Una biblioteca è un contenitore e un contenitore deve avere due principali caratteristiche: funzionalità e capienza. Si può abbellire, si può raccontare, si può lucidare, ma rimane un contenitore. Si dà spesso per scontato che tale tipo di manufatto sia tanto più efficiente e funzionale quanto più è centralizzato e dimensionato. La domanda che ci si pone è quindi se per la nuova Biblioteca Universitaria Centrale (BUC) siano valsi questi criteri. La risposta che ci siamo dati è no. Quali criteri sono stati dunque ritenuti importanti? A questo non si può che rispondere tramite ragionamenti e indagini, mancando di risposte dirette da chi ha preso e continua a prendere decisioni al riguardo. La risposta sembra essere: gli interessi economici privati di chi ci ha guadagnato o spera di guadagnarci a discapito dell’interesse pubblico e in particolare di chi, tra il “pubblico”, ha meno potere.
Per capire meglio c’è bisogno di prendere in considerazione la storia del processo che ha portato a cambiare il progetto della biblioteca tra il 2008 e il 2014 in conveniente coincidenza con il passaggio di controllo e finanziamento dell’Università di Trento da Stato a Provincia, la cosiddetta “provincializzazione” o “delega” iniziata nel 2010. Qui cercheremo di dare un veloce sunto per punti salienti.
- Funzionalità e capienza: come si è arrivati alla BUC
Partiamo dalla funzionalità. Una biblioteca centrale si suppone che per essere funzionale abbia come criterio principale il rendere disponibile libri e spazi di lettura nel modo più facile possibile. Una biblioteca centrale universitaria dunque dovrà essere raggiungibile nel minor tempo possibile da universitari, ovvero vicino ai luoghi dove questi si trovano. La biblioteca di Palazzo Ex Cavazzani (o CIAL) si trova in tale posizione ideale, a 5 minuti a piedi dalle facoltà di Lettere, Sociologia, Giurisprudenza ed Economia, a ridosso della ferrovia Verona-Brennero. Poiché era sottodimensionata rispetto alle esigenze di un’Università in continua espansione, l’ateneo commissiona all’architetto Sandro Botta nel 2008 il progetto di una biblioteca centrale appena oltre la ferrovia, in Piazzale Sanseverino, acquistato con i suoi propri fondi (forniti dallo Stato) nel 2002[1]. Le distanze cambiano di poco, la funzionalità rimane la stessa. Senza spiegazioni precise, il Comune ritarda, prende tempo, rimanda indietro il progetto di Botta. Il processo si incaglia fino al 2013, quando un vertice trilaterale tra l’allora rettrice De Pretis, il sindaco di Trento Andreatta e il vicepresidente della Provincia Pacher, decide per l’abbandono del progetto su Sanseverino e apre allo spostamento nel quartiere Albere, al posto del centro congressi[2]. Nel Consiglio di amministrazione dell’ateneo, la rettrice “alla luce della nuova ipotesi di realizzazione della nuova biblioteca di ateneo nel quartiere ‘Le Albere’ recentemente emersa, propone al consiglio di amministrazione di valutare l’opportunità di richiedere una sospensione della pratica edilizia”[3]. Proposta approvata all’unanimità, compreso l’allora rappresentante degli studenti, facente parte di una coalizione oggi ancora nella maggioranza (si fa per dire, considerando che i votanti sono stati il 21% degli aventi diritto nel 2014 e 31% nel 2016, un successone, secondo la coalizione vincitrice – UDU e UniTin, poco più del 10% ognuno).
Passiamo alla capienza. Il progetto originario di Sandro Botta variava da 1212[4] a 900[5] posti studio. Parte del progetto era il mantenimento dei posti auto del “piazzale Sanseverino”, che sarebbero stati interrati in più piani. La BUC aperta nel quartiere Le Albere viene pubblicizzata con l’altisonante articolo del webmagazine dell’UniTn del 7 ottobre 2014 (non più consultabile, ma in parte reperibile nel testo di De Bertolini) come un successo da addirittura 500 posti[6] poi magicamente corretto in 430[7] (tra la metà e un terzo del progetto originario, per un costo di due terzi rispetto al progetto di Botta). Non solo, i posti auto sono stati sostituiti da scaffali e postazioni interrate in una zona ad alto rischio inondazione del fiume Adige, una possibilità stimata nell’ordine una ogni 30 anni circa, in cui le prime vittime sarebbero i libri stessi, con buona pace della priorità allo studio[8]. Insomma, almeno 500 posti in meno rispetto al progetto precedente, tanto che nel periodo in cui si decise lo spostamento da Sanseverino a le Albere si disse che bisognava far fronte al ridimensionamento tramite futuri progetti nell’area Trento Fiere (tra le altre cose di sale studio e mense) che latitano tutt’ora3.
- E la Provincia… NON PAGA
Perché latitano? Cercando di non essere proliss@, possiamo dire che gli articoli del Corriere del Trentino delle ultime settimane possono fornirci una sintesi qui riassunta: La Provincia non paga.
