Mediterranea Take Action. Le riflessioni di uno studente.

“Intreccio di saperi e di competenze”

Tornato dalla formazione di Mediterranea non riesco a fare a meno di pensare alle potenzialità espresse e ancora in divenire di questo progetto. Provare a fare una restituzione di tutto ciò che è stato detto mi riesce molto difficile per la densità e la concentrazione dei contenuti e perché alcuni incontri si sono svolti in contemporanea, tuttavia raccontare ciò che è stato affrontato è necessario e lo vorrei fare a partire dalla giornata di sabato, giorno in cui è iniziata la formazione teorica. Dalle 9.00 del mattino si sono riuniti a Labàs in vicolo Bolognetti circa un centinaio di persone, studenti e studentesse, attivist*, psicologi/psicologhe, legali, infermieri, medici, giurist* ecc in attesa di essere formati sulle modalità pratiche con cui operare un soccorso in mare.

Formazione sul soccorso in mare


Max e Marc di Sos Mediterranèe parlano solo inglese, ma sono chiari e diretti in ciò che ci stanno per spiegare. Il soccorso in mare lo fanno da anni e danno subito l’idea di essere molto competenti. La presentazione teorica dura circa due orette. Per salvare vite in mare non basta essere formato, bisogna principalmente essere lucidi, stare calmi, e aspettarsi di tutto. Bisogna anche riuscire a non farsi prendere dallo spirito eroico e non pretendere di salvare tutti contemporaneamente, ma cercare di adottare la strategia migliore, anche se dovesse richiedere più tempo. Si può riuscire al 100% oppure no. Tutto dipende dalle condizioni del mare e del gommone in cui si trovano i/le migranti. Dipende anche molto dallo stato d’animo nostro e delle persone che ci troviamo a salvare. Per il rescue non è ammesso il fallimento perché si tratta di vite umane in fuga dai centri di concentramento libici.
Ci si divide in tavoli di lavoro e io decido di seguire quello sul ruolo del guest-coordination. Giulia e Alice ci hanno spiegato come vengono gestite e coordinate le attività sulla nave.

Di cosa si occupa il guest coordinator?
Le possibilità di situazioni di stress e di tensione in nave dipendono da molti fattori. Sicuramente dalle condizioni psicologiche delle persone appena salvate. Il fatto di intrattenere con loro delle conversazioni può essere molto importante. Dipende anche dalla composizione degli ospiti, se per esempio ci sono malati si provvederà a fare un primo controllo. Possono verificarsi molte situazioni differenti, tutte ugualmente delicate e difficili da affrontare: per esempio, può accadere che i vestiti si bagnino di acqua salata e benzina incollandosi alla pelle e provocando delle ustioni, come può succedere che ci siano bambini o donne incinte che hanno bisogno di più cura e attenzione. Tutto questo obbliga a sviluppare una capacità di fare coordinamento continuo tra i membri dell’equipaggio per monitorare la situazione e fare in modo che l’operazione di salvataggio si svolga al meglio. Ciò che è importante è non alimentare episodi di tensione interna, favorendo un clima sereno e leggero, ma allo stesso organizzando ogni momento nei minimi dettagli.

Assemblea plenaria


Uno degli aspetti più rilevanti per chi si approccia al fenomeno delle migrazioni è comprendere cosa succede in Libia. Ciò che è sicuro è che il conflitto-civile in corso si inserisce all’interno di un conflitto globale in cui sono spesso presenti interessi nazionalisti di paesi come Francia, Italia, Egitto, Stati Uniti e Russia. Certamente per comprendere ciò che si sta sviluppando bisognerebbe tenere in considerazione gli interessi economici che derivano dal possesso del petrolio. Ciò che fa indignare è che questo paese in piena guerra civile abbia dichiarato una propria zona SAR e si sia dichiarato competente per operazioni di salvataggio, (cioè se lo stato italiano riceve una richiesta di soccorso, non fa altro che inoltrarla alla guardia costiera libica). Il mediterraneo in questo senso può essere visto come un campo di battaglia delle migrazioni. Le migrazioni portano con sé un desiderio collettivo di libertà, di felicità e di ricchezza. Si deve accettare la libertà di movimento come superamento dei paradigmi precedenti, che nella gestione dei flussi migratori, hanno prodotto morti in mare, esternalizzazione dei confini, evoluzione e militarizzazione dei mezzi di controllo. I paesi nord-africani che dovrebbero contribuire a controllore in nome e per conto dell’Ue i propri confini, hanno subito negli ultimi dieci anni enormi stravolgimenti e trasformazioni che hanno contribuito a modificare gli spazi di circolazione interni all’Ue: basti pensare alla chiusura del confine a Ventimiglia o all’accordo Ue-Turchia.
Tutto questo avviene costantemente sotto i nostri occhi e si inserisce all’interno di quella logica che vede il diritto come strumento produttivo di dominio e di sfruttamento e non come strumento di tutela per diritti e libertà. Anche sul piano nazionale non manca questo approccio: dalle leggi sul caporalato, alle leggi sull’immigrazione clandestina vi è un tratto incriminante, non tanto di una condotta penalmente rilevante, ovvero lesiva di un bene giuridico da proteggere collettivamente, ma di un modo di essere del soggetto coinvolto. In sostanza, i comportamenti di chi migra vengono valutati e regolamentati con un intento sempre più intollerante e repressivo.

