Perché è così difficile essere antisessist*?

Riflessioni alla luce delle giornate di autoformazione “Pratiche quotidiane di conflitto per combattere il sessismo”, all’interno del percorso CONDIVIDI I SAPERI, COSTRUISCI IL CONFLITTO

Antifascismo, antirazzismo e antisessismo sono o perlomeno dovrebbero essere le basi di tutti i movimenti sociali cosiddetti “di sinistra”, per quanto si possa ancora parlare di destra e sinistra. Tuttavia, se su antifascismo e antirazzismo si tenda a essere sul pezzo, quando si tratta di antisessismo ci si trova sempre in difficoltà. Questo perché il sessismo è frutto di un contesto culturale, etero-patriarcale, che esiste da secoli e che, nonostante i progressi, le conquiste, le lotte, non siamo ancora riuscit* a scardinare del tutto. Se possiamo essere più o meno cert* di non aver mai agito in modo fascista o razzista, non possiamo forse dire lo stesso sul sessismo. Probabilmente è capitato a tutt* noi di utilizzare epiteti come zoccola, puttana, mignotta, di giudicare una persona in base alle sue scelte sessuali (puttaniere, ragazza facile, ecc) o di fare battute su gay, lesbiche e trans. Ma perché facciamo questo? Perché è così difficile essere veramente antisessist*?

Forse una risposta unica e assoluta non c’è, sta di fatto che per essere antisessist* bisogna partire da se stess*, dal proprio privato, dal proprio modo di parlare e di esprimersi, dal proprio modo di approcciarci a una persona che ci attrae, per poi riportare queste piccole pratiche quotidiane e private nei propri spazi politici, provare a collettivizzarle e diffonderle. Per combattere il sessismo dobbiamo in qualche modo cambiare in primo luogo noi stess* per poi poter pensare di cambiare il resto del mondo. Le pratiche sessiste pervadono così tanto la nostra società occidentale e passano così spesso nel silenzio e nell’indifferenza che il lavoro da compiere è doppio se non triplo.

Sicuramente il primo passo da fare è creare dei momenti che siano aperti, inclusivi e che partano dalle proprie esperienze per poi riuscire a elaborare risposte politiche e collettive. Bisogna lavorare sulle nuove generazioni, quelle che ancora non sono state totalmente influenzate da questo modello culturale, che diciamocelo, è strutturalmente sessista. Bisogna ripartire dalle basi, dal linguaggio e dal modo in cui ci relazioniamo con l’altr*, provando a sradicare tutti quei costrutti mentali che inevitabilmente ci portiamo appresso da quando siamo bambin* e ci regalavano i soldatini o le bambole a seconda del nostro sesso di nascita.

La sfida che ci si pone davanti di certo non è delle più semplici ma abbiamo la forza e le capacità di combattere il sessismo in tutte le sue forme!

Questa riflessione deriva dalle due giornate di autoformazione tenutesi allo Spazio Autogestito Hurriya di Sociologia. Le due giornate si sono fondamentalmente divise in due parti: in primo luogo ci si è concentrat* sull’individuazione del concetto di sessismo cercando di capire cosa significhi e quali siano le pratiche da contrastare quotidianamente. È stato un momento di autoriflessione e autocritica, partendo dalle proprie esperienze personali, con un particolare focus sul linguaggio e sul modo in cui ci relazioniamo agli e alle altr*, soprattutto nel mondo virtuale dei social networks; la seconda parte dell’autoformazione è invece entrata più sul pratico, provando a individuare un piano politico di risposta al sessismo e ipotizzando alcune possibili iniziative. Per esempio, è stata affrontata la tematica del taboo di essere donna, con una particolare attenzione alla questione della pink tax e della tassazione spropositata dei beni di prima necessità, come gli assorbenti. Inoltre, si è provato a parlare di pratiche di autodifesa autogestita e auto-organizzata che si potrebbero organizzare in modo collettivo. Tutte queste idee cercheranno di trovare a breve un risvolto pratico…

A Idy Diene per non dimenticare

Il 5 marzo 2018 sul ponte di Firenze veniva ammazzato a colpi di pistola Idy Diene.
Un anno fa scrivevamo questo testo che vi consigliamo di rileggere.
In un anno tante cose sono cambiate, il percorso antirazzista, passo dopo passo è cresciuto e si è reso protagonista diverse volte attraverso inchieste, assemblee, presentazioni e manifestazioni.
Purtroppo non è abbastanza e dobbiamo continuare a impegnarci per costruire un mondo diverso da quello in cui ci troviamo a vivere.
A Idy, a Soumayla, a Prince e a tutt* le vittime dell’ ignoranza violenta razzista e discriminatoria.

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RIVOLTA NELLE UNIVERSITÀ ALBANESI

Mentre la Francia è attraversata dalle proteste dei Gilet Gialli, dall’altra parte dell’Adriatico l’Albania è scossa da un movimento universitario che lotta contro la riforma governativa del 2015, gli alti tassi di corruzione e la costante carenza di investimenti nel sistema universitario. Le proteste si stanno susseguendo senza sosta ormai da settimane con boicottaggi continui delle lezioni, blocchi stradali, cortei e presidi partecipati in massa in molteplici città, specialmente nella capitale Tirana, invasa da student* di tutto il paese. La caparbietà della lotta ha costretto il governo all’apertura di un tavolo di trattativa. Il movimento universitario, però, con la solidarietà degli studenti liceali, ha affermato nuovamente la sua volontà di non voler sedere al tavolo delle istituzioni negando la possibilità di compromessi e continuando a oltranza fino alla conquista di tutti gli obiettivi. La protesta non si muove solo contro l’attuale stato in cui versa l’istruzione ma contro l’intero spettro partitico e parlamentare che invariabilmente sostiene l’interesse dei pochi. La protesta si sta quindi allargando verso un’analisi dei rapporti di forza vigenti all’interno dell’intera società albanese e una critica radicale del modello di sviluppo esistente, iniquo in ogni aspetto sociale e culturale.
Di seguito pubblichiamo un’intervista a un attivista del movimento universitario albanese per approfondire la vicenda presa da

