Laurea a Marchionne. Appello a professori/esse, ricercatori/trici

Dalla scorsa settimana stiamo facendo girare il seguente appello tra i professori e le professoresse, i ricercatori e le ricercatrici, i dottorandi e le dottorande dell’Ateneo di Trento.

Gentili professori e professoresse, ricercatori e ricercatrici, dottorandi e dottorande, a nome del Collettivo Universitario Refresh,
con la presente mail vorremmo sottoporre alla vostra attenzione la decisione del Dipartimento di Ingegneria Industriale e del Senato Accademico di conferire la laurea honoris causa a Sergio Marchionne in Ingegneria Meccatronica, la cui cerimonia si terrà il 2 ottobre a Rovereto.

I motivi per cui noi studenti e studentesse del Collettivo Universitario Refresh ci opponiamo a questa decisione sono diversi. In primo luogo riteniamo che il candidato non possieda i requisiti necessari a giustificare l’assegnazione del titolo onorario, la cui cadidatura non a caso è regolamentata dal regio decreto n.1592/1933. Latitano infatti competenze, opere compiute e pubblicazioni a opera di Sergio Marchionne nel merito della disciplina, il che ne costituisce una grave violazione. Una siffatta arbitraria consegna della laurea ad honorem trarrebbe quindi motivo esclusivamente nell’ambito della ricerca da parte dell’Università di futuri finanziamenti, anziché trarre giustificazione dal riconoscimento collettivo di una conoscenza profonda della disciplina.

In qualità di studenti e studentesse ci opponiamo a un’Università che fa della svalutazione del titolo accademico uno strumento posticcio per arraffare i fondi d’emergenza necessari a coprire i buchi lasciati da anni di insolvenza da parte della Provincia Autonoma.
Il sacrificio economico che con le nostre famiglie ci troviamo ad affrontare per raggiungere il traguardo della laurea ci porta a vivere questa scelta come uno sfregio, viste le copiose tasse che ci troviamo a pagare di anno in anno e le difficoltà ad accedere alle borse di studio.

Sappiamo che già una piccola parte del corpo docente ha espresso pubblicamente il proprio disaccordo sulla questione (1). Siamo inoltre a conoscenza dei toni con cui il Rettore Collini ha risposto alle obiezioni (2); e se per il nostro Rettore in Marchionne non si rilevano comportamenti non etici, si dipana in noi la nebbia di dubbi su quale sia la direzione che Paolo Collini vuole dare all’Università digli Studi di Trento durante il suo mandato. Rileviamo quindi la tendenza dell’istutuzione universitaria trentina a considerare come vincente il modello di un’Università disposta a piegarsi ai privati per accaparrarsi quei finanziamenti che invece dovrebbe esigere dalla Provincia Autonoma (3). L’episodio della consegna della laurea honoris causa a Sergio Marchionne rientra perfettamente in questo quadro.

Come studenti e studentesse del Collettivo Universitario Refresh, abbiamo deciso di sottoporre alla vostra attenzione questo appello nella speranza che anche voi, in qualità di professori e professoresse, ricercatori e ricercatrici, dottorandi e dottorande, esprimiate la vostra opinione su questa vicenda. Cogliamo inoltre l’occasione per invitarvi a partecipare alla protesta che organizzeremo il 2 ottobre a partire dalle ore 11.00 fuori dal polo di Ingegneria Meccatronica di Rovereto.

COLLETTIVO UNIVERSITARIO REFRESH

Per aderire all’appello vi chiediamo semplicemente di rispondere a questa mail, con una firma o con un vostro contributo. Per qualsiasi altra informazione il nostro contatto email è curtrento@autistici.org.

ADESIONI E RIFLESSIONI:

Silvia Bordin, dottoranda in informatica e telecomunicazioni;

Giulio Galdi, Dottorando DELoS, “Condivido però che sento l’urgenza di dissociarmi dalla mia università, che dà un’onorificenza immeritata scientificamente e moralmente. Non condivido, infatti, l’appoggio morale che questa celebrazione dà ad un uomo che è un protagonista della lotta contro il diritto degli ultimi, che ha cercato di strozzare i diritti dei lavoratori lungo tutta la sua carriera.”;

Andrea Binelli, professore presso il Dip. di Lettere e Filosofia, “Cari studenti,
condivido il malessere per una scelta che anch’io considero sbagliata.”