Conclusione e riflessione personale
Credo che oggi sia giusto mobilitarsi, mettersi in gioco perché nella guerra in atto le vittime sono principalmente tutte quelle persone che muoiono in fondo al mare, affogate nel grande capitolo del dimenticatoio della storia dell’umanità. Chi si salva è perché affronta la morte, le violenze, i soprusi. Dovremmo essere fier* ed orgoglios* di accogliere persone così coraggiose e invece spaventa non sapere che cosa ci riservi un mondo globale e molti e molte si rinchiudono nell’indifferenza. Se salvare una vita equivale a un reato di tipo economico vorrà dire che si pagherà, sapendo che la pena sarà sempre e comunque irrisoria rispetto al valore della libertà di movimento e della vita. I governi italiani che si sono succeduti negli ultimi anni hanno la responsabilità della morte di centinaia di migliaia di persone. L’UE pure. La strategia? Tolleranza zero per gli/le immigrat* clandestin* Con quali strumenti? Accordi, finanziamenti a organizzazioni criminali e repressione di polizia. Non restano altre soluzioni se non provare ad attraversare illegalmente le barriere che si moltiplicano. Ora come ora lo stato è responsabile di vendere come legalità una situazione di “illegalità legalizzata” Sostiene che chi entra senza documento nel territorio è illegale e quindi dovrebbe andarsene perché non rispetta la legge. Il problema è che non ci sono modalità legali e sicure di ingresso nel territorio italiano. O meglio l’unica possibilità sarebbe quella del visto che si può prendere solo in alcuni casi specifici e in alcuni paesi. Il dato concreto è che si costringono persone a migrare, per poi sbattere loro la porta in faccia! Schierarsi con Mediterranea significa salpare per aprire crepe e difendere diritti e libertà


È tempo di nuove sognatrici di nuovi pirati e di nuovi partigiane.

DICONO DI NOI… RIFLESSIONI DAL “MICROCOSMO DI SOCIOLOGIA”

Il 26 aprile 2019 il giornale online Il Dolomiti pubblica l’articolo“Un microcosmo a sociologia: tra spaccio, pranzi comunitari e un artista di strada che alza il dito medio all’indirizzo del sindaco”. Non vogliamo entrare nel merito dell’articolo che si commenta da sé. Vogliamo invece, in quanto studenti e studentesse che vivono e frequentano l’università tutti i giorni, provare a fare alcune riflessioni che ci sembrano necessarie.

Viviamo in un’epoca in cui le informazioni vengono veicolate attraverso i social, che molto spesso alimentano fake news e disinformazione che non fanno altro che diffondere il clima di insicurezza generale.  Un giornale che si definisce “oggettivo” come il Dolomiti, non dovrebbe dare spazio a delle pseudo inchieste in quanto essa dovrebbe essere uno strumento di approfondimento e di denuncia che non può scivolare in un’accozzaglia di accostamenti forzati ed evidentemente diffamanti.

Ma questo non ci stupisce. I mass media si sono allontanati dal ruolo di informare in maniera oggettiva la popolazione, se mai l’hanno avuto, preferendo invece sfruttare il loro ruolo per diffondere e alimentare sempre più rancore e paura, dando in pasto ai politicanti dell’odio continue (dis)informazioni da strumentalizzare per il proprio tornaconto elettorale.

Ciò appare in maniera lampante nel momento in cui si affronta una problematica seria e delicata come lo spaccio e il consumo di eroina con leggerezza e superficialità. Lungi dal giustificare a priori il consumo di eroina, come studenti e studentesse di un dipartimento come Sociologia non possiamo non renderci conto che il fenomeno esista ed è più profondo di quello che può sembrare. In quanto tale non va affrontato in maniera strumentale e criminalizzante, ma con una riflessione critica che tenga in considerazione tutti gli aspetti di questo fenomeno.

Dopo anni di retorica anti-degrado, e di retate e politiche securitarie, il fenomeno dello spaccio e del consumo non fa altro che spostarsi. Con il badge non si fa altro che riprodurre la stessa dinamica, rendendo inoltre esclusivo, per le varie soggettività non studentesche che attraversano questo dipartimento, la possibilità di accedere ai luoghi comuni e ai bagni. Questo porta all’isolamento e alla marginalizzazione sempre maggiore del tossicodipendente, provvedimento che non porta alcun beneficio né a lui/lei né alla comunità. Un fenomeno simile dovrebbe essere affrontato in modo serio e strutturato da operatori/trici qualificate che non criminalizzino o infantilizzino l’individuo, cosa che evidentemente nel territorio trentino non esiste.

Come studenti e studentesse che si vivono lo Spazio Autogestito Hurriya, abbiamo scelto da mesi di vivere in maniera attiva e critica l’università, creando percorsi dal basso per uscire dalle dinamiche competitive e di mercato e per proporre un modello di società e socialità differente, che sia partecipata, inclusiva e che riesca ad abbattere il muro di indifferenza che ci circonda. Per questo, al di là delle polemiche sterili sollevate dal Dolomiti, ci siamo interrogati da tempo sul problema dello spaccio e del consumo organizzando un momento di autoformazione pubblica e collettiva con l’associazione TIPSINA che si occupa di consumo consapevole. Per noi è fondamentale conoscere per capire prima di agire di conseguenza.

Per questo invitiamo gli interessati a partecipare all’evento, ma anche alle varie iniziative che si svolgono in questo spazio, fra cui pranzi sociali, cineforum, autoformazioni, dibattiti e aperitivi. Insomma… di attività ce ne sono tante, vi aspettiamo nello Spazio.