 https://www.infoaut.org/conflitti-globali/rivolta-nelle-universita-albanesi-intervista-ad-un-attivista-del-movimento-parte-1

e da

https://www.infoaut.org/conflitti-globali/rivolta-nelle-universita-albanesi-intervista-ad-un-attivista-del-movimento-parte-2?fbclid=IwAR3y7cB8HJ_7whf4vA4YJYrn31_x3Cpt8RjezCsBeJ-dZBd-KajZKD823-8

Iniziamo da capire come é nato questo movimento, quali sono le vertenze promosse dagli studenti.

Il movimento universitario di questi ultimi giorni ha i suoi prodromi nel boicottaggio delle lezioni da parte degli studenti di architettura. La ragione principale del boicottaggio stava nel fatto che la segreteria della facoltá di architettura ha richiesto il pagamento delle tariffe universitarie a dicembre, quando le tariffe venivano pagate sempre a gennaio. È stato precisamente questo ad aver scatenato la rabbia degli studenti. Gli studenti non erano pronti a pagare una tariffa del genere e si trovavano in grosse difficoltá economiche.

Il secondo motivo è legato invece ad una delibera del consiglio dei ministri datata al 21 maggio 2018, che richiede nel comma 4 il pagamento di un valore aggiunto per accedere ai crediti di ogni esame non superato. Il valore di questo bollo è di 640 lekë (ca. 5 euro) per ogni credito ottenuto da esami da rieffettuare. Tutta quest’ondata di protesta e’ nata spontaneamente, ma poco dopo sono cominciati ad entrare in gioco diversi raggruppamenti, con l’intenzione di intercettare la protesta a seconda dei loro interessi, in particolare il consiglio studentesco e i militanti dei partiti di opposizione. Ma il più attivo e organizzato movimento, da lunghi anni, é “Për Universitetin” composto da studenti e alcuni docenti.

Quanto detto sopra é perlopiù il pretesto con cui è nato questo movimento. Le ragioni reali, emerse dalle rivendicazioni degli studenti, che da anni vengono organizzati dal movimento “Për Universitetin” sono state la Riforma Universitaria del 2015, le alte tariffe, la corruzione in’universitá, gli scarsi investimenti nella ricerca scientifica, la mancanza degli strumenti da laboratorio, la mancanza delle minime condizioni di abitabilitá dei convitti, il loro caro prezzo, etc..

Quali sono le condizioni sociali degli studenti che scendono in piazza, si tratta di una protesta di categoria o riguarda anche istanze di classe di piu’ ampio respiro?

La condizione sociale degli studenti che prendono parte alla proteste è variegata. La maggioranza di loro viene dalle classi più umili, ma qualcuno anche dalla classe media. È praticamente impossibile per gli studenti che provengono da questi contesti pagare le tariffe universitarie, e pagare i docenti che chiedono soldi in nero per effettuare esami. Come anche pagare le varie convalide rilasciate dalle segreterie, i manuali e i quaderni, le case da dover affittare, etc… Comunque sia, ci sono studenti che vanno oltre alle semplici rivendicazioni economiche, questi chiedono un’istruzione di qualità, aumento degli investimenti nel campo della ricerca scientifica e la segnalazione di tutto il corpo docenti, per far modo che i docenti corrotti vengano allontanati..

Come gruppo siete attivi in università da molto tempo, quali sono state le vostre iniziative precedenti?

Il movimento per l’università è da quasi cinque anni che si organizza e combatte contro la riforma del sistema universitario promulgata dal governo Rama, per un’università gratuita e di qualità, libera dalla corruzione e dall’incompetenza. Permettimi di parlarti un po’ della riforma, dato che il movimento, come ho già detto è nato come risposta di un gruppo di studenti e docenti contro la la riforma universitaria.

In primo luogo, la riforma è stata scritta da un piccolo gruppo nominato dal primo ministro, non eletti dal corpo accademico, e non avente alcun legame con gli interessi dell’università pubblica, e che al contrario era fortemente vicino agli interessi delle università private. Da un punto di vista finanziario questa riforma era diretta a favorire le universitá private, le quali grazie ad essa hanno cominciato ad avere accesso ai fondi che lo stato stazionava per quelle pubbliche. In secondo luogo, l’autonomia finanziaria che questa legge da alle universitá pubbliche implica anche il fatto che queste debbano trovarsi da sole i fondi per potersi finanziare.

A queste condizioni l’unico mezzo che l’universitá ha a sua disposizione per finanziarsi è l’aumento delle tariffe universitarie, dato che lo stato non ha alcuna intenzione di aumentare il fondo a disposizione dell’istruzione pubblica. Essendo consapevoli che l’aumento delle tariffe sarebbe stato insopportabile per gli studenti, i riformatori avevano anche previsto di introdurre il prestito studentesco, che avrebbe trasformato la maggioranza degli studenti in debitori presso le banche.

