Mentre un’opposizione ridotta all’osso accusa il governo di brogli e chiede l’annullamento del referendum, la commissione elettorale, forte dell’irreversibilità del “voto popolare”, pesta le mani alle arrancanti voci contrarie confermando i risultati della consultazione. Il tappeto rosso sembra ora srotolarsi su un terreno già solcato o, più precisamente, consunto.
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump si congratula con Erdoğan per l’ottimo lavoro. L’Osce grida “al ladro!”. La diplomazia italiana gioca al telefono senza fili con Ankara affinché un giornalista ignorato dalla stampa nazionale venga rispedito al mittente, possibilmente privo dell’elegante cappotto di legno all’egiziana.
A Istanbul si protesta contro la costituzionalizzazione di una dittatura e in Italia si cerca di ricomporre un puzzle degno di solidalizzare con il connazionale arrestato il 9 aprile. In questo giorno infatti Gabriele Del Grande, documentarista indipendente e regista di “Io sto con la sposa”, è stato arrestato in Turchia, precisamente ad Hatay, con accuse deboli e pressoché insostenibili. La verità la conosciamo bene, è la stessa verità di Giulio Regeni, è la stessa verità degli accademici arrestati e della repressione che vive il mondo della ricerca e della formazione. Quanto successo a Gabriele Del Grande non è nulla di inaspettato: la sua vicenda si svolge su un terreno già saturo di inquietanti presupposti; un terreno pronto al totalitarismo che non ha mai esitato a rendere manifeste le proprie intenzioni. La totale sospensione delle libertà democratiche a cui hanno fatto seguito migliaia di arresti finalizzati ad imbavagliare bocche scomode, non è certo un fatto nuovo.
È tristemente noto a tutti come dopo il fallito golpe di luglio 2016, circa 1600 tra professori, presidi e rettori universitari (tra cui quello di Ankara) siano stati licenziati, allontanati o incarcerati. Con la purga delle università, si è consumata anche quella delle emittenti televisive, seguite dagli arresti dentro le sedi giornalistiche, poi chiuse per sempre. La fobia gulenista sembra aver mostrato -sotto la spinta di rivalsa post golpista- una prassi di conquista del potere e di deriva autoritaria che le dittature del XX secolo ci mostrarono ben prima che il mondo oggi si svegliasse con un Erdogan dittatore dopo voto democratico. Si sta parlando dell’annullamento dell’opposizione, della repressione della libertà d’espressione, di stato di polizia permanente nei grandi centri urbani, di propaganda mistificatoria, fino ad arrivare al taglio delle teste pensanti dentro le scuole e le università. E con la proposta di reintroduzione della pena di morte, il taglio di queste teste è probabile che diventi molto di più di una macabra metafora.
Una dittatura si è confezionata sotto ai nostri occhi e non possiamo negare l’indifferenza con cui ne abbiamo osservato la genesi. La maggioranza risicata che ha regalato a Erdoğan la vittoria ha incorniciato una sequenza di eventi che affonda le proprie radici ben oltre la scadenza del 16 aprile e ben più a fondo rispetto al golpe del luglio 2016.
È evidente come non siano state certo briciole a suggerire la via di una deriva totalitaria della Turchia di Erdoğan: i crimini perpetrati contro la minoranza curda e contro i migranti, i numerosi arresti che hanno mutilato l’ambito accademico, l’ondata di repressione e l’aria di censura non sono indizi da poco. Ma, come spesso accade, nessuno si accorge delle suole sozze dell’invitato finché questo non varca la soglia con le scarpe sporche di merda.
E quanto spesso tra i massimi organi dello Stato -e in generale dentro le democrazie europee- ci si è turati il naso davanti ad accordi commerciali con tale sanguinario dittatore o davanti all’emergere di nuovi fascismi in proprio seno? Nel richiedere la liberazione di Del Grande ci ricordiamo che la libertà di ricerca accademica, come la libertà d’espressione, non sono suppellettili che una democrazia può scegliere se includere o meno nella propria struttura di diritti fondamentali tutelati.
Di quanti Giulio Regeni abbiamo bisogno per prendere una posizione decisa nei confronti delle derive autoritarie che si stanno confezionando sotto ai nostri sguardi imbambolati?