Road to Ventimiglia- Giorno 4

  1. Nella nostra ultima sera a Ventimiglia abbiamo distribuito una cinquantina di sacchi a pelo ai migranti che risiedono  nella zona delle gianchette, una zona situata nel centro città lungo il fiume Roja, in cui i migranti risiedono. La zona è all’aperto e l’unico riparo è offerto dalla presenza di un ponte autostradale, dunque diviene necessario fornire loro questo tipo di materiale al fine di ripararsi dal freddo della notte.
    Abbiamo inoltre avuto occasione di parlare con alcuni di loro,la cui maggior parte è composta da sudanesi con una buona conoscenza della lingua inglese. Questo ha reso possibile un contatto diretto senza bisogno della presenza di mediatori. Ci hanno fatto alcune domande, per avere maggiori informazioni sulla loro situazione, sui tempi relativi ad un possibile ottenimento della richiesta di asilo, a cui si è aggiunta la forte speranza di passare il confine con la Francia e di proseguire il proprio viaggio verso l’Europa o, in alcuni casi, la volontà di tornare nel proprio paese di origine. È seguito un confronto sulla difficoltà di attraversare i confini relativa alla chiusura delle frontiere e all’incapacità delle attuali politiche di gestire in maniera efficiente i flussi migratori. I ragazzi infine ci hanno ringraziato per il lavoro che tutt* i solidali svolgono, considerato fondamentale.

Road to Ventimiglia- Giorno 2

Nei primi due giorni a Ventimiglia abbiamo svolto attività di aiuto e supporto materiale nei confronti dei migranti transitanti, prima fra tutte la distribuzione di vestiti. Grazie alle svariate forme di solidarietà concreta riusciamo anche ad interagire e conoscere i migranti, che ci permette di andare oltre al mero aiuto e consegna. Per queste persone Ventimiglia viene considerata solamente come luogo di transito, come molte altre città d’Italia, ma quel dispositivo che è il confine glielo impedisce. Se non sono i rastrellamenti e le deportazioni settimanali ad impedirglielo, spesso lo sono i respingimenti quotidiani da parte della polizia francese. Anche i tragitti che vengono intrapresi spesso sono letali. Il numero delle morti sui binari, in autostrada o sui sentieri infatti continua tragicamente a salire(1).

Molti ragazzi migranti della nostra stessa età intendono attraversare il confine per raggiungere altri paesi europei, con il desiderio e la volontà di poter ricercare un lavoro o semplicemente iscriversi all’università per cominciare o terminare i propri studi, diritti che dovrebbero essere garantiti a tutti e tutte a prescindere dalla provenienza, dal colore della pelle e della situazione economica. Ciò che però ha smesso di stupirci è il fatto che alcuni migranti, bloccati in Italia ormai da mesi e anni, ci raccontano di aver trascorso lunghi periodi rinchiusi nei vari CIE o Hotspot, senza mai poter contattare un avvocato o telefonare a casa. Si ritrovano quindi stremati dalla cronica mancanza di tutela dei loro diritti, dall’assenza di un sostegno legale e da un sistema di accoglienza che non li riesce ad includere e si mostra come una via senz’uscita in cui rischiano di rimanere bloccati. I rastrellamenti nella città di Ventimiglia continuano a verificarsi in modo massiccio. Il numero di forze dell’ordine presente al confine e nelle zone limitrofe si mantiene ingente. Gli agenti di polizia spesso si mostrano irrequieti e agitati a tal punto da non riuscire ad evitare di urlare ed insultare i migranti anche durante un semplice controllo.
La fortezza Europa si scaglia contro queste persone con il suo volto peggiore. La nostalgia di aver lasciato il proprio paese d’origine, malgrado le guerre, le devastazioni ambientali ed economiche, la violenza dei regimi o dei terroristi, spesso attanaglia chi si ritrova sopravvissuto ad un naufragio per riuscire ad approdare in Europa ed essere trattato come un criminale omicida. Forse è proprio questo l’obiettivo di chi si siede ai G20 per discutere di migrazioni globali: spaventare. Spaventare tutt*, chi fugge e chi dovrebbe accogliere. Provando a farci credere che la diversità sia una minaccia. Ma chi si prende il diritto di dividere il mondo in poveri e ricchi, ammessi e non ammessi, ci legittima a continuare a vedere il mondo in oppressori ed oppressi. E sempre dalla stessa parte ci troverete. Quella che si riprenderà la libertà, a spinta.