Per quello che riguarda invece l’aspetto politico, la riforma riduce del 10% il peso del voto studentesco alle elezioni degli organi universitari. Secondo le nostre stime, il voto di 1 docente eguaglierebbe quello di 20 studenti. Noi fin dal 2015 ci siamo opposti a questa riforma neoliberista e bottegaia che trasforma lo studente in un cliente indebitato e l’universitá in un immenso mercato di lauree. Quest’opposizione il movimento l’ha alimentata intavolando dibattiti e assemblee pubbliche sulla riforma e su quale sia la nostra idea di università. Come anche attraverso le innumerevoli proteste alle quali hanno preso parte centinaia di migliaia di studenti.

Come conseguenza dell’indifferenza del governo alla voce degli studenti, alcuni compagni hanno compiuto azioni anche più radicali, come il bersagliare il primo ministro con delle uova e versare sugo di pomodoro in faccia al ministro dell’istruzione (video). Molti di questi attivisti stanno ancora affrontando dei processi a causa di queste azioni. Il movimento sta anche denunciando da anni il furto che i docenti corrotti compiono a danno degli studenti, pretendendo illegalmente soldi da loro per poter effettuare gli esami, abbiamo anche denunciato le condizione i misere in cui versano gli alloggi nei quali gli studenti vivono; i prezzi alti dei manuali; l’alto costo della vita ; la mancanza di laboratori preparati e tanto altro. In questo senso “Për Universitetin” ha preceduto da anni questi movimenti che stanno oggi bloccando la capitale. Possiamo dire di aver preparato noi il terreno grazie al quale tutto questo è accaduto. Per mezzo di proteste innumerevoli, denunce, appelli e interviste televisive. Nonostante oggi non siamo gli unici alla testa di questa protesta.

A proposito degli altri soggetti politici che stanno cercando di farsi largo a spese della protesta potresti spiegarci qualcosa a riguardo dell’aggressione condotta dai militanti del Partito Democratico Albanese nei confronti del docente Jani Marka avvenuta la scorsa domenica?

L’aggressione al docente Jani Marka, il quale é parte del movimento “Për universitetin” è stato uno degli atti più infami verificatosi durante le ultime proteste da parte dei membri dei partiti politici, in particolare da parte dei forum giovanili del PD (destra) e dell’LSI (centro). Le ragioni di questi atti sono ora conosciuti da tutti. Il nostro movimento da sempre ha denunciato tutti i partiti come colpevoli della situazione miserabile in cui versano oggi le nostre università.

È stato proprio il Partito Democratico ad aver proposto per primo la riforma del sistema universitario, che però non riusci a realizzare grazie all’opposizione del movimento “Università in pericolo” che per molti aspetti ha preceduto quello contemporaneo. La nostra ferma denuncia al PD e all’LSI c’è stata perché hanno continuamente cercato di assumere il controllo della protesta tramite i loro squadristi. Ma hanno sempre incontrato sempre la resistenza degli studenti e degli attivisti del movimento. La loro impotenza nell’infiltrare la piazza ha fatto innervosire molto i loro leader, questo è anche il motivo per cui hanno attaccato il docente Jani Marka. Il movimento studentesco di questi giorni ha invitato sin dall’inizio questi partiti a starsene fuori dalle proteste. Ma i loro tentativi di prenderne il controllo non sono comunque finiti.

In Albania questo movimento e’ stato paragonato da molti a quello che nel 90′ ha portato alla fine dell’esperienza socialista. Ma il movimenti studentesco in’Albania ha una storia molto piú lunga, anche durante il nazifascismo l’opposizione degli studenti fu cruciale nella lotta di liberazione nazionale. Quali sono gli aspetti che questo movimento ha in comune con I precedenti e quali le differenze?

É vero, centinaia di studenti si unirono la Lotta di Liberazione nazionale. I personaggi piu significativi di questa lotta erano studenti e giovani che con molto coraggio dettero forma a quel movimento e lottarono contro il nazifascismo. Ma questo é pure accaduto durante gli anni ’90, quando gli studenti, assieme ai lavoratori, hanno abbatuto il regime stalinista instaurato da Enver Hoxha.

Le differenze sono molte in realtá molte. In primo luogo non chiediamo il rovesciamento del sistema o del governo, ma chiediamo:
1) l’Abrogazione della Riforma univeristaria, come punto di partenza per inaugurare un’altra riforma vera riforma dell’universita, basata sulle rivendicazioni delle masse studentesche;
2) Il raddoppio del fondo pubblico per gli studi universitari. Che dovrebbe assicurare il miglioramento delle condizioni dei convitti, l’arricchimento delle biblioteche, la crescita della ricerca scentifica, l’elezione del personale accademico da parte degli studenti e molto altro, la lista è ancora lunga…
3)Scuola pubblica gratuita, a tutti i livelli di istruzione;
4) Una riforma vera della vita universitaria basata sui principi della democrazia all’interno dell’universita: la creazione di un’assemblea di universitari scelta dai voti (parificati) degli studenti e docenti in ogni facolta’ delle universita’ pubbliche.

Un’altra differenza cruciale e’ il fatto che al contrario del movimento studentesco degli anni ’90, questo movimento non ha un capo, ma e’ orizzontale ed e’ seguito da numerosi raggruppamenti politici, molti dei quali purtroppo legati con i partiti politici. E assieme a questo oggi, una dei maggiori desideri del movimento e’ la realizzazione delle rivendicazioni e dei principi che il movimento studentesco degli anni 90′ non e’ riuscito a realizzare.

Lo slogan degli studenti “Vogliamo l’Albania come il resto d’Europa” rappresenta la loro volonta’ e il di vedere un’Albania sviluppata come il resto dei paesi europei, dove la scuola pubblica e’ gratuita e i salari sufficienti per poter vivere con dignità. Questo fu anche lo slogan degli studenti degli anni ’90, purtroppo loro non riuscirono mai a vedere il loro paese cambiare come il resto degli altri paesi sviluppati. Oggi gli studenti rivendicano un’istruzione pubblica gratuita e di qualita, poiche’ non vogliono che il futuro continui ad essere oscuro e senza alcuna via di fuga.

