
A FIANCO DELLE VITTIME DEL TERRORISMO FASCISTA

È già passato un anno dal provvedimento che ha portato alla riduzione dell’orario di apertura della Biblioteca Cavazzani (CIAL) in seguito all’apertura della BUC e come studenti e studentesse di questo ateneo anche quest’anno ci siamo trovat* a fronteggiare la carenza di aule studio. Un problema che certo non è nuovo, ma che si fa sentire ogni anno di più, pronto ad esplodere con la puntualità della sessione. Come CUR-Collettivo Universitario Refresh-, l’anno scorso abbiamo ottenuto la riapertura del CIAL di via Verdi, invitando studenti e studentesse a proseguire nello studio, garantendo noi l’apertura prolungata dell’aula studio. Tuttavia il taglio di 150 posti è stato imposto con rigoroso successo anche quest’anno e il Rettore, pur riconoscendo il problema dei posti studio come reale, continua a prendere decisioni escludendo la maggioranza della componente universitaria e proponendo soluzioni-tappabuco provando a far tacere le lamentele.
Quest’anno nuovamente ci ritroviamo con lo stesso problema, visibilmente aggravato dalla chiusura di alcune aree della BUC in determinati orari (la sera e durante i weekend). Abbiamo dunque sentito l’esigenza di riprendere in mano la questione e di confrontarci per capire come rompere questo silenzio, intraprendendo così un lavoro di inchiesta che ci ha messo di fronte a numeri alquanto preoccupanti: nell’ateneo trentino le iscrizioni ammontano a 16396 studenti e studenetesse e i posti studio disponibili nel polo di città sono solamente 1777. È nata così l’idea di raccogliere firme, opinioni, lamentele e desideri nelle varie facoltà del centro e davanti alle biblioteche provando ad immaginare un percorso collettivo che miri alla risoluzione del problema dei posti studio, rivendicando, soprattutto durante i momenti in cui l’esigenza è maggiore, la necessità di maggiori spazi adatti allo studio. In centinaia, per la precisione 300, hanno accolto la nostra idea, condividendo la nostra proposta inclusiva e percependo la questione aule studio come un problema risolvibile. Ciò che ora vogliamo fare è confrontarci con chi ha firmato e con chi avrebbe voluto farlo, vedendosi negato un diritto, al pari di borse di studio e posti alloggio. Per farlo abbiamo deciso di organizzare un momento di confronto aperto e libero in università, Martedì 13 febbraio, alle 18.00 nella facoltà di Sociologia, affrontando il tema delle aule studio e, più in generale, del diritto allo studio. Condividendo assieme l’idea di un’università costruita sulle esigenze di chi la attraversa e non di chi la amministra.
Al secondo piano della Facoltà di Lettere e Filosofia esposte sul lato Ovest sono presenti, tra le altre, due particolari fotografie.
Entrambe in bianco e nero, rappresentano due momenti di libera aggregazione e socialità studentesca di una Trento ormai lontana nel tempo. La prima è una veduta di piazza S.Maria ripresa a livello del terreno dove si contano numerosi probabili studenti e studentesse sedute per terra con qualche birra in lattina, magari accompagnata da un buon numero di sigarette. L’altra è un’istantanea della folla che si radunava in Vicolo Colico, davanti all’Ex bar Accademia, dove spesso si rimaneva irretiti e costretti a rallentare il passo per poter procedere oltre.
A fianco di queste due fotografie, poco più a sinistra, sono presenti i bagni dell’ateneo. Sulla maniglia della porta di questi, come di altri servizi della facoltà, ci sono i dispositivi di lettura del badge universitario, che permettono o meno l’accesso. Praticamente per andare a pisciare è necessario esibire un documento.
Ebbene, cosa lega una porta ad apertura elettronica con due fotografie in bianco e nero appese ad un muro nemmeno troppo in vista? Vediamo di procedere con ordine, partendo dalla porta, per poi aprire un portone.
