GUARDIE, TORNELLI E MANGANELLI: IL NUOVO PIANO FORMATIVO DELLE UNIVERSITA’

Ci sono scene che difficilmente passano inosservate o vengono dimenticate con semplicità. Tra queste quelle che ritraggono la celere dentro una bibliotecauniversitaria, che giovedì scorso ha fatto irruzione in un’ aula studio liberata, da studenti e da studentesse che legittimamente si sono opposti alla privazione dell’ ennesimo diritto da parte delle istituzioni universitarie.E’ per questo che raccogliamo l’appello lanciato da Bologna e lo facciamo nostro. Perché anche se non siamo stat@ picchiat@ il 9 febbraio dentro al 36 di via Zamboni, siamo studenti e studentesse universitar@ che non accettano le imposizioni calate dalle alte sfere dell’ateneo, le quali, come spesso accade, vanno a limitare e a peggiorare la vita, la partecipazione e la libertà di chi vuole frequentare un’ università aperta e accessibile a tutt@, un’università che sappia sviluppare il sapere critico attraverso il dibattito e il confronto quotidiano.Quello che è successo a Bologna è un atto estremamente grave, che merita l’ indignazione e l’ opposizione da parte di chiunque abbia a cuore il proprio Ateneo. Quello che è successo a Bologna si inserisce all’ interno di una logica che ha deteriorato negli ultimi anni il sistema universitario, trasformando gli spazi degli studenti in “esamifici”, chiusi e intolleranti a qualsiasi forma di dissenso.Il dibattito sui tornelli forse non ci appartiene, ma ci appartiene quello su che tipo di università viviamo e che tipo di università vogliamo. Anche a Trento con la stessa arroganza di chi vuole gli/le student@ zitt@ e li vede come mer@ esecutor@ di esami, condannat@ alla precarietà, viviamo tempi non troppo felici.I tagli alle borse di studio, lo sperpero di risorse pubbliche per una biblioteca fuori misura, la riduzione degli spazi dove potersi incontrare e studiare, la possibilità di trovarci una guardia armata fuori dal bagno, sono solo alcuni segnali che ci dimostrano in che direzione sta andando il mondo della formazione universitaria. Queste sono le condizioni che viviamo in UniTN, e che tutti i giorniproviamo a contrastare insieme, confrontando esigenze e aspirazioni, opponendoci al deterioramento dei luoghi della cultura e del sapere.Riconosciamo come nostro l’atto di riappropriazione di una biblioteca, riteniamo assurde le immagini di una biblioteca devastata dalla celere.Per questo solidarizziamo con gli studenti e le studentessa di Bologna, senza se e senza ma, e condanniamo l’ infame scelta del rettore Ubertini di chiamare la celere che ha picchiato in maniera indiscriminata chi stava commettendo “il reato” di studiare in una biblioteca universitaria.

Note sugli ultimi sviluppi dopo la riappropriazione del CIAL

Dopo la riappropriazione del CIAL, avvenuta lo scorso 4 febbraio, nel giro di pochi giorni la situazione è cambiata molto velocemente. Magicamente il rettore Collini, dopo aver cercato di far passare sotto silenzio l’azione di sabato, estrae dal cappello i nuovi orari di apertura della sala studio di via Verdi. Questa improvvisa evoluzione della situazione ci ha spint* a compiere alcune riflessioni che vogliamo condividere con tutt* gli universitari e le universitarie di Trento.
Partiamo da una precisazione per amore di chiarezza. La riappropriazione del CIAL, che ci ha visto protagonist* come Collettivo Universitario Refresh, non è stata né un’iniziativa fine a sé stessa né un’iniziativa dettata da un’improvvisa voglia di protagonismo mediatico. L’azione di sabato 4 febbraio è stata organizzata da studentesse e studenti che hanno deciso, ormai alcuni anni fa, di unire le proprie forze e fondare un collettivo, una realtà politica che agisse in università per opporsi all’aziendalizzazione dell’ateneo, per difendere il diritto allo studio e per rivendicare il diritto alla città delle e degli stident* contro la logica della città vetrina che tende a espellere le categorie di soggetti considerate indesiderabili. Il tentativo da parte del Magnifico Rettore di silenziare la riappropriazione del CIAL è, secondo noi, un episodio sintomatico della sua volontà di dare legittimità esclusivamente alle realtà politiche a lui gradite. Evidentemente, dato il suo comportamento come realtà politica universitaria non gli siamo simpatici e simpatiche, ma di questo poco ci curiamo. La cosa che più ci preoccupa è, invece, il messaggio che viene sottointeso. Tutte le studentesse e gli studenti, che non si possono fregiare del feticcio di essere chiamati rappresentanti studenteschi, non sono degni di essere ascoltat* indipendentemente dalle istanze di cui sono portatori e portatrici. Al “magnifico” Collini noi di ricevere da lui la legittimità per poter fare politica in università ce ne freghiamo altamente e che alla sua logica che divide la popolazione universitaria in student* di serie A e student* di serie B opponiamo un netto rifiuto. Al Rettore facciamo sapere che non piagnucoliamo per non esere stat* ricevut* da lui dopo la riappropriazione del CIAL perché quando, dove e come incontrarlo lo decideremo noi, studentesse e studenti dell’ateneo di Trento anche a costo di fargli una visita a sorpresa nel suo bell’ufficio di via Calepina.

