#roadtobelgrado – primo giorno


Riportiamo un primo report dai compagni e dalle compagne che si trovano a 
Belgrado da questa mattina. Se i tempi lo permetteranno, così come anche la 
connessione ad internet, proveremo ad aggiornare il report giornalmente, 
condividendo foto e impressioni.

Dopo la notte di viaggio, siamo arrivat@ alla mattina a Belgrado, e siamo andat@ quasi subito alla cucina che prepara e distribuisce giornalmente i pasti per chi si trova al campo, così da aiutare e renderci utili nella preparazione dei pasti. All’ora di pranzo quindi, finita la preparazione, siamo andat@ al campo insieme agli/alle altr@ volontar@ e solidal@ presenti per aiutare nella distribuzione del cibo. La scena che ci siamo trovat@ davanti è un po’ quella vista nelle foto che circolano sul web: un lunga fila, che attraversa una parte del campo, di persone che aspettano il proprio turno per ricevere un pasto caldo. Dopo la distribuzione del pasto, abbiamo fatto un giro al campo e abbiamo trovato una cucina situata proprio all’interno del campo stesso, attivata da un gruppo di solidali spagnoli e da qualche settimana. Abbiamo scambiato qualche parola con loro, che ci hanno detto che alcuni migranti presenti al campo contribuiscono all’autogestione della cucina, aiutando nella preparazione e nella distribuzione dei pasti. Preparazione e distribuzione che, visti i numeri alti di migranti presenti, abbiamo constatato che possono durare anche delle ore. Dopo questo primo giro, abbiamo quindi aiutato a tagliare della legna e a metterla al riparo dalla pioggia, attività questa apparentemente sciocca ma molto importante per la situazione del campo.
Abbiamo notato fin da subito che le presenze al campo sono tutte maschili, e l’età dei presenti va dai dodici anni in su, più o meno. Lo stato del campo si può un po’ intuire dalle foto. Infatti, la neve non c’è più e il freddo non è rigido come a gennaio o febbraio. Ad ogni modo la pioggia e le temperature certamente non calde portano molte persone a dover accendere dei fuochi anche all’interno delle baracche, diventate dei dormitori, creando una cappa interna abbastanza pesante. Ci siamo quindi res@ conto che l’attività di tagliare e mettere al riparo la legna è estremamente importante in queste condizioni: avere della legna tagliata e asciutta permette a chi dorme nelle baracche della stazione di accendere dei fuochi bruciando quella piuttosto che altri materiali, magari anche nocivi.
Nell’attesa della distribuzione dei pasti e anche durante il pomeriggio abbiamo avuto modo di scambiare qualche parola con qualcuno dei migranti presenti al campo. La sensazione che abbiamo avuto è che alcune di queste persone hanno proprio voglia di parlare, di comunicare, di raccontarsi. Incuriositi dai nostri “volti nuovi”, qualcuno ci ha chiesto da dove veniamo, altri ci hanno raccontato un pezzetto della loro storia. Una di queste riguarda un gruppo di ragazzi, tra i 16 e i 18 anni, che ci hanno raccontato che, partiti dal Pakistan, hanno viaggiato per ben tre mesi a piedi prima di raggiungere Belgrado, dove sono fermi da 7 mesi ormai. Ovviamente non hanno mai pensato di volersi fermare a Belgrado così a lungo. Hanno provato più volte a passare il confine, evidentemente senza riuscirci. La polizia ungherese alla frontiera infatti, senza remore e mezzi termini, è abituata a respingere tutti i tentativi di attraversamento del confine con svariati mezzi, tra cui sguinzagliare i cani o spruzzare lo spray al peperoncino su chi prova a superare il confine. “Polizia ungherese criminale” è il commento dei ragazzi che ci raccontavano le loro esperienze. E certamente non possiamo dar loro torto. Nonostante i tentativi falliti però la speranza di superare quella linea immaginaria che il confine rimane. A loro, come a noi.