 

Studenti e studentesse dello Spazio Autogestito Hurriya 

DI-PARTE. Riflessioni post 25 aprile

Se Lui fosse qui, ora, tu che faresti?
Lasceresti tutto per fermarlo?
Metteresti il tuo corpo per combatterlo?
Se Lui fosse qui, intorno a te. Dentro di te.
Se sentissi il suono dei suoi passi pesanti fermarsi alle tue spalle accompagnati dal suo rancido fetore di morte e, sudando, sentissi sul collo il suo alito caldo e umidiccio, cosa faresti?
Se le sue mani, gelide e possenti, ti prendessero per i fianchi, portandoti a Lui, e sentissi le sue membra tornare a pulsare, il tuo sangue scorrere nelle arterie putrefatte di quel corpo osceno, proveresti a dimenarti?
E se dal tuo immobilismo traesse vigore, e quel vigore diventasse potenza, col quale ti stringerebbe, forte, al suo petto glabro per rubarti anche le lacrime;
se ti immobilizzasse con dieci, cento, mille braccia, e queste frugassero bramose il tuo corpo toccando e stringendo il poco calore di carne viva che ancora ti resta,
urleresti con tutto il fiato che hai in gola, con tutta la forza che hai ancora nei polmoni: -…no! ancora una volta no, liberatemi da questo carcere buio di paura, madre, datemi la forza per combattere, che mi manca l’aria per respirare, la luce per vedere, l’amore per godere, la libertà per sentire qualsiasi sapore, odore e suono che sia degno di essere gustato, intuito, sentito..-?

Se Lui fosse qui, ora, fermereste il flusso che incessantemente lo riproduce con le vostre abitudini, con i vostri consumi, con il vostro feticismo dei confini, con la vostra arroganza di esistere?
Lo odieresti? Ti prenderesti qualche secondo -immobile- per pensarlo, per negarlo, per rigettarlo, solo per respirare qualche istante di libertà?
O continueresti ad annegare nelle sue abitudini, nel senso comune, nella smania dell’indifferenza; continueresti a nutrirlo della mancata vergogna che provi per essere stato suo, per giorni, mesi, anni? Continueresti a cadere, piano, nelle sue fauci sanguinarie, lavorando per Lui, consumando per Lui, vivendo per Lui. Fino alla nausea.
Fino a smettere di concepire qualsiasi esistenza al di fuori di Lui.
Al di fuori di Te.

Tu, se Lui fosse qui,
ora
da che parte saresti?

Ieri e oggi contro tutti i fascismi.
Viva la resistenza, viva chi resiste.

Perché è così difficile essere antisessist*?

Riflessioni alla luce delle giornate di autoformazione “Pratiche quotidiane di conflitto per combattere il sessismo”, all’interno del percorso CONDIVIDI I SAPERI, COSTRUISCI IL CONFLITTO

Antifascismo, antirazzismo e antisessismo sono o perlomeno dovrebbero essere le basi di tutti i movimenti sociali cosiddetti “di sinistra”, per quanto si possa ancora parlare di destra e sinistra. Tuttavia, se su antifascismo e antirazzismo si tenda a essere sul pezzo, quando si tratta di antisessismo ci si trova sempre in difficoltà. Questo perché il sessismo è frutto di un contesto culturale, etero-patriarcale, che esiste da secoli e che, nonostante i progressi, le conquiste, le lotte, non siamo ancora riuscit* a scardinare del tutto. Se possiamo essere più o meno cert* di non aver mai agito in modo fascista o razzista, non possiamo forse dire lo stesso sul sessismo. Probabilmente è capitato a tutt* noi di utilizzare epiteti come zoccola, puttana, mignotta, di giudicare una persona in base alle sue scelte sessuali (puttaniere, ragazza facile, ecc) o di fare battute su gay, lesbiche e trans. Ma perché facciamo questo? Perché è così difficile essere veramente antisessist*?

Forse una risposta unica e assoluta non c’è, sta di fatto che per essere antisessist* bisogna partire da se stess*, dal proprio privato, dal proprio modo di parlare e di esprimersi, dal proprio modo di approcciarci a una persona che ci attrae, per poi riportare queste piccole pratiche quotidiane e private nei propri spazi politici, provare a collettivizzarle e diffonderle. Per combattere il sessismo dobbiamo in qualche modo cambiare in primo luogo noi stess* per poi poter pensare di cambiare il resto del mondo. Le pratiche sessiste pervadono così tanto la nostra società occidentale e passano così spesso nel silenzio e nell’indifferenza che il lavoro da compiere è doppio se non triplo.

Sicuramente il primo passo da fare è creare dei momenti che siano aperti, inclusivi e che partano dalle proprie esperienze per poi riuscire a elaborare risposte politiche e collettive. Bisogna lavorare sulle nuove generazioni, quelle che ancora non sono state totalmente influenzate da questo modello culturale, che diciamocelo, è strutturalmente sessista. Bisogna ripartire dalle basi, dal linguaggio e dal modo in cui ci relazioniamo con l’altr*, provando a sradicare tutti quei costrutti mentali che inevitabilmente ci portiamo appresso da quando siamo bambin* e ci regalavano i soldatini o le bambole a seconda del nostro sesso di nascita.