Naturalmente non ne abbiamo solo per Collini. Abbiamo anche qualcosa da dire ai giornali che hanno seguito la nostra azione. Abbiamo per loro un invito. Invitiamo alcune testate giornalistiche locali a una maggiore obiettività d’informazione, che non si limita a riportare notizie in maniera errata, elogiando le istituzioni (rettorato e rappresentanti) e tentando di nascondere agli occhi di tutt* come un collettivo di studenti e studentesse totalmente autogestito e auto-organizzato sia riuscito a riappropiarsi dal basso di un’intera biblioteca per ben due fine settimana di seguito. Vorremmo che i mass media locali  tentassero di ricercare in maniera diretta dalle fonti stesse le informazioni, nel rispetto dei suoi lettori/lettrici.

Vorremmo aggiungere solo un paio di ultimo di cose. I nuovi orari di apertura del CIAL sono una prima conquista alla quale abbiamo contribuito anche noi con il nostro modo di fare politica. Alla la logica di una rappresentanza studentesca basata su una struttura gerarchica e burocratica, le cui decisioni sono assunte da poch* escludendo qualsiasi altra forma di partecipazione proveniente dalla componente universitaria a lei estranea, opponiamo un processo decisionale in cui le decisioni vengano dagli e dalle student* negli interessi della popolazione universitaria in momenti assembleari aperti, inclusivi e assembleari e non siano solo frutto degli interessi di una ristretta élite. Siamo una parte attività della città stessa e rivendichiamo il nostro diritto alla città, a viverla ed attraversarla, a partire proprio dai luoghi di studio interni all’università. Non vogliamo essere richiusi in quella che sembra sempre essere più una gabbia dorata, funzionale allo sviluppo di un processo e di una politica di allontanamento ed esclusione degli studenti dal centro della città in cui vivono, ma ben lontana dalle reali esigenze della popolazione studentesca.
Come dicevamo prima i nuovi orari di apertura del CIAL sono un primo passo che noi però non riteniamo sufficiente e dichiariamo che il nostro obiettivo è il ripristino dell’apertura serale del Cial e l’estensione dell’orario di apertura  settimanale fino alle 23.45, in modo da poter garantire la possibilità di studiare in un luogo maggiormente accessibile a tutt*.

Come recita un nostro slogan, “Vogliamo tutto. Fino all’ultimo diritto negato” e ce lo riprenderemo alla luce del sole

Vorremmo cagarvi, davvero, ma con la guardia non è facile

Novità in arrivo a Sociologia. Apprendiamo da un post pubblicato sulla pagina Facebook UDU-UNITIN che la direzione del dipartimento di Sociologia sta pensando di mettere in campo alcune contromisure dopo ritrovamento di siringhe usate nei bagni del dipartimento, come fotografato da SPOTTED UNITN qualche tempo fa. Le soluzioni che, a detta di UDU-UNITIN, sono allo studio delle alte sfere di Sociologia sono due. La prima sarebbe quella di permettere l’accesso ai servizi igienici grazie a un badge, come già avviene a Lettere o al CLA; la seconda propone l’assunzione di una guardia giurata che faccia la ronda per i bagni del dipartimento, controllandovi chi è dentro e cosa fa. Inutile dire che, perpless@ come siamo, abbiamo delle cose da dire in merito a queste macchinazioni che stanno avvenendo nella stanza dei bottoni del dipartimento.