Elisa Bellé, ricercatrice presso il Dip. di Sociologia e Ricerca Sociale, consulta dei dottorandi e degli assegnisti di ricerca, “Trovo gravissima la scelta di conferire un simile titolo a una figura del tutto discutibile dal punto di vista dell’operato pubblico. Una scelta eticamente, politicamente e scientificamente svilente per l’Ateneo tutto. Una laurea Honoris Causa andrebbe conferita a una figura che unisce, non a una che divide, a una persona che sa guardare lontano e apportare cambiamenti e innovazioni per il bene collettivo.”

NOTE:
(1) https://www.pressreader.com/italy/corriere-del-trentino/20161127/281552290464429
(2)https://www.pressreader.com/italy/corriere-del-trentino/20161204/281809988515895
(3) Ci riferiamo in particolare debito di 200 milioni della Provincia Autonoma di Trento nei confronti dell’Università degli Studi di Trento.

Laurea ad Honorem a Marchionne. Facciamogli la Festa.

La proposta del dipartimento di ingegneria industriale di conferire una laurea honoris causa in ingegneria meccatronica a Sergio Marchionne, approvata dal Senato accademico a fronte di un solo astenuto e accolta dal MIUR, si tradurrà il 2 ottobre prossimo nella rituale sfilata di cravatte, strette di mano convinte, grandi discorsi, foto di gruppo e tartine al salmone.

Assisteremo quindi all’arbitraria consegna di un titolo che suona più come una supplica per ottenere futuri finanziamenti che un riconoscimento di una conoscenza profonda della disciplina. Latitano infatti le opere compiute o le pubblicazioni da parte di Marchionne nell’ambito dell’ingegneria meccatronica, cosa che sarebbe invece necessaria secondo la legislazione che regolamenta l’assegnazione della laurea ad honorem (regio decreto n.1592/1933). Ma questo non serve allUniversità che invece liscia il pelo allamministratore delegato di FCA andando ad arricchire il suo carnet già fin troppo ampio di sei lauree ad honorem. Dove la notizia passa in sordina, possiamo comunque udire senza troppe difficoltà lo schricchiolio di unUniversità che fa della svalutazione del titolo accademico uno strumento posticcio per arraffare i fondi demergenza necessari a coprire i buchi lasciati da anni di insolvenza da parte della Provincia Autonoma.

Se la corona di alloro si posa sulla testa di Sergio Marchionne in un grande atto di prosternazione da parte di Rettore e Senato Accademico, ciò che invece lUniversità di Trento mostra ai suoi studenti e studentesse e al suo corpo docente ha tutto laspetto di uno sfregio. Gli incalcolabili sacrifici, economici e personali, le sfiancanti scalate lungo le graduatorie per le borse di studio o per gli assegni di ricerca sono inutili davanti ai quattrini promessi da chi di ingegneria meccatronica non ha mai scritto (o letto) una riga.


Tuttavia qualche voce si è levata anche da una piccola parte del corpo docente, alcun* de* quali hanno espresso pubblicamente il loro disaccordo sulla questione (1). Alle obiezioni il rettore Collini ha risposto attaccando personalmente e in modo arrogante uno dei firmatari della lettera (2). Non sono mancate inoltre affermazioni dal sapore del “ha fatto anche cose buone” come: “Marchionne può essere un personaggio spigoloso, ma ha avuto grandi meriti, ha fatto sì che la Fiat sopravvivesse quando era sul baratro e che arrivasse ad acquisire la Chrysler, terza azienda americana” (3), affermazioni che, oltre ad odorare di muffa, testimoniano la spiccata sensibilità del nostro Magnifico verso chi si è fatto le ossa sulla mortificazione dei diritti di lavoratori e lavoratrici, delocalizzando in modo sistematico imprese e capitali. E se per il nostro rettore in Marchionne non si rilevano comportamenti non etici, si dipana in noi la nebbia di dubbi su quale sia la direzione che Paolo Collini vuole dare all’Università digli Studi di Trento durante il suo mandato di Rettore.

L’università non è mai stato un luogo scevro da qualsiasi condizionamento con il compito di formare le cittadine e i cittadini e di produrre sapere utile per il progresso della società. L’università è da sempre un’istituzione che, come tutte le altre, è succube degli interessi del capitale. Una dopo l’altra le storielle con le quali hanno cercato di intortarci stanno cadendo e la dura realtà si sta mostrando con sempre maggiore forza e sempre meno pudore agli occhi tutt* noi. Ormai le università sono più impegnate a rincorrere i privati per accaparrarsi finanziamenti piuttosto che esigere dal pubblico ciò che gli spetta. Il debito di 200 milioni della Provincia Autonoma di Trento nei confronti di Unitn docet.