FONTI:

(1)

I morti di confine a Ventimiglia

 

 

Road to Ventimiglia- Giorno 1

Ciò che più ci colpisce all’arrivo in città a Ventimiglia è la situazione surreale di militarizzazione e pattugliamento di strade, stazioni e parcheggi. Questo ingente dispiegamento di forze dell’ordine e esercito non è giustificato  dalle condizioni di precarietà e mancanza di sussistenza in cui si trovano a vivere i migranti presenti in città. Il campo della Croce Rossa Italiana infatti ospita circa 500 persone mentre in strada si riversano tutte le altre centinaia di migranti che non trovano alcun rifugio se non sotto ai ponti o ai cavalcavia. La ragione che tuttavia spiega la presenza di cotanti agenti non pare avere il proprio fondamento nella tutela dei diritti fondamentali, nella protezione dei minori, nel contrasto al traffico di esseri umani, nell’impedire i circuiti di prostituzione o nella cura degli infermi; ma risiede nella meticolosità dello sporco lavoro di rastrellamento e deportazione settimanale che avviene nelle strade e lungo i confini. I migranti transitanti vengono fermati su basi razziali: lo screening e i criteri di identificazione si basano infatti puramente sul colore della pelle. In seguito ad un veloce e approssimativo controllo vengono portati in commissariato a Ventimiglia e in seguito nella caserma di frontiera dove, assieme a coloro che sono stati respinti dalla polizia francese o rastrellati lungo le autostrade, le reti ferroviarie e i sentieri, vengono caricati contro la loro volontà su uno o più pullman nell’attesa di essere trasferiti all’Hotspot di Taranto o in altre strutture detentive in Italia.

Anche chi porta solidarietà e sostegno diviene oggetto delle attenzioni della polizia, che ha identificato per due volte in una sola mattinata i compagni e le compagne del CUR impegnat* in attività di monitoraggio e distribuzione di beni di prima necessità. Ma non saranno di certo le chiare identificazioni intimidatorie a fermare l’attività di quell* che, come noi, solidarizzano con chi sta chiedendo libertà di movimento, tutela dei diritti e facoltà di autodeterminazione. A Ventimiglia la mano repressiva, razziale e di classe si palesa in tutta la sua violenza, facendoci pensare che chi, come fecero certi kapo’ nazisti, crede che il solo fatto di ubbidire a degli ordini lo svincoli dalle colpe che le proprie azioni comportano, si sbaglia di grosso.

 

https://www.facebook.com/progetto20k/videos/446391592387427/

Road to Ventimiglia

 (Foto da FB: Progetto20k)

Non passeranno troppi giorni prima che la nave C-Star, noleggiata da una società di mercenari inglese1, arrivi nei porti italiani per difendere l’Europa dalla cosiddetta invasione dei migranti. L’iniziativa, promossa da Generazione Identitaria (un gruppo di estrema destra europeo), intende fermare la sostituzione etnica che pare stia soppiantando i valori culturali e nazionali degli stati europei. Non ci stupiremmo quindi di trovare dei ferventi oppositori della sfericità terrestre, tra le fila di coloro che proclamano i valori di quell’impero romano egemone sul continente e difensore della cristianità; li invitiamo a non spingersi oltre le colonne d’Ercole per adempiere ai loro scopi.

Dal canto nostro invece, a fine febbraio siamo andat* a Belgrado per supportare l’auto-organizzazione che i migranti avevano instaurato all’interno delle baracche abbandonate dietro alla stazione. Abbiamo distribuito beni di prima necessità, trovandoci nella condizione di conoscere chi da mesi e anni è in viaggio, per fuggire dalle atrocità che la Siria, l’Afghanistan e il Pakistan ogni giorno ci mostrano. Abbiamo deciso di non fermarci e di proseguire questo percorso di indagine, supporto e lotta al fianco dei migranti. Cambiando rotta anche noi.

