorto di alcuni mutamenti: ben tre aule studio del piano -1 sono state chiuse, portando così a dimezzare gli spazi di studio e aggregazione. Questa scelta del dipartimento deve essere letta all’interno di un processo più ampio e deve portare a interrogarsi sulla modalità di attraversamento dei luoghi universitari. La costruzione e le norme che regolano uno spazio riflettono la modalità con cui si vuole che tale luogo venga vissuto. [ ] Quello che è successo all’interno del nostro dipartimento non può passare inosservato, bensì sentiamo l’esigenza di attuare un’analisi collettiva, per poterlo comprendere al meglio. Per questo motivo, la scorsa settimana è stata organizzata un’assemblea per confrontarci su quanto accaduto, con l’obiettivo di indagare possibili modalità per limitare e contrapporsi ai processi in atto. Questo presidio mangereccio vuole essere una prima manifestazione di dissenso all’avanzamento della chiusura degli spazi. Questo pranzo davanti all’ufficio del Direttore di Dipartimento, vuole essere tanto un momento di conflitto quanto un momento di scambio e confronto tra noi studenti. Il dialogo su ciò che ci circonda deve essere approfondito tra tutti noi. Negli scorsi giorni ci siamo dotati di un questionario per inchiestare la percezione e le abitudini di chi attraversa gli spazi universitari. Attraverso questo strumento volevamo iniziare a capire se questo modus operandi di chiusura fosse diffuso solo a Sociologia o se si riscontrano problematiche simili anche in altri Dipartimenti.

Per quanto riguarda Sociologia:
Il risultato delle 100 risposte registrate non lascia spazio a interpretazioni: più del 90% di chi ha risposto ritiene che gli spazi all’interno del Dipartimento non siano sufficienti. Tante persone si ritrovano a dover mangiare per terra nei corridoi o, peggio ancora, a tornare a casa per la mancanza di spazi. Molte per i lavori di gruppo si affidano a case di compagni di corso, alcuni si recano al bar, altri ancora utilizzano piattaforme online come Zoom. Inoltre, in molti hanno annotato come l’aula archeologica, l’unica aula studio che può accogliere più di 20 persone, nelle ultime settimane risulti stracolma e che la chiusura al sabato del dipartimento ha condotto ad una guerra all’ultimo posto per una sedia in BUC. Ma com’è possibile che le aule vengano chiuse non appena finiscono le lezioni? E come può essere che quando si chiede una spiegazione al direttore di dipartimento, la risposta sia sempre un rimpallo di responsabilità con la portineria, che non ha il potere di risolvere il problema? Ad oggi gli studenti si ritrovano così senza spazi adeguati per studiare e questo è paradossale, considerando che lo studio sembra essere l’unica attività ritenuta legittima in università. È venuto a crearsi un cortocircuito che si riversa totalmente sulla comunità studentesca privata anche degli spazi essenziali.

Ribadiamo che l’inchiesta sull’utilizzo degli spazi universitari non può essere circoscritta al solo Dipartimento di Sociologia, altrimenti guarderemo al problema come un fenomeno isolato. Pensiamo che un’indagine limitata a questo ambiente ci possa dire ben poco. Sentiamo la necessità di approfondire la situazione che si presenta all’interno degli altri dipartimenti: riteniamo infatti che quel che è successo qui non sia che l’ennesima manifestazione di una politica di Ateneo purtroppo ben chiara, volta a rendere l’università un luogo privo di possibilità di socialità, di collettivizzazione e scambio di idee.

In questo momento in cui i luoghi di aggregazione sono sempre più limitati, vogliamo usare gli spazi rimasti per confrontarci, dentro e fuori le mura dell’università, a tavola con i nostri coinquilini, nelle pause sigarette tra le lezioni.

Ribadiamo ancora una volta l’esigenza della riapertura immediata delle aule studio al piano -1 nel Dipartimento di Sociologia.
Vogliamo che tutti gli spazi tornino a essere aperti e accessibili, vogliamo una risposta concreta dal Direttore di Dipartimento. Non possiamo accettare che vengano chiusi luoghi fondamentali per il nostro percorso accademico per far posto a fantomatici laboratori che ad oggi risultano inaccessibili.

 

Il CUR

Deflorian chiude tutto!

Il 7 dicembre, nelle nostre caselle di posta, abbiamo ricevuto un videomessaggio del rettore Deflorian sulla chiusura dei dipartimenti e delle maggiori aule studio di Unitn per le festività natalizie, fino al 9 gennaio.

In questi giorni, studenti e studentesse, tornati in città per studiare in vista degli imminenti esami di gennaio, hanno potuto notare tutte le conseguenze di questa assurda decisione, tanto elogiata in quei quattro minuti di video.