La laurea honoris causa a Marchionne è un episodio che ci mostra come questa tendenza sia presente anche nella dorata Università di Trento. Come studentesse e studenti, del Collettivo Universitario Refresh, ci opporremo a questa buffonata e, a modo nostro, andremo a fare la festa al neo laureato amministratore delegato di FCA. Un festeggiamento rabbioso perché la rabbia è il sentimento che proviamo nei confronti di queste messe in scena e delle derive che l’università sta prendendo. Il 2 ottobre sarà per noi un primo passo di questo nuovo anno accademico che preannunciamo caratterizzato dalla lotta, dal conflitto e dal dissenso contro l’università-azienda e contro le scempiaggini che comporta.

NOTE:

(1) https://www.pressreader.com/italy/corriere-del-trentino/20161127/281552290464429

(2) https://www.pressreader.com/italy/corriere-del-trentino/20161204/281809988515895

(3)https://www.pressreader.com/italy/corriere-del-trentino/20161129/281492160925799/textview

Road to Ventimiglia- Giorno 4

  1. Nella nostra ultima sera a Ventimiglia abbiamo distribuito una cinquantina di sacchi a pelo ai migranti che risiedono  nella zona delle gianchette, una zona situata nel centro città lungo il fiume Roja, in cui i migranti risiedono. La zona è all’aperto e l’unico riparo è offerto dalla presenza di un ponte autostradale, dunque diviene necessario fornire loro questo tipo di materiale al fine di ripararsi dal freddo della notte.
    Abbiamo inoltre avuto occasione di parlare con alcuni di loro,la cui maggior parte è composta da sudanesi con una buona conoscenza della lingua inglese. Questo ha reso possibile un contatto diretto senza bisogno della presenza di mediatori. Ci hanno fatto alcune domande, per avere maggiori informazioni sulla loro situazione, sui tempi relativi ad un possibile ottenimento della richiesta di asilo, a cui si è aggiunta la forte speranza di passare il confine con la Francia e di proseguire il proprio viaggio verso l’Europa o, in alcuni casi, la volontà di tornare nel proprio paese di origine. È seguito un confronto sulla difficoltà di attraversare i confini relativa alla chiusura delle frontiere e all’incapacità delle attuali politiche di gestire in maniera efficiente i flussi migratori. I ragazzi infine ci hanno ringraziato per il lavoro che tutt* i solidali svolgono, considerato fondamentale.

Road to Ventimiglia- Giorno 2

Nei primi due giorni a Ventimiglia abbiamo svolto attività di aiuto e supporto materiale nei confronti dei migranti transitanti, prima fra tutte la distribuzione di vestiti. Grazie alle svariate forme di solidarietà concreta riusciamo anche ad interagire e conoscere i migranti, che ci permette di andare oltre al mero aiuto e consegna. Per queste persone Ventimiglia viene considerata solamente come luogo di transito, come molte altre città d’Italia, ma quel dispositivo che è il confine glielo impedisce. Se non sono i rastrellamenti e le deportazioni settimanali ad impedirglielo, spesso lo sono i respingimenti quotidiani da parte della polizia francese. Anche i tragitti che vengono intrapresi spesso sono letali. Il numero delle morti sui binari, in autostrada o sui sentieri infatti continua tragicamente a salire(1).

Molti ragazzi migranti della nostra stessa età intendono attraversare il confine per raggiungere altri paesi europei, con il desiderio e la volontà di poter ricercare un lavoro o semplicemente iscriversi all’università per cominciare o terminare i propri studi, diritti che dovrebbero essere garantiti a tutti e tutte a prescindere dalla provenienza, dal colore della pelle e della situazione economica. Ciò che però ha smesso di stupirci è il fatto che alcuni migranti, bloccati in Italia ormai da mesi e anni, ci raccontano di aver trascorso lunghi periodi rinchiusi nei vari CIE o Hotspot, senza mai poter contattare un avvocato o telefonare a casa. Si ritrovano quindi stremati dalla cronica mancanza di tutela dei loro diritti, dall’assenza di un sostegno legale e da un sistema di accoglienza che non li riesce ad includere e si mostra come una via senz’uscita in cui rischiano di rimanere bloccati. I rastrellamenti nella città di Ventimiglia continuano a verificarsi in modo massiccio. Il numero di forze dell’ordine presente al confine e nelle zone limitrofe si mantiene ingente. Gli agenti di polizia spesso si mostrano irrequieti e agitati a tal punto da non riuscire ad evitare di urlare ed insultare i migranti anche durante un semplice controllo.
La fortezza Europa si scaglia contro queste persone con il suo volto peggiore. La nostalgia di aver lasciato il proprio paese d’origine, malgrado le guerre, le devastazioni ambientali ed economiche, la violenza dei regimi o dei terroristi, spesso attanaglia chi si ritrova sopravvissuto ad un naufragio per riuscire ad approdare in Europa ed essere trattato come un criminale omicida. Forse è proprio questo l’obiettivo di chi si siede ai G20 per discutere di migrazioni globali: spaventare. Spaventare tutt*, chi fugge e chi dovrebbe accogliere. Provando a farci credere che la diversità sia una minaccia. Ma chi si prende il diritto di dividere il mondo in poveri e ricchi, ammessi e non ammessi, ci legittima a continuare a vedere il mondo in oppressori ed oppressi. E sempre dalla stessa parte ci troverete. Quella che si riprenderà la libertà, a spinta.