La vicenda è sicuramente complessa e affronteremo solo alcuni aspetti legati ad essa.

Iniziamo col parlare di chi ha diffuso la notizia. A detta delle e dei e delle rappresentanti UDU-UNITIN, quando sono stati posti davanti alla scelta su quale delle due soluzioni prospettate preferissero, hanno dichiarato che la seconda è sicuramente quella migliore. Senza colpo ferire. È proprio vero che chi partecipa al teatrino delle elezioni studentesche ha la memoria corta e l’unica cosa che guarda è il proprio tornaconto elettorale. Quindi vogliamo rispolverare alcune passate vicende. Nel 2014-2015 il problema su cosa avvenisse nei bagni si era presentato al Dipartimento di Lettere e Filosofia. Atreju, lista universitaria molta vicina alle e ai fascistell@ di Fratelli d’Italia, propose di risolvere il problema permettendo l’accesso ai servizi igienici solo alle persone dotate di badge. All’epoca, Atreju era la grande antagonista di UDU, quindi la sezione universitaria della CGIL aveva dimostrato tutta la sua contrarietà e provato a non far passare la proposta negli organi universitari. Limitare così la libertà di utilizzo dei servizi igienici universitari era troppo, a detta di UDU. Adesso, che Atreju è stata ridotta a una presenza irrisoria in Università, le e i burocrati di UDU possono tranquillamente gettare la maschera. Il badge no, non possono mica accettarlo come soluzione possibile; ma la guardia sì, appellandosi alla retorica della scelta del meno peggio. Peccato che il meno peggio è spesso il peggio, ma l’importante è dimostrare alla popolazione universitaria che loro i risultati li portano a casa, non importa quali essi siano. Il “fare” prima di tutto, cercando, naturalmente, di compiacere innanzitutto le alte sfere della dirigenza universitaria. Ed è qui che arriviamo al secondo nodo della faccenda: l’utilizzo degli spazi universitari.

Gli spazi sono di chi li vive e non di chi li governa, quindi in questo caso dovrebbero essere gli studenti e le studentesse a prendere parola sulla loro gestione. Anche questa volta, però, la componente studentesca è stata completamente bypassata dalla dirigenza del dipartimento innanzitutto, che la chiama in causa solo quando c’è da fare una scelta fra due opzioni, senza poter discutere nel merito del processo che portato a partorire le due possibili scelte. La componente studentesca è stata poi ulteriormente bypassata dalla rappresentanza UDU che, ancora una volta, si è arrogata il diritto di dare un indirizzo per tutti e tutte senza nemmeno porsi il problema di interpellare o comunicare prima della scelta con gli studenti e le studentesse. Insomma, sarà pure così che funziona la rappresentanza ma fa proprio schifo come sistema, a maggior ragione se si tratta di mettere una guardia giurata, possibilmente armata, che gira per i bagni dell’università a sincerarsi che vada tutto bene negli stalli dei cessi.

Oltre ad una questione sul metodo, comunque, c’è anche una questione nel merito stesso della faccenda. Il dipartimento affronta una questione così complessa derubricandola ad una questione di “ordine interno”, senza affrontare la radice del problema che, evidentemente, non si trova dentro le mura del dipartimento. Questa situazione infatti è evidentemente legata alla città tutta, dunque anche al modo in cui il Comune affronta qualsiasi problematica sociale (tra cui l’utilizzo di sostanza stupefacenti) come problema di ordine pubblico, interpellando la questura e militarizzando la città, normando in maniera certamente non pacifica l’utilizzo degli spazi cittadini.

Le siringhe a Sociologia sono solo la punta di un iceberg ben più grande dunque. L’idea di uno sceriffo che gira per la facoltà, bussando alle porte dei bagni ogni cinque minuti non è per noi una soluzione. Chissà se davvero il dipartimento avrà il coraggio di farlo. Aspettiamo trepidanti l’esito.

NO ORARI RIDOTTI! RIPRENDIAMOCI IL CIAL!