La sfida che ci si pone davanti di certo non è delle più semplici ma abbiamo la forza e le capacità di combattere il sessismo in tutte le sue forme!

Questa riflessione deriva dalle due giornate di autoformazione tenutesi allo Spazio Autogestito Hurriya di Sociologia. Le due giornate si sono fondamentalmente divise in due parti: in primo luogo ci si è concentrat* sull’individuazione del concetto di sessismo cercando di capire cosa significhi e quali siano le pratiche da contrastare quotidianamente. È stato un momento di autoriflessione e autocritica, partendo dalle proprie esperienze personali, con un particolare focus sul linguaggio e sul modo in cui ci relazioniamo agli e alle altr*, soprattutto nel mondo virtuale dei social networks; la seconda parte dell’autoformazione è invece entrata più sul pratico, provando a individuare un piano politico di risposta al sessismo e ipotizzando alcune possibili iniziative. Per esempio, è stata affrontata la tematica del taboo di essere donna, con una particolare attenzione alla questione della pink tax e della tassazione spropositata dei beni di prima necessità, come gli assorbenti. Inoltre, si è provato a parlare di pratiche di autodifesa autogestita e auto-organizzata che si potrebbero organizzare in modo collettivo. Tutte queste idee cercheranno di trovare a breve un risvolto pratico…

A Idy Diene per non dimenticare

Il 5 marzo 2018 sul ponte di Firenze veniva ammazzato a colpi di pistola Idy Diene.
Un anno fa scrivevamo questo testo che vi consigliamo di rileggere.
In un anno tante cose sono cambiate, il percorso antirazzista, passo dopo passo è cresciuto e si è reso protagonista diverse volte attraverso inchieste, assemblee, presentazioni e manifestazioni.
Purtroppo non è abbastanza e dobbiamo continuare a impegnarci per costruire un mondo diverso da quello in cui ci troviamo a vivere.
A Idy, a Soumayla, a Prince e a tutt* le vittime dell’ ignoranza violenta razzista e discriminatoria.

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RIVOLTA NELLE UNIVERSITÀ ALBANESI

Mentre la Francia è attraversata dalle proteste dei Gilet Gialli, dall’altra parte dell’Adriatico l’Albania è scossa da un movimento universitario che lotta contro la riforma governativa del 2015, gli alti tassi di corruzione e la costante carenza di investimenti nel sistema universitario. Le proteste si stanno susseguendo senza sosta ormai da settimane con boicottaggi continui delle lezioni, blocchi stradali, cortei e presidi partecipati in massa in molteplici città, specialmente nella capitale Tirana, invasa da student* di tutto il paese. La caparbietà della lotta ha costretto il governo all’apertura di un tavolo di trattativa. Il movimento universitario, però, con la solidarietà degli studenti liceali, ha affermato nuovamente la sua volontà di non voler sedere al tavolo delle istituzioni negando la possibilità di compromessi e continuando a oltranza fino alla conquista di tutti gli obiettivi. La protesta non si muove solo contro l’attuale stato in cui versa l’istruzione ma contro l’intero spettro partitico e parlamentare che invariabilmente sostiene l’interesse dei pochi. La protesta si sta quindi allargando verso un’analisi dei rapporti di forza vigenti all’interno dell’intera società albanese e una critica radicale del modello di sviluppo esistente, iniquo in ogni aspetto sociale e culturale.
Di seguito pubblichiamo un’intervista a un attivista del movimento universitario albanese per approfondire la vicenda presa da

 https://www.infoaut.org/conflitti-globali/rivolta-nelle-universita-albanesi-intervista-ad-un-attivista-del-movimento-parte-1

e da

https://www.infoaut.org/conflitti-globali/rivolta-nelle-universita-albanesi-intervista-ad-un-attivista-del-movimento-parte-2?fbclid=IwAR3y7cB8HJ_7whf4vA4YJYrn31_x3Cpt8RjezCsBeJ-dZBd-KajZKD823-8

Iniziamo da capire come é nato questo movimento, quali sono le vertenze promosse dagli studenti.

Il movimento universitario di questi ultimi giorni ha i suoi prodromi nel boicottaggio delle lezioni da parte degli studenti di architettura. La ragione principale del boicottaggio stava nel fatto che la segreteria della facoltá di architettura ha richiesto il pagamento delle tariffe universitarie a dicembre, quando le tariffe venivano pagate sempre a gennaio. È stato precisamente questo ad aver scatenato la rabbia degli studenti. Gli studenti non erano pronti a pagare una tariffa del genere e si trovavano in grosse difficoltá economiche.

Il secondo motivo è legato invece ad una delibera del consiglio dei ministri datata al 21 maggio 2018, che richiede nel comma 4 il pagamento di un valore aggiunto per accedere ai crediti di ogni esame non superato. Il valore di questo bollo è di 640 lekë (ca. 5 euro) per ogni credito ottenuto da esami da rieffettuare. Tutta quest’ondata di protesta e’ nata spontaneamente, ma poco dopo sono cominciati ad entrare in gioco diversi raggruppamenti, con l’intenzione di intercettare la protesta a seconda dei loro interessi, in particolare il consiglio studentesco e i militanti dei partiti di opposizione. Ma il più attivo e organizzato movimento, da lunghi anni, é “Për Universitetin” composto da studenti e alcuni docenti.