FONTI:

(1)

I morti di confine a Ventimiglia

 

 

Road to Ventimiglia- Giorno 1

Ciò che più ci colpisce all’arrivo in città a Ventimiglia è la situazione surreale di militarizzazione e pattugliamento di strade, stazioni e parcheggi. Questo ingente dispiegamento di forze dell’ordine e esercito non è giustificato  dalle condizioni di precarietà e mancanza di sussistenza in cui si trovano a vivere i migranti presenti in città. Il campo della Croce Rossa Italiana infatti ospita circa 500 persone mentre in strada si riversano tutte le altre centinaia di migranti che non trovano alcun rifugio se non sotto ai ponti o ai cavalcavia. La ragione che tuttavia spiega la presenza di cotanti agenti non pare avere il proprio fondamento nella tutela dei diritti fondamentali, nella protezione dei minori, nel contrasto al traffico di esseri umani, nell’impedire i circuiti di prostituzione o nella cura degli infermi; ma risiede nella meticolosità dello sporco lavoro di rastrellamento e deportazione settimanale che avviene nelle strade e lungo i confini. I migranti transitanti vengono fermati su basi razziali: lo screening e i criteri di identificazione si basano infatti puramente sul colore della pelle. In seguito ad un veloce e approssimativo controllo vengono portati in commissariato a Ventimiglia e in seguito nella caserma di frontiera dove, assieme a coloro che sono stati respinti dalla polizia francese o rastrellati lungo le autostrade, le reti ferroviarie e i sentieri, vengono caricati contro la loro volontà su uno o più pullman nell’attesa di essere trasferiti all’Hotspot di Taranto o in altre strutture detentive in Italia.

Anche chi porta solidarietà e sostegno diviene oggetto delle attenzioni della polizia, che ha identificato per due volte in una sola mattinata i compagni e le compagne del CUR impegnat* in attività di monitoraggio e distribuzione di beni di prima necessità. Ma non saranno di certo le chiare identificazioni intimidatorie a fermare l’attività di quell* che, come noi, solidarizzano con chi sta chiedendo libertà di movimento, tutela dei diritti e facoltà di autodeterminazione. A Ventimiglia la mano repressiva, razziale e di classe si palesa in tutta la sua violenza, facendoci pensare che chi, come fecero certi kapo’ nazisti, crede che il solo fatto di ubbidire a degli ordini lo svincoli dalle colpe che le proprie azioni comportano, si sbaglia di grosso.

 

https://www.facebook.com/progetto20k/videos/446391592387427/

Road to Ventimiglia

 (Foto da FB: Progetto20k)

Non passeranno troppi giorni prima che la nave C-Star, noleggiata da una società di mercenari inglese1, arrivi nei porti italiani per difendere l’Europa dalla cosiddetta invasione dei migranti. L’iniziativa, promossa da Generazione Identitaria (un gruppo di estrema destra europeo), intende fermare la sostituzione etnica che pare stia soppiantando i valori culturali e nazionali degli stati europei. Non ci stupiremmo quindi di trovare dei ferventi oppositori della sfericità terrestre, tra le fila di coloro che proclamano i valori di quell’impero romano egemone sul continente e difensore della cristianità; li invitiamo a non spingersi oltre le colonne d’Ercole per adempiere ai loro scopi.

Dal canto nostro invece, a fine febbraio siamo andat* a Belgrado per supportare l’auto-organizzazione che i migranti avevano instaurato all’interno delle baracche abbandonate dietro alla stazione. Abbiamo distribuito beni di prima necessità, trovandoci nella condizione di conoscere chi da mesi e anni è in viaggio, per fuggire dalle atrocità che la Siria, l’Afghanistan e il Pakistan ogni giorno ci mostrano. Abbiamo deciso di non fermarci e di proseguire questo percorso di indagine, supporto e lotta al fianco dei migranti. Cambiando rotta anche noi.

