Road to Ventimiglia- Giorno 1

Ciò che più ci colpisce all’arrivo in città a Ventimiglia è la situazione surreale di militarizzazione e pattugliamento di strade, stazioni e parcheggi. Questo ingente dispiegamento di forze dell’ordine e esercito non è giustificato  dalle condizioni di precarietà e mancanza di sussistenza in cui si trovano a vivere i migranti presenti in città. Il campo della Croce Rossa Italiana infatti ospita circa 500 persone mentre in strada si riversano tutte le altre centinaia di migranti che non trovano alcun rifugio se non sotto ai ponti o ai cavalcavia. La ragione che tuttavia spiega la presenza di cotanti agenti non pare avere il proprio fondamento nella tutela dei diritti fondamentali, nella protezione dei minori, nel contrasto al traffico di esseri umani, nell’impedire i circuiti di prostituzione o nella cura degli infermi; ma risiede nella meticolosità dello sporco lavoro di rastrellamento e deportazione settimanale che avviene nelle strade e lungo i confini. I migranti transitanti vengono fermati su basi razziali: lo screening e i criteri di identificazione si basano infatti puramente sul colore della pelle. In seguito ad un veloce e approssimativo controllo vengono portati in commissariato a Ventimiglia e in seguito nella caserma di frontiera dove, assieme a coloro che sono stati respinti dalla polizia francese o rastrellati lungo le autostrade, le reti ferroviarie e i sentieri, vengono caricati contro la loro volontà su uno o più pullman nell’attesa di essere trasferiti all’Hotspot di Taranto o in altre strutture detentive in Italia.

Anche chi porta solidarietà e sostegno diviene oggetto delle attenzioni della polizia, che ha identificato per due volte in una sola mattinata i compagni e le compagne del CUR impegnat* in attività di monitoraggio e distribuzione di beni di prima necessità. Ma non saranno di certo le chiare identificazioni intimidatorie a fermare l’attività di quell* che, come noi, solidarizzano con chi sta chiedendo libertà di movimento, tutela dei diritti e facoltà di autodeterminazione. A Ventimiglia la mano repressiva, razziale e di classe si palesa in tutta la sua violenza, facendoci pensare che chi, come fecero certi kapo’ nazisti, crede che il solo fatto di ubbidire a degli ordini lo svincoli dalle colpe che le proprie azioni comportano, si sbaglia di grosso.

 

https://www.facebook.com/progetto20k/videos/446391592387427/

Road to Ventimiglia

 (Foto da FB: Progetto20k)

Non passeranno troppi giorni prima che la nave C-Star, noleggiata da una società di mercenari inglese1, arrivi nei porti italiani per difendere l’Europa dalla cosiddetta invasione dei migranti. L’iniziativa, promossa da Generazione Identitaria (un gruppo di estrema destra europeo), intende fermare la sostituzione etnica che pare stia soppiantando i valori culturali e nazionali degli stati europei. Non ci stupiremmo quindi di trovare dei ferventi oppositori della sfericità terrestre, tra le fila di coloro che proclamano i valori di quell’impero romano egemone sul continente e difensore della cristianità; li invitiamo a non spingersi oltre le colonne d’Ercole per adempiere ai loro scopi.

Dal canto nostro invece, a fine febbraio siamo andat* a Belgrado per supportare l’auto-organizzazione che i migranti avevano instaurato all’interno delle baracche abbandonate dietro alla stazione. Abbiamo distribuito beni di prima necessità, trovandoci nella condizione di conoscere chi da mesi e anni è in viaggio, per fuggire dalle atrocità che la Siria, l’Afghanistan e il Pakistan ogni giorno ci mostrano. Abbiamo deciso di non fermarci e di proseguire questo percorso di indagine, supporto e lotta al fianco dei migranti. Cambiando rotta anche noi.