Lo scorso 3 Dicembre, dalle pagine di un noto quotidiano locale1, il Direttore di Dipartimento di Lettere e Filosofia Fulvio Ferrari spiegava i motivi di un provvedimento preso in seguito ad un fatto accaduto qualche tempo prima: un eroinomane era stato rinvenuto in una pozza di sangue dentro ad un bagno della facoltà. In seguito a questo fatto, 15 bagni su 20 sono stati chiusi, lasciando “accessibili” solamente quelli con apertura elettronica tramite badge che, in caso di momentaneo smarrimento, poteva essere sostituito dall’esibizione di un documento d’identità presso la segreteria. Succede così che un gruppo di studenti di lingue moderne si lamentino di questo provvedimento, chiamando in causa il Corriere del Trentino, che a sua volta chiede spiegazioni a Ferrari il quale dice che quello dell’eroinomane è solo l’ultimo di una serie di episodi “sgradevoli” che costringono a chiudere i bagni. Gli studenti in questione infatti danno corda e rincarano dichiarando che di “frequentazioni a rischio di persone poco per bene, quali eroinomani o prostitute² che spesso si trovano nelle panchine al di fuori dell’edificio” se ne vedono fin troppe. Tant’è che “l’ultima cosa desiderata -da Ferrari- era quella di militarizzare l’ateneo” ma che per loro “anche se il Dipartimento è un luogo pubblico questo non vuol dire automaticamente dire che ci possa entrare chiunque” e che pertanto “sarebbe opportuno che chi di competenza prendesse seri provvedimenti, che vadano al di là della chiusura dei servizi igienici”. A queste si aggiungono le dichiarazioni allucinanti³ del sindacato studentesco, l’Udu, che assieme al rappresentante degli studenti di Lettere, Masseo Purgato, dichiara: “Il consiglio è quello di farsi il badge”. Quindi Crotti, presidente del consiglio degli studenti: “Se il Comune non interviene in modo fermo per risolvere la situazione di degrado in cui versa la zona della Portella e Santa Maria, dove è situato il dipartimento, noi possiamo fare bene poco, se non presidiare gli spazi.”
Dichiarazioni che sembrano quasi suggerire l’attuazione di una sorta di Daspo Accademico -se non urbano- nei confronti degli indesiderat*. Interessante cambio di rotta rispetto alle posizioni antibadge che nel 2014 solcavano tra Udu e Atreju un divario che in campagna elettorale faceva comodo mantenere.
Ora, premettendo che eravamo rimast* a quando “pubblico” voleva dire di tutt*, ci rattristiamo ancora una volta nel vedere come sex worker e tossicodipendenti vengano trattati da pericolosi criminali “poco per bene” che minacciano la sicurezza e la tenuta democratica dell’ateneo tutto a tal punto da richiederne l’allontanamento con “seri provvedimenti”, dopo aver negato loro l’accesso ai bagni. A questo punto però, immaginando già la polemica sterile pronta a sentenziare a riguardo, è doveroso per noi concedere che ritrovarsi una persona in una pozza di sangue nel bagno non sia una situazione facile da affrontare. Tuttavia ciò che più turba i nostri brevi sonni non è tanto la risposta repressiva e punitiva dell’istituzione-università che, come ha già sottolineato Ferrari, adotta una soluzione tampone, ma è l’approccio degli studenti e delle studentesse alla questione. L’assenza di un’interazione critica orientata alla comprensione, che dovrebbe spingere a interrogarsi sul perché l’ateneo sia frequentato non solo da student*, è figlia di un distaccamento dell’Università dai problemi sociali. A onor del vero, un radicale sovvertimento della società e delle istituzioni è stato perseguito da studenti e studentesse in passato. Ma, se è vero che l’Ateneo in primis ha in più occasioni cercato di inquinare e depotenziare la memoria storica e collettiva della contestazione del ’68 che partì proprio dall’occupazione del Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale nel ’66 (la prima in Italia), dall’altra parte non è perdonabile che la componente studentesca che tutti i giorni attraversa il piano terra di Lettere non si interroghi sui motivi delle agitazioni raffigurate nelle gigantografie dell’epoca. Ve n’è una in particolare di Giorgio Salomon esposta nell’atrio di Lettere: gli ultimi due a destra sono Marco Boato e Mauro Rostagno.