GUARDIE, TORNELLI E MANGANELLI: IL NUOVO PIANO FORMATIVO DELLE UNIVERSITA’

Ci sono scene che difficilmente passano inosservate o vengono dimenticate con semplicità. Tra queste quelle che ritraggono la celere dentro una bibliotecauniversitaria, che giovedì scorso ha fatto irruzione in un’ aula studio liberata, da studenti e da studentesse che legittimamente si sono opposti alla privazione dell’ ennesimo diritto da parte delle istituzioni universitarie.E’ per questo che raccogliamo l’appello lanciato da Bologna e lo facciamo nostro. Perché anche se non siamo stat@ picchiat@ il 9 febbraio dentro al 36 di via Zamboni, siamo studenti e studentesse universitar@ che non accettano le imposizioni calate dalle alte sfere dell’ateneo, le quali, come spesso accade, vanno a limitare e a peggiorare la vita, la partecipazione e la libertà di chi vuole frequentare un’ università aperta e accessibile a tutt@, un’università che sappia sviluppare il sapere critico attraverso il dibattito e il confronto quotidiano.Quello che è successo a Bologna è un atto estremamente grave, che merita l’ indignazione e l’ opposizione da parte di chiunque abbia a cuore il proprio Ateneo. Quello che è successo a Bologna si inserisce all’ interno di una logica che ha deteriorato negli ultimi anni il sistema universitario, trasformando gli spazi degli studenti in “esamifici”, chiusi e intolleranti a qualsiasi forma di dissenso.Il dibattito sui tornelli forse non ci appartiene, ma ci appartiene quello su che tipo di università viviamo e che tipo di università vogliamo. Anche a Trento con la stessa arroganza di chi vuole gli/le student@ zitt@ e li vede come mer@ esecutor@ di esami, condannat@ alla precarietà, viviamo tempi non troppo felici.I tagli alle borse di studio, lo sperpero di risorse pubbliche per una biblioteca fuori misura, la riduzione degli spazi dove potersi incontrare e studiare, la possibilità di trovarci una guardia armata fuori dal bagno, sono solo alcuni segnali che ci dimostrano in che direzione sta andando il mondo della formazione universitaria. Queste sono le condizioni che viviamo in UniTN, e che tutti i giorniproviamo a contrastare insieme, confrontando esigenze e aspirazioni, opponendoci al deterioramento dei luoghi della cultura e del sapere.Riconosciamo come nostro l’atto di riappropriazione di una biblioteca, riteniamo assurde le immagini di una biblioteca devastata dalla celere.Per questo solidarizziamo con gli studenti e le studentessa di Bologna, senza se e senza ma, e condanniamo l’ infame scelta del rettore Ubertini di chiamare la celere che ha picchiato in maniera indiscriminata chi stava commettendo “il reato” di studiare in una biblioteca universitaria.

Perché andare a Belgrado?!

I confini degli stati lungo la rotta balcanica stanno diventando sempre più impenetrabili.
Questa è la volontà dell’Unione Europea, che lo scorso 18 Marzo 2016 ha siglato con la Turchia degli accordi in tale direzione. Malgrado ciò, i muri, il filo spinato e i manganelli non sono riusciti ad arrestare questo flusso. L’area balcanica è ancora teatro di violenze, deportazioni, respingimenti, rastrellamenti e rapimenti ai danni dei/delle migranti che tentano di attraversarla. Chi si trova in Serbia oggi cerca di muovere verso nord, imbattendosi in centinaia di chilometri di reti e filo spinato, pattugliati da polizia e civili fascisti e xenofobi ungheresi (talvolta assieme). Lungo i confini si verificano giornalmente respingimenti che vedono il ricorso indiscriminato a cani d’assalto, violenze sistematiche e pratiche di tortura. Non è raro quindi incontrare migranti che raccontano di essere stati respinti più volte e che ora si trovano nella capitale serba abbandonati a se stessi, ostaggio delle infami politiche europee in materia di immigrazione.
Attualmente in condizioni igieniche disumane, tra spazzatura e fumi tossici dentro ai vecchi magazzini della stazione centrale di Belgrado, sono presenti circa seicento migranti di origine principalmente afgana o pakistana. Sono in gran parte minori non accompagnati e vivono in uno stato di totale abbandono privati della loro dignità, sprovvisti di cibo, elettricità e acqua corrente.
Ciò che viene loro faticosamente garantito è frutto del lavoro di gruppi di volontari indipendenti, di associazioni e di Medici Senza Frontiere che, nonostante le continue pressioni della polizia e del governo serbo, riescono a garantire loro un pasto al giorno e provano a sopperire alle enormi esigenze di chi si trova a vivere i condizioni disumane.

