ISEE: 23.000 NON possono bastare. Facciamo chiarezza

Le scorse settimane sono state particolarmente dense: le assemblee, i confronti, l’elaborazione di informazioni sempre nuove, le piazze, i blitz, persino la pioggia scrosciante sui nostri cappucci mentre qualcuno si permetteva di brindare ai propri loschi affari con fiumi di Ferrari. Sono ancora giornate dense per noi e lo saranno a lungo. Ma ci prendiamo un momento per mettere i puntini sulle i. Perché la chiarezza è importante, almeno per noi.
Tempo fa, leggendo la delibera provinciale sul cambio da ICEF a ISEE, abbiamo scoperto l’ennesima maglia della trama fasulla tessuta dalla narrativa della Provincia circa questa “riforma”. Accanto all’assicurazione, scritta nero su bianco, che la PAT avrebbe fatto il possibile per garantire il maggior numero di borse di studio possibile, il decreto ministeriale che stabilisce quel limite massimo ISEE utile all’accesso alle borse di studio fissato a 23.000. Come è nostra abitudine, abbiamo condiviso questa informazione rendendo palese la contraddizione (e non è l’unica) in cui la PAT è caduta (e continua a cadere).
Resa pubblica questa notizia, altri gruppi studenteschi che “stanno lavorando per noi” hanno immediatamente rilanciato il nuovo obbiettivo del secolo: quella soglia deve arrivare a 23.000. Come se non fossero già a conoscenza da mesi (visto che da mesi si occupano di nuovo ISEE) di questa opportunità (o forse non lo sapevano davvero… chi osa contraddire la Provincia? Lei sa. Per tutto il resto, c’è solo da allinearsi al pensiero dominante). In questo contesto, la notizia improvvisa, proprio il giorno prima della manifestazione del 17 novembre, della decisione della Ferrari di aumentare la soglia già prevista: da 20.000 a 21.500. Qualche organo di stampa, interpretando male le nostre intenzioni, senza nemmeno interpellarci sulla questione, ha deciso che questa era una vittoria anche per noi. Vittoria conquistata grazie al lavoro di UDU e alle pressioni del Collettivo Refresh.
Ed è qui che scatta la nostra voglia di mettere i famosi puntini sulle i.
Se proprio vogliamo parlare di obbiettivi (visto che, a quanto pare, non si può fare altro in questo momento), 21.500 non sono una vittoria e anche 23.000 non sarebbero abbastanza. Quello che noi vogliamo non assomiglia a “quello che passa il convento” o “il meno peggio”. Lo abbiamo detto più volte: vogliamo tutto. Tutto quello che ci spetta. E dire che “lo studio è un nostro diritto” per noi non include anche “se le condizioni lo permettono e non scombiniamo troppe carte in tavola”. Se lo studio è un diritto, come noi pensiamo che sia, allora tutti e tutte devono avere l’opportunità di accedervi. Questo significa creare le condizioni affinché questo sia possibile. E non è questa la direzione verso cui va il nuovo ISEE. Ribadiamo: per noi questa riforma parla di una università classista, esclusiva, elitaria, a portata di pochi. E fa schifo, detto francamente e fuori dai denti. E fa ancora più schifo se pensiamo a quanti soldi sono stati spesi per la nuova BUC, non una struttura utile per gli/le student*, ma una struttura utile alla Provincia per rimediare ad un flop finanziario epocale che fa storcere nasi e stomaci a molta gente. In questo quadro, denunciare che la Ferrari, UDU e compagnia bella ci prendono in giro ha per noi un senso diverso da quello vertenziale. Significa certamente fare controinformazione. Significa anche, e soprattutto, svelare quelle contraddizioni del nostro sistema-università che è bene avere chiare in mente.
Ci permettiamo ancora uno slancio di chiarezza, questa volta sui metodi. Perché è vero che è importante dove vuoi arrivare, ma il come fa la differenza molte volte.
Non siamo quelli che si presentano dicendo “abbi fiducia in me. Cagami una volta l’anno e per il resto ci penso io”. Eh no. Perché se ci sono delle questioni che riguardano tutti e tutte allora noi vogliamo prendere parola, vogliamo discuterne, vogliamo prendere posizione. Insieme. Non siamo quelli che utilizzano un gruppo universitario per fare carriera politica: per noi l’università non è gavetta verso un futuro che porterà a chissà quale poltrona promessa dal PD o dalla CGIL (o CL, o Fratelli d’Italia, o qualsiasi sia il padrino politico che sta dietro ad un, apparentemente sterile, logo studentesco). L’università è quello che ci caratterizza come studenti e studentesse, è il punto che troviamo in comune nelle mille specificità che caratterizzano le nostre assemblee. Viviamo questo nostro ambiente a 360°: le lezioni, gli esami, lo studio, ma anche l’informazione, la coscienza critica, il confronto, immaginari che si creano nelle nostre teste, la voglia di renderli reali. E questo lo facciamo incontrandoci settimanalmente o più in spazi aperti, accessibili, nelle nostre facoltà. Parliamo, tanto. Proviamo a trovare quadre comuni. Comunichiamo con l’esterno, anche se la gente non vuole ascoltarci. L’assemblea per tanti sarà una pratica a tratti noiosa, ma questo siamo. Quando scendiamo in piazza quello che facciamo lo facciamo insieme. Non vedrete mai delle delegazioni staccarsi da un corteo o alcuni di noi a andare a cena col Rettore per discutere di cose che poi, solo per metà, verranno riportate indietro. Se vengono raccontate. Se qualcuno vuole dialogare con noi, Ferrari, Collini, Rossi compresi, che vengano loro dagli studenti e dalle studentesse. Quello che hanno da dire possiamo sentirlo tutte e tutti, senza esclusioni.
Ancora una volta ribadiamo: è ormai palese che Università, Provincia, le stesse associazioni studentesche come UDU fanno parte di uno stesso sistema, un sistema che si siede a grossi tavoli e preferisce un pareggio di bilancio o una vittoria da rivendersi in campagna elettorale rispetto a quello che è giusto. Tipo finanziare le borse di studio. Tipo rendere l’università un posto accessibile ed aperto. Certi sistemi sono formati e alimentati anche da chi si presenta come amico/a, o addirittura come “granello nell’ingranaggio” pronto a far saltare tutto il sistema. Qualsiasi cosa faccia parte di un sistema il cui obbiettivo è un’università classista, esclusiva e per pochi/e non ci sta simpatico/a. Anzi, è proprio nostro/a nemico/a.