L’Università ai tempi delle Lauree Honoris Causa e della Provincializzazione

Preparando la giornata di contestazione alla laurea honoris causa conferita a Sergio Marchionne dall’università di Trento abbiamo deciso di intervistare il professor Claudio Della Volpe, professore di Ingengneria per l’Ambiente e il Territorio presso il Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambientale e Meccanica, in quanto uno dei tre firmatari della lettera di opposizione alla decisione del Senato accademico di conferire la laurea a Marchionne in ingegneria meccatronica. Il professor Della Volpe ci ha poi fornito alcuni interessanti spunti di riflessione sulla condizione in cui si trova l’università di oggi.

Lei è stato uno dei firmatari degli scrittori di una lettera, qualche mese fa…

Prof Della Volpe: “Si io, Augusto Visentin e Raffaele Mauro. Il professor Pascuzzi, ovviamente essendo membro del Senato Accademico, si è opposto in quella sede. Però siamo stati gli unici tre a raccogliere questa cosa. Le lauree honoris causa sono il simbolo di eccellenza culturale. Nel tempo hanno teso a diventare un modo per farsi vedere…non è la prima volta che si fa. Marchionne è uno, laureato in filosofia, con un’altra laurea in legge, che ha fatto sempre attività privata. Cosa ha fatto? Il manager di una grande azienda capitalistica. Che merito c’è nel fare questo? Si, sarai un capitalista d’assalto, ma perché noi ti dobbiamo premiare? E questi gli danno una laurea in meccatronica, non “ci azzecca” niente la meccatronica! Si è sempre opposto alla grande iniziativa meccatronica di mercato, parliamo in termini di mercato dell’auto elettrica. Quella è meccatronica, però lui si è opposto. Ha sempre detto che non è il futuro dell’auto. Fino a qualche mese fa, ha negato di poter entrare in quel mercato. Perché ha accetto di entrare? Perché adesso il mercato si è spostato in quella direzione. Ci sono Paesi che fanno solo auto elettriche. E’ un fatto di mercato, che merito c’è nel fare questo? Che merito culturale c’è? Nessuno. Noi pensiamo che non sia un meccatronico. Se questa è l’eccellenza, l’eccellenza di uno che taglia e licenzia. E’ quello che ha chiuso gli impianti in Sicilia per esempio. Quindi stiamo premiando questo? Questo significa mascherare la realtà. Fare spettacolo e non fare scienza. Coprire cose vere. Questa è la posizione.”

Quali sono state le reazioni che ha sortito la vostra lettera?

Prof. Della Volpe: “Dal Dipartimento di Ingegneria Industriale non hanno risposto in merito, non c’è stata nessuna risposta. C’è stata una risposta dal rettore il cui approccio è stato reiterare la posizione che era stata presa.(1) Non c’è più di quella frase della motivazione ufficiale. Io penso che sia il simbolo dell’università, ma quella di Trento in particolare. c’ha un presidente un ex grande dirigente confindustriale (Innocenzo Cipolletta) abbiamo in qualche modo in quel momento scelto un certo tipo di continuità. sono continuità che hanno dato poi luogo allo statuto particolare. Le rappresentanze sono state buttate fuori dal CdA, e anche dal Senato. Chi oggi lavora in Università non può comunicare, non c’è trasmissione. Voi siete diventati dei clienti da soddisfare, quindi c’è questo atteggiamento “mercantile”. Non c’è la formazione, ma la vendita di un servizio. Sono approcci secondo me che sono coerenti tra loro.”

Voi come avete letto, o Lei come ha letto queste reazioni?

Prof Della Volpe: “Diciamo che loro in qualche modo, non entrano mai nel merito delle cose o danno per scontato una certa visione dei fatti. Una verità a senso unico. Premiare Marchionne secondo me rappresenta questo, rappresenta la logica di mercato: il vincente che si afferma in questo scontro sociale. E’ una cosa veramente misera premiare questi personaggi. Da un’università come la nostra mi aspetterei un’azione decisa nella direzione di dire, guardate questo tipo di società è insostenibile, perché questa produzione lineare “scavo tutto e butto all’aria” non si può fare. Dobbiamo andare in un’altra direzione. Fondamentalmente negano queste cose. Quindi in qualche modo Marchionne è il simbolo di questo mondo. io lo leggo così, stanno premiando questa visione del mondo. E’ un esempio veramente negativo.”