Chi viene tratto in salvo nel Mediterraneo e approda sulle coste italiane è da considerarsi un sopravvissuto, con tutte le implicazioni che questo termine pone. Se non sono i motivi stessi del viaggio ad uccidere, spesso è la tratta stessa che seppellisce lungo la rotta migliaia di uomini e donne, anziani e bambini. Avete mai attraversato il Sahara? Provate ad immaginare di farlo senza acqua, per settimane. La siccità, le prigioni libiche, gli stupri, la traversata in mare, sono troppo spesso dimenticati da chi si riempie la bocca parlando di merito nell’accogliere quando si dovrebbe parlare di diritto all’accoglienza. E se il diritto non riesce a garantire la sopravvivenza o l libertà di ricercarsi un futuro degno, lo garantirà la solidarietà. Sono questi i motivi che ci portano a Ventimiglia, con il Progetto20k, per capire cos’è quel dispositivo chiamato confine, che, con criteri razziali e di classe, continua ad uccidere chi prova ad attraversarlo2. Ci serve per capire, per provare ad aprire degli interstizi al suo interno, mostrando le sue contraddizioni e la violenza che lo costituisce.


Abbiamo partecipato all’assemblea
Sconfinamenti 3.0, tenutasi al CSA La Talpa e l’Orologio di Imperia lo scorso 8 e 9 Luglio, discutendo e confrontandoci nel merito con altre realtà solidali sui nodi che il tema dei migranti e la questione dell’accoglienza pone. A partire dalla necessità che si è palesata di riuscire ad aprire e a mantenere spazi di confronto che riescano ad unire le necessità di tutt*, occorre allo stesso tempo denunciare e contrastare i processi di criminalizzazione che nelle nostre città e nelle periferie vedono nei migranti come l’oggetto di ogni male d’Italia. Questo innesca una guerra fra poveri dove per la disoccupazione, l’instabilità salariale o la criminalità organizzata, il colpevole diventa chi è sopravvissuto: i migranti. Bisognerebbe quindi interrogarsi anche sul tipo d’informazione che viene veicolata dai media mainstream che sdoganano concetti della destra come l’aiutiamoli a casa loro o l’invasione dall’Africa, riuscendo a minimizzare la questione con una velata nota razzista di fondo, proponendo soluzioni semplici a problemi complessi. La parola accoglienza assume sempre di più connotazioni che la avvicinano di più ad una colpa, che a una virtù. E se da una parte vorremmo prima capire se per aiutarli a casa loro si dovranno mantenere i dominion coloniali capitalisti, continuare a venderci armi dentro3, depredare il territorio e schiavizzare la manodopera; dall’altro rivendichiamo spazi di battaglia meticcia, rifiutando ogni tipo di repressione imposta sulla pelle di chi sta chiedendo un futuro più degno, perché è imposta anche sulla nostra. Rigettiamo la narrazione politica costruita sull’emergenzialità, che permette ai potenti di legiferare come meglio credono e alle destre fasciste di inventarsi campagne razziste speculando su paure infondate e menzogne pericolose. Sarebbe da chiedersi come mai in Spagna dal 1991 al 2010 il numero di stranieri è aumentato di venti volte (da 350mila a 6milioni) ma malgrado i tracolli economici, la crisi, l’aumento della disoccupazione e gli attentati non esistano ad oggi partiti xenofobi di rilievo, ma anzi vediamo città come Barcellona lanciare segnali di umanità non indifferenti4.

Ci impegneremo dunque, al nostro ritorno, a rielaborare quanto vissuto per provare a portare all’interno delle mura accademiche momenti di dibattito e confronto, slegandoci dalle visioni caritatevoli e assistenzialiste che troppo spesso inquinano le discussioni nelle nostre aule. Non abbiamo più bisogno di progetti o lezioni che dipingono i rifugiati come soggetti deboli o che continuano a narrare le migrazioni come qualcosa da andare a fotografare in viaggio a Lampedusa. Quando si parla di diritti negati, di vite umane in gioco, di violenza del potere economico sul nostro futuro, non c’è barriera o confine che tenga.

FONTI:

http://www.radiondadurto.org/2017/07/18/migranti-chi-ce-dietro-la-nave-dei-fascisti-di-generazione-identitaria/?fdx_switcher=true

4 P. Pagliaro, Il Punto, fermiamo il declino dell’informazione, Il Mulino, 2017.