Chi viene tratto in salvo nel Mediterraneo e approda sulle coste italiane è da considerarsi un sopravvissuto, con tutte le implicazioni che questo termine pone. Se non sono i motivi stessi del viaggio ad uccidere, spesso è la tratta stessa che seppellisce lungo la rotta migliaia di uomini e donne, anziani e bambini. Avete mai attraversato il Sahara? Provate ad immaginare di farlo senza acqua, per settimane. La siccità, le prigioni libiche, gli stupri, la traversata in mare, sono troppo spesso dimenticati da chi si riempie la bocca parlando di merito nell’accogliere quando si dovrebbe parlare di diritto all’accoglienza. E se il diritto non riesce a garantire la sopravvivenza o l libertà di ricercarsi un futuro degno, lo garantirà la solidarietà. Sono questi i motivi che ci portano a Ventimiglia, con il Progetto20k, per capire cos’è quel dispositivo chiamato confine, che, con criteri razziali e di classe, continua ad uccidere chi prova ad attraversarlo2. Ci serve per capire, per provare ad aprire degli interstizi al suo interno, mostrando le sue contraddizioni e la violenza che lo costituisce.


Abbiamo partecipato all’assemblea
Sconfinamenti 3.0, tenutasi al CSA La Talpa e l’Orologio di Imperia lo scorso 8 e 9 Luglio, discutendo e confrontandoci nel merito con altre realtà solidali sui nodi che il tema dei migranti e la questione dell’accoglienza pone. A partire dalla necessità che si è palesata di riuscire ad aprire e a mantenere spazi di confronto che riescano ad unire le necessità di tutt*, occorre allo stesso tempo denunciare e contrastare i processi di criminalizzazione che nelle nostre città e nelle periferie vedono nei migranti come l’oggetto di ogni male d’Italia. Questo innesca una guerra fra poveri dove per la disoccupazione, l’instabilità salariale o la criminalità organizzata, il colpevole diventa chi è sopravvissuto: i migranti. Bisognerebbe quindi interrogarsi anche sul tipo d’informazione che viene veicolata dai media mainstream che sdoganano concetti della destra come l’aiutiamoli a casa loro o l’invasione dall’Africa, riuscendo a minimizzare la questione con una velata nota razzista di fondo, proponendo soluzioni semplici a problemi complessi. La parola accoglienza assume sempre di più connotazioni che la avvicinano di più ad una colpa, che a una virtù. E se da una parte vorremmo prima capire se per aiutarli a casa loro si dovranno mantenere i dominion coloniali capitalisti, continuare a venderci armi dentro3, depredare il territorio e schiavizzare la manodopera; dall’altro rivendichiamo spazi di battaglia meticcia, rifiutando ogni tipo di repressione imposta sulla pelle di chi sta chiedendo un futuro più degno, perché è imposta anche sulla nostra. Rigettiamo la narrazione politica costruita sull’emergenzialità, che permette ai potenti di legiferare come meglio credono e alle destre fasciste di inventarsi campagne razziste speculando su paure infondate e menzogne pericolose. Sarebbe da chiedersi come mai in Spagna dal 1991 al 2010 il numero di stranieri è aumentato di venti volte (da 350mila a 6milioni) ma malgrado i tracolli economici, la crisi, l’aumento della disoccupazione e gli attentati non esistano ad oggi partiti xenofobi di rilievo, ma anzi vediamo città come Barcellona lanciare segnali di umanità non indifferenti4.

Ci impegneremo dunque, al nostro ritorno, a rielaborare quanto vissuto per provare a portare all’interno delle mura accademiche momenti di dibattito e confronto, slegandoci dalle visioni caritatevoli e assistenzialiste che troppo spesso inquinano le discussioni nelle nostre aule. Non abbiamo più bisogno di progetti o lezioni che dipingono i rifugiati come soggetti deboli o che continuano a narrare le migrazioni come qualcosa da andare a fotografare in viaggio a Lampedusa. Quando si parla di diritti negati, di vite umane in gioco, di violenza del potere economico sul nostro futuro, non c’è barriera o confine che tenga.

FONTI:

http://www.radiondadurto.org/2017/07/18/migranti-chi-ce-dietro-la-nave-dei-fascisti-di-generazione-identitaria/?fdx_switcher=true

4 P. Pagliaro, Il Punto, fermiamo il declino dell’informazione, Il Mulino, 2017.

#roadtobelgrado – terzo giorno


Riportiamo ancora oggi un breve report del terzo giorno a 
Belgrado dei compagni e delle compagne.