Quanto detto sopra é perlopiù il pretesto con cui è nato questo movimento. Le ragioni reali, emerse dalle rivendicazioni degli studenti, che da anni vengono organizzati dal movimento “Për Universitetin” sono state la Riforma Universitaria del 2015, le alte tariffe, la corruzione in’universitá, gli scarsi investimenti nella ricerca scientifica, la mancanza degli strumenti da laboratorio, la mancanza delle minime condizioni di abitabilitá dei convitti, il loro caro prezzo, etc..

Quali sono le condizioni sociali degli studenti che scendono in piazza, si tratta di una protesta di categoria o riguarda anche istanze di classe di piu’ ampio respiro?

La condizione sociale degli studenti che prendono parte alla proteste è variegata. La maggioranza di loro viene dalle classi più umili, ma qualcuno anche dalla classe media. È praticamente impossibile per gli studenti che provengono da questi contesti pagare le tariffe universitarie, e pagare i docenti che chiedono soldi in nero per effettuare esami. Come anche pagare le varie convalide rilasciate dalle segreterie, i manuali e i quaderni, le case da dover affittare, etc… Comunque sia, ci sono studenti che vanno oltre alle semplici rivendicazioni economiche, questi chiedono un’istruzione di qualità, aumento degli investimenti nel campo della ricerca scientifica e la segnalazione di tutto il corpo docenti, per far modo che i docenti corrotti vengano allontanati..

Come gruppo siete attivi in università da molto tempo, quali sono state le vostre iniziative precedenti?

Il movimento per l’università è da quasi cinque anni che si organizza e combatte contro la riforma del sistema universitario promulgata dal governo Rama, per un’università gratuita e di qualità, libera dalla corruzione e dall’incompetenza. Permettimi di parlarti un po’ della riforma, dato che il movimento, come ho già detto è nato come risposta di un gruppo di studenti e docenti contro la la riforma universitaria.

In primo luogo, la riforma è stata scritta da un piccolo gruppo nominato dal primo ministro, non eletti dal corpo accademico, e non avente alcun legame con gli interessi dell’università pubblica, e che al contrario era fortemente vicino agli interessi delle università private. Da un punto di vista finanziario questa riforma era diretta a favorire le universitá private, le quali grazie ad essa hanno cominciato ad avere accesso ai fondi che lo stato stazionava per quelle pubbliche. In secondo luogo, l’autonomia finanziaria che questa legge da alle universitá pubbliche implica anche il fatto che queste debbano trovarsi da sole i fondi per potersi finanziare.

A queste condizioni l’unico mezzo che l’universitá ha a sua disposizione per finanziarsi è l’aumento delle tariffe universitarie, dato che lo stato non ha alcuna intenzione di aumentare il fondo a disposizione dell’istruzione pubblica. Essendo consapevoli che l’aumento delle tariffe sarebbe stato insopportabile per gli studenti, i riformatori avevano anche previsto di introdurre il prestito studentesco, che avrebbe trasformato la maggioranza degli studenti in debitori presso le banche.

Per quello che riguarda invece l’aspetto politico, la riforma riduce del 10% il peso del voto studentesco alle elezioni degli organi universitari. Secondo le nostre stime, il voto di 1 docente eguaglierebbe quello di 20 studenti. Noi fin dal 2015 ci siamo opposti a questa riforma neoliberista e bottegaia che trasforma lo studente in un cliente indebitato e l’universitá in un immenso mercato di lauree. Quest’opposizione il movimento l’ha alimentata intavolando dibattiti e assemblee pubbliche sulla riforma e su quale sia la nostra idea di università. Come anche attraverso le innumerevoli proteste alle quali hanno preso parte centinaia di migliaia di studenti.

Come conseguenza dell’indifferenza del governo alla voce degli studenti, alcuni compagni hanno compiuto azioni anche più radicali, come il bersagliare il primo ministro con delle uova e versare sugo di pomodoro in faccia al ministro dell’istruzione (video). Molti di questi attivisti stanno ancora affrontando dei processi a causa di queste azioni. Il movimento sta anche denunciando da anni il furto che i docenti corrotti compiono a danno degli studenti, pretendendo illegalmente soldi da loro per poter effettuare gli esami, abbiamo anche denunciato le condizione i misere in cui versano gli alloggi nei quali gli studenti vivono; i prezzi alti dei manuali; l’alto costo della vita ; la mancanza di laboratori preparati e tanto altro. In questo senso “Për Universitetin” ha preceduto da anni questi movimenti che stanno oggi bloccando la capitale. Possiamo dire di aver preparato noi il terreno grazie al quale tutto questo è accaduto. Per mezzo di proteste innumerevoli, denunce, appelli e interviste televisive. Nonostante oggi non siamo gli unici alla testa di questa protesta.

A proposito degli altri soggetti politici che stanno cercando di farsi largo a spese della protesta potresti spiegarci qualcosa a riguardo dell’aggressione condotta dai militanti del Partito Democratico Albanese nei confronti del docente Jani Marka avvenuta la scorsa domenica?

L’aggressione al docente Jani Marka, il quale é parte del movimento “Për universitetin” è stato uno degli atti più infami verificatosi durante le ultime proteste da parte dei membri dei partiti politici, in particolare da parte dei forum giovanili del PD (destra) e dell’LSI (centro). Le ragioni di questi atti sono ora conosciuti da tutti. Il nostro movimento da sempre ha denunciato tutti i partiti come colpevoli della situazione miserabile in cui versano oggi le nostre università.