La laurea honoris causa a Marchionne può essere considerata un epifenomeno delle tendenze contemporanee che sta vivendo l’università?

Prof Della Volpe: “Si, esattamente, e in particolare la nostra che si autodefinisce di eccellenza. Diventare il vincitore nello scontro mercantile, del mercato. Sono il più bravo ad accumulare ricchezza senza preoccuparmi delle risorse naturali, dei problemi ambientali. Stiamo premiando un personaggio di retroguardia, dal mio punto di vista. culturalmente parlando. anche nello suo stesso ambito. Non è neanche il capitalista che vede il futuro, non lo vede.”

L’atteggiamento mercantile, che si va a premiare con questa laurea a Marchionne, come diceva lei prima, come si traduce all’interno dell’Università? Prima faceva un parallelismo tra il simbolo-Marchionne e il sistema università…

Prof Della Volpe: “si traducono nella competitività che diventa l’unico parametro. che cosa si propone ad uno che entra nel mondo dell’università oggi? Si propone di pubblicare il più possibile, il prima possibile. Dato che entri tardi, tendi a mettere questo elemento al centro di tutto. Almeno il tempo di capire le cose ci deve stare. Si è visto che è un modo che non va, è sbagliato. Se noi perseguissimo una logica del massimo sviluppo il più veloce possibile, andremo incontro coerentemente a problemi come succede nel campo tecnologico. Le vere ricerche significative spesso hanno tempi incompatibili con questi, non puoi chiedere alle persone di pubblicare tutto il meglio in cinque anni. Direi che fondamentalmente il punto è questo, cioè si incomincia a vedere un certo scollamento tra questo modello produttivistico e il capire la natura. L’idea che ho è che ci vuole del tempo per fare le cose. Questa logica del correre il più veloce te lo toglie insomma. Poi ci sono altri aspetti. In particolare in Italia c’è questo fatto che il professore universitario si crede un po’ un lavoratore diverso dagli altri. In altri Paesi non c’è questo problema. Nel docente italiano c’è ancora questa concezione del professionista, che è diverso dagli altri lavoratori… Questo fatto di pensarsi unici, speciali, secondo me è una debolezza del mondo universitario del nostro Paese.”

L’università di Trento è un’università provincializzata. Il connubio tra l’accordo di Milano, che ha dato vita alla provincializzazione dell’Ateneo, e questo ambiente lavorativo interno all’università caratterizzato dalle tendenze che delineava Lei prima, che cosa ha prodotto?

Prof Della Volpe: “Questa è una bella domanda. In realtà potenzialmente poteva produrre delle cose diverse. Però ha prodotto l’effetto principale del fatto che il potere politico e l’Università sono molto vicini, in tutti i sensi. Quindi c’è un fortissimo effetto di un uso di un’università da parte del potere. Il caso della biblioteca è eclatante. L’università come l’aveva pensata Kessler, era il ponte che passa da un lato all’altro dell’Adige, e lui pensava ad un’università, un campus, un oggetto unitario. Però in realtà questo non è mai stato fatto. Che cosa è successo invece? C’è stata la polverizzazione delle sedi e poi c’è stato un enorme uso immobiliaristico dell’università per minimizzare i danni del quartiere Le Albere. Cioè in qualche modo è stata sfruttata così. Io credo che si sarebbero potute fare cose notevoli, ma c’è un uso strumentale dell’università. Voi sapete che c’è un problema di finanziamento non mantenuto, alla lunga andiamo incontro ad un deficit significativo. Credo che questo sia il problema, cioè questo accordo di Milano ha stretto ancora di più il controllo politico sull’università. Che c’era già in parte, perché erano già successe queste cose di usare per esempio l’edilizia universitaria, fatta in quel modo per gestire gli aspetti territoriali. Basti pensare che tutto il polo di Povo è stato costruito senza attenzione ad aspetti essenziali come la sicurezza e altro. Abbiamo delle carenze significative da questo punto di vista. Se questa è logica dell’università di Trento che pensa di essere all’avanguardia … queste sono cose di retroguardia. A Povo 2 l’ultimo edificio costruito, ha avuto nell’arco di 4 mesi ha avuto due black out. In questi due black out non è mai partito l’impianto elettrogeno. Quella è una struttura dove ci sono 70-80 cappe chimiche e biologiche. quindi diciamo che è un edificio che senza un’aspirazione attiva, entri in condizioni di rischio. Non si è capito bene, non abbiamo avuto una giustificazione chiara dall’università.”