Oggi abbiamo passato tutta la mattina al campo. Abbiamo finito di ripulire e scavare le canalette per la zona doccia iniziate ieri. Abbiamo poi passato la pittura impermeabile sul fondo di cemento. Finiti i lavori al campo abbiamo deciso di spostarci da Belgrado.
Col furgone abbiamo raggiunto Subotica, una città qualche centinaio di chilometri più a nord di Belgrado. Subotica è una città abbastanza importante perché relativamente vicina al confine ungherese (circa 10 km di distanza) e dunque zona di passaggio per i migranti che provano a superare il confine con l’Ungheria. Sempre utilizzando i fondi di One Bridge to Idomeni, abbiamo portato in città diversi litri di latte e salviettine. Infatti, in città ci sono diversi gruppi di volontari e volontarie che distribuiscono “beni” di necessità a quei migranti che si fermano o passano da Subotica prima di provare ad attraversare il confine.
Purtroppo siamo arrivat@ a Subotica verso le 20.00, con scarsa luce a disposizione. La nostra intenzione era quella di andare proprio verso il confine, per avere un’idea reale di quella immaginaria linea che costituisce il confine serbo-ungherese. Abbiamo alla fine deciso di non avventurarci oltre per vari motivi. Alcuni di natura prettamente logistica (insomma, orientarsi al buio fra le campagne serbe non è proprio il massimo), inoltre appena scende la sera chi si è avvicinato al confine prova a superarlo spargendosi per la campagna. Il buio infatti è proprio una di quelle condizioni che spingono alcuni migranti a provare a superare la frontiere, sperando di non essere beccati dalla polizia di frontiera ungherese. Anche se fossimo riuscit@ a non perderci e fossimo riuscit@ ad arrivare,  forse avremmo creato un certo tipo di movimento non proprio d’aiuto. Ad ogni modo i volontari a cui abbiamo portate le scorte di latte e salviette ci hanno detto che vicino al confine c’è effettivamente un certo tipo di controllo del territorio che rende la situazione più tesa rispetto a Belgrado. Ci sono comunque dei volontari e delle volontarie presenti, soprattutto medici, che distribuiscono medicinali o medicano chi ha bisogno. Consegnati i viveri e parlato un po’ coi volontari e con le volontarie, ci siamo rimess@ in cammino per tornare a Belgrado.
Domani sarà per noi l’ultimo giorno e intendiamo passare delle ore al campo senza fare altro che passare del tempo coi ragazzi che stanno lì da mesi. Già dal primo giorno abbiamo notato qualche talento a pallone… magari domani ci scappa una bella partita.

PS. abbiamo incontrato molte persone in questi giorni, tra volontar@ e migranti che ci hanno raccontato le loro storie e le loro impressioni. Dateci tempo e ve le racconteremo per bene!

#roadtobelgrado – secondo giorno


Riportiamo ancora oggi il report delle compagne e dei compagni che 
si trovano a Belgrado che ci raccontano la loro seconda giornata al 
campo. Tempi e connessione permettendo, continueremo a dare seguito 
ai loro preziosi racconti.

Le nostra giornata oggi, al contrario di ieri, si è svolta interamente all’interno del campo. Infatti, questa mattina siamo arrivat@ al campo abbastanza presto, alle 9.00 del mattino. A gruppi di due, abbiamo girato le strutture della vecchia stazione, oggi dormitori “improvvisati” per circa 700 persone, per distribuire 1.000 saponette comprate grazie ai fondi di One Bridge to Idomeni. Il fatto di essere arrivat@ abbastanza presto al campo ci ha permesso di rintracciare e raggiungere un po’ tutte le persone che sono presenti al campo e dar loro il sapone. In questo modo non solo siamo riuscit@ a fare un po’ una stima di quanta gente c’è al momento ferma alla vecchia stazione ma anche di girare e vedere i dormitori improvvisati che “ospitano” alcuni di loro da mesi ormai. “Cosa ci faranno con le saponette?” vi chiederete “solo ieri ci raccontavate che persino la legna non è una cosa così scontata per il campo!”. L’acquisto e la distribuzione delle saponette è legato al fatto che, sempre nella giornata di ieri, siamo venut@ a conoscenza dell’intento di SoulWelders di adibire all’interno del campo una zona attrezzata per le docce, oggi mancante. Allettat@ dall’idea di poter contribuire a migliorare un po’ la vita di chi vive al campo da diversi mesi e di poter dotare il campo stesso di qualcosa di mancante e che rimarrà lì anche dopo la nostra partenza, ci ha spint@ a proporci come “forza lavoro” per la realizzazione del progetto. Dopo la distribuzione, quindi, ci siamo munit@ di pala e… abbiamo iniziato a spalare. Si tratta di un’area interna al campo, con base in cemento, ricoperta fino a questa mattina da strati e strati di rifiuti e terra. A fine giornata siamo riuscit@ a pulire una bella porzione di area del campo (circa 4mx4m) e a scavare delle canalette di scolo e buche di raccolta per l’acqua, grazie anche all’aiuto degli attivisti e delle attiviste di Over the Fortress giunt@ oggi al campo e che si sono offerti di aiutarci. Domani l’intento è quello di pitturare la base di cemento finalmente libera dai rifiuti e di pittarla con della pittura idrofobica. Insomma, giornata decisamente diversa rispetto a quella di ieri, un po’ faticosa ma soddisfacente.