È stato proprio il Partito Democratico ad aver proposto per primo la riforma del sistema universitario, che però non riusci a realizzare grazie all’opposizione del movimento “Università in pericolo” che per molti aspetti ha preceduto quello contemporaneo. La nostra ferma denuncia al PD e all’LSI c’è stata perché hanno continuamente cercato di assumere il controllo della protesta tramite i loro squadristi. Ma hanno sempre incontrato sempre la resistenza degli studenti e degli attivisti del movimento. La loro impotenza nell’infiltrare la piazza ha fatto innervosire molto i loro leader, questo è anche il motivo per cui hanno attaccato il docente Jani Marka. Il movimento studentesco di questi giorni ha invitato sin dall’inizio questi partiti a starsene fuori dalle proteste. Ma i loro tentativi di prenderne il controllo non sono comunque finiti.

In Albania questo movimento e’ stato paragonato da molti a quello che nel 90′ ha portato alla fine dell’esperienza socialista. Ma il movimenti studentesco in’Albania ha una storia molto piú lunga, anche durante il nazifascismo l’opposizione degli studenti fu cruciale nella lotta di liberazione nazionale. Quali sono gli aspetti che questo movimento ha in comune con I precedenti e quali le differenze?

É vero, centinaia di studenti si unirono la Lotta di Liberazione nazionale. I personaggi piu significativi di questa lotta erano studenti e giovani che con molto coraggio dettero forma a quel movimento e lottarono contro il nazifascismo. Ma questo é pure accaduto durante gli anni ’90, quando gli studenti, assieme ai lavoratori, hanno abbatuto il regime stalinista instaurato da Enver Hoxha.

Le differenze sono molte in realtá molte. In primo luogo non chiediamo il rovesciamento del sistema o del governo, ma chiediamo:
1) l’Abrogazione della Riforma univeristaria, come punto di partenza per inaugurare un’altra riforma vera riforma dell’universita, basata sulle rivendicazioni delle masse studentesche;
2) Il raddoppio del fondo pubblico per gli studi universitari. Che dovrebbe assicurare il miglioramento delle condizioni dei convitti, l’arricchimento delle biblioteche, la crescita della ricerca scentifica, l’elezione del personale accademico da parte degli studenti e molto altro, la lista è ancora lunga…
3)Scuola pubblica gratuita, a tutti i livelli di istruzione;
4) Una riforma vera della vita universitaria basata sui principi della democrazia all’interno dell’universita: la creazione di un’assemblea di universitari scelta dai voti (parificati) degli studenti e docenti in ogni facolta’ delle universita’ pubbliche.

Un’altra differenza cruciale e’ il fatto che al contrario del movimento studentesco degli anni ’90, questo movimento non ha un capo, ma e’ orizzontale ed e’ seguito da numerosi raggruppamenti politici, molti dei quali purtroppo legati con i partiti politici. E assieme a questo oggi, una dei maggiori desideri del movimento e’ la realizzazione delle rivendicazioni e dei principi che il movimento studentesco degli anni 90′ non e’ riuscito a realizzare.

Lo slogan degli studenti “Vogliamo l’Albania come il resto d’Europa” rappresenta la loro volonta’ e il di vedere un’Albania sviluppata come il resto dei paesi europei, dove la scuola pubblica e’ gratuita e i salari sufficienti per poter vivere con dignità. Questo fu anche lo slogan degli studenti degli anni ’90, purtroppo loro non riuscirono mai a vedere il loro paese cambiare come il resto degli altri paesi sviluppati. Oggi gli studenti rivendicano un’istruzione pubblica gratuita e di qualita, poiche’ non vogliono che il futuro continui ad essere oscuro e senza alcuna via di fuga.

Hai detto che uno degli slogan della protesta degli studenti è “Vogliamo l’Albania come il resto d’Europa”, in riferimento ai requisiti di acessibilitá e di qualitá del sistema universitario. Chiaramente, la qualitá del sistema universitario albanese non si avvicina nemmeno lontanamente a quella degli stati dell’Unione Europea, ma così facendo non si rischia di fraintendere l’UE per un luogo in cui certe contraddizioni non esistono? Anche i sistemi universitari europei, e in primo luogo quello italiano, hanno centinaia di problemi che vanno dalla corruzione al clientelismo, dal nepotismo all’uso ideologico dell’accademia come legittimazione dello stato delle cose presenti. Per non parlare delle pesanti misure repressive adottate dalla polizia o direttamente da certi rettorati per impedire l’attivitá politica degli studenti.

È  vero che cosi facendo s’incorre nel rischio di venire sussunti dall’ideologia dominante, che vorrebbe l’occultamento di ogni contraddizione e che rappresenta la realta’ come organica e armonica, in cui la vita si svolge nei migliore dei modi, dove chiunque ha il suo ruolo e non esistono contraddizioni e classi. Molti studenti però non lo capiscono, anche perché i loro principali canali di contatto con l’Europa passano attraverso la televisione, Internet o dalle loro brevi visite che compiono in questi paesi. Se questi andassero a vivere un po’ di tempo in questi luoghi, la loro idea cambierebbe di sicuro, ma solo dopo aver constatato da solo che la realta e’ estremamente diversa da quella descritta dalle riviste, dalla tv o da Internet. Io ho studiato in’Italia dal 2004 al 2012 e so che la realta’ di questi luoghi e’ completamente diversa da quello che si dice o che si pensa. Ricordo di aver preso parte a molte lotte studentesche contro la riforma Gelmini. In’italia ci sono molti problemi che riguardano i diritti degli studenti e pure le loro liberta’ politiche, come anche gli alti costi dell’istruzione.