Hai detto che uno degli slogan della protesta degli studenti è “Vogliamo l’Albania come il resto d’Europa”, in riferimento ai requisiti di acessibilitá e di qualitá del sistema universitario. Chiaramente, la qualitá del sistema universitario albanese non si avvicina nemmeno lontanamente a quella degli stati dell’Unione Europea, ma così facendo non si rischia di fraintendere l’UE per un luogo in cui certe contraddizioni non esistono? Anche i sistemi universitari europei, e in primo luogo quello italiano, hanno centinaia di problemi che vanno dalla corruzione al clientelismo, dal nepotismo all’uso ideologico dell’accademia come legittimazione dello stato delle cose presenti. Per non parlare delle pesanti misure repressive adottate dalla polizia o direttamente da certi rettorati per impedire l’attivitá politica degli studenti.

È  vero che cosi facendo s’incorre nel rischio di venire sussunti dall’ideologia dominante, che vorrebbe l’occultamento di ogni contraddizione e che rappresenta la realta’ come organica e armonica, in cui la vita si svolge nei migliore dei modi, dove chiunque ha il suo ruolo e non esistono contraddizioni e classi. Molti studenti però non lo capiscono, anche perché i loro principali canali di contatto con l’Europa passano attraverso la televisione, Internet o dalle loro brevi visite che compiono in questi paesi. Se questi andassero a vivere un po’ di tempo in questi luoghi, la loro idea cambierebbe di sicuro, ma solo dopo aver constatato da solo che la realta e’ estremamente diversa da quella descritta dalle riviste, dalla tv o da Internet. Io ho studiato in’Italia dal 2004 al 2012 e so che la realta’ di questi luoghi e’ completamente diversa da quello che si dice o che si pensa. Ricordo di aver preso parte a molte lotte studentesche contro la riforma Gelmini. In’italia ci sono molti problemi che riguardano i diritti degli studenti e pure le loro liberta’ politiche, come anche gli alti costi dell’istruzione.

Nei fatti, come ogni movimento è a suo modo composito e spurio. A dimostrazione di questo va ricordato che uno degli altri slogan gridati dalle piazze questi ultimi giorni è stato “No al dialogo, no ai negoziati, riducete le tariffe, stronzi!”. Questo a dimostrazione che il conflitto che segna la linea di demarcazione tra le rivendicazioni degli studenti e la posizione del governo europeista di Rama sta diventando man mano più profondo e sembra non lasciare altri sbocchi che quello dell’annullamento della riforma universitaria del 2015. Pena la caduta del governo o come minimo l’inizio di negoziati che vedrebbero in grosso svantaggio Rama e l’intero gabinetto.

Edi Rama, dal canto suo, aveva ampiamente sottovalutato la protesta. All’inizio il suo atteggiamento é stato molto arrogante e facilone, e con queste pretese era giunto a liquidare la piazza come “movimento dei pluribocciati”, per poi rendersi conto, in maniera molto infantile, che la realtá del movimento era molto più ampia e il disagio alle sue fondamenta molto profondo di quanto si aspettasse. I suoi ultimi post fb lasciando intendere molto bene questo andamento. Sentitosi braccato dalle piazze degli universitari, ai quali nel frattempo si sono uniti tantissimi liceali e semplici cittadini, ha infatti promesso che il pagamento delle tariffe verrá sospeso.

Il movimento però é deciso, e non sembra volersi fare incantare dalle sue promesse o da qualche pallida posizione di studenti “integrati e di successo” per cui le rivendicazioni degli studenti “non sono nulla a confronto dei doveri dell’universitá e a confronto di quello che il governo può offrire”. Il movimento è riuscito peraltro é riuscito a resistere anche agli intrighi di Berisha e dei suoi squadristi, portando in larga parte solidarietá ai compagni aggrediti negli scorsi giorni e, come pure in queste ultime ore, anche a quelli colpiti dalle misure repressive adottate dalla procura di Tirana.

Ma a noi e agli studenti del resto d’Europa cos’è che può insegnare questo movimento?

Rama non ha ancora accettato le richieste degli studenti, lui chiede il dialogo e la creazione di una piattaforma per lo svolgersi dei negoziati. Gli studenti, dal canto loro, hanno risposto che non ci possono essere negoziati e che le loro richieste devono essere accettate tout court. Infatti in una democrazia, la rappresentativita’ puo’ essere solo di natura amministrativa, procedurale, e mai sostanziale. Noi non vogliamo negoziare per quello che riguarda gli aspetti sostanziali delle nostre rivendicazioni. Per dirla con le parole di Rousseau “La volonta non puo’ essere in alcun modo manifestata se non direttamente da noi”.

Quello che vorrebbe Edi Rama, nei fatti e’ di uscire vincitore, da questa battaglia e ha gia’ perso. Lui vorrebbe apparire agli occhi del popolo come d’accordo con gli studenti, e non come quello che si e’ arreso a loro senza condizioni. Rama e il suo partito cercano di attirare, in maniera furtiva, gli studenti nelle loro giovanili, per creare una artificialmente una rappresentanza in grado di negoziare con lui. E non solo lui ma anche le giovanili degli altri partiti d’opposizione. comunque sia gli studenti non accetteranno la creazione di piattaforme del genere da parte dei partiti, siano anche esse dell’opposizione.