Lo scorso gennaio due compagni* del Collettivo sono sces* a Belgrado, attraverso l’associazione veronese One Bridge to Idomeni, che opera in loco organizzando staffette di volontar* che da gennaio si sono impegnat* a scendere ogni fine settimana per monitorare la situazione e per portare aiuti umanitari.
Come Collettivo abbiamo deciso di approcciarci in prima persona alla grande tematica migratoria, andando a portare un aiuto concreto a queste persone. La nostra intenzione, come sempre, è quella di coinvolgere e coinvolgerci attraverso la partecipazione universitaria. Per questo motivo abbiamo organizzato un pranzo sociale attraverso il quale raccoglieremo fondi per questa missione, nella speranza che quanto ricevuto ci permetta di contribuire alle spese per sostenerci in questa iniziativa.
Abbiamo anche deciso di indire per la giornata di Lunedì 20 Febbraio una raccolta vestiti (cappelli, sciarpe, guanti, calzini) da portare ad Are You Syrious?, un’associazione indipendente che si occupa di trasportare vestiti in Serbia.
La volontà è quella di riuscire ad avvicinare gli/le student* universitar* al fenomeno migratorio, attraverso un racconto diretto e un momento di discussione che auspichiamo partecipato e interessato.  Questo fenomeno sta investendo i nostri giorni e le nostre vite, non possiamo pensare di continuare ad ignorarlo. Chiusura, barriere, fili spinati e rastrellamenti sono le risposte istituzionali a questo fenomeno che non fanno altro che generare odio e intolleranza. Noi crediamo che la nostra generazione non debba avere paura e che debba essere disposta a impegnarsi per costruire un futuro di accoglienza, di dignità, di rispetto dei diritti umani.
Vogliamo ripartire dall’università e superare le barriere della chiusura e dell’intolleranza.
Vogliamo ripartire da noi per unirci a chi ogni giorno lotta a fianco dei/delle migranti per garantire loro diritti e autodeterminazione.

Invitiamo tutti e tutte al pranzo sociale di mercoledì 15 febbraio, nell’atrio interno di Sociologia, a partire dalle 12.00.

Invitiamo anche tutte e tutti a partecipare alla raccolta di cappelli, sciarpe, guanti e calzini prevista per il 20 febbraio, di cui presto daremo maggiori indicazioni.