Oggi 4 febbraio come Collettivo Universitario Refresh abbiamo deciso di ri-aprire, impedendo la chiusura, il CIAL per sollevare pubblicamente il problema delle aule studio e di porre l’Ateneo di fronte alle proprie responsabilità.          A partire dall’apertura della Biblioteca Universitaria Centrale la governance di Unitn ha adottato una strategia subdola riducendo gli orari di apertura del CIAL per costringere gli studenti e le studentesse a spostarsi nei nuovi spazi nel quartiere fantasma delle Albere.                                                                                                                    Questi provvedimenti sono la dimostrazione della volontà di usare la componente universitaria per ripopolare un quartiere nato dalla speculazione edilizia. Università e Provincia vogliono arrogarsi il diritto di utilizzare le nostre vite per riempire la bella gabbia dorata progettata da Renzo Piano. Noi abbiamo deciso di contrapporci a questa logica e l’azione di oggi non è che l’inizio.                                                                                                                   Grazie all’odierna mobilitazione siamo riuscit* a costringere le alte sfere dell’Ateneo a confrontarsi con chi quotidianamente vive gli spazi dell’università e abbiamo conquistato l’apertura del CIAL, non solo per la giornata di oggi, ma anche domenica 5 e 12 febbraio dalle 14:00 alle 19:00. Naturalmente non ci fidiamo della governance universitaria e vigileremo che gli impegni presi vengano rispettati, quindi quello di oggi non è che un primo piccolo passo. La questione delle aule studio per noi non si chiude qui e siamo pront* a tornare in azione fino a quando al CIAL non verranno ripristinati gli orari che vigevano prima dell’apertura della BUC, quindi dal lunedì al sabato dalle 08:00 alle 23:45 e la domenica dalle 14.00 alle 20.45.

Secondo noi la giornata di oggi ha dimostrato come le mobilitazioni studentesche dal basso, auto-organizzate e autogestite dagli studenti e dalle studentesse, possono portare a risultati concreti e aiutare a garantire il diritto di studio a tutt*.

Come abbiamo fatto oggi, vi aggiorneremo ogni qual volta ci siano novità e se ci fosse qualcuno che vuole informarsi e organizzarsi per partecipare e ribadire la neccesità di aprire degli spazi in università come Collettivo Universitario Refresh ci troviamo ogni mercoledì dalle 18:00 nell’atrio interno di Sociologia.

Vogliamo tutto: CIAL APERTO!

Oggi abbiamo deciso di bloccare la chiusura del CIAL e di rimanervi dentro a studiare perché, all’indomani dell’apertura della BUC, la gestione degli spazi dell’Ateneo sta portando tanti studenti e tante studentesse all’esasperazione: sembra che non vi sia pace per chi, in periodo d’esami, voglia trovare un tavolo e una sedia per studiare. Le aule studio del CIAL, notoriamente molto utilizzate dalla componente studentesca trentina perché in centro e perché aperta 7 giorni su 7, con l’apertura della BUC hanno subito una drastica riduzioni d’orari. Riduzione questa che non sembra essere una mossa per ridurre “i costi di gestione”, ma puzza di manovra atta a favorire la frequentazione della BUC, la quale essendo non proprio a portata di mano sarebbe certamente meno frequentata rispetto a un CIAL funzionante come siamo abituati a conoscere. Infatti, quanto incisivi possono essere i costi di un’apertura estesa del CIAL, come siamo abituati a conoscere, rispetto alla nuova aula studio che, non si sa quando aprirà alle Albere? Quanto in più costerà l’apertura del CIAL rispetto ai nuovi arredi e al probabile affitto che dovrà essere pagato dall’università per questa fantomatica aula studio, di cui non sappiamo nemmeno il periodo d’apertura?

Nel fine settimana, soprattutto, al centro città non esiste un luogo dove poter studiare. A partire dal sabato pomeriggio, con la chiusura del CIAL e di tutti i dipartimenti del centro (ad eccezione di Sociologia), gli studenti e le studentesse sono costretti a tentar fortuna alle Albere, nella speranza di trovare un posto. E così anche domenica. L’effetto di questa riduzione d’orari è presto detto: come testimoniato anche da recenti articoli di giornale, già prima dell’apertura davanti alla BUC si forma una vera e propria tonnara data la quantità di gente in fila per accaparrarsi un posto.

In un periodo in cui sono stati approvati forti tagli alle borse di studio, sono stati spesi milioni e milioni di euro per una biblioteca molto bella, ma fuori mano, e dalla capienza insufficiente per le esigenze della componente studentesca trentina, i nuovi orari del CIAL per noi non significano una semplice “riorganizzazione degli spazi dell’ateneo”. Per noi questo è l’ennesimo diritto negato, la conferma che la governance universitaria, come quella cittadina e provinciale, considera la componente studentesca come un oggetto da poter spostare a piacimento, sulla base di necessità che certamente non ci appartengono.