La memoria collettiva ricorda come studenti e studentesse di allora avessero a cuore proprio il tema del sapere: come viene elaborato, trasmesso, a cosa e a chi serve, quali i suoi rapporti con la società e con il potere. Sorge quindi spontaneo chiedersi quando l’impeto d’indagine critica della realtà sia stato ucciso dentro l’università. Forse quando si è preferito affiggere Rostagno sui muri di Lettere, salvo poi relegarlo al secondo piano di Sociologia. Quand’è successo che gli studenti e le studentesse, oltre che l’Università come calderone di saperi, hanno cominciato a chiudere gli occhi di fronte alle dinamiche che portano alle dipendenze o ai ricatti giocati sui corpi delle donne che lavorano davanti alla facoltà? Forse quando studiare è diventato un mezzo e non un fine. Un mero passaggio di acquisizione nozionistica per poter ottenere CFU.
Da qui si apre il portone. Il bianco e nero che tinge gli ormai ex frequentatori e frequentatrici di Santa Maria e della vecchia Accademia è lo stesso che tinge le prime linee di Rostagno e Boato. La scelta stilistica sembra quasi voler suggerire la medesima dislocazione temporale di due momenti in realtà separati da una manciata di decenni: il passato. La piazza che una volta era affollata da studenti e studentesse sedut* a sorseggiare birra d’asporto oggi è perennemente vuota, eccetto durante il periodo natalizio. Come scomparsa è anche la gioventù che riempiva Vicolo Colico e che ora invece riempie le cantine del nuovo locale. Per divertirsi a Trento occorre andare sottoterra. Lontano dagli occhi, lontano da tutto. Pertanto chi, tra gli studenti e le studentesse, si azzarderebbe oggi a dire che l’ennesima limitazione di un’attività commerciale (come la Scaletta) a causa del “degrado” studentesco sia giusta? Qualche manciata di firme è stata sufficiente per imporsi su un più grande numero di utenti dell’unico bar non sotterraneo aperto dopo le 22.00 e costantemente frequentato. Non è poi così distante il momento in cui a fianco di Santa Maria e a Vicolo Colico verrà affissa anche la foto della Scaletta piena. Sia chiaro: lungi da noi tutelare l’immagine e il nome di un’attività commerciale che in fin dei conti mira solo a far soldi e che della condizione studentesca poco gliene cale. Potrebbero esserci centinaia di settantenni ubriach* in via Santa Maria Maddalena, e non cambierebbe di molto. La socialità studentesca non si dispone attorno alla frequentazione di attività commerciali, ma al contrario è la presenza di universitar* nelle strade che favorisce i bar e i circoli. Anzi, li tiene proprio in vita.
Tuttavia, non si può però a questo punto non puntualizzare riguardo a queste dinamiche repressive: l’attacco ad eroinomani e sex worker in un’università e la marginalizzazione di studenti e studentesse dalle vie notturne della città sono approcci escludenti. C’è una continuità nelle pratiche repressive messe in campo dalle istituzioni che detengono il potere amministrativo e politico degli spazi pubblici (Comune e Università). Le misure adottate non tengono conto dei bisogni e delle necessità delle persone, oltre che delle dinamiche sociali ed economiche che costringono a vivere in strada o sotto ricatto. Chi studia invece, chi indaga la realtà, chi si interroga e non accetta una trasmissione mummificata del sapere dovrebbe farlo. C’è bisogno, oggi più che mai, di rimettere in discussione temi cruciali del sapere e del potere. È una necessità impellente, che fa mancare il respiro. Con quale legittimità ci si può oggi lamentare della chiusura di un bar a causa della “molestia alcolica” procurata mentre allo stesso tempo si auspica un’espulsione di soggetti sgradevoli dalle nostre facoltà? L’università e il comune stanno applicando lo stesso paradigma di esclusione degli indesiderat*. Solo che vi è un cortocircuito, una miopia, una contraddizione di pensiero quando si applicano due atteggiamenti diversi davanti ad un’unica e uguale repressione. Non la si può legittimare da un lato e condannarla dall’altro. Serve riacquistare una coscienza studentesca, che nasca dalla condivisione di saperi e opinioni e che sappia indirizzare la propria rabbia verso l’alto, verso chi ogni giorno perpetua un giogo fatto di restrizioni e aumenti delle spese, non verso chi sta peggio. C’è un filo rosso che colora il bianco e nero delle fotografie di Rostagno e di Santa Maria ed è il filo che solo una componente studentesca ribelle, critica e consapevole sa tessere. Non siamo numeri di matricola, non siamo solo utenti di un bar, non siamo portafogli da svuotare in tasse e affitti. Siamo corpi e teste pensanti e come tali pretendiamo di avere voce in capitolo su come viviamo la nostra quotidianità, ma soprattutto su come vivremo il nostro futuro.