Questo controllo politico della Provincia sull’Università quanto è forte? E in che misura è percepito da parte di docenti, ricercatori e ricercatrici, dottorande e dottorandi?

Prof Della Volpe: “Secondo me il problema è questo. La mia impressione è che la questione la sentano, ma c’è un po’ il timore di opporsi a questa cosa. Si ha paura di perderci qualcosa. La Provincia da un minimo di contributi alle spese di ricerca e poi ci sono bandi. Ora la partecipazione a questi bandi è essenzialmente e fortemente un aspetto politico. Per esempio, i dipartimenti possono partecipare a queste cose, ma ciascuno con un progetto. Quindi tu non sei libero di partecipare come ti pare. Si decide chi può partecipare. Alla fine in qualche modo uno che si oppone rischia. Questa è un po’ la questione e le persone se ne rendono conto. Quando c’è stata la provincializzazione, sembrava che tu ti opponessi al progresso. Io all’epoca, quando ci fu questa cosa, ero in Consiglio d’Amministrazione. Ho cercato di costruire un minimo di opposizione. Alla fine per disperazione mi sono dimesso, sperando di innescare un processo di discussione. Ma questo non è successo. Quello che è successo è che alcuni miei colleghi hanno voluto una veloce rielezione di un rappresentante sulla base del fatto che le persone pensavano che questa provincializzazione fosse un’opportunità. Ma si vedeva già allora che non lo era, perché la provincializzazione fu costruita senza ascoltare il Consiglio d’Amministrazione e gli altri organi rappresentativi delle diverse figure che compongono l’Università.”

A proposito di questo clima che descriveva, noi conosciamo come viene gestito da parte dell’Ateneo il dissenso portato da studenti e studentesse. E’ una modalità di gestione, che al di là delle narrazioni dell’università che si autodefinisce democratica, aperta all’ascolto, aperta, tende a marginalizzare il dissenso studentesco. Come viene gestito il dissenso portato da docenti, dottorand*, ricercatori e ricercatrici?

Prof Della Volpe: “Voi dovete capire come è gestito il potere. Le strutture istituzionali sono i consigli d’area, che gestiscono la parte didattica, alle quali partecipiamo tutti come docenti. In cui però non si parla mai di cose di carattere generale perché questi aspetti vengono trattati in consiglio di dipartimento. Il consiglio di dipartimento in questo momento hanno regolamenti che privilegiano molto l’azione delle giunte. C’è stata una specie di piramide, che ha portato tutte le decisioni e questioni ad una sorta di “baronizzazione”. In cui alcune persone hanno un loro capitale. Quindi chiaro che puoi dissentire, ma ti trovi in una condizione di difficoltà. Questi sono aspetti consustanziali al modo di funzionare. Togli essenza alla democrazia. Non ti puoi documentare neanche, o diventa molto faticoso. E’ una situazione veramente assurda.”

La percezione che si ha vedendo gli annunci fatti recentemente dall’università riguardo l’apertura di nuovi corsi di laurea, come enologia e scienze dei dati, è che UniTn sia in espansione. Alla luce di quanto detto fino ad ora, è davvero così oppure è tutto marketing, tutta pubblicità?