Chi viene tratto in salvo nel Mediterraneo e approda sulle coste italiane è da considerarsi un sopravvissuto, con tutte le implicazioni che questo termine pone. Se non sono i motivi stessi del viaggio ad uccidere, spesso è la tratta stessa che seppellisce lungo la rotta migliaia di uomini e donne, anziani e bambini. Avete mai attraversato il Sahara? Provate ad immaginare di farlo senza acqua, per settimane. La siccità, le prigioni libiche, gli stupri, la traversata in mare, sono troppo spesso dimenticati da chi si riempie la bocca parlando di merito nell’accogliere quando si dovrebbe parlare di diritto all’accoglienza. E se il diritto non riesce a garantire la sopravvivenza o l libertà di ricercarsi un futuro degno, lo garantirà la solidarietà. Sono questi i motivi che ci portano a Ventimiglia, con il Progetto20k, per capire cos’è quel dispositivo chiamato confine, che, con criteri razziali e di classe, continua ad uccidere chi prova ad attraversarlo2. Ci serve per capire, per provare ad aprire degli interstizi al suo interno, mostrando le sue contraddizioni e la violenza che lo costituisce.


Abbiamo partecipato all’assemblea
Sconfinamenti 3.0, tenutasi al CSA La Talpa e l’Orologio di Imperia lo scorso 8 e 9 Luglio, discutendo e confrontandoci nel merito con altre realtà solidali sui nodi che il tema dei migranti e la questione dell’accoglienza pone. A partire dalla necessità che si è palesata di riuscire ad aprire e a mantenere spazi di confronto che riescano ad unire le necessità di tutt*, occorre allo stesso tempo denunciare e contrastare i processi di criminalizzazione che nelle nostre città e nelle periferie vedono nei migranti come l’oggetto di ogni male d’Italia. Questo innesca una guerra fra poveri dove per la disoccupazione, l’instabilità salariale o la criminalità organizzata, il colpevole diventa chi è sopravvissuto: i migranti. Bisognerebbe quindi interrogarsi anche sul tipo d’informazione che viene veicolata dai media mainstream che sdoganano concetti della destra come l’aiutiamoli a casa loro o l’invasione dall’Africa, riuscendo a minimizzare la questione con una velata nota razzista di fondo, proponendo soluzioni semplici a problemi complessi. La parola accoglienza assume sempre di più connotazioni che la avvicinano di più ad una colpa, che a una virtù. E se da una parte vorremmo prima capire se per aiutarli a casa loro si dovranno mantenere i dominion coloniali capitalisti, continuare a venderci armi dentro3, depredare il territorio e schiavizzare la manodopera; dall’altro rivendichiamo spazi di battaglia meticcia, rifiutando ogni tipo di repressione imposta sulla pelle di chi sta chiedendo un futuro più degno, perché è imposta anche sulla nostra. Rigettiamo la narrazione politica costruita sull’emergenzialità, che permette ai potenti di legiferare come meglio credono e alle destre fasciste di inventarsi campagne razziste speculando su paure infondate e menzogne pericolose. Sarebbe da chiedersi come mai in Spagna dal 1991 al 2010 il numero di stranieri è aumentato di venti volte (da 350mila a 6milioni) ma malgrado i tracolli economici, la crisi, l’aumento della disoccupazione e gli attentati non esistano ad oggi partiti xenofobi di rilievo, ma anzi vediamo città come Barcellona lanciare segnali di umanità non indifferenti4.

Ci impegneremo dunque, al nostro ritorno, a rielaborare quanto vissuto per provare a portare all’interno delle mura accademiche momenti di dibattito e confronto, slegandoci dalle visioni caritatevoli e assistenzialiste che troppo spesso inquinano le discussioni nelle nostre aule. Non abbiamo più bisogno di progetti o lezioni che dipingono i rifugiati come soggetti deboli o che continuano a narrare le migrazioni come qualcosa da andare a fotografare in viaggio a Lampedusa. Quando si parla di diritti negati, di vite umane in gioco, di violenza del potere economico sul nostro futuro, non c’è barriera o confine che tenga.

