Tutti ormai conosciamo Giulio Regeni. Purtroppo, non lo conosciamo per gli esiti delle sue ricerche ma perché un anno fa è stato barbaramente torturato e ucciso a El Cairo, in Egitto. Soprattutto, lo conosciamo perché ancora oggi, a distanza di un anno, si cerca “verità e giustizia per Giulio Regeni”.
Ma davvero non sappiamo chi è stato?
L’Egitto non è certo noto solo per le piramidi. Solo nel 2016, infatti, in media sono scomparse tre persone al giorno e le uccisioni per mano poliziesca non sono certo una novità: non è necessario essere un “sospetto sobillatore”, basta essere un semplice ambulante, un tassista o un barista che chiedono il conto pagato, per esempio. Per poco, molto poco, la polizia egiziana uccide e rimane impunita. Così accade spesso, così è per Giulio. In un anno il governo Egiziano ci ha provato in tutti i modi ad insabbiare la vicenda, spacciandola per qualsiasi cosa, tranne che per quello che è: repressione e censura. Nonostante i palesi tentativi di depistaggio, il governo italiano non ha battuto ciglio, mantenendo i rapporti diplomatici ed economici con l’Egitto e Al-Sisi. Gentiloni, oggi Presidente del Consiglio, fino a nemmeno due mesi fa era Ministro degli affari Esteri, uno di quei ministeri che non si è minimamente posto il problema di continuare a dialogare con il regime egiziano, nonostante le evidenti menzogne costruite attorno al caso di Giulio.
Davvero quindi non sappiamo chi è stato? O forse vogliamo fare finta di non saperlo? Perché riconoscere la responsabilità di Al-Sisi e della polizia egiziana per l’uccisione di Giulio significherebbe riconoscere la responsabilità del governo italiano che, con la sua condotta, lo uccide per la seconda volta. Per quanto ci riguarda, sappiamo chi è stato e sappiamo anche che, ad oggi, il governo italiano continua ad essere complice di questo omicidio.
La storia di Giulio non è solo la storia di una verità che non può venire a galla perché scomoda. La storia di Giulio riguarda anche la libertà di ricerca. Giulio infatti è stato ucciso perché impegnato in una ricerca sul movimento operaio e sindacale egiziano. La scomodità del suo impegno di ricerca è stata ulteriormente confermata qualche giorno fa da una legge egiziana che, di fatto, ha il compito di controllare e reprimere come possibile il lavoro di centri di ricerca come quello dove lavorava Giulio. Libertà di ricerca negata, dunque, in Egitto come in Italia. Infatti è nota la vicenda delle due ricercatrici indagate, e una delle due anche condannata, perché hanno svolto delle ricerche sul movimento notav.
Per la libertà di ricerca, quella critica e libera, che mette in crisi i poteri forti: per Giulio e per chi, come lui, ha pagato il prezzo più alto perché personaggio “scomodo” noi oggi scendiamo in piazza. E ribadiamo che, per quanto ci riguarda, sappiamo quali e di chi sono certe responsabilità. Perché Giulio, così come le altre vittime di censura e repressione, si meritano onestà, chiarezza e verità.