Prof Della Volpe: “Anche io ho avuto questa impressione di una espansione, ma non mi riesco ad esprimere. Sicuramente si sono creati dei legami che non c’erano prima, per esempio con la Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige. Quello che io penso sia negativo è il fatto che noi non dovremmo essere in qualche modo attori così coinvolti. Secondo me nella forma in cui viene prospettato, quando c’è una vicinanza così forte, tra il potere politico e l’istituzione dell’università, si creano dei conflitti di interesse e diveniamo quasi ricattabili. La mia impressione è che questo condizionamento ci sia. Però ci vorrà un po’ di tempo per capirlo. Nel tempo c’è stato uno sviluppo troppo tumultuoso. La sensazione generale è questa.”

Tornando un po’ all’attualità, è appena terminato lo sciopero dei e delle docenti universitar* e a detta degli organizzatori ha avuto un discreto successo. Sappiamo che anche a Trento ci sono state adesioni e che questa partecipazione ha creato molto dibattito. Tra le e i docenti dell’Università di Trento? Avete avuto dei momenti di confronto?

Prof Della Volpe: “No, non ci sono stati. Non c’è stata nessuna iniziativa, o almeno in collina non c’è stata. Ci sono state delle discussioni di corridoio. Più di questo io non ho notato. C’è stata una certa partecipazione per la prima volta, ma come è stato per il resto del Paese. Toccate nella tasca, le persone si sono mosse un po’. Scioperare non è tipico del docente universitario. E’ una categoria poco sindacalizzata, che comunque ha una partecipazione abbastanza scarsa. C’è poca sensibilità su questi temi. C’è una parte delle persone che capisce che deve essere parte del complesso sociale mentre altri invece hanno questa posizione, come dicevo prima dell’essere diversi. Pensano di essere sopra. Quindi per tornare alla tua domanda, c’è stata una discussione, ma del tutto in via informale.”

Ora che lo sciopero è finito, verranno date delle letture di questo momento di mobilitazione della docenza universitaria. Lei che lettura da di questo sciopero?

Prof Della Volpe: “Secondo me è ancora presto per capire le conseguenze. Però sicuramente, qui a Trento come altrove, c’è stato un parziale di risveglio d’interesse, perché non c’è stato il tentativo di unificare, facendo un’assemblea in cui coinvolgere anche le figure che non fanno lo sciopero, ma che sappiamo che hanno problemi, come i precari, il personale tecnico. Non c’è questa mentalità. Il sindacato non ha lanciato questa cosa. C’è un risveglio, ma è molto limitato. Non lo vedo come un grande evento.”

NOTE

(1) Delibera del Senato accademico del 23 novembre 2016: «[…] Ritenuto che il dott. Sergio Marchionne, dall’esame del suo curriculum vitae, si distingue come esperto nella disciplina per la quale si propone il conferimento del titolo onorario.». Conferenza stampa del 19 luglio 2017: «La proposta – si legge nella delibera del Dipartimento – trova motivazione nell’eccezionale professionalità, impegno ed efficacia di Marchionne nella gestione di diverse realtà industriali ai massimi livelli internazionali. La sua carriera professionale è connotata da una chiara visione strategica, tempestività e indipendenza di decisione. Queste qualità, supportate da una profonda competenza tecnica, gli hanno permesso di affrontare e di gestire con successo trattative estremamente complesse, favorendo in tal modo il rilancio del settore automobilistico nazionale e, di conseguenza, l’innovazione e lo sviluppo nell’ambito dell’Ingegneria meccatronica».

Laurea a Marchionne. Appello a professori/esse, ricercatori/trici

Dalla scorsa settimana stiamo facendo girare il seguente appello tra i professori e le professoresse, i ricercatori e le ricercatrici, i dottorandi e le dottorande dell’Ateneo di Trento.

Gentili professori e professoresse, ricercatori e ricercatrici, dottorandi e dottorande, a nome del Collettivo Universitario Refresh,
con la presente mail vorremmo sottoporre alla vostra attenzione la decisione del Dipartimento di Ingegneria Industriale e del Senato Accademico di conferire la laurea honoris causa a Sergio Marchionne in Ingegneria Meccatronica, la cui cerimonia si terrà il 2 ottobre a Rovereto.