Note sugli ultimi sviluppi dopo la riappropriazione del CIAL

Dopo la riappropriazione del CIAL, avvenuta lo scorso 4 febbraio, nel giro di pochi giorni la situazione è cambiata molto velocemente. Magicamente il rettore Collini, dopo aver cercato di far passare sotto silenzio l’azione di sabato, estrae dal cappello i nuovi orari di apertura della sala studio di via Verdi. Questa improvvisa evoluzione della situazione ci ha spint* a compiere alcune riflessioni che vogliamo condividere con tutt* gli universitari e le universitarie di Trento.
Partiamo da una precisazione per amore di chiarezza. La riappropriazione del CIAL, che ci ha visto protagonist* come Collettivo Universitario Refresh, non è stata né un’iniziativa fine a sé stessa né un’iniziativa dettata da un’improvvisa voglia di protagonismo mediatico. L’azione di sabato 4 febbraio è stata organizzata da studentesse e studenti che hanno deciso, ormai alcuni anni fa, di unire le proprie forze e fondare un collettivo, una realtà politica che agisse in università per opporsi all’aziendalizzazione dell’ateneo, per difendere il diritto allo studio e per rivendicare il diritto alla città delle e degli stident* contro la logica della città vetrina che tende a espellere le categorie di soggetti considerate indesiderabili. Il tentativo da parte del Magnifico Rettore di silenziare la riappropriazione del CIAL è, secondo noi, un episodio sintomatico della sua volontà di dare legittimità esclusivamente alle realtà politiche a lui gradite. Evidentemente, dato il suo comportamento come realtà politica universitaria non gli siamo simpatici e simpatiche, ma di questo poco ci curiamo. La cosa che più ci preoccupa è, invece, il messaggio che viene sottointeso. Tutte le studentesse e gli studenti, che non si possono fregiare del feticcio di essere chiamati rappresentanti studenteschi, non sono degni di essere ascoltat* indipendentemente dalle istanze di cui sono portatori e portatrici. Al “magnifico” Collini noi di ricevere da lui la legittimità per poter fare politica in università ce ne freghiamo altamente e che alla sua logica che divide la popolazione universitaria in student* di serie A e student* di serie B opponiamo un netto rifiuto. Al Rettore facciamo sapere che non piagnucoliamo per non esere stat* ricevut* da lui dopo la riappropriazione del CIAL perché quando, dove e come incontrarlo lo decideremo noi, studentesse e studenti dell’ateneo di Trento anche a costo di fargli una visita a sorpresa nel suo bell’ufficio di via Calepina.

Naturalmente non ne abbiamo solo per Collini. Abbiamo anche qualcosa da dire ai giornali che hanno seguito la nostra azione. Abbiamo per loro un invito. Invitiamo alcune testate giornalistiche locali a una maggiore obiettività d’informazione, che non si limita a riportare notizie in maniera errata, elogiando le istituzioni (rettorato e rappresentanti) e tentando di nascondere agli occhi di tutt* come un collettivo di studenti e studentesse totalmente autogestito e auto-organizzato sia riuscito a riappropiarsi dal basso di un’intera biblioteca per ben due fine settimana di seguito. Vorremmo che i mass media locali  tentassero di ricercare in maniera diretta dalle fonti stesse le informazioni, nel rispetto dei suoi lettori/lettrici.

Vorremmo aggiungere solo un paio di ultimo di cose. I nuovi orari di apertura del CIAL sono una prima conquista alla quale abbiamo contribuito anche noi con il nostro modo di fare politica. Alla la logica di una rappresentanza studentesca basata su una struttura gerarchica e burocratica, le cui decisioni sono assunte da poch* escludendo qualsiasi altra forma di partecipazione proveniente dalla componente universitaria a lei estranea, opponiamo un processo decisionale in cui le decisioni vengano dagli e dalle student* negli interessi della popolazione universitaria in momenti assembleari aperti, inclusivi e assembleari e non siano solo frutto degli interessi di una ristretta élite. Siamo una parte attività della città stessa e rivendichiamo il nostro diritto alla città, a viverla ed attraversarla, a partire proprio dai luoghi di studio interni all’università. Non vogliamo essere richiusi in quella che sembra sempre essere più una gabbia dorata, funzionale allo sviluppo di un processo e di una politica di allontanamento ed esclusione degli studenti dal centro della città in cui vivono, ma ben lontana dalle reali esigenze della popolazione studentesca.
Come dicevamo prima i nuovi orari di apertura del CIAL sono un primo passo che noi però non riteniamo sufficiente e dichiariamo che il nostro obiettivo è il ripristino dell’apertura serale del Cial e l’estensione dell’orario di apertura  settimanale fino alle 23.45, in modo da poter garantire la possibilità di studiare in un luogo maggiormente accessibile a tutt*.