Gli studenti non possono avere una rappresentanza, anche per il fatto che sanno gia’ che, qualunque tipo di rappresentanza, sarebbe corruttibile o comunque mendace. E le contraddizioni si sono inasprite a tal punto che e’ impossibile negoziare. Nemmeno Berisha e gli altri, sono riusciti a dividere gli studenti. Durante la scorsa manifestazione, per esempio, gli studenti hanno spontaneamente cancellato i simboli dei tre partiti principali: PD, PS, LSI. Questo in aggiunta alla solidarieta’ verso il movimento e i suoi attivisti. Gli studenti del resto d’Europa non hanno nulla da imparare da questo movimento, se non quello che ha gia’ insegnato la storia, cioe’ che solo l’organizzazione e l’unita’ possono permette la conquista di molte cose.

Il movimento per l’università è da anni che cerca di consapevolizzare gli studenti in merito ai rischi che comporta la riforma universitaria, la quale conseguenza e’ la crescita delle tariffe, la scomparsa dell’autonomia universitaria, la rovina della democrazia studentesca etc. Dopo molti anni di organizzazione e di opposizione in strada e nelle aule, è infine arrivato il giorno in cui gli studenti si sono sollevati a centinaia di migliaia. Tutto questo dopo 25 anni durante i quali non si erano mai viste proteste cosi’ grandi e tenaci. Questo insegna che li’, anche dove sembra non esserci speranza, se ci sono organizzazione e coraggio, allora questa speranza ormai perduta puo’ tornare per dare nuovo respiro alla lotta per una societa’ formata da liberi e uguali.

Le disparità di classe si sono inasprite parecchio questi ultimi anni, questo grazie anche al contributo del governo che ha sempre assecondato le richieste dei padroni e degli oligarchi. Nel caso questi scontri si concretizzino in una buona organizzazione con delle vertenze inalterabili, allora ogni lotta puo’ essere vinta. Le sinistre europee sono spesso frammentate e malorganizzate, nel caso si voglia lottare per una societa’ diversa, andrebbero messe da parte le piccole differenze e unirci. Dato che i nostri nemici restano sempre e comunque lo stato e il capitale. Solo cosi’ possiamo sconfiggerli ovunque.

Un altro problema che accomuna voi e altri paesi della penisola balcanica é quello che riguarda l’emigrazione verso i paesi dell’UE, che non coinvolge solo i lavoratori, ma anche numerosissimi studenti. È un problema che tocca pure l’Italia, anche se diversamente. La risposta a questo è senza dubbio la lotta, ma questo significa anche opporsi a quei politici balcanici che dicono nei loro paesi di provenienza che l’unica alternativa alla corruzione e alle insufficienze del sistema economico siano l’integrazione euro-atlantica o l’emigrazione.L’Unione Europea non è in qualche modo responsabile di questo assieme a questi politici? 

Mi viene da pensare che l’esempio più chiaro di questo sia proprio Edi Rama, che per guadagnarsi la simpatia degli europei e accelerare il processo di integrazione euroatlantica, descrive l’Albania all’estero (penso a certe interviste rilasciate a vari talk show in Italia) come una vera e propria utopia per gli investitori e gli avventurieri di ogni sorta, vista la mancanza di moltissime garanzie sindacali e politiche per i lavoratori e la grande corruzione.

Il problema che riguarda l’allontanamento dei lavoratori e degli studenti e’ una vera propria emergenza nazionale, mentra stiamo discutendo, migliaia di questi si stanno gia’ allontanando dal paese.  Si parla in particolare dei lavoratori specializzati, dei medici, degli infermieri, degli ingegneri, dei tecinici, insomma del cervello del nostro paese. E’ vero che questo e’ un problema di molti altri paesi dei Balcani, in una situazione simile sono Bosnia ed’Erzegovina, Serbia e Kosovo. Ma il caso dell’Albania supera tutti gli altri paesi.

I motivi sono chiaramente molteplici, ma principalmente la disoccupazione, il lavoro senza garanzie, le basse puste baghe, e la mancanza totale di organizzazioni sindacali che dovrebbero assicurare il miglioramento delle condizioni lavorative e tanto altro ancora.. Secondo uno studio condotto in questi ultimi giorni la maggioranza sei medici emigra verso la Germania, vista la mancanza di prospettive per il futuro, come conseguenza dei motivi sopra elencati. E’ vero anche che alla radici di questo c’e’ la politica dello pseudosocialista Rama, che ha invitato molti investitori stranieri a venire in’Albania, adducendo al fatto che non ci sono sindacati e il mercato del lavoro sia il piu’ libero d’Europa.

Le nostre madri oggi lavorano nelle imprese tessili italiane per 150 Euro al mese, 9 o 10 ore al giorno, senza assicurazioni in molti casi, e con un solo giorno libero a settimana. Rama e’ semplicemente il rappresentante politico degli oligarchi e dei grandi padroni, che siano albanesi o stranieri. Una delle nostre lotte principali condotta contro queste politiche di devastazione, e’ la creazione di un sindacato operaio, lotta che conduciamo ormai da tempo e che speriamo di poter vincere assieme ai lavoratrici e ai lavoratori dei call center e a quelli delle imprese tessili.

Il governo continua a dire che la soluzione a tutti i nostri problemi e’ l’integrazione nell’UE, come se nell’Unione Europea non ce ne fossero. Anche in Europa oggi si affrontano gli stessi problemi nostri problemi, come i bassi salari, la corruzione sindacale, il lavoro malpagato etc. Per quando riguarda noi le istituzioni europee sono altrettanto colpevoli di questa situazione quanto lo e’ il governo, che continua a chiudere occhi e orecchie sullo sfruttamento, le ingiustizie, la corruzione, la distruzione del nostro ambiente e la sua trasformazione in un immenso orto adibito alla coltivazione della marijuana.