#roadtobelgrado – primo giorno


Riportiamo un primo report dai compagni e dalle compagne che si trovano a 
Belgrado da questa mattina. Se i tempi lo permetteranno, così come anche la 
connessione ad internet, proveremo ad aggiornare il report giornalmente, 
condividendo foto e impressioni.

Dopo la notte di viaggio, siamo arrivat@ alla mattina a Belgrado, e siamo andat@ quasi subito alla cucina che prepara e distribuisce giornalmente i pasti per chi si trova al campo, così da aiutare e renderci utili nella preparazione dei pasti. All’ora di pranzo quindi, finita la preparazione, siamo andat@ al campo insieme agli/alle altr@ volontar@ e solidal@ presenti per aiutare nella distribuzione del cibo. La scena che ci siamo trovat@ davanti è un po’ quella vista nelle foto che circolano sul web: un lunga fila, che attraversa una parte del campo, di persone che aspettano il proprio turno per ricevere un pasto caldo. Dopo la distribuzione del pasto, abbiamo fatto un giro al campo e abbiamo trovato una cucina situata proprio all’interno del campo stesso, attivata da un gruppo di solidali spagnoli e da qualche settimana. Abbiamo scambiato qualche parola con loro, che ci hanno detto che alcuni migranti presenti al campo contribuiscono all’autogestione della cucina, aiutando nella preparazione e nella distribuzione dei pasti. Preparazione e distribuzione che, visti i numeri alti di migranti presenti, abbiamo constatato che possono durare anche delle ore. Dopo questo primo giro, abbiamo quindi aiutato a tagliare della legna e a metterla al riparo dalla pioggia, attività questa apparentemente sciocca ma molto importante per la situazione del campo.
Abbiamo notato fin da subito che le presenze al campo sono tutte maschili, e l’età dei presenti va dai dodici anni in su, più o meno. Lo stato del campo si può un po’ intuire dalle foto. Infatti, la neve non c’è più e il freddo non è rigido come a gennaio o febbraio. Ad ogni modo la pioggia e le temperature certamente non calde portano molte persone a dover accendere dei fuochi anche all’interno delle baracche, diventate dei dormitori, creando una cappa interna abbastanza pesante. Ci siamo quindi res@ conto che l’attività di tagliare e mettere al riparo la legna è estremamente importante in queste condizioni: avere della legna tagliata e asciutta permette a chi dorme nelle baracche della stazione di accendere dei fuochi bruciando quella piuttosto che altri materiali, magari anche nocivi.
Nell’attesa della distribuzione dei pasti e anche durante il pomeriggio abbiamo avuto modo di scambiare qualche parola con qualcuno dei migranti presenti al campo. La sensazione che abbiamo avuto è che alcune di queste persone hanno proprio voglia di parlare, di comunicare, di raccontarsi. Incuriositi dai nostri “volti nuovi”, qualcuno ci ha chiesto da dove veniamo, altri ci hanno raccontato un pezzetto della loro storia. Una di queste riguarda un gruppo di ragazzi, tra i 16 e i 18 anni, che ci hanno raccontato che, partiti dal Pakistan, hanno viaggiato per ben tre mesi a piedi prima di raggiungere Belgrado, dove sono fermi da 7 mesi ormai. Ovviamente non hanno mai pensato di volersi fermare a Belgrado così a lungo. Hanno provato più volte a passare il confine, evidentemente senza riuscirci. La polizia ungherese alla frontiera infatti, senza remore e mezzi termini, è abituata a respingere tutti i tentativi di attraversamento del confine con svariati mezzi, tra cui sguinzagliare i cani o spruzzare lo spray al peperoncino su chi prova a superare il confine. “Polizia ungherese criminale” è il commento dei ragazzi che ci raccontavano le loro esperienze. E certamente non possiamo dar loro torto. Nonostante i tentativi falliti però la speranza di superare quella linea immaginaria che il confine rimane. A loro, come a noi.