Il primo filo è stato teso, il prossimo lo intrecceremo nelle lotte.
NOTE:
(1) https://www.pressreader.com/italy/corriere-del-trentino/20171203/281530816348673
(2) Da questo punto in poi sostituiremo il termine prostituta con quello di sex worker in ragione dei seguenti motivi:
(3) https://www.pressreader.com/italy/corriere-del-trentino/20171124/281535111298125
La giornata internazionale del diritto allo studio è passata ma l’importanza e la centralità di questo tema per le studentesse e gli studenti dell’Università di Trento no. Con la visita in Provincia all’Assessora Ferrari, come Collettivo Universitario Refresh, abbiamo chiesto a gran voce che la soglia ISEE fosse innalzata a 23.000 euro, come promise pubblicamente proprio la stessa Assessora il 17 novembre 2016.
Noi non abbiamo mai pensato alla giornata internazionale del diritto allo studio come a un momento pubblicitario in cui attuare un’iniziativa giornalisticamente appetibile per fare notizia e dimostrare che esistiamo anche noi, oltre alle rappresentanze studentesche. In quanto studentesse e studenti di questo Ateneo la questione del diritto allo studio ci sta molto a cuore ed è per questo che, dopo il 17 novembre, abbiamo continuato a parlarne nelle nostre assemblee settimanali. Le nostre discussioni partivano dalla constatazione dell’insufficienza di una sola giornata per trattare in modo esaustivo la complessità del diritto allo studio. Benché le borse di studio e gli alloggi dell’Opera Universitaria facciano la parte delle rock star, all’interno di questa categoria rientrano anche altri servizi come, per esempio, i posti studio, che tra l’altro ultimamente scarseggiano in Unitn (https://curtrento.noblogs.org/post/2017/11/27/piu-posti-studio-in-unitn-petizione/). In precedenza avevamo già espresso alcuni dubbi sullo stato di salute del diritto allo studio a Trento e, nonostante la situazione sia migliore rispetto ad altre zone d’Italia, cominciamo a sentire i primi scricchiolii.
Data questa situazione, secondo noi, oltre alla mobilitazione, è importante riuscire a capire e a fare una diagnosi dello stato del diritto allo studio per poter comprendere a fondo la situazione in cui ci troviamo. Per fare questo, però, secondo noi, non sono sufficienti i documenti e i dati prodotti dalla nostra controparte, Ateneo o Provincia che sia, è molto importante condurre un lavoro di inchiesta in cui siano le studentesse e gli studenti dell’Università di Trento a parlare direttamente per poter esprimere i propri bisogni, le proprie necessità e i propri disagi. Un primo strumento che abbiamo deciso di adottare per condurre questa inchiesta è quello del questionario in cui si toccheranno diversi aspetti della vita di un* student* universitari* a Trento. In questo questionario troverete e potrete comprendere cosa significhi per noi diritto allo studio nella sua complessità e potrete esprimere liberamente la vostra opinione.
I questionari potrete trovarli sia in versione online (al seguente link https://goo.gl/forms/OLuA0j15uwhckVR22) sia in formato cartaceo ai banchetti che settimanalmente organizziamo nei diversi dipartimenti del polo universitario di città. Avendo come obiettivo principale quello di fornire uno strumento di espressione, i risultati che otterremo al termine della somministrazione dei questionari non li terremo gelosamente per noi ma li presenteremo pubblicamente a tutte le studentesse e gli studenti in un prossimo momento di discussione di cui non mancheremo di informarvi nel momento in cui verrà organizzato.