Nei fatti, come ogni movimento è a suo modo composito e spurio. A dimostrazione di questo va ricordato che uno degli altri slogan gridati dalle piazze questi ultimi giorni è stato “No al dialogo, no ai negoziati, riducete le tariffe, stronzi!”. Questo a dimostrazione che il conflitto che segna la linea di demarcazione tra le rivendicazioni degli studenti e la posizione del governo europeista di Rama sta diventando man mano più profondo e sembra non lasciare altri sbocchi che quello dell’annullamento della riforma universitaria del 2015. Pena la caduta del governo o come minimo l’inizio di negoziati che vedrebbero in grosso svantaggio Rama e l’intero gabinetto.

Edi Rama, dal canto suo, aveva ampiamente sottovalutato la protesta. All’inizio il suo atteggiamento é stato molto arrogante e facilone, e con queste pretese era giunto a liquidare la piazza come “movimento dei pluribocciati”, per poi rendersi conto, in maniera molto infantile, che la realtá del movimento era molto più ampia e il disagio alle sue fondamenta molto profondo di quanto si aspettasse. I suoi ultimi post fb lasciando intendere molto bene questo andamento. Sentitosi braccato dalle piazze degli universitari, ai quali nel frattempo si sono uniti tantissimi liceali e semplici cittadini, ha infatti promesso che il pagamento delle tariffe verrá sospeso.

Il movimento però é deciso, e non sembra volersi fare incantare dalle sue promesse o da qualche pallida posizione di studenti “integrati e di successo” per cui le rivendicazioni degli studenti “non sono nulla a confronto dei doveri dell’universitá e a confronto di quello che il governo può offrire”. Il movimento è riuscito peraltro é riuscito a resistere anche agli intrighi di Berisha e dei suoi squadristi, portando in larga parte solidarietá ai compagni aggrediti negli scorsi giorni e, come pure in queste ultime ore, anche a quelli colpiti dalle misure repressive adottate dalla procura di Tirana.

Ma a noi e agli studenti del resto d’Europa cos’è che può insegnare questo movimento?

Rama non ha ancora accettato le richieste degli studenti, lui chiede il dialogo e la creazione di una piattaforma per lo svolgersi dei negoziati. Gli studenti, dal canto loro, hanno risposto che non ci possono essere negoziati e che le loro richieste devono essere accettate tout court. Infatti in una democrazia, la rappresentativita’ puo’ essere solo di natura amministrativa, procedurale, e mai sostanziale. Noi non vogliamo negoziare per quello che riguarda gli aspetti sostanziali delle nostre rivendicazioni. Per dirla con le parole di Rousseau “La volonta non puo’ essere in alcun modo manifestata se non direttamente da noi”.

Quello che vorrebbe Edi Rama, nei fatti e’ di uscire vincitore, da questa battaglia e ha gia’ perso. Lui vorrebbe apparire agli occhi del popolo come d’accordo con gli studenti, e non come quello che si e’ arreso a loro senza condizioni. Rama e il suo partito cercano di attirare, in maniera furtiva, gli studenti nelle loro giovanili, per creare una artificialmente una rappresentanza in grado di negoziare con lui. E non solo lui ma anche le giovanili degli altri partiti d’opposizione. comunque sia gli studenti non accetteranno la creazione di piattaforme del genere da parte dei partiti, siano anche esse dell’opposizione.

Gli studenti non possono avere una rappresentanza, anche per il fatto che sanno gia’ che, qualunque tipo di rappresentanza, sarebbe corruttibile o comunque mendace. E le contraddizioni si sono inasprite a tal punto che e’ impossibile negoziare. Nemmeno Berisha e gli altri, sono riusciti a dividere gli studenti. Durante la scorsa manifestazione, per esempio, gli studenti hanno spontaneamente cancellato i simboli dei tre partiti principali: PD, PS, LSI. Questo in aggiunta alla solidarieta’ verso il movimento e i suoi attivisti. Gli studenti del resto d’Europa non hanno nulla da imparare da questo movimento, se non quello che ha gia’ insegnato la storia, cioe’ che solo l’organizzazione e l’unita’ possono permette la conquista di molte cose.

Il movimento per l’università è da anni che cerca di consapevolizzare gli studenti in merito ai rischi che comporta la riforma universitaria, la quale conseguenza e’ la crescita delle tariffe, la scomparsa dell’autonomia universitaria, la rovina della democrazia studentesca etc. Dopo molti anni di organizzazione e di opposizione in strada e nelle aule, è infine arrivato il giorno in cui gli studenti si sono sollevati a centinaia di migliaia. Tutto questo dopo 25 anni durante i quali non si erano mai viste proteste cosi’ grandi e tenaci. Questo insegna che li’, anche dove sembra non esserci speranza, se ci sono organizzazione e coraggio, allora questa speranza ormai perduta puo’ tornare per dare nuovo respiro alla lotta per una societa’ formata da liberi e uguali.

Le disparità di classe si sono inasprite parecchio questi ultimi anni, questo grazie anche al contributo del governo che ha sempre assecondato le richieste dei padroni e degli oligarchi. Nel caso questi scontri si concretizzino in una buona organizzazione con delle vertenze inalterabili, allora ogni lotta puo’ essere vinta. Le sinistre europee sono spesso frammentate e malorganizzate, nel caso si voglia lottare per una societa’ diversa, andrebbero messe da parte le piccole differenze e unirci. Dato che i nostri nemici restano sempre e comunque lo stato e il capitale. Solo cosi’ possiamo sconfiggerli ovunque.