Perché andare a Belgrado?!

I confini degli stati lungo la rotta balcanica stanno diventando sempre più impenetrabili.
Questa è la volontà dell’Unione Europea, che lo scorso 18 Marzo 2016 ha siglato con la Turchia degli accordi in tale direzione. Malgrado ciò, i muri, il filo spinato e i manganelli non sono riusciti ad arrestare questo flusso. L’area balcanica è ancora teatro di violenze, deportazioni, respingimenti, rastrellamenti e rapimenti ai danni dei/delle migranti che tentano di attraversarla. Chi si trova in Serbia oggi cerca di muovere verso nord, imbattendosi in centinaia di chilometri di reti e filo spinato, pattugliati da polizia e civili fascisti e xenofobi ungheresi (talvolta assieme). Lungo i confini si verificano giornalmente respingimenti che vedono il ricorso indiscriminato a cani d’assalto, violenze sistematiche e pratiche di tortura. Non è raro quindi incontrare migranti che raccontano di essere stati respinti più volte e che ora si trovano nella capitale serba abbandonati a se stessi, ostaggio delle infami politiche europee in materia di immigrazione.
Attualmente in condizioni igieniche disumane, tra spazzatura e fumi tossici dentro ai vecchi magazzini della stazione centrale di Belgrado, sono presenti circa seicento migranti di origine principalmente afgana o pakistana. Sono in gran parte minori non accompagnati e vivono in uno stato di totale abbandono privati della loro dignità, sprovvisti di cibo, elettricità e acqua corrente.
Ciò che viene loro faticosamente garantito è frutto del lavoro di gruppi di volontari indipendenti, di associazioni e di Medici Senza Frontiere che, nonostante le continue pressioni della polizia e del governo serbo, riescono a garantire loro un pasto al giorno e provano a sopperire alle enormi esigenze di chi si trova a vivere i condizioni disumane.

Lo scorso gennaio due compagni* del Collettivo sono sces* a Belgrado, attraverso l’associazione veronese One Bridge to Idomeni, che opera in loco organizzando staffette di volontar* che da gennaio si sono impegnat* a scendere ogni fine settimana per monitorare la situazione e per portare aiuti umanitari.
Come Collettivo abbiamo deciso di approcciarci in prima persona alla grande tematica migratoria, andando a portare un aiuto concreto a queste persone. La nostra intenzione, come sempre, è quella di coinvolgere e coinvolgerci attraverso la partecipazione universitaria. Per questo motivo abbiamo organizzato un pranzo sociale attraverso il quale raccoglieremo fondi per questa missione, nella speranza che quanto ricevuto ci permetta di contribuire alle spese per sostenerci in questa iniziativa.
Abbiamo anche deciso di indire per la giornata di Lunedì 20 Febbraio una raccolta vestiti (cappelli, sciarpe, guanti, calzini) da portare ad Are You Syrious?, un’associazione indipendente che si occupa di trasportare vestiti in Serbia.
La volontà è quella di riuscire ad avvicinare gli/le student* universitar* al fenomeno migratorio, attraverso un racconto diretto e un momento di discussione che auspichiamo partecipato e interessato.  Questo fenomeno sta investendo i nostri giorni e le nostre vite, non possiamo pensare di continuare ad ignorarlo. Chiusura, barriere, fili spinati e rastrellamenti sono le risposte istituzionali a questo fenomeno che non fanno altro che generare odio e intolleranza. Noi crediamo che la nostra generazione non debba avere paura e che debba essere disposta a impegnarsi per costruire un futuro di accoglienza, di dignità, di rispetto dei diritti umani.
Vogliamo ripartire dall’università e superare le barriere della chiusura e dell’intolleranza.
Vogliamo ripartire da noi per unirci a chi ogni giorno lotta a fianco dei/delle migranti per garantire loro diritti e autodeterminazione.

Invitiamo tutti e tutte al pranzo sociale di mercoledì 15 febbraio, nell’atrio interno di Sociologia, a partire dalle 12.00.

Invitiamo anche tutte e tutti a partecipare alla raccolta di cappelli, sciarpe, guanti e calzini prevista per il 20 febbraio, di cui presto daremo maggiori indicazioni.