Si avvicina la sessione d’esame e ricomincia il teatrino dell’assurdo. Tra gennaio e febbraio 2017 fu l’aula studio dell’ex Cavazzani di via Verdi. In queste settimane di primo inverno è la volta della nuova e fiammante Biblioteca Universitaria Centrale (B.U.C.) posta nello scintillante quartiere delle Albere. Nell’arco di un anno è la seconda volta che esplode il problema del numero di posti studio che l’Ateneo è in grado di offrire alle studentesse e agli studenti. Nonostante, come da consuetudine, la questione anche questa volta sia stata risolta con soluzioni temporanee è ormai impossibile nasconderlo e nessuno, nemmeno Rettore e rappresentanze studentesche maestri in equilibrismo, tenta più di farlo. L’Università degli Studi di Trento ha una carenza strutturale di posti studio e non riesce a soddisfare la richiesta delle universitarie e degli universitari, ponendo un non trascurabile problema di diritto allo studio.
Proviamo, però, a procedere con ordine. I primi giorni di novembre le studentesse e gli studenti dell’Ateneo hanno ricevuto una mail dal Servizio Bibliotecario dell’ Università in cui si annunciava la chiusura, a partire da 6 novembre 2017, del quarto piano e del cubo piccolo della BUC dopo le 20:00 dal lunedì al venerdì e la chiusura totale al pubblico degli spazi appena citati il sabato e la domenica. La causa della perdita di 150 posti studio alla Biblioteca d’Ateneo è la carenza del personale di sorveglianza, infatti mancano quattro addett* senza le o i quali non verrebbero rispettate alcune norme di sicurezza stabilite dalla legge. Il 12 novembre 2017 la notizia è approdata sulla stampa locale portando alla luce una situazione di carenza di posti studio che, come studentesse e studenti del Collettivo Universitario Refresh, avevamo già denunciato a febbraio 2017 con l’occupazione e la riapertura del Cial per poter garantire uno spazio in cui poter studiare durante la sessione d’esame. In risposta alla nostra azione l’Ateneo si affrettò a dichiarare che con l’apertura della Biblioteca Universitaria Centrale si sarebbe risolto tutto. Secondo quanto dichiarato la BUC sarebbe diventata l’aula studio del polo di città aperta fino alle 23:45 mentre la sala ex Cavazzani, nonostante la riduzione degli orari rispetto a prima dell’inaugurazione della BUC, avrebbe guadagnato ulteriori postazioni una volta terminato il trasloco dei libri e degli scaffali a vista presenti. La situazione si tranquillizzò e l’impressione che il problema fosse finalmente risolto si diffuse. Dopo i recenti fatti, però, è ormai chiaro che la carenza di posti studio nell’Ateneo è stata solo nascosta grazie a soluzioni tampone, ma non ancora risolta. Per ovviare al problema dei 150 posti studio Ateneo e rappresentanze studentesche hanno individuato una nuova soluzione tampone recuperando la gran parte dei posti persi alla BUC nella sala studio di Economia in Via Inama. Una volta individuato il palliativo il Rettore ha colto l’occasione dell’attenzione pubblica sul tema degli spazi universitari per richiedere a gran voce al Comune di Trento il passaggio di proprietà dell’ex Cte per soddisfare la fame di posti studio delle studentesse e degli studenti. La mossa di Collini ha spostato l’attenzione dal presente a un futuro prossimo permettendogli di far tornare momentaneamente sotto silenzio la carenza di posti studio di cui risente l’Ateneo.
Le ultime mosse del Rettore avranno rassicurato le rappresentanze studentesche e parte della comunità universitaria ma su di noi hanno subito ben poco effetto, anzi hanno confermato ciò che da tempo andiamo dicendo. La gabbia dorata dell’Ateneo trentino, possibile grazie alla provincializzazione, è solo retorica. Sono solo chiacchere comode per anestetizzare qualsiasi possibile dissenso. La realtà è ben diversa. La verità è che all’Università degli Studi di Trento si cominciano a vedere alcune crepe che minacciano proprio ciò di cui questo Ateneo più si vanta. Il diritto allo studio.