I motivi per cui noi studenti e studentesse del Collettivo Universitario Refresh ci opponiamo a questa decisione sono diversi. In primo luogo riteniamo che il candidato non possieda i requisiti necessari a giustificare l’assegnazione del titolo onorario, la cui cadidatura non a caso è regolamentata dal regio decreto n.1592/1933. Latitano infatti competenze, opere compiute e pubblicazioni a opera di Sergio Marchionne nel merito della disciplina, il che ne costituisce una grave violazione. Una siffatta arbitraria consegna della laurea ad honorem trarrebbe quindi motivo esclusivamente nell’ambito della ricerca da parte dell’Università di futuri finanziamenti, anziché trarre giustificazione dal riconoscimento collettivo di una conoscenza profonda della disciplina.

In qualità di studenti e studentesse ci opponiamo a un’Università che fa della svalutazione del titolo accademico uno strumento posticcio per arraffare i fondi d’emergenza necessari a coprire i buchi lasciati da anni di insolvenza da parte della Provincia Autonoma.
Il sacrificio economico che con le nostre famiglie ci troviamo ad affrontare per raggiungere il traguardo della laurea ci porta a vivere questa scelta come uno sfregio, viste le copiose tasse che ci troviamo a pagare di anno in anno e le difficoltà ad accedere alle borse di studio.

Sappiamo che già una piccola parte del corpo docente ha espresso pubblicamente il proprio disaccordo sulla questione (1). Siamo inoltre a conoscenza dei toni con cui il Rettore Collini ha risposto alle obiezioni (2); e se per il nostro Rettore in Marchionne non si rilevano comportamenti non etici, si dipana in noi la nebbia di dubbi su quale sia la direzione che Paolo Collini vuole dare all’Università digli Studi di Trento durante il suo mandato. Rileviamo quindi la tendenza dell’istutuzione universitaria trentina a considerare come vincente il modello di un’Università disposta a piegarsi ai privati per accaparrarsi quei finanziamenti che invece dovrebbe esigere dalla Provincia Autonoma (3). L’episodio della consegna della laurea honoris causa a Sergio Marchionne rientra perfettamente in questo quadro.

Come studenti e studentesse del Collettivo Universitario Refresh, abbiamo deciso di sottoporre alla vostra attenzione questo appello nella speranza che anche voi, in qualità di professori e professoresse, ricercatori e ricercatrici, dottorandi e dottorande, esprimiate la vostra opinione su questa vicenda. Cogliamo inoltre l’occasione per invitarvi a partecipare alla protesta che organizzeremo il 2 ottobre a partire dalle ore 11.00 fuori dal polo di Ingegneria Meccatronica di Rovereto.

COLLETTIVO UNIVERSITARIO REFRESH

Per aderire all’appello vi chiediamo semplicemente di rispondere a questa mail, con una firma o con un vostro contributo. Per qualsiasi altra informazione il nostro contatto email è curtrento@autistici.org.

ADESIONI E RIFLESSIONI:

Silvia Bordin, dottoranda in informatica e telecomunicazioni;

Giulio Galdi, Dottorando DELoS, “Condivido però che sento l’urgenza di dissociarmi dalla mia università, che dà un’onorificenza immeritata scientificamente e moralmente. Non condivido, infatti, l’appoggio morale che questa celebrazione dà ad un uomo che è un protagonista della lotta contro il diritto degli ultimi, che ha cercato di strozzare i diritti dei lavoratori lungo tutta la sua carriera.”;

Andrea Binelli, professore presso il Dip. di Lettere e Filosofia, “Cari studenti,
condivido il malessere per una scelta che anch’io considero sbagliata.”

Elisa Bellé, ricercatrice presso il Dip. di Sociologia e Ricerca Sociale, consulta dei dottorandi e degli assegnisti di ricerca, “Trovo gravissima la scelta di conferire un simile titolo a una figura del tutto discutibile dal punto di vista dell’operato pubblico. Una scelta eticamente, politicamente e scientificamente svilente per l’Ateneo tutto. Una laurea Honoris Causa andrebbe conferita a una figura che unisce, non a una che divide, a una persona che sa guardare lontano e apportare cambiamenti e innovazioni per il bene collettivo.”