Non crediamo di doverci accontentare del palliativo di un paio di aule in più aperte al sabato a Sociologia, perché significherebbe accettare serenamente decisioni che sempre più remano contro quello che è il nostro diritto allo studio.

Oggi il CIAL rimarrà aperto quindi, per volontà di quegli studenti e di quelle studentesse che si sono stufati di subire decisioni troppo penalizzanti, che credono che sia possibile e legittimo pretendere risposte dall’alto e creare proprie soluzioni dal basso, lontani da tavoli concertativi dalle porte troppo chiuse.

Lo abbiamo detto il 17 novembre in piazza, lo abbiamo ribadito all’inaugurazione della BUC e lo ripetiamo oggi: vogliamo tutto, tutto quello che ci spetta. Fino all’ultimo diritto negato.

Invitiamo tutte e tutti a raggiungerci, che il pomeriggio studio al CIAL è appena iniziato!

Giulio, noi sappiamo chi è stato!

Tutti ormai conosciamo Giulio Regeni. Purtroppo, non lo conosciamo per gli esiti delle sue ricerche ma perché un anno fa è stato barbaramente torturato e ucciso a El Cairo, in Egitto. Soprattutto, lo conosciamo perché ancora oggi, a distanza di un anno, si cerca “verità e giustizia per Giulio Regeni”.
Ma davvero non sappiamo chi è stato?
L’Egitto non è certo noto solo per le piramidi. Solo nel 2016, infatti, in media sono scomparse tre persone al giorno e le uccisioni per mano poliziesca non sono certo una novità: non è necessario essere un “sospetto sobillatore”, basta essere un semplice ambulante, un tassista o un barista che chiedono il conto pagato, per esempio. Per poco, molto poco, la polizia egiziana uccide e rimane impunita. Così accade spesso, così è per Giulio. In un anno il governo Egiziano ci ha provato in tutti i modi ad insabbiare la vicenda, spacciandola per qualsiasi cosa, tranne che per quello che è: repressione e censura. Nonostante i palesi tentativi di depistaggio, il governo italiano non ha battuto ciglio, mantenendo i rapporti diplomatici ed economici con l’Egitto e Al-Sisi. Gentiloni, oggi Presidente del Consiglio, fino a nemmeno due mesi fa era Ministro degli affari Esteri, uno di quei ministeri che non si è minimamente posto il problema di continuare a dialogare con il regime egiziano, nonostante le evidenti menzogne costruite attorno al caso di Giulio.
Davvero quindi non sappiamo chi è stato? O forse vogliamo fare finta di non saperlo? Perché riconoscere la responsabilità di Al-Sisi e della polizia egiziana per l’uccisione di Giulio significherebbe riconoscere la responsabilità del governo italiano che, con la sua condotta, lo uccide per la seconda volta. Per quanto ci riguarda, sappiamo chi è stato e sappiamo anche che, ad oggi, il governo italiano continua ad essere complice di questo omicidio.
La storia di Giulio non è solo la storia di una verità che non può venire a galla perché scomoda. La storia di Giulio riguarda anche la libertà di ricerca. Giulio infatti è stato ucciso perché impegnato in una ricerca sul movimento operaio e sindacale egiziano. La scomodità del suo impegno di ricerca è stata ulteriormente confermata qualche giorno fa da una legge egiziana che, di fatto, ha il compito di controllare e reprimere come possibile il lavoro di centri di ricerca come quello dove lavorava Giulio. Libertà di ricerca negata, dunque, in Egitto come in Italia. Infatti è nota la vicenda delle due ricercatrici indagate, e una delle due anche condannata, perché hanno svolto delle ricerche sul movimento notav.
Per la libertà di ricerca, quella critica e libera, che mette in crisi i poteri forti: per Giulio e per chi, come lui, ha pagato il prezzo più alto perché personaggio “scomodo” noi oggi scendiamo in piazza. E ribadiamo che, per quanto ci riguarda, sappiamo quali e di chi sono certe responsabilità. Perché Giulio, così come le altre vittime di censura e repressione, si meritano onestà, chiarezza e verità.