I posti studio possono sembrare non rientrare all’interno di questa categoria ma così non è. Come Collettivo Universitario Refresh riteniamo inaccettabile che per l’ennesima volta sia scoppiata l’emergenza posti studio nell’Ateneo trentino. Di promesse vecchie e nuove da parte della governante dell’Università ne abbiamo le tasche piene. Non siamo più dispost* ad accettare supinamente l’ennesima soluzione palliativo in tema di posti studio per vedere nelle vicinanze della prossima sessione d’esame la riemersione del problema. Sappiamo bene che la situazione delle aule studio è una questione molto cara alla comunità universitaria e noi, in quanto studentesse e studenti, la sentiamo altrettanto per questo abbiamo deciso di aprire una campagna sul problema della carenza dei posti studio all’interno dell’Ateneo. Questo sarà un percorso aperto e invitiamo tutt* coloro che hanno a cuore l’argomento a mobilitarsi e a partecipare. Questa campagna terminerà quando sarà colmata questa carenza e continueremo a tenere alta l’attenzione sul tema fino a che sarà necessario. Il primo passo di questo perso è il lancio di una raccolta firme per permettere a tutt* attraverso una semplice firma di poter esprimere la vostra voce e la vostra richiesta di vedere definitivamente risolta la carenza di posti studio.
Troverete la petizione a tutti i banchetti che, come Collettivo Universitario Refresh, da oggi organizzeremo in Università. Nel caso in cui ci fosse qualcun* a cui la firma non basta e abbia voglia di mettersi in gioco di più, se volete ci trovate tutti i martedì alle 20:00 in assemblea presso il dipartimento di Lettere e Filosofia
Solo noi direttamente possiamo riprenderci ciò che ci spetta.
Nella giornata internazionale del diritto allo studio abbiamo deciso di venire a fare una visita all’assessora Ferrari per pretendere l’innalzamento della soglia ISEE A 23.000!
Il 17 novembre 2016, mentre le studentesse e gli studenti del Collettivo Universitario Refresh e del percorso Sgancialaborsa, sfilavano in corteo per le vie del centro cittadino l’assessora all’Università e alla Ricerca si impegnò pubblicamente per l’innalzamento della soglia ISEE da 21.500 a 23.000 euro. Un anno è trascorso senza che alcuna notizia sia pervenuta su questa promessa fatta da Sara Ferrari. Probabilmente l’assessora fece quella dichiarazione per tranquillizzare gli animi e placare la mobilitazione che agitava studentesse e studenti dell’Università di Trento preoccupat* per le sorti del diritto allo studio e del consistente numero di non idonei e non idonee che erano stat* prospettat*. Con il passare dei mesi l’impegno di innalzare la soglia ISEE a 23.000 sarà finito nel dimenticatoio dell’assessora. La nostra memoria, però, non si attiva o disattiva in base alla convenienza politica del momento. La nostra memoria è lunga e dopo 12 mesi la pazienza è terminata. Per questo stamattina, come studentesse e studenti del Collettivo Universitario Refresh, abbiamo deciso di andare a bussare alla porta di Sara Ferrari perché vogliamo sapere cosa sia stato fatto nel corso di questi mesi per realizzare l’innalzamento della soglia ISEE a 23000. Dietro la retorica rassicurante di Opera Universitaria e Provincia sappiamo bene che anche qui a Trento come nel resto d’Italia la situazione del diritto allo studio non rosea. Sono anni che vengono ridotti i fondi per le borse di studio e questa tendenza continuerà anche nei prossimi anni come emerge da bilanci e documenti pluriennali dell’Opera. Alla luce di questa situazione esigiamo una presa di posizione chiara e inequivocabile da parte dell’assessora Sara Ferrari su quali passi siano stati fatti per l’innalzamento della soglia ISEE a 23.000 e nel caso non ne sia stato fatto ancora nessuno esigiamo che la Ferrari dica pubblicamente quali siano gli impegni che si vuole assumere su questa questione. è bene che Provincia, Università e Opera sappiano che ci troveranno ai nostri posti pront* a far suonare la sveglia tutte le volte che sarà necessario per tenere alta l’attenzione sul diritto allo studio e a impedirne la sua distruzione
Basta promesse. Ora vogliamo fatti!