NOTE:
(1) https://www.pressreader.com/italy/corriere-del-trentino/20161127/281552290464429
(2)https://www.pressreader.com/italy/corriere-del-trentino/20161204/281809988515895
(3) Ci riferiamo in particolare debito di 200 milioni della Provincia Autonoma di Trento nei confronti dell’Università degli Studi di Trento.

Laurea ad Honorem a Marchionne. Facciamogli la Festa.

La proposta del dipartimento di ingegneria industriale di conferire una laurea honoris causa in ingegneria meccatronica a Sergio Marchionne, approvata dal Senato accademico a fronte di un solo astenuto e accolta dal MIUR, si tradurrà il 2 ottobre prossimo nella rituale sfilata di cravatte, strette di mano convinte, grandi discorsi, foto di gruppo e tartine al salmone.

Assisteremo quindi all’arbitraria consegna di un titolo che suona più come una supplica per ottenere futuri finanziamenti che un riconoscimento di una conoscenza profonda della disciplina. Latitano infatti le opere compiute o le pubblicazioni da parte di Marchionne nell’ambito dell’ingegneria meccatronica, cosa che sarebbe invece necessaria secondo la legislazione che regolamenta l’assegnazione della laurea ad honorem (regio decreto n.1592/1933). Ma questo non serve allUniversità che invece liscia il pelo allamministratore delegato di FCA andando ad arricchire il suo carnet già fin troppo ampio di sei lauree ad honorem. Dove la notizia passa in sordina, possiamo comunque udire senza troppe difficoltà lo schricchiolio di unUniversità che fa della svalutazione del titolo accademico uno strumento posticcio per arraffare i fondi demergenza necessari a coprire i buchi lasciati da anni di insolvenza da parte della Provincia Autonoma.

Se la corona di alloro si posa sulla testa di Sergio Marchionne in un grande atto di prosternazione da parte di Rettore e Senato Accademico, ciò che invece lUniversità di Trento mostra ai suoi studenti e studentesse e al suo corpo docente ha tutto laspetto di uno sfregio. Gli incalcolabili sacrifici, economici e personali, le sfiancanti scalate lungo le graduatorie per le borse di studio o per gli assegni di ricerca sono inutili davanti ai quattrini promessi da chi di ingegneria meccatronica non ha mai scritto (o letto) una riga.


Tuttavia qualche voce si è levata anche da una piccola parte del corpo docente, alcun* de* quali hanno espresso pubblicamente il loro disaccordo sulla questione (1). Alle obiezioni il rettore Collini ha risposto attaccando personalmente e in modo arrogante uno dei firmatari della lettera (2). Non sono mancate inoltre affermazioni dal sapore del “ha fatto anche cose buone” come: “Marchionne può essere un personaggio spigoloso, ma ha avuto grandi meriti, ha fatto sì che la Fiat sopravvivesse quando era sul baratro e che arrivasse ad acquisire la Chrysler, terza azienda americana” (3), affermazioni che, oltre ad odorare di muffa, testimoniano la spiccata sensibilità del nostro Magnifico verso chi si è fatto le ossa sulla mortificazione dei diritti di lavoratori e lavoratrici, delocalizzando in modo sistematico imprese e capitali. E se per il nostro rettore in Marchionne non si rilevano comportamenti non etici, si dipana in noi la nebbia di dubbi su quale sia la direzione che Paolo Collini vuole dare all’Università digli Studi di Trento durante il suo mandato di Rettore.

L’università non è mai stato un luogo scevro da qualsiasi condizionamento con il compito di formare le cittadine e i cittadini e di produrre sapere utile per il progresso della società. L’università è da sempre un’istituzione che, come tutte le altre, è succube degli interessi del capitale. Una dopo l’altra le storielle con le quali hanno cercato di intortarci stanno cadendo e la dura realtà si sta mostrando con sempre maggiore forza e sempre meno pudore agli occhi tutt* noi. Ormai le università sono più impegnate a rincorrere i privati per accaparrarsi finanziamenti piuttosto che esigere dal pubblico ciò che gli spetta. Il debito di 200 milioni della Provincia Autonoma di Trento nei confronti di Unitn docet.