FONTI:

http://www.radiondadurto.org/2017/07/18/migranti-chi-ce-dietro-la-nave-dei-fascisti-di-generazione-identitaria/?fdx_switcher=true

4 P. Pagliaro, Il Punto, fermiamo il declino dell’informazione, Il Mulino, 2017.

DASPO URBANO? Capiamoci qualcosa

DASPO URBANO

Il seguente testo non ha la pretesa di essere un’analisi organica ed esaustiva sulla questione del Daspo urbano quanto piuttosto vuole essere un contributo alla discussione su questo strumento repressivo. Con questo piccolo documento abbiamo voluto condividere con tutt* voi le nostre discussioni e analisi sul Daspo e sui dati politici che siamo stat* in grado di individuare come Collettivo Universitario Refresh

Da alcune settimane il dibattito politico cittadino si è concentrato sulla proposta d’introduzione della misura del Daspo urbano nel regolamento di polizia municipale di Trento. Sulla scia delle polemiche scatenate dagli incontri di boxe non autorizzati, tra bande di spacciatori in Piazza Dante, dalla fine di Giugno abbiamo assistito all’ennesimo teatrino dell’assurdo da parte della politica trentina sul tema della sicurezza, che ha ridotto un serio problema sociale a una mera questione di ordine pubblico diventando l’ennesima occasione per le diverse forze politiche per alimentare la campagna elettorale permanente che a Trento si combatte sul falso problema della cosiddetta sicurezza urbana e del degrado. Sorvolando per questioni di decenza sulle aberrazioni con le quali i diversi esponenti sia di destra che di sinistra hanno alimentato un sentimento di insicurezza che da troppo tempo serpeggia tra le e gli abitanti della città, il sindaco Andreatta, pressato dall’insofferenza del Prefetto, del Questore e dei suoi alleati, ha partorito l’idea di applicare il Daspo Urbano che prevede l’allontanamento dei soggetti indesiderati da un’area delimitata di città.

Dal Daspo sportivo al Daspo urbano. L’evoluzione dello strumento repressivo

In seguito all’approvazione della legge Minniti-Orlando, in Italia esistono diverse tipologie di Daspo, siano esse previste dalla legge oppure sperimentazioni fatte a partire da quest’ultima. Allo stato attuale si possono individuare tre tipi di Daspo. Il Daspo sportivo, il primo ad essere applicato, il Daspo di piazza e, ultimo ma non meno importante, il Daspo urbano.

Il Divieto di Accedere alle manifestazioni SPOrtive (DASPO) è una misura prevista dalla legge italiana al fine di contrastare il fenomeno della violenza durante le manifestazioni sportive, in particolare durante le partite calcistiche. L’esigenza di contrastare la violenza durante le manifestazioni sportive sorse dopo i tragici fatti che caratterizzarono la finale della Coppa dei campioni del 1985. Il 29 maggio di quell’anno, mentre Juventus e Liverpool si affrontavano per la conquista del titolo allo stadio di Bruxelles, la violenza degli ultrà della squadra inglese causò la morte di 39 tifosi, quasi tutti italiani. Quest’episodio scosse l’opinione pubblica a livello europeo e condusse all’elaborazione e alla firma, avvenuta il 19 agosto 1985 a Strasburgo, della Convenzione Europea sulla violenza e i disordini degli spettatori durante le manifestazioni sportive, segnatamente nelle partite di calcio. La Convenzione Europea in questione si pone l’obiettivo specifico della prevenzione e controllo non soltanto dei fenomeni durante le partite di calcio ma anche inerenti agli altri sport e manifestazioni sportive, tenuto conto delle loro esigenze specifiche in cui si temano, appunto violenze o disordini degli spettatori. La Convenzione pone un punto fermo sulle modalità di elaborazione e di attuazione di tali provvedimenti, enfatizzando una maggiore presenza dei servizi d’ordine” e l’adozione, nel caso in cui o si ritenga opportuno, di una legislazione che commini pene appropriate o, all’occorrenza, provvedimenti amministrativi appropriati alle persone riconosciute colpevoli di reati legati alla violenza o disordini degli spettatori. La Convenzione Europea entrò in vigore in Italia l’1 gennaio 1986, ma la legge che sancì l’introduzione del Daspo sportivo fu la legge 13 dicembre 1989 n. 401, ad essa ne seguirono altre che perfezionarono gli strumenti di controllo da applicare sui i tifosi e sulle curve calcistiche, trasformando gli stadi in laboratori in cui sperimentare forme sempre più efficaci di repressione. La Legge n.401 del 13 dicembre 1989 prevede l’utilizzo dello strumento del Divieto di Accedere alle manifestazioni SPOrtive (DASPO) che vieta al soggetto ritenuto pericoloso di accedere ai luoghi in cui si svolgono determinate manifestazioni sportive, siano esse ad elevato grado di rischio o meno. Questo tipo di misura consiste in un provvedimento del Questore che, senza alcuna pronuncia giudiziaria, impedisce ai tifosi ritenuti pericolosi di andare allo stadio per un periodo che va da uno a cinque anni. Il carattere preventivo di questa misura ha sempre suscitato proteste da parte della tifoseria organizzata, nonché sollevato dubbi di legittimità costituzionale negli ambienti giuridici, anche se la Consulta, nel 2002 attraverso un suo pronunciamento, ne ha sancito la compatibilità con la Costituzione.