Come recita un nostro slogan, “Vogliamo tutto. Fino all’ultimo diritto negato” e ce lo riprenderemo alla luce del sole

Vorremmo cagarvi, davvero, ma con la guardia non è facile

Novità in arrivo a Sociologia. Apprendiamo da un post pubblicato sulla pagina Facebook UDU-UNITIN che la direzione del dipartimento di Sociologia sta pensando di mettere in campo alcune contromisure dopo ritrovamento di siringhe usate nei bagni del dipartimento, come fotografato da SPOTTED UNITN qualche tempo fa. Le soluzioni che, a detta di UDU-UNITIN, sono allo studio delle alte sfere di Sociologia sono due. La prima sarebbe quella di permettere l’accesso ai servizi igienici grazie a un badge, come già avviene a Lettere o al CLA; la seconda propone l’assunzione di una guardia giurata che faccia la ronda per i bagni del dipartimento, controllandovi chi è dentro e cosa fa. Inutile dire che, perpless@ come siamo, abbiamo delle cose da dire in merito a queste macchinazioni che stanno avvenendo nella stanza dei bottoni del dipartimento.

La vicenda è sicuramente complessa e affronteremo solo alcuni aspetti legati ad essa.

Iniziamo col parlare di chi ha diffuso la notizia. A detta delle e dei e delle rappresentanti UDU-UNITIN, quando sono stati posti davanti alla scelta su quale delle due soluzioni prospettate preferissero, hanno dichiarato che la seconda è sicuramente quella migliore. Senza colpo ferire. È proprio vero che chi partecipa al teatrino delle elezioni studentesche ha la memoria corta e l’unica cosa che guarda è il proprio tornaconto elettorale. Quindi vogliamo rispolverare alcune passate vicende. Nel 2014-2015 il problema su cosa avvenisse nei bagni si era presentato al Dipartimento di Lettere e Filosofia. Atreju, lista universitaria molta vicina alle e ai fascistell@ di Fratelli d’Italia, propose di risolvere il problema permettendo l’accesso ai servizi igienici solo alle persone dotate di badge. All’epoca, Atreju era la grande antagonista di UDU, quindi la sezione universitaria della CGIL aveva dimostrato tutta la sua contrarietà e provato a non far passare la proposta negli organi universitari. Limitare così la libertà di utilizzo dei servizi igienici universitari era troppo, a detta di UDU. Adesso, che Atreju è stata ridotta a una presenza irrisoria in Università, le e i burocrati di UDU possono tranquillamente gettare la maschera. Il badge no, non possono mica accettarlo come soluzione possibile; ma la guardia sì, appellandosi alla retorica della scelta del meno peggio. Peccato che il meno peggio è spesso il peggio, ma l’importante è dimostrare alla popolazione universitaria che loro i risultati li portano a casa, non importa quali essi siano. Il “fare” prima di tutto, cercando, naturalmente, di compiacere innanzitutto le alte sfere della dirigenza universitaria. Ed è qui che arriviamo al secondo nodo della faccenda: l’utilizzo degli spazi universitari.

Gli spazi sono di chi li vive e non di chi li governa, quindi in questo caso dovrebbero essere gli studenti e le studentesse a prendere parola sulla loro gestione. Anche questa volta, però, la componente studentesca è stata completamente bypassata dalla dirigenza del dipartimento innanzitutto, che la chiama in causa solo quando c’è da fare una scelta fra due opzioni, senza poter discutere nel merito del processo che portato a partorire le due possibili scelte. La componente studentesca è stata poi ulteriormente bypassata dalla rappresentanza UDU che, ancora una volta, si è arrogata il diritto di dare un indirizzo per tutti e tutte senza nemmeno porsi il problema di interpellare o comunicare prima della scelta con gli studenti e le studentesse. Insomma, sarà pure così che funziona la rappresentanza ma fa proprio schifo come sistema, a maggior ragione se si tratta di mettere una guardia giurata, possibilmente armata, che gira per i bagni dell’università a sincerarsi che vada tutto bene negli stalli dei cessi.