La laurea honoris causa a Marchionne è un episodio che ci mostra come questa tendenza sia presente anche nella dorata Università di Trento. Come studentesse e studenti, del Collettivo Universitario Refresh, ci opporremo a questa buffonata e, a modo nostro, andremo a fare la festa al neo laureato amministratore delegato di FCA. Un festeggiamento rabbioso perché la rabbia è il sentimento che proviamo nei confronti di queste messe in scena e delle derive che l’università sta prendendo. Il 2 ottobre sarà per noi un primo passo di questo nuovo anno accademico che preannunciamo caratterizzato dalla lotta, dal conflitto e dal dissenso contro l’università-azienda e contro le scempiaggini che comporta.

NOTE:

(1) https://www.pressreader.com/italy/corriere-del-trentino/20161127/281552290464429

(2) https://www.pressreader.com/italy/corriere-del-trentino/20161204/281809988515895

(3)https://www.pressreader.com/italy/corriere-del-trentino/20161129/281492160925799/textview

Road to Ventimiglia- Giorno 4

  1. Nella nostra ultima sera a Ventimiglia abbiamo distribuito una cinquantina di sacchi a pelo ai migranti che risiedono  nella zona delle gianchette, una zona situata nel centro città lungo il fiume Roja, in cui i migranti risiedono. La zona è all’aperto e l’unico riparo è offerto dalla presenza di un ponte autostradale, dunque diviene necessario fornire loro questo tipo di materiale al fine di ripararsi dal freddo della notte.
    Abbiamo inoltre avuto occasione di parlare con alcuni di loro,la cui maggior parte è composta da sudanesi con una buona conoscenza della lingua inglese. Questo ha reso possibile un contatto diretto senza bisogno della presenza di mediatori. Ci hanno fatto alcune domande, per avere maggiori informazioni sulla loro situazione, sui tempi relativi ad un possibile ottenimento della richiesta di asilo, a cui si è aggiunta la forte speranza di passare il confine con la Francia e di proseguire il proprio viaggio verso l’Europa o, in alcuni casi, la volontà di tornare nel proprio paese di origine. È seguito un confronto sulla difficoltà di attraversare i confini relativa alla chiusura delle frontiere e all’incapacità delle attuali politiche di gestire in maniera efficiente i flussi migratori. I ragazzi infine ci hanno ringraziato per il lavoro che tutt* i solidali svolgono, considerato fondamentale.

Road to Ventimiglia- Giorno 2

Nei primi due giorni a Ventimiglia abbiamo svolto attività di aiuto e supporto materiale nei confronti dei migranti transitanti, prima fra tutte la distribuzione di vestiti. Grazie alle svariate forme di solidarietà concreta riusciamo anche ad interagire e conoscere i migranti, che ci permette di andare oltre al mero aiuto e consegna. Per queste persone Ventimiglia viene considerata solamente come luogo di transito, come molte altre città d’Italia, ma quel dispositivo che è il confine glielo impedisce. Se non sono i rastrellamenti e le deportazioni settimanali ad impedirglielo, spesso lo sono i respingimenti quotidiani da parte della polizia francese. Anche i tragitti che vengono intrapresi spesso sono letali. Il numero delle morti sui binari, in autostrada o sui sentieri infatti continua tragicamente a salire(1).