Visti i discreti risultati del Daspo sportivo e la relativa pacificazione degli stadi, negli anni scorsi venne la tentazione a chi ci governa di elaborare uno strumento simile per reprimere il dissenso. Infatti ogni volta che nel corso di una manifestazione si verificano scontri di piazza si evoca l’idea di approvare leggi speciali di prevenzione. Una delle ultime occasioni in cui venne espressa pubblicamente questa volontà fu dopo il corteo No Expo del Primo Maggio 2015 a Milano. In quell’occasione l’allora Ministro degli Interni Angelino Alfano dichiarò che il Governo stava lavorando per elaborare divieti preventivi come avviene per le partite di calcio. Nel caso in cui ci fosse stato un alto grado di pericolosità sarebbe stato proibito sfilare nel centro delle città come avviene quando si impedisce ai tifosi di andare in trasferta. L’ipotesi era quella di estendere ai manifestanti il Daspo con la chiara volontà di applicarlo a livello politico subordinando il diritto al legittimo dissenso ad una valutazione del governo in carica, dando, quindi, al potere un’ulteriore arma di controllo del dissenso capace di allontanare i soggetti ritenuti scomodi e riducendo le manifestazioni di piazza a ordinate e disciplinate sfilate da passerella. Nonostante la proposta del Daspo politico non avuto alcun seguito, le questure italiane hanno iniziato a sfruttare le nuove regole sul Daspo per colpire chi è impegnat* nelle lotte sociali. La nuova regolamentazione fu introdotta con la riforma dell’agosto 2014, in cui è contemplata la possibilità di estendere il provvedimento a “tifosi” denunciati o condannati per reati contro l’ordine pubblico o coinvolti in episodi violenti. Il risultato il Daspo di piazza dal momento che alcune questure hanno disposto il Daspo o avviato procedimenti amministrativi che possono portare a quest’ultimo nei confronti di persone che avevano preso parte a manifestazioni politiche. Possiamo citare almeno due casi. Il primo avvenne a Livorno dove quattro compagni furono denunciati per partecipato alla contestazione contro Matteo Salvini, avvenuta il 14 luglio 2015. Nell’ottobre dello stesso anno, oltre alle accuse di lesioni aggravate e porto d’arma impropria, ai quattro venne recapitata anche una diffida in quanto, secondo la Questura livornese frequentatori abituali dello stadio. Il secondo, invece, avvenne a Pisa dove, nel gennaio 2016, sei compagn* vennero raggiunte dalla diffida per aver partecipato a una manifestazione contro un comizio della Lega Nord, tenutosi il 14 novembre dell’anno precedente, in cui ci furono scontri con la polizia. L’accusa fu quella di aver istigato a delinquere e aver avuto una condotta violenta. Nel caso delle e dei compagn* pisan* il Tar annullò il provvedimento. In entrambi i casi i e le manifestanti sono stat* colpit* da questi provvedimenti in via sperimentale dovendo subire inedite misure di controllo. Questi nuovi strumenti di limitazione della libertà sono stati applicati sui settori più vulnerabili della società e sui quali è più facile la speculazione mediatica e politica.