Cosa vorreste dire ai giovani della diaspora albanese in Europa?

Per quanto riguarda loro, vorremmo indirizzare una critica, ma anche un consiglio. Spesso la diaspora albanese in Europa, dato che non vive qua, quando torna per le vacanze si stupisce per alcuni cambiamenti estetici che il governo e i comuni compiono alla fisionomia delle citta’, sistemando le facciate dei palazzi, le piazze e le strade. Vorrei pregarli, quando giudicano l’operato del governo, di non limitarsi al lato estetico, e di non esaltarsi per la riverniciatura dei palazzi o di alcune piazze, ma di giudicare in maniera piu’ profonda la situazione.

Andrebbe ricordato loro che le loro madri e sorelle vengono pagate nelle filande soli 150 euro al mese, e che lavorano 9 o 10 ore al giorno, qua non ci sono sindacati che difendono i loro diritti. E gli studenti albanesi pagano le tariffe universitarie piu’ care d’Europa, nonostante i salari siano anche i piu’ bassi d’Europa, pure il prezzo della luce e’ uno dei piu’ alti se comparato a quello degli altri paesi nonostante il nostro paese sia uno dei paese con le piu’ grandi risorse idroelettriche e idriche.Non abbiamo nemmeno acqua potabile nelle condutture.. Queste cose dovrebbero fare innervosire la nostra diaspora. Anche loro posso fare pressioni sul governo, coi mezzi a loro disposizione, affinche’ tutto questo cambi.

Valore legale della laurea? Capiamoci qualcosa

È di qualche settimana fa la notizia che il ministro dell’interno Salvini, appoggiato dal Movimento 5 Stelle, abbia dichiarato di voler abolire il valore legale della laurea. Sentendo la notizia abbiamo provato a interrogarci su cosa questo provvedimento potrebbe comportare e siamo arrivat* ad alcune semplici conclusioni.

Abolire il valore legale della laurea è un provvedimento che porterà le università ad essere ancora più elitarie di quanto già non siano, privando i laureati e le laureate di qualsiasi tutela legale una volta all’interno del mondo del lavoro. Si creerà infatti un divario, d’altra parte già presente, tra università pubbliche e private e tra università prestigiose e non. Non è tuttavia ben chiaro in che modo e chi stabilirà il prestigio dei singoli atenei. Senza una tutela legale, i laureati delle università “di serie B” non avranno le stesse possibilità e le stesse garanzie contrattuali di chi risulta laureat* nelle università considerate di “serie A”.

Questo meccanismo porterà gli atenei a divenire sempre più competitivi e ad innalzare inevitabilmente le tasse di iscrizione impedendo l’accesso a tutt* coloro che non si trovano in una condizione economica tale da poter affrontare la spesa. Piano piano si andrà a perdere quell’idea di università pubblica e accessibile, che già ora è difficile da raggiungere a pieno. Neolaureat* si troveranno a essere sempre più precar* all’interno di un mondo del lavoro che non offrirà alcuna tutela legale e alcun riconoscimento dei sacrifici fatti in anni di studio.

Ci stupisce come due partiti come la Lega e il M5S, partiti che da sempre si fanno promotori degli interessi de* più debol*, del popolo italiano, scagliandosi in più occasioni contro le élite, siano promotori di un provvedimento che priverebbe l’università di qualsiasi uguaglianza, promuovendo una becera discriminazione di stampo classista, la quale favorirà solo le élite e le fasce economicamente più alte della società.

Per noi che da anni ci battiamo per un’università aperta e accessibile a tutti e tutte, questo provvedimento è inevitabilmente inaccettabile. Probabilmente ai ministri di Lega e M5S fa paura l’idea che l’università possa essere un luogo libero e aperto, libero da discriminazioni e imposizioni. Probabilmente si ha paura che le nuove generazioni, studiando e sviluppando un sapere critico, possano costruirsi gli anticorpi necessari per debellare l’ondata di regressione e odio che questo governo ci sta proponendo. Probabilmente risulta più comodo rendere l’università un luogo elitario, escludendo tutte quelle fasce della società che si trovano ai margini.

Riflessioni a freddo sull’adunata degli alpini

La scorsa settimana la città di Trento era in fermento. Si è registrata un’affluenza da record con persone venute da ogni dove per prendere parte alla 91 esima adunata degli alpini. Le stradeerano invase da cori, stand e locali aperti 24h e da un senso di machismo dilagante. Pare infatti che buona parte dei partecipanti avesse deciso di aderire all’iniziativa non solo per sfoggiare il proprio orgoglioso senso d’appartenenza al corpo militare ma anche per sfoggiare orgogliosamente tutta la propria maschilità negativa.  In quei giorni infatti non è stato raro camminare per le strade senza imbattersi in molteplici sguardi viscidi, avvertendo improvvisamente la sensazione di essere diventate carne da macello a causa della libido altrui. Non è stato raro essere fermate per commenti inopportuni e indesiderati, che pare necessario e doveroso esternare anche quando non è palesemente richiesto. In quei giorni però il famoso concetto di “decoro urbano” era improvvisamente scomparso dalle strade e di questi ed altri episodi non vi era neppure l’ombra di dibattito tra l’opinione pubblica. Tutto è stato sommerso e dimenticato perché qualcosa bisogna pur sopportare per il bene e il lustro del territorio. La città ha visto anche un massiccio dispiegamento di forze dell’ordine a garanzia dell’ordine pubblico, tra cui però questi episodi non sono sembrati nemmeno rientrare. Prima di uscire con questa riflessione abbiamo voluto prenderci il nostro tempo per riflettere e confrontarci e ora ci troviamo a chiederci dove siano finiti i vari slogan che qualche anno fa inneggiavano alla tutela delle “nostre” donne dall’invasore se poi il pericolo si manifesta sotto le sembianze di un uomo bianco e in divisa. Rimane solo il dispiacere di non aver potuto godere liberamente di un momento di festa collettivo e condiviso senza dover essere soggette, ancora una volta, alla mercificazione del proprio corpo che viene percepito unicamente come un oggetto da cui trarre soddisfazione per il proprio piacere personale. Certi episodi non dovrebbero mai verificarsi, indipendentemente da sesso, razza ed etnia. Eppure divengono ancora più gravi e ingiustificabili quando a compierli sono proprio determinate categorie.