Deflorian giustifica la scelta ribadendo quanto la chiusura degli spazi fosse l’unica opzione possibile di fronte all’attuale crisi energetica, soffermandosi sul significato pratico e di risparmio di questa decisione. Il rettore ci spiega come questo sia uno sforzo etico, strategico e necessario da compiere in vista delle possibili future problematiche che porterà questa crisi, il tutto per salvaguardare il portafoglio di UniTN nelle spese che l’ateneo dovrà sostenere e per evitare futuri tagli salariali alla componente tecnico amministrativa.

Decliniamo l’augurio di un sereno Natale in famiglia e ribadiamo il nostro dissenso verso le misure prese in atto.

Non è possibile che durante questo videomessaggio la componente studentesca, quella che veramente subisce gli effetti di questa chiusura, venga completamente marginalizzata e che le problematicità di questa scelta vengano relegate ad un mero “disagio temporaneo”, facendo leva sullo sforzo personale di ognuno in “periodi complicati come questo”.

E’ assurdo come la chiusura dei dipartimenti e delle maggiori aule studio in città, venga fatta passare com

e un mezzo per garantire la futura stabilità degli stipendi del personale e non si badi a come una misura del genere non sia altro una soppressione di un servizio per tuttə coloro che necessitano di spazi di studio e di ricerca.

All’interno di un ateneo di merito ed eccellenza come UniTN è paradossale parlare di garanzia per il diritto agli spazi di studio. Ci interroghiamo inoltre su come una chiusura di quattro giorni possa andare a toccare il portafoglio di un ateneo che continua a ricevere finanziamenti dalla PAT, amministrandoli seguendo le classiche logiche aziendali: tagliare su servizi risparmiabili ed investire su mega-progetti redditizi. Progetti che poco, o nulla, hanno a che fare in m

odo diretto con studenti e studentesse. UniTN infatti, predilige investire in progetti tecnico scientifici che hanno a che fare con il mercato molto redditizio della guerra (come MedOr, Perception Europe, Eledia), piuttosto che garantire il diritto allo studio: ricordiamo ad esempio, che non esiste la possibilità di ottenere un alloggio gratuito se non per merito, e che un pasto in mensa costa più di una margherita in una qualsiasi pizzeria (5€). Oltre ai finanziamenti nostrani, anche quelli nazionali vengono mal investiti. I 7 bandi di dottorato aperti con i fondi del PNRR sono stati tutti assegnati a facoltà scientifiche, certamente più utili ai fini imprenditoriali di Deflorian e compagnia, che possono fruttare nel sopracitato mercato della guerra oppure nella farsa della transizione ecologica. Contemporaneamente all’aumento quantitativo delle borse per lə dottorandə , tramite un complesso sistema di leve e specchi, gli stipendi sono diminuiti di circa 80€ al mese, rendendo ancora più precariə chi decide di proseguire il percorso di studi all’interno dell’accademia. Questa s

celta aggrava ulteriormente le condizioni di un gruppo che veniva già ampiamente sfruttato all’interno dell’università: obbligato a prestare servigi di ogni tipo sotto ricatto, pena l’impossibilità di avere continuità all’interno del mondo accademico.

Ci troviamo quindi di fronte al risultato degli accordi che alcuni anni fà un gruppo di student* avevano inchiestato e a cui si erano oppostə : la provincializzazione dell’ateneo Trentino. Un accordo tra PAT e UniTN, che prevedeva l’allentamento del potere statale sull’ateneo in favore di quello provinciale, rendendo di fatto la seconda schiava della prima, direttamente sottomessa agli investimenti mirati ai grossi ritorni economici tanto cari all’autonomia trentina.

Non ci stupisce inoltre che le rappresentanze sulle loro pagine social non abbiano fatto altro che un post informativo sugli orari di apertura della BUC e non abbiano espresso alcun dissenso per la questione. D’altronde si, sempre dalla stessa parte, quella dei padroni.

Ribadiamo quindi la nostra posizione: questa chiusura è inaccettabile. La BUC è gremita, le prenotazioni sono esaurite da giorni, il clima del clic più rapido sul “prenota posto” caratterizzante della pandemia non ci mancava, anzi ci chiediamo come sia possibile che possa accadere di nuovo. I soldi ci sarebbero caro rettore, basterebbe investirli in modo sensato e destinarli ai fabbisogni studenteschi. Le serrature chiuse di questi giorni non sono altro che un

a privazione di spazi di studio per migliaia di studenti e studentesse ed è inutile riempirsi la bocca con la retorica dello sforzo personale per mettere toppe ai disservizi di questi giorni.

Deflorian apri ste porte.