È in questo contesto che si inserisce il Daspo urbano, partorito da Minniti e contenuto nella Legge 13 aprile 2017 n.46 che mira a prevenire i fenomeni di criminalità diffusa e a promuovere la legalità e il rispetto del decoro urbano. L’ex Decreto sicurezza poi convertito in legge contiene una serie di provvedimenti volti a rafforzare i poteri del sindaco in materia di strumenti a disposizione per garantire la sicurezza sul territorio. Il rafforzamento del ruolo dei primi cittadini su questa materia costituisce un ulteriore passo verso la piena realizzazione della figura di quello, che alcuni anni fa, veniva chiamato sindaco-sceriffo. La norma più importante del pacchetto sicurezza targato Minniti è probabilmente il cosiddetto il “DASPO urbano”, con cui un sindaco in collaborazione con il prefetto potrà multare e poi stabilire un divieto di accesso ad alcune aree della città per chi ponga in essere condotte che limitano la libera accessibilità e fruizione di aree e infrastrutture pubbliche, viene trovato in stato di ubriachezza, compie atti contrari alla pubblica decenza o esercita abusivamente l’attività di commerciante o di posteggiatore. La definizione è molto ampia e quest’ultima potrebbe essere utilizzata contro diverse tipologie di abitanti del territorio. Inoltre viene introdotto l’arresto in flagranza differita (entro 48 ore) che sarà esteso anche alle manifestazioni di piazza. Nonostante sia da poco entrato in vigore il Daspo urbano è già stato applicato, il primo episodio fu il 25 marzo 2017 quando, in occasione della manifestazione dei movimenti sociali, svoltasi a Roma in occasione dei festeggiamenti del 60° anniversario della firma del Trattato di Roma, venne utilizzato questo strumento per bloccare l’arrivo di un centinaio di manifestanti, tenuti in ostaggio senza alcuna motivazione nel complesso della Questura di Roma. Altri episodi in cui si è vista l’applicazione del Daspo urbano si sono verificati a Napoli e a Saronno.

Il Daspo urbana in salsa trentina

La proposta di Daspo urbano in discussione in questi giorni nel Consiglio Comunale di Trento prevede l’allontanamento per 48 h da una zona perimetrata del centro storico per chi compie atti indecorosi quali il danneggiamento di arredi urbani, i comportamenti lesivi dell’incolumità delle persone, il bivacco e l’occupazione di panchine con comportamenti contrari alla decenza, del decoro e dell’igiene, salire su monumenti e fontane, fare accattonaggio molesto e orinare per strada. La zona della città che deve rispondere a criteri di decoro è quella che indicativamente va da Piazza Dante al quartiere delle Albere

Chi si renderà colpevole di uno degli atti sopracitati verrà prima allontanato dalla zona soggetta a Daspo per un periodo di 48 ore e nel caso in cui non rispetti il decreto di allontanamento verrà sanzionato con una multa che varia da 300 a 900 euro. Se non la pagherà interverrà il questore che potrebbe ordinare il divieto di ingresso nell’area per un minimo di sei mesi.

Perché opporsi al Daspo

Come militanti politici, però, quello che ci interessa sottolineare in questa sede non è tanto il dato tecnico-giuridico che lasciamo volentieri ad altri quanto più il dato politico che, secondo noi, traspare da questo strumento repressivo. L’origine di questo provvedimento risiede nella volontà di combattere il degrado e ristabilire il decoro nelle aree urbane. Come il concetto di degrado, anche il concetto di decoro è una categoria molto ampia che si presta alle interpretazioni più diverse ed è proprio in questo suo carattere flessibile che risiede il primo dato da rilevare, cioè che il concetto storico di decoro diventa un canone stabilito dalle forze politiche in carica che volta per volta possono decidere di usarlo per definire chi è ben accetto e chi no all’interno delle aree del centro, sfruttando questo margine di agibilità per i propri scopi politici. Questa definizione da parte delle forze politiche del concetto di decoro pone in luce alcuni aspetti. Il primo è la valenza esplicitamente politica che assume la misura repressiva del Daspo urbano. Il secondo è la definizione di un palese criterio di distinzione tra i soggetti sociali che vivono la città, che vengono divisi in desiderati, cioè coloro che rispettano i canoni del decoro e sono ammessi a vivere le aree soggette a Daspo, e gli indesiderati. Con questa suddivisione la politica istituzionale si toglie definitivamente la maschera e utilizza un criterio classista, se mai avesse smesso di farlo, mascherandolo con motivazioni “estetiche”, secondo una logica che ricorda molto quella del merito che grazie alle ultime riforme abbiamo visto introdotta nelle scuole superiori. Questa divisione tra desiderati e indesiderati nasconde un aspetto ancor più preoccupante ed è quello della normazione degli stili di vita delle e degli abitanti delle città. Infatti se vuoi poter vivere l’area soggetta a Daspo devi conformarti a un certo codice di comportamento altrimenti fuori, sei espulso. Naturalmente questo codice, sebben in linea generale rivolto a tutt*, in realtà è pensato principalmente per i soggetti sociali “deboli”. Tant’è che il concetto di decoro, come quello di merito, non è altro che un tentativo, a parer nostro maldestro, di camuffare la vecchia e mai abbandonata divisione fatta su base economica. La divisione immateriale basata sul concetto di decoro trova il suo corrispettivo materiale nella divisione dello spazio urbano attraverso l’introduzione di un perimetro all’interno della città, che costituisce un confine interno. La suddivisione tra due tipologie di aree cittadine coincide tendenzialmente con la classica frattura tra centro e periferia andandola a rafforzare. Infatti lo strumento del Daspo urbano si affianca alle misure di gestione dello spazio urbano, come la gentrificazione, che abbiamo conosciuto in questi anni. In quest’ottica il centro città vetrina viene fisicamente “fortificato” approfondendo sempre di più la distanza con la periferia che diventa la discarica dei problemi sociali delle città nella speranza che allontanando le problematiche esse magicamente svaniscano. In questo processo di “fortificazione” del centro cittadino cambia anche il ruolo delle forze dell’ordine che assumono la funzione di esercito di difesa del centro politico ed economico delle città.