Da sei anni a questa parte la provincia ha mancato di pagare la sua parte di pagamenti all’Università, risultando in una mancanza di 200 milioni di euro. Dal 2010, per essere precis@, anno di inizio della delega (o provincializzazione) dallo Stato alla Provincia dell’onere di finanziamento. Cioè da quando buona parte del finanziamento pubblico dell’Ateneo di Trento non deriva più dal Ministero dell’istruzione ma dalla Provincia Autonomia di Trento. I circa trenta milioni l’anno che la PAT deve all’università, come stabilito, non sono arrivati all’Ateneo. Nemmeno un euro. MAI. Il risultato è che l’Università ha campato con gli “spiccioli” del Ministero e ha iniziato ad utilizzare i fondi di cassa, i risparmi, ha persino prosciugato il fondo per le borse per studenti meritevoli e ha persino avviato dei prestiti, l’ammontare dei quali non è dato sapere per ora.
Un fatto gravissimo.
Ancor di più se, ha detta del rettore Collini, a fronte di questo ENORME buco in bilancio, l’unico effetto negativo della provincializzazione dell’ateneo è relativo “ai ritardi circa l’edilizia universitaria”, riferendosi certamente al progetto di Trento Fiere. Dichiarazioni un po’ idiote, certamente miopi e probabilmente non sincere, di comodo, dato i conti in rosso che si ritrova l’università per colpa della Provincia. Solo ora capiamo l’aumento di 800 mila euro delle tasse universitarie: la Provincia non paga, l’università è in rosso e anziché battere i pugni sui tavoli di chi di dovere, si aumentano le tasse agli studenti e alle studentesse.
Veniamo al punto: perché il Collettivo Universitario Refresh ha manifestato la sua contrarietà verso la BUC? Perché la BUC è stata usata per arricchire chi già è ricco. Tutto il processo di costruzione del quartiere Le Albere ha seguito questa istanza e lo spostamento della BUC da Sanseverino a Le Albere è inserito nella stessa logica. Il ridimensionamento della biblioteca (della metà almeno) è stato inserito esclusivamente entro logiche di gentrificazione urbana e speculazione edilizia che vanno ad arricchire le solite famiglie ed imprese della borghesia trentina e della Chiesa Cattolica (che detiene circa il 30% del patrimonio immobiliare della provincia, giusto per ricordarlo) tramite lo strumento numerose volte dimostratosi fallimentare del project financing. Fallimentare dal punto di vista del bene pubblico e del risparmio, ovviamente, visto e considerato che alla fine i soldi pubblici vanno sempre a risolvere i buchi degli investimenti privati.
Perché il Collettivo Universitario Refresh ha occupato il CIAL? Perché è stato chiuso senza motivazioni plausibili per evitare che l’apertura della BUC fosse un fallimento. Anche chi lavora al CIAL fatica a comprendere la riduzione degli orari, spiegabili solo con il fatto che si doveva dimostrare subito il successo della BUC, una biblioteca sottodimensionata, raccontata bene, bella e lucidata a dovere. Questo è il motivo per cui il CUR ha occupato il CIAL: per riappropriarsi di uno spazio universitario produttivo e funzionale, nonostante le sue ridotte capacità.
Il risparmio (di un terzo) tanto declamato da chi quella biblioteca l’ha voluta (e chiamiamoli con il loro nome, UDU e UniTin, che prima hanno votato per tale scelta e ora la giustificano) è servito agli studenti e alle studentesse? Considerato il fatto che per due terzi dei costi si è costruito un contenitore della metà, senza posti auto ed a rischio inondazione: no.
Ma se non è servito a loro, a chi? Questo bisognerebbe chiederlo a chi si è sperticato in sotterfugi a porte chiuse per spostare la BUC, da UDU-UniTin alle imprese e famiglie della borghesia trentina e nazionale. La risposta è facilmente intuibile, ma la lasciamo a voi.
Una biblioteca è un contenitore. Questo contenitore è stato costruito e noi come universitar@ che hanno contribuito alla sua realizzazione, pur senza il nostro consenso, vogliamo farne parte, ma solo alla condizione di non essere usat@ come fotografia per apparire nei begli spot per pubblicizzare un’azienda di lauree che vuole vendersi sul piano nazionale ed internazionale come aggregatore di capitali e di persone di una certa estrazione. Vogliamo un’università per tutt@ quell@ che vogliono studiare, per tutt@ i/le cittadin@ e non cittadin@. Per tutt@ quell@ che vogliono un’università che non fa differenze sul reddito, per tutt@ quelli che vogliono sapere.
[NOTE]
[1] “Il pasticciaccio brutto della biblioteca”, in Questo Trentino, n. 11, novembre 2013.
[2] Ibidem.
[3] L’affare ex michelin, De Bertolini 2016, Altrotrentino Società Cooperativa.
[4] “Il pasticciaccio brutto della biblioteca”, in Questo Trentino, n. 11, novembre 2013.
[5] http://www.questotrentino.it/articolo/14018/il_pasticciaccio_brutto_della_biblioteca.htm.
[6] L’affare ex michelin, De Bertolini 2016, Altrotrentino Società Cooperativa, p. 92.
[7] http://webmagazine.unitn.it/news/ateneo/12202/inaugurata-la-biblioteca-di-ateneo-sette-piani-430-postazioni-e-480mila-volumi.
[8] Parere espresso da architetti presenti alla conferenza di Questo Trentino il 28 novembre 2016 presso la Facoltà di Economia di Trento a cui abiamo partecipato