Oltre ad una questione sul metodo, comunque, c’è anche una questione nel merito stesso della faccenda. Il dipartimento affronta una questione così complessa derubricandola ad una questione di “ordine interno”, senza affrontare la radice del problema che, evidentemente, non si trova dentro le mura del dipartimento. Questa situazione infatti è evidentemente legata alla città tutta, dunque anche al modo in cui il Comune affronta qualsiasi problematica sociale (tra cui l’utilizzo di sostanza stupefacenti) come problema di ordine pubblico, interpellando la questura e militarizzando la città, normando in maniera certamente non pacifica l’utilizzo degli spazi cittadini.

Le siringhe a Sociologia sono solo la punta di un iceberg ben più grande dunque. L’idea di uno sceriffo che gira per la facoltà, bussando alle porte dei bagni ogni cinque minuti non è per noi una soluzione. Chissà se davvero il dipartimento avrà il coraggio di farlo. Aspettiamo trepidanti l’esito.

NO ORARI RIDOTTI! RIPRENDIAMOCI IL CIAL!

Oggi 4 febbraio come Collettivo Universitario Refresh abbiamo deciso di ri-aprire, impedendo la chiusura, il CIAL per sollevare pubblicamente il problema delle aule studio e di porre l’Ateneo di fronte alle proprie responsabilità.          A partire dall’apertura della Biblioteca Universitaria Centrale la governance di Unitn ha adottato una strategia subdola riducendo gli orari di apertura del CIAL per costringere gli studenti e le studentesse a spostarsi nei nuovi spazi nel quartiere fantasma delle Albere.                                                                                                                    Questi provvedimenti sono la dimostrazione della volontà di usare la componente universitaria per ripopolare un quartiere nato dalla speculazione edilizia. Università e Provincia vogliono arrogarsi il diritto di utilizzare le nostre vite per riempire la bella gabbia dorata progettata da Renzo Piano. Noi abbiamo deciso di contrapporci a questa logica e l’azione di oggi non è che l’inizio.                                                                                                                   Grazie all’odierna mobilitazione siamo riuscit* a costringere le alte sfere dell’Ateneo a confrontarsi con chi quotidianamente vive gli spazi dell’università e abbiamo conquistato l’apertura del CIAL, non solo per la giornata di oggi, ma anche domenica 5 e 12 febbraio dalle 14:00 alle 19:00. Naturalmente non ci fidiamo della governance universitaria e vigileremo che gli impegni presi vengano rispettati, quindi quello di oggi non è che un primo piccolo passo. La questione delle aule studio per noi non si chiude qui e siamo pront* a tornare in azione fino a quando al CIAL non verranno ripristinati gli orari che vigevano prima dell’apertura della BUC, quindi dal lunedì al sabato dalle 08:00 alle 23:45 e la domenica dalle 14.00 alle 20.45.

Secondo noi la giornata di oggi ha dimostrato come le mobilitazioni studentesche dal basso, auto-organizzate e autogestite dagli studenti e dalle studentesse, possono portare a risultati concreti e aiutare a garantire il diritto di studio a tutt*.

Come abbiamo fatto oggi, vi aggiorneremo ogni qual volta ci siano novità e se ci fosse qualcuno che vuole informarsi e organizzarsi per partecipare e ribadire la neccesità di aprire degli spazi in università come Collettivo Universitario Refresh ci troviamo ogni mercoledì dalle 18:00 nell’atrio interno di Sociologia.