Di fronte a questo scenario che molto probabilmente andrà sempre più cristallizzandosi, se non è attraverso l’azione di Minniti lo sarà con l’azione di altri politici che hanno fatto del securitarismo e della repressione la loro crociata, sorge il problema di come essere all’altezza dei tempi che corrono e di essere in grado di opporsi efficacemente ai piani scellerati della controparte. Partendo dalle nostre vite, l’unica opzione percorribile, per quanto ardua possa essere, non è piegarsi e concedere terreno ma anzi è quella di far saltare il perimetro, sia esso materiale o immateriale, con il quale vogliono dividere le nostre città e le sue e i suoi abitanti attraverso la rottura come metodo, il conflitto come pratica quotidiana e la militanza come stile di vita.

I compagni e le compagne del Collettivo Universitario Refresh

Contro fascismi e militarizzazione noi scegliamo la socialità libera!

Nel clima di folklore che ha percorso le strade di Trento nelle ultime settimane, tra il Festival dell’economia e i fuochi di S. Vigilio, anche i fascisti di Casapound sono usciti dalle tane per predicare discriminazione e razzismo.

Se lo scorrazzare a piede libero, con coltelli e prurito alle mani, di questi tempi può essere concepito come una forma di sicurezza, noi ne facciamo volentieri a meno. Senza scomodare l’opinione del Dante, che ultimamente ne ha viste di cotte, di crude – e di pelate – ci possiamo trovare invece vicini all’analisi del professor Barnao: non è promettendo pulizie etniche o lanciafiamme che si possono affrontare le difficoltà che piazza Dante pone. Con una mano al cuore e una al manganello, la città di Trento ripiega sull’ordine pubblico per affrontare ciò che di fatto è un fenomeno, e che in quanto tale andrebbe invece studiato ricorrendo ad un’attenta analisi sociologica. Quanto avvenuto in piazza Dante deve fare i conti con la quotidianità di chi la vive. Spesso si tratta di chi viene marginalizzato da politiche sociali miopi e inadeguate, frutto di vuoti culturali che faticano ad indagare le ragioni per cui pezzi di società finiscano nella spirale della criminalità organizzata e dello spaccio.

L’indifferenza genera i mostri – come Casapound – che mercoledì 28 giugno si presenteranno in una piazza Dante completamente militarizzata. In opposizione a tutto questo promuoviamo invece una cultura antifascista e libera capace di esprimersi in tutta la ricchezza dei suoi contenuti affinché non sia dato alcuno spazio a chi della cultura non sa che farsene. 

Abbiamo deciso dunque di esserci anche noi domani in quella piazza e abbiamo deciso di esprimere attraverso la musica il nostro essere antifascisti e antifasciste, per dimostrare come sia sufficiente la semplice socialità libera per rendere i luoghi pubblici più sicuri. Errico Cantamale e Luciano Forlese, accompagnati dalle loro chitarre, renderanno Piazza Dante una piazza finalmente viva, ANTIRAZZISTA E ANTIFASCISTA. 

VI ASPETTIAMO IN TANTI E TANTE DALLE 20.30 IN PIAZZA DANTE IL 28 GIUGNO!!