Un altro problema che accomuna voi e altri paesi della penisola balcanica é quello che riguarda l’emigrazione verso i paesi dell’UE, che non coinvolge solo i lavoratori, ma anche numerosissimi studenti. È un problema che tocca pure l’Italia, anche se diversamente. La risposta a questo è senza dubbio la lotta, ma questo significa anche opporsi a quei politici balcanici che dicono nei loro paesi di provenienza che l’unica alternativa alla corruzione e alle insufficienze del sistema economico siano l’integrazione euro-atlantica o l’emigrazione.L’Unione Europea non è in qualche modo responsabile di questo assieme a questi politici? 

Mi viene da pensare che l’esempio più chiaro di questo sia proprio Edi Rama, che per guadagnarsi la simpatia degli europei e accelerare il processo di integrazione euroatlantica, descrive l’Albania all’estero (penso a certe interviste rilasciate a vari talk show in Italia) come una vera e propria utopia per gli investitori e gli avventurieri di ogni sorta, vista la mancanza di moltissime garanzie sindacali e politiche per i lavoratori e la grande corruzione.

Il problema che riguarda l’allontanamento dei lavoratori e degli studenti e’ una vera propria emergenza nazionale, mentra stiamo discutendo, migliaia di questi si stanno gia’ allontanando dal paese.  Si parla in particolare dei lavoratori specializzati, dei medici, degli infermieri, degli ingegneri, dei tecinici, insomma del cervello del nostro paese. E’ vero che questo e’ un problema di molti altri paesi dei Balcani, in una situazione simile sono Bosnia ed’Erzegovina, Serbia e Kosovo. Ma il caso dell’Albania supera tutti gli altri paesi.

I motivi sono chiaramente molteplici, ma principalmente la disoccupazione, il lavoro senza garanzie, le basse puste baghe, e la mancanza totale di organizzazioni sindacali che dovrebbero assicurare il miglioramento delle condizioni lavorative e tanto altro ancora.. Secondo uno studio condotto in questi ultimi giorni la maggioranza sei medici emigra verso la Germania, vista la mancanza di prospettive per il futuro, come conseguenza dei motivi sopra elencati. E’ vero anche che alla radici di questo c’e’ la politica dello pseudosocialista Rama, che ha invitato molti investitori stranieri a venire in’Albania, adducendo al fatto che non ci sono sindacati e il mercato del lavoro sia il piu’ libero d’Europa.

Le nostre madri oggi lavorano nelle imprese tessili italiane per 150 Euro al mese, 9 o 10 ore al giorno, senza assicurazioni in molti casi, e con un solo giorno libero a settimana. Rama e’ semplicemente il rappresentante politico degli oligarchi e dei grandi padroni, che siano albanesi o stranieri. Una delle nostre lotte principali condotta contro queste politiche di devastazione, e’ la creazione di un sindacato operaio, lotta che conduciamo ormai da tempo e che speriamo di poter vincere assieme ai lavoratrici e ai lavoratori dei call center e a quelli delle imprese tessili.

Il governo continua a dire che la soluzione a tutti i nostri problemi e’ l’integrazione nell’UE, come se nell’Unione Europea non ce ne fossero. Anche in Europa oggi si affrontano gli stessi problemi nostri problemi, come i bassi salari, la corruzione sindacale, il lavoro malpagato etc. Per quando riguarda noi le istituzioni europee sono altrettanto colpevoli di questa situazione quanto lo e’ il governo, che continua a chiudere occhi e orecchie sullo sfruttamento, le ingiustizie, la corruzione, la distruzione del nostro ambiente e la sua trasformazione in un immenso orto adibito alla coltivazione della marijuana.

Cosa vorreste dire ai giovani della diaspora albanese in Europa?

Per quanto riguarda loro, vorremmo indirizzare una critica, ma anche un consiglio. Spesso la diaspora albanese in Europa, dato che non vive qua, quando torna per le vacanze si stupisce per alcuni cambiamenti estetici che il governo e i comuni compiono alla fisionomia delle citta’, sistemando le facciate dei palazzi, le piazze e le strade. Vorrei pregarli, quando giudicano l’operato del governo, di non limitarsi al lato estetico, e di non esaltarsi per la riverniciatura dei palazzi o di alcune piazze, ma di giudicare in maniera piu’ profonda la situazione.

Andrebbe ricordato loro che le loro madri e sorelle vengono pagate nelle filande soli 150 euro al mese, e che lavorano 9 o 10 ore al giorno, qua non ci sono sindacati che difendono i loro diritti. E gli studenti albanesi pagano le tariffe universitarie piu’ care d’Europa, nonostante i salari siano anche i piu’ bassi d’Europa, pure il prezzo della luce e’ uno dei piu’ alti se comparato a quello degli altri paesi nonostante il nostro paese sia uno dei paese con le piu’ grandi risorse idroelettriche e idriche.Non abbiamo nemmeno acqua potabile nelle condutture.. Queste cose dovrebbero fare innervosire la nostra diaspora. Anche loro posso fare pressioni sul governo, coi mezzi a loro disposizione, affinche’ tutto questo cambi.