Vogliamo anche condividere la testimonianza di una ragazza, studentessa universitaria, che ci è arrivata via mail e che pensiamo possa trasmettere i sentimenti delle donne in quei giorni.

ESSERE DONNA MULATTA IN TEMPI DI ADUNATA-riflessioni dal margine

Maggio 2018. Trento, sicura, silenziosa, regina di decoro urbano si prepara ad accogliere 600000 militari e simpatizzanti smaniosi di sfilare per giorni a passo di marcia.

Da settimane la città è in fermento, i camion di bitume rompono i silenzi notturni, squadre di pompieri vengono arruolate per onorare la patria e adornare la le facciate di bandiere tricolore, anche la bella e ormai succube sede di sociologia si veste a festa e da il ben venuto agli alpini. Allora via le bici, disinfetta i parchi da migranti e accattoni, scattano ordinanze su ordinanze speciali. 10 maggio è tutto pronto.

La città è luccicante e disposta a delegare interamente l’ordine pubblico all’organizzatissimo Corpo degli Alpini, legittimati in ogni loro azione dal semplice essere forze dell’ordine e di conseguenza affidabili, solidali, caritatevoli rappresentanti dell’ordine costituito.

Il capoluogo si trasforma in cittadella dell’Alpino, come per ogni grande evento il capitalismo si traveste per l’occorrenza e subdolo si appropria di ogni cosa. Chiudono le università, chiudono le biblioteche, chiudono gli asili nido. Ogni via si riempie di uomini in divisa, penne nere, fiumi di alcol, cori e trombe. Diventa labirinto inaccessibile e sala di tortura per qualsiasi corpo che non risponda alle prerogative di maschio, bianco, eterosessuale. (ah, non deve avere coscienza critica, questo è chiaro)

Diventa impraticabile e pericolosa per me che sono donna e mulatta. Esposta in maniera esponenziale a continue aggressioni verbali e fisiche che intersecano razza e genere, dando vita ad una narrativa vissuta e rivissuta mille volte nei più svariati contesti. A chi importa il tuo vissuto, a chi importa da dove vieni, a chi importa chi sei, chi si ricorda di avere davanti una persona, a chi importa?

Il colore della tua pelle, i ricci ribelli, i lineamenti, l’espressione di genere sono un pass par tout per aprire le fogne , etichette incollate su ogni parte del mio corpo che legittimano qualsiasi forma di violenza razzista e sessista. Non serve altro, il discorso d’odio è servito, è tutto normale, dall’alto del privilegio maschio e occidentale è tutto consentito. Ogni angolo di quell’immenso e pericoloso formicaio era per me trappola e luogo di resistenza, i miei tratti somatici mi tradivano in continuazione, l’autodifesa mi teneva in vita, sempre vigile e attenta.

Al tavolo di ogni bar, ad ogni incrocio si potevano captare l’affanno delle poche sinapsi di branchi di energumeni messe sotto sforzo, per portare avanti una discussione che puntualmente veniva condita da una frase come: “sti negri de merda”, “non sono razzista, ma…”, “andassero tutti a casa loro”, “gli ammazzerei tutti”, ”tira fuori le tette”, “bella gnocca vieni qua” ,qualche camionata di insulti a venditori ambulanti, che corazzati da anni di resistenza continuavano imperterriti il loro lavoro, e poi via, un altro rosso , prego, che la festa continui!

Mi sono sentita ingiustamente violentata ed impotente, violentata dagli sguardi, dai commenti sessisti, dalle palpate, dal esotizzazione continua del mio corpo trasformato in oggetto sessuale che risveglia profumi di violenza tropicale, nostalgie coloniali.

Nessuno ha chiesto il mio consenso, nessuno si è sentito in dovere di farlo, nessuno si è sentito responsabile per quello che stava accadendo nello spazio pubblico che lo circondava, nessuna delle “loro (bianche) donne” mi è stata solidale. Le istituzioni complici, si sono girate dall’altra parte e con tranquillità si sono fatte servire un vino, al tavolo dell’aggressore.

Nessuno si è chiesto se fosse normale che una cameriera sottopagata dovesse sopportare per ore frasi del tipo “Che bela moreta, fammi un pompino” o semplicemente, “non mi faccio servire da una marocchina” tutto normale , tutto concesso, nobilitato dalla posizione di “salvatore della patria”, corpo solidale in caso di calamità naturale. Tutti sembravano non voler ricordare che machismo e razzismo vengono esercitati da qualsiasi corpo, tanto più se privilegiato e paramilitare.

Questi quattro giorni sono stati la cartina torna sole dell’aria che si respira a livello nazionale, dell’ansia che ogni corpo di donna o di negra sente quotidianamente nell’attraversare lo spazio pubblico, delle ondate razziste e sessiste che attraversano il paese, ma non lo scuotono, che si insinuano silenziose nel discorso politico istituzionale di ogni giorno.