Molti ragazzi migranti della nostra stessa età intendono attraversare il confine per raggiungere altri paesi europei, con il desiderio e la volontà di poter ricercare un lavoro o semplicemente iscriversi all’università per cominciare o terminare i propri studi, diritti che dovrebbero essere garantiti a tutti e tutte a prescindere dalla provenienza, dal colore della pelle e della situazione economica. Ciò che però ha smesso di stupirci è il fatto che alcuni migranti, bloccati in Italia ormai da mesi e anni, ci raccontano di aver trascorso lunghi periodi rinchiusi nei vari CIE o Hotspot, senza mai poter contattare un avvocato o telefonare a casa. Si ritrovano quindi stremati dalla cronica mancanza di tutela dei loro diritti, dall’assenza di un sostegno legale e da un sistema di accoglienza che non li riesce ad includere e si mostra come una via senz’uscita in cui rischiano di rimanere bloccati. I rastrellamenti nella città di Ventimiglia continuano a verificarsi in modo massiccio. Il numero di forze dell’ordine presente al confine e nelle zone limitrofe si mantiene ingente. Gli agenti di polizia spesso si mostrano irrequieti e agitati a tal punto da non riuscire ad evitare di urlare ed insultare i migranti anche durante un semplice controllo.
La fortezza Europa si scaglia contro queste persone con il suo volto peggiore. La nostalgia di aver lasciato il proprio paese d’origine, malgrado le guerre, le devastazioni ambientali ed economiche, la violenza dei regimi o dei terroristi, spesso attanaglia chi si ritrova sopravvissuto ad un naufragio per riuscire ad approdare in Europa ed essere trattato come un criminale omicida. Forse è proprio questo l’obiettivo di chi si siede ai G20 per discutere di migrazioni globali: spaventare. Spaventare tutt*, chi fugge e chi dovrebbe accogliere. Provando a farci credere che la diversità sia una minaccia. Ma chi si prende il diritto di dividere il mondo in poveri e ricchi, ammessi e non ammessi, ci legittima a continuare a vedere il mondo in oppressori ed oppressi. E sempre dalla stessa parte ci troverete. Quella che si riprenderà la libertà, a spinta.

FONTI:

(1)

I morti di confine a Ventimiglia

 

 

Road to Ventimiglia- Giorno 1

Ciò che più ci colpisce all’arrivo in città a Ventimiglia è la situazione surreale di militarizzazione e pattugliamento di strade, stazioni e parcheggi. Questo ingente dispiegamento di forze dell’ordine e esercito non è giustificato  dalle condizioni di precarietà e mancanza di sussistenza in cui si trovano a vivere i migranti presenti in città. Il campo della Croce Rossa Italiana infatti ospita circa 500 persone mentre in strada si riversano tutte le altre centinaia di migranti che non trovano alcun rifugio se non sotto ai ponti o ai cavalcavia. La ragione che tuttavia spiega la presenza di cotanti agenti non pare avere il proprio fondamento nella tutela dei diritti fondamentali, nella protezione dei minori, nel contrasto al traffico di esseri umani, nell’impedire i circuiti di prostituzione o nella cura degli infermi; ma risiede nella meticolosità dello sporco lavoro di rastrellamento e deportazione settimanale che avviene nelle strade e lungo i confini. I migranti transitanti vengono fermati su basi razziali: lo screening e i criteri di identificazione si basano infatti puramente sul colore della pelle. In seguito ad un veloce e approssimativo controllo vengono portati in commissariato a Ventimiglia e in seguito nella caserma di frontiera dove, assieme a coloro che sono stati respinti dalla polizia francese o rastrellati lungo le autostrade, le reti ferroviarie e i sentieri, vengono caricati contro la loro volontà su uno o più pullman nell’attesa di essere trasferiti all’Hotspot di Taranto o in altre strutture detentive in Italia.

Anche chi porta solidarietà e sostegno diviene oggetto delle attenzioni della polizia, che ha identificato per due volte in una sola mattinata i compagni e le compagne del CUR impegnat* in attività di monitoraggio e distribuzione di beni di prima necessità. Ma non saranno di certo le chiare identificazioni intimidatorie a fermare l’attività di quell* che, come noi, solidarizzano con chi sta chiedendo libertà di movimento, tutela dei diritti e facoltà di autodeterminazione. A Ventimiglia la mano repressiva, razziale e di classe si palesa in tutta la sua violenza, facendoci pensare che chi, come fecero certi kapo’ nazisti, crede che il solo fatto di ubbidire a degli ordini lo svincoli dalle colpe che le proprie azioni comportano, si sbaglia di grosso.

 

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