Io, come moltissime altre, non ci sto! non sono disposta a dover lasciare la città perchè non è per me spazio sicuro, non sono disposta a delegare la mia sicurezza a gruppi di militari maschi e testosteronici , non sono disposta a sorridere e lasciare correre “perché in fondo si scherza”, non sono disposta ad essere complice della vostra lurida violenza quotidiana con il mio silenzio, non sono disposta a tutelare il buon costume della vostra civiltà, rispettosa solo con chi rientra nei canoni imposti. Non sono più disposta ad agognare sanguinante e invisibile perché voi possiate marciare in pace sul mio corpo e onorare la vostra patria. Siamo stanche e arrabbiate, non ci sarà più nessuna aggressione senza risposta, nessun silenzio complice.

Siamo a conoscenza del fatto che la sezione nazionale dell’ANA ha pubblicamente portato la propria solidarietà alle donne molestate e si è dissociato da qualsiasi atto di molestia. La nostra vuole essere solo una riflessione a freddo su ciò che abbiamo visto, vissuto e su cui ci siamo confrontati.

#SIAMOAFRIN

Il Collettivo Universitario Refresh organizza la proiezione di Binxêt – Sotto il confine, il film documentario di Luigi D’Alife con la voce di Elio Germano per un momento di controinformazione in cui continuare a parlare della rivoluzione confederale e di ciò che sta succedendo in Siria del Nord a sostegno della campagna di solidarietà SiAmo Afrin.

28 maggio 2018 presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia (aula da definirsi)

▶️Ore 18:00:
Proiezione del docu-film “Binxêt – Sotto il confine” distribuito da OpenDDB (Distribuzioni dal Basso)
Trailer: https://vimeo.com/205059760

▶️A seguire momento di dibattito e piccolo rinfresco all’esterno della Facoltà

(I fondi raccolti verranno versati a sostegno della campagna SiAmo Afrin) 

#SiAmoAfrin:

“In seguito al lancio dell’”Operazione Ramoscello d’Ulivo” da parte della Turchia, il pacifico, multiculturale e democratico cantone di Afrin in Rojava (Nord Est della Siria) è stato invaso, saccheggiato, bruciato e distrutto. Si stima che circa 450.000 persone siano fuggite terrorizzate, dopo che le forze turche e i loro alleati jihadisti, molti con radici in Al-Quaeda e nelle frange dell’ISIS, hanno preso il controllo della città. Gli sfollati attualmente vivono all’aperto, senza beni di prima necessità, come cibo, acqua e latte in polvere per bambini. Malattie come la tubercolosi non sono solamente presenti, ma si diffondono con una certa velocità e allo stesso tempo c’è una mancanza di medicinali e attrezzature mediche. Le ONG locali, come la Kurdish Red Crescent (KRC) e la Hêvî Foundation stanno tentando con i pochi mezzi che hanno a disposizione di sostenere gli sfollati. A Shahba la KRC ha messo in piedi due campi di accoglienza: Berxwedan e Seredem. Tuttavia non riescono a far fronte a tutte le necessità, soprattutto alla luce della totale inerzia delle ONG internazionali, molte delle quali presenti in Siria. In migliaia ancora vivono all’aperto, sotto rifugi di fortuna costruiti con la plastica.

L’invasione di Afrin non solo ha portato a una massiccia crisi umanitaria, ma aha anche messo in pericolo la democrazia pacifica, multiculturale e radicale basata sulla parità fra uomini e donne e la sostenibilità ecologica in Rojava. L’invasione – con annessa pulizia etnica – era sì rivolta al popolo curdo, ma allo stesso tempo ha colpito anche le altre minoranze etniche e religiose presenti sul territorio, come gli Yazidi ed i Cristiani, i quali sono attualmente sottoposti a conversioni forzate all’islamda parte delle forze turche e degli jihadisti alleati. L’occupazione turca ha delle implicazioni a livello globale e se da una parte le unità di difesa popolare curde YPG e YPJ sono state quelle hanno ottenuto i maggiori successi nella lotta contro l’ISIS, dall’altra dopo quello che è successo ad Afrin ora sono impegnate a proteggere i civili e questo purtroppo comporta un preoccupante aumento delle attività di Daesh.

Davanti al continuo silenzio della comunità internazionale che non ha condannato l’invasione turca di Afrin, davanti al fallimento delle organizzazioni umanitarie internazionali che non si sono mobilitate per fornire aiuti umanitari ai civili sfollati, tutti i gruppi, gli attivisti e associazioni di solidarietà hanno lanciato una chiamata globale e un invito a partecipare alla campagna “SiAmo Afrin” “We Are Afrin).

La campagna vede la partecipazione di due importanti Ong: una italiana, il GUS (Gruppo Umana Solidarietà) e una in Rojava chiamata Hêvî Foundation. La campagna partirà dall’Italia il 25 aprile in coincidenza con il 73 ° anniversario della liberazione dell’Italia dal nazifascismo, e punta a diffondersi a livello globale; si concluderà poi con una delegazione internazionale che punta ad arrivare in Rojava il 2 giugno per consegnare i fondi raccolti.

Gli obiettivi della campagna sono:

–          Raccogliere fondi per gli sfollati di Afrin

–          Condannare il silenzio globale e l’inattività del governo

–          Condannare la mancanza di aiuti internazionali ad Afrin

–          Inviare una delegazione internazionale di solidarietà a Rojava

–          Evidenziare l’ipocrisia mediatica silente su quanto successo ad Afrin.”

 Inoltre per sostenere la campagna è attivo un croefunding (qui il link:https://www.retedeldono.it/it/progetti/gus/siamoafrin) a cui possiamo contribuire tutt*.